Movimenti interclassisti contro l'obbligo vaccinale e il green pass e lotta di classe

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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Riassumiamo sinteticamente le posizioni che il partito ha preso rispetto alla reazione che i movimenti interclassisti hanno espresso in merito alle misure governative  per fronteggiare la pandemia di Covid-19. Per noi non si tratta di movimenti del tutto diversi da quelli che già in anni e decenni precedenti si sono mobilitati contro misure e interventi governativi che andavano a toccare interessi e privilegi sociali in cui gli strati piccoloborghesi della società si riconoscono e che, soprattutto in periodi di crisi economica e sociale, vengono intaccati tanto da gettare una parte di piccola borghesia nella rovina e nella proletarizzazione.

Qui non riprendiamo tutti gli argomenti che abbiamo svolto negli articoli e nelle prese di posizione pubblicati nella stampa e nel sito di partito a partire dall'inizio del 2020, dallo scoppio della pandemia di Sars-CoV2 denominata Covid-19. Invitiamo lettori assidui e occasionali a riferirsi a tutta questa trattazione presente nel nostro sito.

Qui ci limitiamo perciò a puntualizzare la nostra valutazione, le nostre critiche e le nostre indicazioni al proletariato rispetto alle manifestazioni promosse in particolare dai commercianti e dagli strati piccolo borghesi colpiti dalle restrizioni previste dalle misure governative.

Ribadiamo

a) che questi movimenti sono la risposta piccoloborghese, e quindi interclassista, ad un disagio economico e sociale che colpisce, in situazione più o meno prolungata di crisi, oltre il proletariato anche la piccola borghesia;

b) che i movimenti piccoloborghesi di questo tipo esprimono l’ambizione di tornare ai privilegi sociali che la crisi ha colpito o cancellato, cercando di rafforzare la propria protesta con il coinvolgimento degli strati proletari;

c) che la risposta sociale, e politica, al peggioramento generale delle condizioni di esistenza delle masse non può venire dai movimenti interclassisti, ma soltanto dal movimento di classe del proletariato; un movimento di classe che, esprimendo un reale antagonismo di classe con la borghesia e con tutti gli strati sociali ad essa fondamentalmente alleati, non può sorgere dai movimenti interclassisti;

d) che ci rivolgiamo, perciò, in particolare al proletariato indicandogli l’unica via perché la sua lotta classista abbia un peso nella società e un futuro nella prospettiva dell’emancipazione di classe: la via della lotta in difesa esclusivamente degli interessi proletari a partire dal terreno immediato, lotta svolta con metodi e mezzi di classe e basata su associazioni economiche classiste, perciò improntate a criteri organizzativi che prevedono l’associazione di soli proletari, adottando piattaforme e programmi di lotta apertamente classisti e non condivisibili con le altre classi sociali.

 

Inoltre ribadiamo:

e) la necessità da parte del proletariato di una rottura con le politiche e le pratiche opportuniste, e quindi interclassiste, liberandosi perciò dai vincoli che lo imprigionano nella collaborazione fra le classi e lo obbligano alla concorrenza fra proletari;

f) che sulla via della riorganizzazione delle associazioni economiche di tipo sindacale, e nella formulazione degli obiettivi della lotta operaia e dei metodi e mezzi di lotta da adottare, i comunisti rivoluzionari hanno il compito di trasmettere alle generazioni proletarie le esperienze e i bilanci delle lotte proletarie del passato e, nella misura delle loro reali possibilità pratiche di intervento, di contribuire alla formazione degli organismi classisti di lotta sia dal punto di vista delle piattaforme di lotta, sia da quello dei criteri organizzativi da adottare, sia dei metodi e dei mezzi di lotta da utilizzare;

g) che l’ostacolo principale che il proletariato incontra nella sua lotta di resistenza al capitale e di difesa delle sue condizioni di esistenza è costituito dalla concorrenza fra proletari che la borghesia dominante, insieme alla piccola borghesia e alle forze sindacali e politiche dell’opportunismo e del collaborazionismo interclassista, alimentano costantemente al fine di mantenere il proletariato sottomesso alle esigenze del profitto capitalistico, quindi al fine della conservazione sociale per la quale il potere borghese usa i mezzi più disparati: propaganda ideologica, organizzazione economica sociale e politica, pressione economica, corruzione, ricatti sul posto di lavoro, misure restrittive, repressione poliziesca ecc;

