Sulla disastrata sanità pubblica

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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A metà giugno di quest'anno il ministero della Salute  ha pubblicato i dati dell'annuario statistico del Servizio sanitario nazionale relativi al 2019. «Nel confronto con il 2010 - scrive Altreconomia di settembre 2021 - questi dati mostrano i risultati di definanziamento della sanità: -37 miliardi di euro dal 2010 al 2019, secondo la Fondazione Gimbe [che è dello Stato, NdR], imposto dai vari governi che si sono succeduti. In dieci anni sono stati chiusi 173 ospedali e 837 strutture di assistenza specialistica ambulatoriale. Inoltre ci sono 276 strutture di assistenza territoriale pubbliche in meno (ma 2.459 private in più) e il personale dipendente del Ssn è diminuito di 42.380 unità. Di questi, 5.132 sono medici e odontoiatri e 7.374 infermieri». Già la sanità pubblica non è mai stata adeguata rispetto alle reali necessità di intervento e cura di tutte le malattie contratte in una società che guarda alla salute umana solo ragionando sui costi (ogni azienda ospedaliera deve risultare in attivo, sennò viene ridimensionata o chiusa); in più, di fronte ad una pandemia come quella di Sars-CoV2, che ha richiesto un numero enorme di ricoveri, gli ospedali sono andati velocemente in tilt, tanto che i medici dovevano decidere chi seguire, chi mandare in terapia intensiva, insomma chi lasciar morire e chi tentare di salvare. Senza contare una rete di medicina del territorio del tutto deficitaria e la decisione da parte di presidenti di Regione - che hanno in mano la gestione della sanità pubblica - come nel caso della Lombardia, di trasferire molti ammalati di Covid-19 negli ospizi per anziani per liberare dei posti negli ospedali (e i morti degli anziani del Trivulzio di Milano sono lì a testimoniare questa ulteriore strage). Nel suo servizio, Altreconomia di settembre sottolinea che «nel 2010 il 46,4% delle strutture del Ssn erano pubbliche, nel 2019 sono calate al 41,4%. L'aumento del peso delle strutture private è avvenuto in maniera generalizzata, a prescindere dal tipo di assistenza offerta: in dieci anni gli ospedali pubblici sono passati dal 54,4% al 51,9%, le strutture pubbliche di assistenza territoriale residenziale sono diminuite dal 24,6% al 16,8%, quelle di assistenza territoriale semiresidenziale dal 37,2% al 28,9%». In pratica  aumentando il peso del privato, diminuiscono le attività assistenziali garantite dal pubblico che, in genere, prevedono anche l'assistenza non programmata come invece il privato.

Dal 2010 il personale dipendente del Ssn - sanitario, professionale, tecnico e amministrativo -  è diminuito del 6,6%; medici e odontoiatri  del 4,8%, infermieri del 2,8%.

Secondo la "Health at a Glance: Europe 2020" dell'Ocse, ogni mille abitanti in Italia ci sono 5,7 infermieri, un rapporto tra i più bassi dell'UE che in media ne ha 8,2. Per di più l'Italia ha una percentuale di anziani sull'intera popolazione tra le più alte in Europa, per cui l'assistenza sanitaria dovrebbe essere implementata non prosciugata. Il fiume di miliardi che arriverà in Italia con il Pnrr prevede interventi anche in campo sanitario? Sì, teoricamente sono previsti 20 dei 200 miliardi di fondi europei in arrivo per l'Italia, ed è previsto un corposo incremento delle Case di comunità e dell'assistenza domiciliare.

Che cosa sarà la Casa di comunità? Sarà, come si legge nel Pnrr,  «una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altre professioni della salute (logopedisti, fisioterapisti, dietologi, tecnici della riabilitazione ecc,) e potrà ospitare anche assistenti sociali» (vedi www. huffingtonpost.it/ entry-case-di-comunita_ it_60e57282 e4b099d899a 21467). Questo piano prevede il finanziamento di 1.350 Case di comunità e il ministro della Salute, Speranza, afferma che «la pandemia insegna che spesso dove c'è un problema sociale arriva un problema sanitario ed è vero anche il contrario, dove c'è un problema sanitario arriva poi quello sociale». Le Case di comunità sono presentate dal ministro della Salute come casi di "prossimità", dunque utili ad incrementare l'efficienza dell'assistenza sanitaria territoriale, tanto più che la necessità oggettiva di cure, dovuta a fattori demografici, tenderà a crescere di molto viste le recenti stime dell'Associazione per la ricerca sociale (ARS) - vedi il sito Welforum -: aumento del 57% di over 75 nei prossimi 50 anni. E cresceranno i fattori epidemiologici (si prevede un incremento di 1,4 milioni di malati cronici nei prossimi 5 anni) e sociali (in 10 anni aumenteranno di circa 1,4 milioni le famiglie unipersonali che già oggi compongono il 33% della popolazione italiana (contro il 31% di quella europea).

Delle 1.350 Case di comunità annunciate, se rapportate ai 302 mila chilometri quadrati del territorio nazionale, ne sarebbe presente una ogni 200 chilometri quadrati circa, il che - come dichiara la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale - è tutto fuorché una soluzione di prossimità! Inoltre, ogni struttura fisica ha bisogno, per funzionare, di risorse umane ulteriori sulle quali però non c'è alcun progetto concreto. Tante parole, tanti progetti, e tanti soldi per progetti che poi rimangono sulla carta. La sanità pubblica rimane un pozzo senza fondo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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