Per non dimenticare

La Comune di Parigi, 18 marzo-28 maggio 1871 (4 - Fine)

Fase della costituzione del proletariato in classe dominante

(«il comunista»; N° 171 ; Dicembre 2021 - Gennaio 2022)

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La settimana di sangue

 

 

DOMENICA 21 MAGGIO

 

Col 21 maggio inizia per Parigi rivoluzionaria la grande settimana di passione.

Dopo la tormentosa guerra contro i prussiani, e il lungo assedio che l’aveva letteralmente affamata, era sopraggiunta la guerra civile a portarle altri sacrifici e lutti. La situazione era pressoché disperata e la stanchezza non permetteva più la vigilanza necessaria specie nei punti più battuti dall’artiglieria nemica, come il Point-du-Jour. In queste condizioni non deve meravigliare che a favorire la controrivoluzione si mettesse anche il tradimento. Fu grazie ad esso che la porta St. Cloud venne aperta il pomeriggio del 21 maggio alla soldatesca di Versailles: trionfo davvero inatteso per Thiers, che senza colpo ferire può violare i formidabili bastioni che circondano Parigi! E l’Hotel de Ville (sede della Comune) è informato molto in ritardo del tragico evento, e quando lo sa non decide di sedere in permanenza per provvedere centralmente alla bisogna: lascia che i consiglieri raggiungano ognuno il proprio circondario per apprestarne la difesa, staccata da ogni collegamento con l’azione degli altri, così come avrebbe voluto un piano di difesa comune.

La sera di quel giorno inizia dunque l’invasione di Parigi: una colonna, da sinistra, marciando lungo le mura, punta verso la Porte de la Muette; un’altra, da destra, si spinge lungo la Senna in direzione del Trocadero

 

LUNEDÌ 22 MAGGIO

 

La mattina del 22 le porte di Passy, Auteuil, S. Cloud, Sevres e Versailles sono già in mano nemica. I soldati di Dombrowsky (1) dalla Muette sono costretti a ritirarsi verso i Campi Elisi. L’ala sinistra avanza dall’esterno e dall’interno lungo i bastioni, prendendo in trappola i federati. Colti alle spalle e di sorpresa, essi si difendono eroicamente: disperata la resistenza di quella porta Maillot che già quando si combatteva per Neuilly era divenuta leggendaria. Le guardie nazionali si fanno uccidere dalla prima all’ultima sui pezzi. Superati i pochi punti in cui è possibile apprestare una difesa, l’avanzata nemica precede senza difficoltà e, verso le tredici, i Batignolles sono raggiunti. Intanto Montmartre che, all’interno di Parigi, potrebbe svolgere lo stesso ruolo strategico di Mont Valerien all’esterno, incredibilmente tace: i suoi cannoni non sono ancora pronti per l’azione! chi poteva sperare in una resistenza così flebile? Il nemico stesso stenta a crederlo e nel pomeriggio fa una battuta d’arresto. La stessa facilità con la quale ha avanzato lo insospettisce, gli fa temere insidie. Che succede invece da parte comunarda? Destati ormai dalla sorpresa i parigini si lanciano in un grande fervore d’opere: dappertutto sorgono barricate alla cui costruzione contribuiscono uomini e donne, vecchi e giovani, perfino bambini. Insomma si ricrea un clima di lotta rivoluzionaria, che i proclami di Delescluze (2) rendono ancora più ardente. All’Hotel de Ville si vivono momenti di tensione e di grande attività.

Ma alla concentrazione dei poteri e dei servizi militari che subito si realizza non può accompagnarsi la preparazione di un piano di difesa organizzato, capace di tradursi in un’azione efficace a carattere offensivo. Impossibile dunque un fuoco coordinato che incroci e sbarri la strada al nemico e vi getti lo scompiglio e il panico. E questo perché esplicitamente si rinunzia al ruolo di direzione cosciente da parte dei capi. Gli stessi proclami di Delescluze teorizzano la “autonomia” delle difese di quartiere come la sola giusta soluzione militare, e criticano le “ dotte manovre” dei militari di professione. Come si vede, non si avevano le idee chiare sul militarismo, perché si confondeva con esso ogni disciplina di organizzazione della lotta: disciplina inevitabile se non ci si vuole affidare alla spontaneità che è, questa sì (specie quando è esclusiva) fonte di sicura sconfitta.