h) che il partito comunista rivoluzionario non è un costruttore di sindacati, né un’associazione culturale che si prefigge obiettivi soltanto di propaganda o di “illuminazione” delle masse proletarie sul loro futuro storico, demandando ai soli proletari tutti i compiti della ripresa della lotta di classe (quindi non solo di organizzazione immediata ma anche di formulazione degli obiettivi politici più lontani) e lasciando al partito il compito di “illuminare” le coscienze dei proletari;

i) che il partito di classe non è un prodotto della lotta operaia, per quanto dura questa possa essere, ma un prodotto della storia delle lotte fra le classi, e rappresenta nell’oggi capitalistico gli obiettivi storici della lotta e della rivoluzione del proletariato; per questo motivo esso è la “coscienza di classe” del proletariato perché ha la conoscenza di tutto il corso storico della lotta fra le classi che porta all’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese, all’instaurazione della dittatura del proletariato, all’esercizio di questa dittatura, alla trasformazione economica della società fino allo sbocco finale rappresentato dalla società senza classi; è in forza di questa sua caratteristica peculiare che il partito di classe è sia prodotto che fattore di storia, quindi è l’unico organo politico che può guidare il movimento di classe del proletariato fino alla sua emancipazione definitiva dal lavoro salariato, dai rapporti di proprietà e di produzione borghesi. Come detto da Marx, è solo l’emancipazione del proletariato dal lavoro salariato e dai rapporti di proprietà e di produzione borghesi che può portare all’emancipazione dell’intera umanità dai vincoli e dalle oppressioni della società capitalistica.

 

Sottolineiamo inoltre:  

l) che il proletariato, spinto da fattori materiali inerenti i rapporti di produzione e sociali borghesi e le loro sempre più forti contraddizioni, sarà inevitabilmente costretto, in ragione degli stessi attacchi della classe dominante borghese alle sue condizioni di esistenza, di lavoro e di lotta, ad ingaggiare una lotta anche sul piano più direttamente politico e che questa lotta potrà avere un futuro e un successo nella misura in cui il partito di classe avrà avuto la volontà e la possibilità di influenzare in modo determinante le masse proletarie strappandole all’influenza delle classi borghesi e delle forze del collaborazionismo interclassista. Non si nasconde, d’altra parte, che non solo nell’attuale situazione di depressione controrivoluzionaria e di acuta concorrenza tra proletari, ma anche nel processo di ripresa della lotta di classe, all’interno del proletariato si formano e si formeranno strati e gruppi corrotti dalla borghesia che si scontreranno con il resto del proletariato e, soprattuto, con i proletari d’avanguardia e comunisti;

m) che, per quanto riguarda la campagna vaccinale ancora in essere, abbiamo denunciato non solo gli interessi specifici – e a livello mondiale – delle Big Pharma e di tutte le organizzazioni sanitarie ad esse collegate, a partire dall’OMS, ma anche la grande contraddizione nell’atteggiamento dei governi borghesi, e di quello italiano in particolare, che sono partiti fin dall’inizio sostenendo – perlomeno nei paesi occidentali – che i vaccini Pfizer, Astra-Zeneca e Moderna (autorizzati dalle istituzioni preposte) non facevano parte di un obbligo governativo, ma venivano somministrati “gratuitamente” sulla base di una campagna popolare di convincimento a farsi vaccinare (attraverso misure estremamente restrittive, coprifuoco, lockdown, ricatti, sanzioni e repressione poliziesca) per fermare la diffusione dei contagi, le malattie, l’intasamento degli ospedali e le morti per Covid. Tale “non obbligo” a vaccinarsi, per cui i governi non si sono presi alcuna responsabilità diretta su tutte le conseguenze avverse provocate da questi vaccini, si è trasformato ben presto in un reale obbligo nascosto dalle misure d’emergenza che hanno riguardato, a seconda del paese, prima il personale sanitario, poi il personale insegnante, poi tutti i lavoratori. La misura d’emergenza principale in Italia è diventata il “green pass” senza il quale non si può accedere ai luoghi di lavoro, non si può viaggiare sulle linee di grande percorrenza, non si può accedere ad ambienti chiusi, palestre, ristoranti, teatri, cinema, stadi, musei ecc. con il pretesto che in tali ambienti il contagio è più facile da parte degli asintomatici come da parte dei vaccinati (i quali, quindi, non hanno la certezza di essere immunizzati). Altra contraddizione, e presa in giro colossale: sono esclusi dal green pass i trasporti pubblici locali, che sono quelli più usati dai lavoratori, dagli studenti e da tutti coloro che non si muovono o non possono muoversi con mezzi privati. E’ una contraddizione messa in risalto, come le mille contraddizioni che caratterizzano la politica borghese, non certo per chiedere che il green pass venga esteso ai trasporti pubblici locali... ma per dimostrare come, anche in questo campo, le “soluzioni” borghesi non sono reali soluzioni: tappano un buco da una parte e ne aprono altri in altre parti, ma sempre all’insegna della ripresa economica e della caccia ai profitti capitalistici. Per i lavoratori non vaccinati, visto che questi, in Italia, sono tra i cinque e i sette milioni, il potere borghese ha scovato una  scorciatoia del tutto parziale e limitatissima nel tempo: i tamponi rinofaringei, obbligando i lavoratori, salvo coloro che per patologie gravi sono esentati dalla vaccinazione, a dover dimostrare ogni due giorni, grazie al tampone effettuato, di essere negativi al Covid-19, a proprie spese;

