L'emergenza "Covid-19" sta finendo? Quel che non sta finendo è il sempre più stretto controllo sociale

(«il comunista»; N° 172 ; Marzo 2022)

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Due anni fa, nelfebbraio 2020, scattava in Europa l’allarme per una nuova pandemia virale: stava diffondendosi in Europa e nel mondo un nuovo coronavirus che provoca una sindrome simile, ma più contagiosa e letale della precedente Sars-CoV1 del 2003 che si era fermata in Estremo Oriente. Fu quindi chiamata Sars-CoV-2, visto che faceva parte della stessa famiglia, ma in generale è nota come Covid-19. Anche questo coronavirus proviene dall’Estremo Oriente, precisamente dalla Cina.

Tutte le classi dominanti borghesi, allarmate con estremo ritardo dall’OMS su questa nuova pandemia, si sono fatte trovare del tutto impreparate. Un nuovo “nemico”, subdolo e invisibile, si stava insinuando in tutti i paesi, soprattutto nei paesi capitalistici avanzati. La grande e mitica scienza borghese ammetteva di non sapere che fare, se non “attendere” lo sviluppo di questa nuova malattia.

In verità, epidemie di coronavirus si erano già verificate (come la Mers e la Sars-CoV1 del 2003), perciò questa tipologia di virus era già conosciuta e le più grandi case farmaceutiche del mondo avevano già sviluppato ricerche, come documentato da D. Quammen nel suo libro Spillover (1). E’ noto, infatti, che la Fondazione Bill & Melinda Gates, che si occupa in particolare di ricerche su virus e vaccini, era da tempo impegnata a simulare, dopo la Sars-CoV1 del 2003, una pandemia molto più grave per la quale ipotizzava addirittura un’ecatombe: 65 milioni di morti nel mondo in 18 mesi! (2). Il nuovo coronavirus era perciò atteso, dunque non si è mai trattato di un’apparizione improvisa e inaspettata. Perciò abbiamo sostenuto, fin dal primo momento, che le classi dominanti borghesi dei paesi imperialisti più forti al mondo, oltre ad essere sostanzialmente incapaci di attrezzare i propri paesi in una prevenzione sanitaria strutturata e generalizzata, hanno intuito che questa epidemia poteva essere sfruttata sia in termini politico-sociali, sia in termini economici nelle due direzioni principali in cui si attua la difesa dei loro reciproci interessi di classe e di potere: la concorrenza interimperialistica in periodo di crisi e il controllo sociale delle masse proletarie dei rispettivi paesi, quindi l’hanno lasciata correre.

Che il capitalismo, nel suo sviluppo contraddittorio, vada incontro ciclicamente a sempre più gravi e sempre più catastrofiche crisi economiche, finanziarie, politico-sociali, belliche, è quanto il marxismo ha previsto fin dal 1848 ed è esattamente quel che succede da allora in poi. La classe dominante borghese, anche nei paesi più industrializzati e tecnologicamente avanzati, non può eliminare i fattori oggettivi economici delle crisi capitalistiche, a fronte delle quali adotta mezzi politici, economici e sociali utili temporaneamente a superarle – ma mai a costo zero, e i costi sociali più gravi li paga sistematicamente il proletariato – mezzi che, però, generano inesorabilmente fattori di crisi successive, come ormai anche ogni borghese è costretto ad ammettere. Quei fattori di crisi sono destinati a ripresentarsi continuamente, dopo aver superato i periodi di ripresa economica e di espansione, precipitando nuovamente la società in periodi di crisi ancora più gravi. Nel corso dello sviluppo del capitalismo le crisi si sono sempre più caratterizzate per essere crisi di sovraproduzione: la massa enorme di merci prodotte e immesse nei mercati ad un certo punto non trova più sbocchi e, rimanendo invenduta intasa i mercati non permettendo ai cicli produttivi successivi di trovare spazio, costituendo così un boomerang rovinoso. Non esiste merce prodotta nel capitalismo che prima o poi non diventi sovrabbondante rispetto ai mercati di sbocco; e quando la gran parte delle merci va in sovraproduzione, è garantita la crisi. 

Come la pace, nella società capitalistica, è il periodo di tempo che va da una guerra all’altra, così il periodo di “ripresa economica”, di “espansione” è il periodo che collega una crisi all’altra. Per la borghesia, quindi, visto che questa alternanza va avanti da più di centosettant’anni – nei quali evidentemente qualche “lezione” per il suo potere l’ha tratta – la crisi del suo sistema economico è anche un’opportunità oggettiva (naturalmente per le aziende più forti e per gli Stati più potenti) perché vengano eliminate dal mercato le aziende più deboli e una parte della concorrenza, distrutte masse sempre più grandi di mezzi di produzione e di prodotti che intasano i mercati, liberandoli in questo modo per accogliere nuovi cicli produttivi di merci; ed è anche un pretesto, vista l’interruzione della produzione e degli scambi, con conseguente stop delle fabbriche e relativi licenziamenti, per dare dei giri di vite alle condizioni sociali del proletariato di cui teme la reazione. Ogni crisi economica comporta, infatti, un riflesso diretto sui rapporti sociali: si sommano chiusure di fabbriche, licenziamenti, quindi aumento della disoccupazione e dell’insicurezza di vita, provocando tensioni sociali che vedono coinvolti anche strati sempre più ampi di piccola borghesia urbana e rurale rovinati da una crisi che piomba pesantemente anche sulle loro teste.