Ritornando alle azioni degli invasori, con questo giorno essi hanno ripreso la criminale pratica delle esecuzioni, che non si limitano ai soli combattenti arresi o fatti prigionieri, ma si estendono alla popolazione di entrambi i sessi e di ogni età e continuano con ritmo crescente finche l’ultima barricata è in piedi. Da questo giorno cominciano pure gli incendi di edifici: a provocarli per la prima volta sono gli obici di quei versagliesi che poi ne attribuiranno la colpa alle “petroleuses” parigine (3).

La sera dello stesso giorno 22 i soldati di Thiers sono schierati lungo la linea che, partendo da P.te d’Asnieres, passa per la Gare Saint-Lazare, gli Invalidi e la Gare de Mont-Parnasse e raggiunge la P.te de Vanves, anch’essa caduta nelle loro mani.

Prima di parlare della terza grande giornata di lotta, val la pena di riportare alcuni rilievi critici di natura militare, che riteniamo degni di attenzione specie per quanto riguarda i criteri di costruzione delle barricate. Questi si basavano su un’esperienza passata e ben diversa, come quella del 1848. Se ammassare uomini dietro le barricate era allora giusto perché l’unico modo di conquistarle era l’attacco frontale, nella mutata situazione stradale e di movimento del 1871 sarebbe stato meglio affidare le barricate all’artiglieria, e servirsi degli uomini come franchi tiratori per prendere alle spalle i nemici con azioni di sorpresa e atti terroristici di ogni genere. E’ vero che il C.S.P. aveva ordinato di occupare tutte le case necessarie alla difesa, ma quest’ordine non poteva essere facilmente eseguito, perché occorreva rendere intercomunicanti gli edifici mediante aperture nei muri, e si verificherà purtroppo che le manovre aggiranti saranno la caratteristica dominante dell’esercito controrivoluzionario per circondare le barricate, isolarle e batterle separatamente. Per impedire tali aggiramenti si poteva, pensandoci in tempo, dar mano alla costruzione di barricate strategiche formanti cioè una cintura interna alle mura di Parigi e imperniata sui punti nevralgici della città. Un terzo assedio a questa nuova cintura sarebbe stato difficile se non impossibile, e le guardie nazionali, non molto adatte per la lotta in campo aperto contro un esercito regolare, avrebbero trovato un terreno più propizio.

 

MARTEDÌ 23 MAGGIO

 

Giornata di lotta senza quartiere e senza sosta. La Comune e il C.C. delle G.N. lanciano ancora proclami invitando i soldati di Thiers a fraternizzare. Ma tutto è vano, nell’ora in cui la stella della rivoluzione volge al tramonto e la marea controrivoluzionaria minaccia di sommergere tutto. I nemici borghesi della Comune che finora sono rimasti tappati in casa, cominciano ad alzare la testa e dalle finestre si concedono il lusso di sparare addosso ai rivoluzionari. Di qui il provvedimento della Comune di requisire ogni cosa utile alla lotta e di far tenere le finestre delle case sempre aperte. Di qui ancora l’altra reazione di dare alle fiamme il quartiere di Saint-Germain dove i borghesi avevano cominciato a sparare per la prima volta. Gli episodi di lotta armata di questa giornata sono innumerevoli. Ricordiamo quello in cui furono impegnate 120 donne, che soverchiate dopo quattro ore di sparatoria su una barricata della Place Blanche, passano in quella di Place Pigalle e, quando dopo altre tre ore questa sta per cadere, le poche superstiti vanno a morire sulla barricata del Boulevard Magenta. Siamo qui su uno dei lati dai quali si accerchia Montmartre che, attaccato alle sette del mattino, capitola a mezzogiorno. Infatti, da nord le truppe del gen. Montandon, avanzando dall’esterno della città nella zona neutra (in accordo con Bismarck), aggirano anche da nord Montmartre ed entrano dalle porte Saint-Ouen e Clignancourt sorprendendo i federati, i quali, credendosi traditi, costringono il loro comandante La Cecilia a ordinare la ritirata e a lasciar quindi cadere senza combattere la fortezza.