n) che il richiamo alla lotta proletaria classista, dal partito propagandato in generale, ha avuto un suo risvolto concreto nella misura in cui sono stati gli stessi proletari a scendere in sciopero contro l’imposizione del green pass per accedere ai luoghi di lavoro e contro la sospensione del salario per tutto il tempo in cui i lavoratori non vaccinati e non “tamponati”, non avrebbero potuto dimostrare di non essere contagiosi o malati. Il caso dei portuali di Trieste (fra l’altro una categoria di operai ben pagati) è stato, per un verso, emblematico perché in sciopero sono scesi insieme lavoratori vaccinati e non vaccianti superando in questo modo la discriminazione prodotta dal possesso del green pass, valido quindi come atteggiamento unificante per tutti gli altri lavoratori; ma, per l’altro verso, un esempio da non seguire poiché la loro lotta si è incagliata fin dall’inizio nelle secche democratiche e interclassiste, facendo perdere forza allo sciopero perché non ha bloccato per davvero il traffico delle merci, ma solo temporaneamente rallentato, non ha quindi procurato danni ai padroni del porto ma solo agli scioperanti, e perché si è fatto intrappolare nella rete del movimento interclassista dei no-vax e no-green-pass. Di fatto, sono bastate la promessa di un incontro con un rappresentante del governo e la promessa da parte delle aziende che lavorano nel porto (a Trieste e Monfalcone come a Genova e altre città) che avrebbero pagato loro i tamponi a coloro che non volevano vaccinarsi, per far sgonfiare la lotta come una palla bucata. E’ la dimostrazione concreta che non basta “fare la voce grossa” (molto tempo fa poteva succedere che la sola minaccia di un blocco della produzione portasse ad un risultato apprezzabile per i proletari, ma da anni non è più così); dichiarare “il blocco del porto” ma lasciare che tutti i lavoratori che intendono lavorare entrino tranquillamente al lavoro non serve a niente ed è controproducente se non si passa dalle parole ai fatti. Nel caso specifico dei portuali di Trieste questo passaggio non c’è stato; è certo, comunque, che questo può avvenire solo sull’onda di lotte operaie che si sono svolte utilizzando metodi e mezzi classisti e non per una volta soltanto, ma per molte volte. La tradizione di lotta classista ha bisogno di tempo e di fatti concreti per mettere radici, non si costruisce sulle dichiarazioni, tantomeno sulle “frasi forti”.          

 

Non abbiamo sostenuto genericamente un’opposizione alla vaccinazione anti-Covid19 né secondo le motivazioni dei no-vax, né rivendicando la “libertà individuale” secondo i dettami della Costituzione se vaccinarsi o no, né abbiamo appoggiato le manifestazioni piccoloborghesi che basavano, e basano tuttora, la loro protesta sulle prime due motivazioni ora ricordate, ma le abbiamo criticate per il loro contenuto interclassista, spostando l’attenzione sull’impatto negativo che quelle posizioni potevano avere e avevano sul proletariato e la sua lotta di difesa immediata. E quando il governo ha emanato l’obbligo del green pass per tutti i lavoratori, sanzionando pesantemente quelli non vaccinati con la sospensione dal lavoro e dal salario, siamo usciti (1 ottobre) con una presa di posizione con la quale mettevamo in evidenza il dato principale che deve interessare i proletari: la lotta contro la concorrenza tra proletari, in questo caso tra vaccinati e non vaccinati, perché è questo l’ostacolo più duro che i proletari devono superare se vogliono che la propria lotta, anche episodica, abbia un senso classista e possa rappresentare un primo piccolo passo verso la riorganizzazione classista e la ripresa della lotta di classe. In questo caso il partito ha teso a separare gli interessi proletari e la loro specifica lotta dagli interessi e dalla lotta interclassista nella quale la piccola borghesia ha tutto l’interesse di confondere i proletari mettendo in secondo o terzo piano i loro interessi di classe.

