Capitalismo e strage di proletari

(«il comunista»; N° 171 ; Dicembre 2021 - Gennaio 2022)

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Il 2022 sotto il regime capitalistico si presenta come il 2021 e come gli anni precedenti: una continua strage di proletari che vengono assassinati sui luoghi di lavoro o mentre vi si stanno recando (in itinere).

Come sempre i dati Inail che riguardano i morti sul lavoro rilevano soltanto i lavoratori assicurati per gli infortuni, compresi i morti a causa del coronavirus. Non sono quindi considerati i morti (e gli infortunati) che le aziende non assicurano, nemmeno i morti in itinere e tutti i lavoratori in nero; il che vuol dire che, come minimo, i morti e gli infortunati a causa del lavoro sono il doppio di quelli registrati dall’Inail.

I dati rilevati invece dall’Osservatorio nazionale morti sul lavoro (1) sono molto più vicini alla realtà, ed è a questi che facciamo riferimento.

Al 23 gennaio 2022, i morti dall’inizio dell’anno sono 56: sui luoghi di lavoro sono stati 26, gli altri sulle strade e in itinere.

Nel 2021, secondo anno di pandemia, i morti che l’Osservatorio citato ha registrato sono stati 1.404, quasi 4 morti al giorno!, cioè il 18% in più rispetto al 2020. Mentre il governo Draghi sbandiera la “ripresa economica” vantando per il 2021 una crescita del Pil di oltre il 6%, non ha niente da dire sull’aumento delle morti sui luoghi di lavoro. D’altra parte è logico che i capitalisti e i loro governi non mettano mai in relazione la corsa alla ripresa economica con i lavoratori morti a causa di questa ripresa; i profitti capitalistici non hanno occhi, perciò non guardano in faccia i lavoratori salariati il cui sfruttamento giornaliero li genera riempiendo le tasche dei padroni; e i padroni tanto meno: per loro gli infortunati e i morti sui luoghi di lavoro sono danni collaterali che vengono dati per scontati perché l’importante è che l’economia giri al massimo...

Sempre nel 2021 i settori economici in cui è avvenuto il maggior numero di infortuni mortali sono, in ordine, l’agricoltura, l’edilizia e l’autostrasporto. Che combinazione!, proprio nei settori dove la mancanza di misure di sicurezza, la precarietà del lavoro e il lavoro nero abbondano! L’agricoltura ha più del 30% di tutti morti sui luoghi di lavoro (soprattutto schiacciati dal trattore); l’edilizia ha il 15% dei morti sul totale (soprattutto a causa di cadute dall’alto), ma sappiamo che anche in questo settore impera il lavoro nero; l’autotrasporto ha quasi l’11% dei morti totali sul lavoro, e il loro aumento è causato dallo sviluppo impressionante del trasporto su gomma dovuto in particolare agli acquisti on line per i quali la velocità nella consegna è diventata una condizione base del business legato a questo servizio. 

Nell’industria (esclusa l’edilizia) i morti sui luoghi di lavoro sono il 5,9%, il che fa apparire questo settore meno pericoloso di quel che si è sempre saputo. In effetti, nelle grandi industrie gli infortuni mortali sono diminuiti, ma sono aumentati nelle piccole e piccolissime aziende, e nelle ditte appaltatrici che, per assicurarsi gli appalti risparmiano – ancor più di quanto non facciano le grandi industrie – sulle misure di sicurezza e, nello stesso tempo, aumentano l’intensità e i ritmi di lavoro.

Un altro dato impressionate riguarda l’età delle vittime: oltre il 20% dei morti sui luoghi di lavoro ha un’età superiore ai 61 anni, e soprattutto in agricoltura, in edilizia e tra gli artigiani. Altro dato impressionante riguarda i giovani tra i 18 e i 25 anni, che vengono mandati allo sbaraglio senza preparazione, senza protezioni (il caso di Luana D’Onofrio dello scorso anno, risucchiata da un orditoio nell’azienda tessile di Prato dal quale, per velocizzare il lavoro era stata rimossa la protezione) e con misure di sicurezza inesistenti (come nel caso del giovane diciottenne, Lorenzo Parelli, che il 21 gennaio scorso, nel suo ultimo giorno di stage nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro alla Burimec, azienda di carpenteria metallica in provincia di Udine, è rimasto schiacciato da una putrella d’acciaio).

Al lavoro come in guerra!: è questa la reale situazione in cui si trovano i lavoratori salariati fin dalla giovane età. Governi, sindaci, esponenti dei partiti e dei sindacati, parroci e vescovi, giornalisti e intellettuali di ogni risma, di fronte a eventi così tragici alzano grida di dolore dichiarando che cose di questo genere con devono più accadere..., ma continuano ad accadere, e continueranno ad accadere finché il capitalismo, col suo modo di produzione assassino, non verrà abbattuto.

L’unica forza sociale che può e deve sollevarsi e lottare con determinazione non solo contro le conseguenze della produzione capitalistica, ma contro lo stesso modo di produrre, risiede nel proletariato, nelle masse di lavoratori salariati che vengono sistematicamente schiacciate dalla classe borghese dominante che vive, e sopravvive, esclusivamente sul loro sfruttamento più bestiale. Alla guerra che la borghesia conduce contro il proletariato, sia in campo politico che economico e sociale, la classe proletaria deve rispondere con la propria guerra di classe: i luoghi di lavoro sono da decenni delle vere e proprie trincee in cui i lavoratori-soldati prima o poi rimangono uccisi. A che pro? Solo ed esclusivamente per il profitto capitalistico. I proletari devono tornare a lottare organizzandosi in difesa della propria vita con i mezzi, i metodi e gli obiettivi della lotta di classe!

 


 

(1) Osservatorio nazionale morti sul lavoro. https://caduti sullavoro.blogspot.com/

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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