Subito dopo questo altro grosso colpo, i controrivoluzionari procedono a esecuzioni in massa la dove i loro generali Lecomte e Thomas erano stati giustiziati il 18 marzo.

Altri combattimenti si hanno presso la stazione di Montparnasse dove, con la solita manovra di aggiramento, si prende alle spalle più di una barricata. La sera, la linea del fronte che avanza su tre colonne passa per Montmartre, la nuova Opera, i Corpi Legislativi, Croix Rouge e la stazione dei Sceaux. Ma la sera la lotta non accenna ad arrestarsi: una grandiosa battaglia notturna tiene desta Parigi con gli ottanta pezzi di artiglieria che sparano su P.za della Concordia e sulle Tuileries, dove la resistenza comunarda ha qualcosa di formidabile, di fantastico. A mezzanotte, però, tutta la linea di difesa deve essere abbandonata dopo che Place de la Concorde e Place Vendôme cadono con le loro barricate nelle mani dei nemici. E, mentre le G.N. combattono un po’ ovunque, all’Hotel de Ville si veglia tutta la notte: membri della Comune, del C.S.P. e del C.C. continuano a organizzare altri punti di resistenza e firmano ordini su ordini. Pur senza speranza, essi mantengono una calma ammirevole e, mentre Ranvier (4) fa sentire la sua energia indomabile, Delescluze, spezzato nella salute, è sostenuto dalla volontà. Dombrowsky, uno dei più valorosi capi della Comune, portato qui gravemente ferito, giace ormai cadavere avvolto nella bandiera rossa. E’ giunta l’ora di pensare ad abbandonare I’Hotel de Ville e ad iniziare il suo trasferimento al municipio dell’XI circondario. Ma si può dire che la Comune abbia resistito fin troppo, mandando in aria le previsioni di Thiers che bastasse mettere il naso entro Parigi per vedersi arrendere i proletari. Questi invece hanno sempre dimostrato di preferire la morte alla resa, e quando proprio non possono evitare l’abbandono di qualche caposaldo lo danno alle fiamme. Le Tuileries, il Palais Royal, Legion d’Honneur e la Corte dei Conti bruciano illuminando con i loro bagliori la terribile notte.

 

MERCOLEDÌ 24 MAGGIO

 

E' vero che Thiers s’era sbagliato di grosso nel ritenere facile la resa di Parigi rossa, ma è anche vero che per questa eroica città non esistono più speranze di vincere. Dunque, il Sig. Thiers avrebbe potuto fare alla Comune la sua offerta di resa.

Invece, mentendo come al solito, disse alla provincia di averlo fatto, ma in realtà non si mosse mai. E’ vero che la Comune non avrebbe accettato la resa, ma ciò dimostra l’insaziabile sete di vendetta e di sangue della classe che aveva subito l’onta di essere defenestrata dal potere il 18 marzo dagli umili proletari di Parigi. Thiers non voleva solo vincere quei proletari; voleva annientarli al punto di scoraggiare per sempre ogni tentativo di rivolta. E, siccome Cavaignac (5) nel ’48 si era già comportato così, egli doveva essere molto più distruttivo e spietato. Questi i termini duri della lotta che si combatteva accanitamente per le strade di Parigi. La strategia distruttiva è in questa giornata capita in pieno dai proletari, che reclamano e ottengono di vendicare prima che sia troppo tardi la sorte che li attende, dando finalmente esecuzione al decreto sugli ostaggi rimasto fin allora lettera morta. Costretti poi ad evacuare altre zone ed a spostarsi verso i bastioni dell’est, ‘’essi danno alle fiamme l’Hotel de Ville, che già alle dieci del mattino non è più che un braciere ardente. La nuova sede della Comune e del Ministero della Guerra è trasferita alla Mairie de l’XI arrondissement, divenuto punto centrale della resistenza specie dopo la presa del Lussenburgo e del Pantheon e dopo la fantastica resistenza di Rue Vavin e quella ancora più tenace ed eroica sostenuta sulla collina di Cailles.