Aldilà della posizione che ci vede contrari a negare in assoluto la funzione dei vaccini, e anche dei vaccini anti-Covid, abbiamo denunciato – come nel caso, ad esempio, del nucleare – l’uso capitalistico dei vaccini; un uso collegato direttamente alla mancanza totale della prevenzione e della reale funzione della medicina territoriale che è stata, in particolare in questa situazione pandemica, completamente estraniata dal suo compito di presidiare territorialmente l’intervento sanitario. I vaccini anti-Covid sono stati prodotti in tempi rapidissimi (cosa che ha sorpreso non pochi virologi e immunologi, i quali all’inizio hanno sollevato molti dubbi sulla loro reale efficacia, dubbi poi zittiti o semplicemente cancellati dalla corruzione che in campo sanitario è tanto normale quanto negli appalti per le grandi opere); il vaccino è stato propagandato come il toccasana e l’unico mezzo per difendersi dall’attacco del coronavirus Sars-CoV2, per poi diventare la “terapia” e, in quanto tale, vista la recrudescenza della Sars-CoV2 con tutte le sue varianti, si è prevista la somministrazione di più dosi. Non a caso si parla di una terza dose già oggi, e di una vaccinazione periodica negli anni prossimi, come è in uso per il vaccino cosiddetto “antinfluenzale” (come se i virus non si modificassero mai). Abbiamo messo in evidenza che l’interesse del capitalismo, rispetto alla salute degli esseri umani, non è quello di salvaguardare e rafforzare il sistema immunitario naturale di cui ogni essere umano è dotato, ma – a furia di vaccini, antibiotici, antinfluenzali, antidepressivi, antinfiammatori e via discorrendo – depotenziarlo sistematicamente e sostituirlo con una supposta immunità fornita artificialmente dai medicinali: sui medicinali il capitale guadagna miliardi su miliardi, sull’immunità naturale non ci guadagna nulla.

La scienza borghese mostra, per l’ennesima volta, che ciò che sta a cuore alla classe dominante non è la salute degli esseri umani in generale, ma la disponibilità in tempi rapidi della piena capacità lavorativa della forza lavoro salariata ampliando, nello stesso tempo, il bacino di forza lavoro da cui pescare di volta in volta a seconda delle esigenze di espansione o di restrizione della produzione e della possibilità di accesso ai mercati. Se poi, come succede sempre, i lavoratori si ammalano a causa degli ambienti nocivi in cui sono costretti a lavorare, o vengono colpiti da patologie derivanti dalla fatica prolungata e dallo stress, si infortunano e muoiono sui posti di lavoro o nel tragitto da casa al lavoro e viceversa, ai capitalisti tutto questo produce al massimo qualche lacrima da coccodrillo, passando immediatamente dopo a sostituire i lavoratori non più sfruttabili appieno, abbandonando i malati e gli infortunati alla disastrata sanità pubblica, alle assicurazioni private se hanno potuto pagarsele, alle cure delle famiglie, ad un destino da emarginati.

La scienza borghese non è mai stata “neutra”, al di sopra degli interessi di classe, e mai lo sarà. Sarà sempre al servizio del capitale e verrà sempre usata per rafforzare il suo dominio, non per indebolirlo. Perciò chiedere alla scienza di porsi aldisopra degli interessi del capitale che la sostiene e la indirizza è una pia illusione. Ovvio, d’altra parte, che in certi limiti, la scienza borghese, attraverso le ricerche e i test, non solo in campo medico ma in ogni campo, giunge a risultati che potenzialmente potrebbero diminuire di molto la fatica lavorativa, facilitando la vita sociale e dandole più tempo perché gli esseri umani ne godano appieno,  ma condizionata com’è dai rapporti di proprietà e di produzione capitalistici non riuscirà mai a sottrarsi al compito assegnatole dal capitalismo: quello di facilitare e velocizzare la valorizzazione del capitale, il profitto capitalistico. Se quella determinata ricerca, coi suoi risultati, non può essere utilizzata in tempi veloci per produrre profitti viene cancellata, o viene messa da parte in attesa di tempi più adatti a trarne i massimi vantaggi.