La borghesia, per continuare a dominare sulla società nostante le crisi, non può non affinare tutti gli strumenti che le consentano di aumentare il controllo sociale sulle grandi masse, e quale pretesto migliore avrebbe potuto trovare, in un tempo in cui i grandi Stati imperialisti non si fanno direttamente la guerra, se non la “guerra” ad un “nemico” invisibile come un virus letale?

Il Covid-19 ha avuto così un ruolo simile, se non ancor più raffinato, del pericolo rappresentato dal terrorismo jihadista, un terrorismo che viaggiava in carne ed ossa, coi suoi simboli precisi, con i suoi kalashnikov e i suoi attentati, visibilissimo. L’insistente e generale campagna di paura – vero terrorismo di Stato – che tutti i governi borghesi hanno condotto di fronte alla rapida diffusione di una pandemia che colpiva ciecamente centinaia di migliaia di persone in molti paesi contemporaneamente, è stata un’eccezionale arma propagandistica che ogni borghesia ha sostenuto esibendo ospedali strapieni di malati e conteggiando una quantità di decessi sempre più alta, giustificando così l’adozione rapida di tutta una serie di misure di controllo sociale che in tempi “normali” avrebbero richiesto lungaggini parlamentari infinite. Non per nulla, fin dai primi allarmi sul pericolo di pandemia di Covid-19, non c’è stata una borghesia che non abbia parlato di “guerra al virus”. Sono scattate le restrizioni, i confinamenti, i coprifuoco, e gli obblighi vaccinali mascherati dall’obbligo dei green pass anche nei luoghi di lavoro con tanto di ricatto per i non vaccinati (o non “tamponati”) di sospensione del salario; e la conseguente militarizzazione delle città che ha coinvolto non solo polizie ed esercito, ma anche i cosiddetti “funzionari pubblici”, dagli ospedali agli uffici pubblici, alle scuole e, a seguire, ai centri commerciali, ai bar, ai ristoranti, ai trasporti pubblici, a qualsiasi luogo in cui le persone si assembrano per hobby o divertimento. La tecnologia adottata per fornire ad ogni persona un QR o un codice a barre ha facilitato non solo l’identificazione personale di ognuno da parte delle amministrazioni pubbliche (compresi gli ufficili fiscali e di polizia), ma ha dato modo allo Stato di obbligare ogni ufficio pubblico, ogni azienda, ogni piccolo o grande imprenditore, ad organizzare con il proprio personale il controllo di tutti coloro che volevano accedervi, per lavorare, per servizio, per acquisti o per hobby. Si è così creata una moltitudine di controllori sociali, non pagati, chiamati a far rispettare gli obblighi emanati dal governo e, perdipiù, sottoposti a sanzione se sorpresi a non aver controllato il green pass degli utenti.

Non solo i fatti concreti, ma anche la propaganda borghese, dimostrano che la priorità per la classe dominante non è la salute pubblica, ma sono l’interesse economico-finanziario e il controllo sociale. D’altra parte ogni borghesia non l’ha mai nascosto: il traguardo è sempre stato quello del superamento della crisi, della ripresa economica, per cui venivano emanate tutte le ordinanze e i decreti legge che servivano alla bisogna. La società borghese, come non previene i disastri cosiddetti “naturali” (incendi, alluvioni, frane ecc.) che anzi il novantanove per cento invece provoca, e come non previene le disastrose conseguenze dei veri fenomeni naturali come ad esempio i terremoti, così non previene nemmeno le epidemie anche quando ne conosce gli elementi patogeni. L’abbiamo dimostrato mille volte: il capitalismo è l’economia della sciagura; con i disastri è il profitto capitalistico che ci guadagna e, di conseguenza, i detentori dei mezzi di produzione, cioè i capitalisti che, d’altra parte, non smettono mai di farsi la guerra per accaparrarsi fette di mercato, appalti, territori economici, l’uno contro l’altro armati: chi di capitali, chi di mezzi di produzione e di scambio, chi di influenza politica e di organizzazioni sociali, chi di bande paramilitari, chi di potere politico e statale, e sempre pronti ad approfittare dei “disastri naturali” per sconfiggere i propri concorrenti...