La sera, l’esercito versagliese, avanzante su cinque linee di fronte, sbocca da ogni parte sulla piazza del Chateau d’Eau. I federati, che nella giornata hanno subito i soliti massacri, non possiedono più che i circondari XI, XII, XIX, XX e una parte del IV, III e X.

 

GIOVEDÌ 25 MAGGIO

 

Al solito, anche per questa nuova giornata di lotte sanguinose, non citeremo che qualche episodio. Ridotti ormai di numero, i federati non possono più difendere la linea del fronte e si attestano su Chateau d’Eau, contro cui l’artiglieria nemica si accanisce. Altri punti di resistenza sono la valorosa Bastiglia e la citata Butte-aux-Cailles, difesa dall’energico Wroblewsky (6) che comanda anche il leggendario battaglione 101. Quando, scoperto sulla destra, questo bravo generale polacco al servizio della Comune perde anche la protezione sulla sinistra offerta dai forti di Montrouge e Bicetre (caduti pure loro a causa della caduta di forte Ivry), la Butte-aux-Cailles, soverchiata dalla strapotenza dell’artiglieria, è costretta a cedere, e Wroblewsky a ritirarsi verso 1’XI e XII circondario. Ormai l’attacco versagliese si concentra tutto su Chateau d’Eau, dove il valoroso Brunel (7) sarà ferito gravemente insieme a Lisbonne (8) e Vermorel e dove Delescluze va ad offrire il suo ultimo sangue in difesa di quella Comune che egli, come tanti e tanti altri, aveva servito con abnegazione ed entusiasmo come l’aurora di un’era umana degna d’essere vissuta. Alla fine di quest’altro giorno di passione rivoluzionaria, alla Comune non restano che il XIX e XX arrondissement e la metà dell’XI e XII. Chateau d’Eau e la Bastiglia non sono ancora caduti ma il municipio dello XI deve essere pure esso abbandonato.

 

VENERDÌ 26, SABATO 27 E DOMENICA 28 MAGGIO

 

II dramma volge ormai alla fine: le ultime barricate cadono. Ma, finche c’è ancora un operaio armato con qualche cartuccia da sparare, la lotta non cessa.

La Gare de Lyon, la prigione Mazas, la Bastiglia e il Faubourg St. Antoine cadono uno dopo l’altro, e insieme alle guardie nazionali trovano la morte altri loro capi e dirigenti della Comune, Milliere (9) fra questi. E’ giorno di pioggia. La Villette, nel XX, è ancora contesa: la difende Ranvier insieme a Belleville, centro dell’ultima resistenza e, come Menilmontant, battuta dall’artiglieria che i nemici hanno messo in azione su Montmartre. Si stampa l’ultimo manifesto della Comune per incitare la popolazione del XX alla lotta e alla difesa di Belleville sempre più minacciata.

Altro rivoltante delitto di Thiers: costui s’accorda con i prussiani per impedire la fuga di qualche scampato dell’ultima ora, perché vuole controllare tutta la selvaggina umana che poi si vanterà di aver sterminato con l’aiuto dell’altro boia, Galliffet. Siamo ormai alla vigilia della fine: la Villette è circondata da ogni lato e gli obici battono le colline di Chaumont. Piove ancora forte, e la Villette è in fiamme. Belleville è bombardata. La sera non resta che una parte dell’XI e del XX. Alle undici della domenica, la resistenza si è ridotta a una piccola zona del XXI. Fra gli ultimi combattenti risoluti e coraggiosi ricordiamo Varlin (10), uno dei pochi dirigenti marxisti della Comune.

 


 

(1) Su Jaroslaw Dombrowski, vedi nota 14 della puntata precedente, "il comunista" n. 170.

(2) Su Louis Charles Delescluze, vedi nota 19 della puntatat precedente, "il comunista" n. 170.