In un secolo, l'iperfolle industrializzazione e l'uso capitalistico catastrofico delle risorse energeti che accumulate nei millenni su questo pianeta (le famose risorse fossili) hanno talmente intossicato terra, acqua e aria da rendere invivibile gran parte di questo mondo, tanto da contribuire al temuto “cambiamento climatico” di cui tanto discutono da qualche decennio i capitalisti e i loro portavoce politici in una inevitabile e serrata guerra di concorrenza.

Resta il fatto che le “soluzioni” che la classe dominante borghese adotta per affrontare e superare le sue crisi (economiche, finanziarie, politiche, sanitarie, militari o climatiche) non sono soluzioni reali, ma soltanto soluzioni parziali e temporanee che servono soprattutto per cercare di spostare nel tempo le crisi stesse e le loro conseguenze più negative.

Anche la pandemia di cui stiamo parlando è una crisi di questa società. La società capitalistica non è basata sulla prevenzione generalizzata (delle malattie, degli infortuni, dei disastri ambientali), anzi è essa stessa che li provoca, da un lato perché non è in grado di prevenirli e, dall’altro, perché ci specula sopra. E’ basata invece sulla produzione irrazionale, caotica e iperfolle di merci, e sulla loro altrettanto irrazionale, caotica e iperfolle distribuzione, oltretutto senza sapere se l’enorme quantità e varietà di merci (più dannose che utili alla vita umana e all’ambiente) troveranno sempre uno sbocco sui mercati per realizzare il famoso saggio medio di profitto per il quale sono state prodotte. La tendenza alla concentrazione capitalistica è talmente naturale per lo sviluppo capitalistico che i mercati vengono sempre più dominati dai grandi trust, dalle grandi multinazionali, dalle grandi concentrazioni sia economiche che finanziarie; e sono queste grandi concentrazioni capitalistiche – tra cui vanno considerati anche gli Stati imperialisti – che tendono a creare artificialmente situazioni e bisogni atti a consumare sempre più l’enorme quantità di merci che vengono prodotte e che devono trovare uno sbocco utile ad accumulare profitti, a valorizzare i capitali investiti. In questo modo, mentre la concorrenza spinge alla concentrazione economica e finanziaria, questo stesso processo di concentrazione e centralizzazione aumenta i fattori acuti e violenti della concorrenza, tendendo a portare al parossismo produzione, consumi, distruzioni in una spirale senza fine.

Esemplifichiamo attraverso la produzione di armamenti e di medicinali. Le armi e i sistemi d’arma che vengono prodotti in varietà e quantità sempre più grandi e tecnologicamente sempre più sofisticati, devono trovare uno sbocco di mercato, e quale migliore sbocco c’è se non la guerra; nella guerra si consumano e si distruggono oltre agli esseri umani, armi, edifici, strade, ponti, ferrovie, fabbriche, città intere che poi vanno tutti ricostruiti; in questo modo il capitale circola, si investe, produce profitto sia nella distruzione che nella ricostruzione; se poi si passa dalle guerre locali alla guerra mondiale, i capitali interessati e che vi concorrono saranno ancora più grandi, la distruzione sarà enorme ed estesa e la ricostruzione sarà ancor più lucrosa.

I medicinali, che vengono prodotti in varietà e quantità sempre più grandi e tecnologicamente sempre più sofisticati, devono anch’essi trovare uno sbocco di mercato, e quale migliore sbocco c’è se non una popolazione malata, che soffre di ogni tipo di malattia e che, nello stesso tempo, costituisce un mercato per tutti i medicinali che vengono inventati per ogni particolare sintomo e malattia costituendo, contemporaneamente, un bacino di ricerca per ulteriori medicinali più sofisticati e più specifici.

Se poi si viene colpiti da un’epidemia e da questa si passa alla pandemia, l’affare per le grandi concentrazioni capitalistiche del farmaco diventa enorme; i capitali investiti nella ricerca e nella produzione dei medicinali specifici (per esempio nei vaccini) hanno la possibilità di essere valorizzati a livelli stratosferici tanto da indurre queste grandi concentrazioni capitalistiche e gli Stati imperialisti che le proteggono a tifare (e a fare di tutto) perché un’epidemia si trasformi in una pandemia: si assicurano così giganteschi profitti sia nell’immediato, sia negli anni successivi, dato che la salute degli esseri umani è uno dei tasti più sensibili, insieme alla fame.

Credo di aver riassunto gli aspetti principali della nostra impostazione e del nostro agire. Naturalmente nelle diverse prese di posizione alcuni di questi aspetti possono essere solo accennati, altri svolti più ampiamente, ma la direzione nella quale si inseriscono è quella sopra riassunta.

Il partito ha il compito di valutare tutti i movimenti sociali presenti nella società, quindi anche i movimenti piccoloborghesi di piazza e di protesta, nel loro formarsi e svilupparsi; deve valutare le loro “rivendicazioni” o “parole d’ordine” nel processo di influenzamento – per certi versi inevitabile – del proletariato e il loro agire nei confronti del potere governativo e nei confronti del proletariato. Ma l’attenzione massima, anche se ciò può risultare riduttivo rispetto alle supposte occasioni di propaganda e di intervento, il partito la deve dedicare soprattutto a quelle situazioni e a quelle lotte che possono costituire un esempio, per quanto piccolo, modesto, temporaneo e isolato, per i proletari che intendono reagire alle imposizioni del padronato, del governo e delle forze di conservazione, nella prospettiva di cercare la via e i metodi per uscire dall’abisso in cui, da oltre settant’anni, è precipitato.

Rifacendoci alla situazione specifica della pandemia attuale, alle misure economiche e sociali che i governi hanno adottato per fronteggiarla e al caso specifico della vaccinazione anti-Covid19, resa praticamente obbligatoria col green pass, abbiamo ritenuto di dover prima di tutto inquadrare il contesto generale in cui l’epidemia si è sviluppata, di come hanno risposto i vari governi, di quali interessi di fondo stavano alla base della diffusione del virus Covid-19, e di come i governi hanno approfittato della pandemia per rafforzare un controllo sociale che già le forze opportuniste e collaborazioniste avevano assicurato per tanti anni, ma il cui livello – in vista di crisi economiche e sociali molto più dure, e in vista di una possibile futura guerra mondiale – alla borghesia evidentemente non basta per mantenere i proletari completamente sottomessi alle esigenze economiche, politiche e militari del suo potere.

L’altro aspetto su cui dovevamo porre attenzione riguardava la reazione dei proletari a questo vero e proprio attacco alle loro condizioni di esistenza e di lavoro. Dobbiamo dire che i proletari hanno subìto, per lungo tempo senza reagire, la pressione esercitata dalla borghesia in combutta con i sindacati collaborazionisti e le forze politiche cosiddette “di sinistra”. Non ne attribuiamo certo la responsabilità ai proletari; sappiamo bene che la loro sottomissione attuale alle esigenze del capitale proviene dai lunghi decenni dell’opera dei sindacati tricolore e dei partiti cosiddetti “di sinistra” che hanno sistematicamente sabotato le lotte operaie, rafforzando la collaborazione interclassista e, nello stesso tempo, la concorrenza tra proletari. Sappiamo bene che il proletariato nasce ed è, prima di tutto, classe per il capitale dalla cui situazione non esce se non in forza delle violente contraddizioni della società borghese.

D’altra parte, la politica sociale borghese, che si può riassumere nella politica degli ammortizzatori sociali, ha prodotto un risultato molto favorevole al dominio borghese e alla conseguente sottomissione del proletariato: questi ammortizzatori costituiscono una sorta di “garanzia” per i proletari che non possono più contare su un posto di lavoro “sicuro”, che hanno bisogno di cure, di ferie, di provvedere ai figli ecc.; questa “garanzia” è stata nell’immediato una sorta di salvezza nelle situazioni più disagiate, ma, nel lungo periodo, gli ammortizzatori sociali costituiscono un ostacolo formidabile non solo alla lotta classista, ma alla stessa lotta elementare di difesa proletaria. E che si sia trasformata in un vero e proprio ostacolo alla lotta operaia è  dimostrato dal fatto che in questi ultimi venti/trent’anni gli ammortizzatori sociali di un tempo sono stati erosi via via fino a diventare solo un “privilegio” per alcune categorie di lavoratori che fanno parte dell’aristocrazia operaia, abbandonando una massa sempre più numerosa di proletari, soprattutto delle più giovani generazioni, alla mancanza di lavoro, al lavoro precario, temporaneo, supersfruttato, malpagato. Fattori, questi, di ulteriore divisione tra proletari, di ulteriore frammentazione e concorrenza tra proletari.  