(3) Riprendiamo dalla Storia della Comune, cit., di P. O. Lissagaray: «Quel giorno [mercoled' 24 maggio] i massacri assunsero un ritmo furioso (...) Fino a quel momento erano stati uccisi solo federati o persone denunciate; adesso se un soldato ti fissa significa che devi morire; quando una casa viene frugata, può accaddere tutto. 'Non sono più soldati che compiono un dovere - scriveva spaventato un giornale conservatore, la France - sono esseri tornati allo stato belluino'. E' impossibile andare a far provviste senza rischiare di essere massacrati. Sfondano con il calcio del fucile il cranio dei feriti, frugano i cadaveri, ciò che i giornali stranieri chiamano 'l'ultima perquisizione'; e quel giorno stesso Thiers può dire all'Assemblea: 'Il comportamento dei nostri valorosi soldati ha destato grande stima e ammirazione all'estero'.

«Fu inventata allora la leggenda delle incendiarie [appunto, le petroleuses] che, diffusa dalla stampa, costò la vita a centinaia di disgraziate. Corre voce che delle energumene gettino petrolio infiammato nelle cantine. Ogni donna mal vestita che porti un recipiente per il latte, una boccetta, una bottiglia vuota può essere un'incendiaria. Trascinata in brandelli contro il muro più vicino viene finita a revolverate» (p. 405).

(4) Gabriel Ranvier (1828-1879), decoratore di ceramiche e giornalista; blanquista, faceva parte del Comitato Centrale della Guardia nazionale. Fu lui, il 28 aprile 1871, a proclamare ufficialmente, all'Hotel de Ville, la costituzione della Comune. Combattè fino all'ultimo giorno, ma riuscì a fuggire a Londra; partecipò all'Aja al congresso della I Internazionale votando per l'espulsione di Bakunin. Nel 1879 fu amnistiato, tornò a Parigi (Belleville) e morì poco tempo dopo.

(5) Louis Eugène Cavaignac (1802-1857), partecipò alla conquista francese dell'Algeria, divenendone poi, del febbraio 1848, governatore. Sarà dopo qualche mese ministro della guerra e come tale dirigerà la sanguinosissima repressione della rivoluzione operaia di giugno 1848. Engels, nel suo La "Kölnische Zeitung" sulla rivoluzione di giugno, pubblicato nella "Neue Rheinische Zeitung", 1 luglio 1848 (Vedi Marx-Engels, Il Quarantotto, La Nuova Italia. Firenze 1970, p. 53), sulle origini e sulle conseguenze di questo terribile bagno di sangue (che il "London Telegraph" descrive così: "Esso si presenta fin dall'inizio come una battaglia vera e propria fra due classi..."), scrive: «"Hanno ucciso come cannibali"! I cannibali non sono stati tanto cortesi da lasciar che le guardie nazionali, movendo dall'assalto delle barricate dietro le truppe di linea, fracassassero i crani dei loro feriti, fucilassero i loro sconfitti, pugnalassero le loro donne. I canniobali - gli annientati in una guerra di annientamento, come li definisce un giornale della borghesia francese - hanno appiccato incendi? Eh via, l'unica torcia incendiaria da essi lanciata contro le legittime bombe incendiarie di Cavaignac nell'8° arrondissement, no n era (lo attesta il "Moniteur") che una torcia poetica, una torcia immaginaria!».

(6) Su Walery Wroblewski, vedi nota 17 della puntata precedente.

(7) Su Paul Antoine Brunel, vedi nota 20 della puntata precedente.

(8) Maxime Lisbonne (1839-1905). Durante l'assedio di Parigi del 1870 è stato capitano della Guardia nazionale e il 15 marzo 1871 fu eletto al Comitato centrale della Guadia. Valoroso combattente a difesa della Comune, durante la Settimana di sangue fu ferito il 26 maggio e arrestato dai versagliesi. «Il 4 dicembre - si legge nella Storia della Comune di Lissagaray - nell'aula del III Consiglio, apparve una specie di pallido fantasma dall'aria simpatica; era Lisbonne che da sei mesi trascinava le ferite allo Château-d'Eau. Davanti al consiglio di guerra egli rimase lo stesso dei tempi della Comune e del combattimento di Buzenval e si vantò di aver partecipato ai combattimenti e respinse solo l'accusa di saccheggio. I versagliesi lo condannarono a morte». La pena gli fu poi commutata nei lavori forzati a vita in Nuova Caledonia; fu amnistiato nel 1880 e, rientrato a Parigi si dedicò al teatro (vecchia passione) e al giornalismo ricordando in tutte le forme gli episodi della Comune, i compagni e la vita durante i lavori forzati i  Nuova Caledonia.

(9) Jean-Baptiste Millière (1817-1871), giornalista socialista, nella rivoluzione del 1848 era a Clermont-Ferrand dove fondò il giornale Le Prolétaire; nel 1869 fu redattore e direttore del quotidiano di Henri Rochefort La Marseillaise. Durante l'assedio di Parigi, nel 1870, nella guerra franco-prussiana, comandò il 108° battaglione della Guardia nazionale e partecipò all'insurrezione del 31 ottobre contro il governo. Nel febbraio 1871 fu eletto deputato all'Assemblea Nazionale; appoggiò la Comune nel marzo 1871, pur non partecipando agli scontri, ma fungendo da collegamento fra i framassoni e la Comune nel tentativo continuo di conciliare nel nome della patria la lotta dei comunardi parigini e i soldati di Thiers. Ma alla soldataglia e ai generali di Thiers anche un giornalista polemico e investigatore come Millière (aveva pubblicato nel giornale Vengeur le prove dei falsi commessi dal ministro Jules Favre per ottenere una eredità), era oggetto di un'odio profondo, tanto che, nella Settimana di sangue, il 26 maggio 1871, Millière, riconosciuto e portato al cospetto del capitano di stato maggiore Garcin, è stato immediatamente giustiziato. Lo stesso Garcin descriverà nelle sue memorie il delitto che P.O. Lissagaray riprenderà (pp. 427-428) scrivendo: «La storia ha il dovere di lasciargli la parola per mostrare quale fango umano la sete di vendetta della gente dell'ordine abbia fatto venire a galla».

(10) Eugène Varlin (1839-1871), figlio di contadini, a Parigi diventò un rilegatore, organizzò una società di mutuo soccorso dei rilegatorie i loro scioperi del 1864-1865. Aderì all Ia Internazionale nel 1865, partecipò ai suoi congressi di Londra e di Ginevra, difendendo in particolare (contro i proudhoniani) il diritto al lavoro delle donne. Nel 1869 partecipò anche la IV congresso del 1869dell'Internazionale, pronunciandosi a favore della collettivizzazione della terra; a novembre fu tra i fondatori della Federazione parigina dellle società operaie, edella Cassa Federativa di previdenza che doveva servire a sostenere gli operai in sciopero. Cosituì le sezioni dell'Internazionale a Lione, a Le Creusot e a Lille. Sostenne la Comune fin dal 18 marzo 1871 e fece parte del suo Comitato centrale, nella "minoranza" che si oppose al Comitato di salute pubblica («denominazione altisonante che entusiasmò la maggior parte del membri del Consiglio della Comune», come scrive P.O. Lissagaray, p. 287); ciò non tolse che questa minoranza, pur comprendendo «gli uomini più intelligenti e illuminati della Comune, non riuscì mai a rendersi conto della situazione. L'illusione generale era che la Comune sarebbe durata, a un punto tale che si decise di prorogare di tre anni il rimborso dei debiti anteriori alla Comune; la minoranza, ancora più ottimista, non volle mai comprendere che la Comune era una barricata» (Lissagaray, cit. p. 288). Dal punto di vista politico Varlin, operaio e grande combattente di classe, si avvicinò alle idee di Proudhom, poi, nell'Internazionale a Bakunin, e per questo è sempre stato definito come un comunista libertario perché era un convinto assertore del potere operaio senza bisogno di una dittatura, ma - come si direbbe oggi - di una democrazia operaia. La sua dedizione alla causa operaia e alla causa della sua emancipazione è fuori discussione, e la violenza e la brutalità selvaggia con cui gli sgherri di Thiers l'anno assassinato a Montmartre (vedi "La morte di Varlin", nella Storia della Comune, di P.O. Lissagaray, pp. 447-8), deturpandone il cadavere. «Montmartre, il monte dei martiri, non ne ha mai avuto uno più glorioso di questo. Che anch'egli riposi sepolto nel gran cuore della classe operaia», scrisse Lissagaray ricordando Marx nelle righe finali de La guerra civile in Francia.     

 

 

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