La propaganda terroristica inscenata dalla borghesia sui contagi, sulle terapie intensive e sui morti “per Covid”, manipolando i dati a suo piacimento, aveva e ha lo scopo di schiacciare i proletari a tal punto da considerarsi fortunati se in pieno lockdown andavano a lavorare perché così prendevano il salario tutto intero. All’inizio, tra marzo e aprile 2020, in più parti, i proletari hanno protestato, e scioperato, limitandosi però a rivendicare la sanificazione dei luoghi di lavoro e la fornitura dei dispositivi di protezione individuale che mancavano (a partire dal personale sanitario); se venivano supersfruttati, se le ore di lavoro aumentavano giornalmente, lo accettavano tutto sommato perché erano convinti che questo era il prezzo da pagare per assicurarsi il salario. La crisi sanitaria ha avuto conseguenze sul piano economico e sociale come una crisi economica classica (riduzione dei dipendenti in molte aziende, chiusure di aziende, licenziamenti, cassa integrazione, precariato spinto, supersfruttamento dei proletari occupati, abbattimento dei salari ecc.); inoltre, l’insistente e vasta campagna di paura estesa praticamente a tutto il mondo è stata utilizzata per abbattere al massimo le reazioni che il proletariato, in particolare nei paesi capitalistici avanzati, avrebbe potuto avere. Ma, ancora una volta, i poteri borghesi hanno tirato fuori dal cilindro nuovi e più abbondanti capitali da sventolare davanti agli occhi delle masse proletarie: “è il momento di dare i soldi, non di prenderli”, è la frase che ha sintetizzato il pensiero del governo Draghi all’inizio di quest’anno, ma che già in precedenza (ad esempio con il “reddito di cittadinanza”) i governi borghesi avevano iniziato ad adottare, sapendo bene che per avere quei soldi i proletari erano obbligati ad accettare tutte le misure che il governo stava prendendo, misure che, da un lato, andavano a sostenere in modo consistente la “ripresa dell’economia nazionale” e, dall’altro, andavano a rafforzare il controllo sociale (attraverso i lockdown, le zone rosse, i lasciapassare, la militarizzazione delle città, lo stato di polizia ecc.) determinando così un precedente che serve e servirà ai governi della borghesia nel prossimo futuro per irreggimentare il proletariato a fini militari.

 

Come farà il proletariato, se non ha la forza di lottare sul terreno elementare della difesa immediata, a lottare contro il controllo sociale borghese, contro questa pressione economica e sociale, contro queste ulteriori limitazioni alla sua “libertà” di organizzazione, di sciopero, di spostamento, di dedicare una parte del suo tempo giornaliero alla sua famiglia e ai suoi interessi di classe? Non saranno certo le mobilitazioni a carattere piccoloborghese ad aprigli la strada per la ripresa della lotta di classe; semmai, queste mobilitazioni cercano di coinvolgerlo con finalità del tutto opposte alla lotta di classe: le rivendicazioni della democrazia, della difesa della Costituzione, della “libertà individuale”, del “libero esercizio delle attività imprenditoriali” vanno tutte a sostegno della conservazione sociale e delle aspirazioni della piccola borghesia commerciale, industriale, agricola, intellettuale, dei piccoli proprietari.

Nei periodi di crisi la grande borghesia pesta duro non solo sul proletariato ma anche sulla piccola borghesia, e gli strati piccoloborghesi più deboli, più esposti agli improvvisi cambiamenti delle situazioni economiche e sociali, sono quelli che protestano più forte anche perché si sentono “traditi” dalla società che hanno sempre difeso e nella quale hanno sviluppato le loro aspirazioni di promozione sociale, di maggiore benessere economico privato. I piccoloborghesi vivono anch’essi sullo sfruttamento del lavoro salariato e il proletariato non solo storicamente, ma anche nel presente, è l’unica classe dell’attuale società che può lottare contro lo sfruttamento del lavoro salariato e, quindi, contro l’intero sistema capitalistico che su questo sfruttamento ha eretto il suo potere. Il proletariato può condividere questa lotta con la piccola borghesia? No, e la storia della lotta fra le classi ha dimostrato mille volte che la piccola borghesia è anche più aguzzina nei confronti del proletariato di quanto non lo sia la grande borghesia. Il proletariato, per uscire dalla palude in cui è stato immerso dal collaborazionismo interclassista, deve rompere drasticamente con ogni “condivisione” e ogni “abbraccio” con le rivendicazioni della piccola borghesia che oggi reclama “più democrazia”, “vera democrazia”, ma sempre pronta a voltar le spalle alla “democrazia” se un regime dispotico e fascista le assicura privilegi e promozione sociale.    

In realtà, saranno le stesse contraddizioni del sistema economico, sociale e politico borghese a spingere i proletari a lottare per sopravvivere, per non continuare a morire di fatica, di fame e di malattie, per non subire continue sopraffazioni e vessazioni, per opporsi ad una oppressione sociale che diventa sempre più intollerabile. E quella lotta di resistenza al capitale, come la chiamava Engels, tornerà a farsi largo nelle file proletarie perché sarà l’unica via attraverso la quale i proletari si renderanno conto di rappresentare una forza sociale in grado di opporsi, finalmente, con proprie organizzazioni, propri obiettivi, propri mezzi di lotta, agli attacchi della classe dominante. Saranno quelle lotte di difesa esclusiva degli interessi di classe proletari, episodiche, isolate, contrastate dalle forze di conservazione sociale, che li spingeranno a cercare una direzione politica in grado di inquadrarle in un’unico grande piano di lotta contro il potere dei capitalisti concentrato nello Stato centrale. Ed è su quel terreno che il proletariato incontrerà il suo partito di classe, se questo partito avrà saputo tener ferma la rotta verso gli obiettivi di classe immediati e storici della classe proletaria, e avrà utilizzato tutti gli spiragli che le contraddizioni della società capitalistica aprono inevitabilmente, prima o poi, all’azione di classe.  

Per essere domani quel partito, dobbiamo comportarci già oggi – pur nei limiti materiali della situazione oggettiva e soggettiva – come se gli obiettivi della lotta di classe fossero più vicini di quanto non lo siano veramente, sapendo, nello stesso tempo, che il proletariato è soffocato da decenni nella melma della collaborazione fra le classi e che solo un tremendo terremoto sociale potrà rompere il denso strato di melma che lo soffoca, liberando finalmente le sue energie di classe. La possibilità dell’odierno embrione di partito di diventare domani il partito compatto e potente della rivoluzione proletaria e comunista sta sia nel difendere con le unghie e con i denti la dottrina marxista e il bilancio dinamico che la Sinistra comunista d’Italia ha prodotto nei trent’anni di vita del partito di ieri, sia nell’attenersi intransigentemente ai dettami delle linee politiche, tattiche e organizzative già definite da quel bilancio generale, sia nell’assimilare l’arte di valutare le situazioni e le forze sociali secondo i criteri teorici già messi alla prova dalle grandi rivoluzioni e dalle controrivoluzioni.

 

Se la grande borghesia è il nemico principale del proletariato e, quindi del partito di classe, l’altro nemico, particolarmente insidioso, è rappresentato dalla piccola borghesia, dalle famose mezze classi che la sviluppata società capitalistica ha segmentato in cento stratificazioni diverse, come d’altra parte ha fatto in parte anche col proletariato.

Sul terreno immediato è la piccola borghesia che ha maggiori chances di influenzare il proletariato, ed è certo che la sua influenza è deleteria per la classe proletaria perché ne devia sistematicamente la lotta, portandola sul terreno della collaborazione tra le classi, terreno sul quale nascono e si sviluppano privilegi sociali e posizioni di rendita che gli strati piccoloborghesi più vicini alla classe proletaria presentano come un illusorio miglioramento sociale a cui invitano i proletari ad aspirare.

La grande borghesia, nell’organizzazione industriale del lavoro, segmentando i lavoratori salariati per specializzazioni e categorie, ha formato uno strato proletario meglio pagato di tutti gli altri: è lo strato dell’aristocrazia operaia, il più vicino per posizione e abitudini sociali alla piccola borghesia urbana e rurale; è lo strato operaio che trasmette al resto del proletariato le abitudini, i costumi, le illusioni, le aspirazioni, le superstizioni della piccola borghesia. E questo ruolo funziona sia in regime democratico che in regime fascista, poiché è un ruolo che proviene dalla collaborazione tra le classi; una collaborazione interclassista che intossica il corpo sociale proletario sia dall’esterno che dall’interno, ed è perciò l’agente controrivoluzionario più micidiale per il proletariato.

La lotta contro il capitalisti, contro la grande borghesia, dunque contro la classe dominante, non può lasciare in secondo piano la lotta contro la piccola borghesia, contro la sua opera intossicante quotidiana che inebetisce, confonde e paralizza i proletari fin dalle loro prime ed elementari reazioni all’oppressione capitalistica. Non è il proletariato che deve mettersi alla coda dei movimenti piccoloborghesi; da questi deve tenersi ben separato.

Semmai, ma solo in una situazione rivoluzionaria, saranno alcuni strati della piccola borghesia, rovinati e proletarizzati dalle crisi economiche capitalistiche, che avranno interesse a farsi trascinare nella lotta proletaria di classe e mettersi alla coda del movimento proletario, perché riconosceranno nella grande borghesia il loro vero nemico. Ma questo è un tema da trattare a parte.

 

 

Partito comunista internazionale

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