Ecco, quindi, che di fronte ad una pandemia potenziale come quella della Sars-CoV2, l’atteggiamento della borghesia trasforma questa potenzialità in forza cinetica. Per fare questo, in realtà, non attende l’esplosione dell’epidemia, anche perché non è in grado di sapere di quale epidemia si tratterà – a meno che non ci sia una fuga di virus o batteri dai laboratori in cui vengono fatte ricerche e sperimentazioni varie – ma sa che la sua sistematica disorganizzazione nel campo della prevenzione farà da base d’appoggio per la diffusione dell’epidemia e che di fronte ad essa potrà intervenire sia sul piano economico per ottenere facili profitti che altrimenti non otterrebbe, sia sul piano sociale per piegare la popolazione, e il proletariato in particolare, alle esigenze più generali del controllo sociale borghese. Tutto ciò non toglie che questo o quel governo borghese possa venire effettivamente sorpreso da eventi inaspettati. La nostra posizione non è complottista, ma si basa su una dinamica sociale che va al di là della coscienza e del controllo reale della classe borghese dominante sulla sua stessa società. Le determinazioni materiali generate dalla società borghese moderna sono tali che la borghesia, come sosteneva il Manifesto del partito comunista di Marx-Engels, dopo aver «creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti», finiosce per somigliare «al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate»; potenze degli inferi che non sono altro che uno sviluppo straordinario, ma caotico delle forze produttive, costrette nei limiti di forme di produzione che, ad un certo punto, si contrappongono a quello sviluppo facendo piombare in crisi l’intera società. Anche la crisi sanitaria attuale, come del resto le crisi sanitarie precedenti, è il risultato di fattori economici e di crisi economiche. La prevenzione non è fatta soltanto di conoscenza dei fenomeni che si devono affrontare e del loro svolgimento; è fatta di misure concrete con le quali la vita sociale degli esseri umani viene effettivamente protetta, per la maggior parte, dalle conseguenze dannose di fenomeni naturali che l’uomo non riesce ancora a dominare. E’ chiaro che, d’altra parte, se le strutture sanitarie pubbliche esistenti in un paese sono state cosiderevolmente ridotte per dare spazio alle strutture sanitarie private, e se tutta la filiera della sanità pubblica (dalle attrezzature ospedialiere al personale medico e infermieristico, alla disponibilità certa di tutto ciò che serve per le terapie intensive e subintensive, alla medicina del territorio ecc.) ha subìto nei decenni tagli sempre più vistosi, di fronte ad una epidemia come quella del Covid-19 che provoca migliaia di contagiati gravi in pochissimo tempo, non solo quelle strutture pubbliche vanno in crisi, ma diventano esse stesse luoghi di fortissimo contagio e di morte. 

Ma una volta che l’epidemia di un nuovo coronavirus è scoppiata e la sanità pubblica ha mostrato la sua inefficienza e inefficacia, che cosa fa la borghesia dominante?

Grida al “nemico invisibile”, alla necessità che tutta la cittadinanza si adegui alle misure che il governo prende e prenderà perché lo Stato è l’unico ente che ha la possibilità e la forza di centralizzare tutte le decisioni sui diversi piani, sanitario, economico, amministrativo, politico e militare. La chiamata all’unità nazionale è ormai un classico; la borghesia suona il solito ritornello: il pericolo riguarda tutti, tanto più un’epidemia... Naturalmente, in casi di questo genere, la scienza viene chiamata a dare il suo prezioso contributo, in termini di ricerca, di terapie, di protocolli da seguire, di farmaci e naturalmente di vaccini. Ma, come è stato dimostrato fin dall’inizio della pandemia, la scienza borghese e, con essa, lo Stato, al servizio del quale è stata chiamata, hanno puntato direttamente sui vaccini. All’arma propagandistica della paura di morire a causa di un potente virus sconosciuto, è stata opposta un’altra arma propagandistica, quella del vaccino, indicato come la sola “prevenzione” possibile. Senza addentrarci qui in una disquisizione di carattere medico e scientifico, va evidenziato che alla borghesia importa conoscere quel tanto che le permetta di giustificare le misure economiche e sociali che prende e prenderà affinché la macchina produttiva nazionale e i profitti ad essa collegati riescano a riprendere la loro corsa. Come si comporta con i lavoratori che si ammalano, intossicati per anni in ambienti di lavoro nocivi, affaticati da orari e ritmi di lavoro pesantissimi, per farli tornare al più presto al lavoro curandone perlopiù i sintomi con farmaci che hanno in genere effetti temporanei, e per poter continuare a sfruttarli per estorcere loro quel plusvalore che è l’unica cosa che mantiene in vita il dominio borghese e il modo di produzione capitalistico; così la borghesia si comporta con la scienza, in questo caso medica, alla quale chiede delle soluzioni rapide e sufficientemente efficaci almeno nel breve tempo, per poter uscire al più presto dalla crisi economica che la pandemia ha aggravato.

Nel corso del tempo, di fronte a epidemie virali o batteriche, le ricerche hanno sempre avuto bisogno  di sperimentare dei farmaci su un numero consistente di esseri umani per poterne stabilire l'efficacia; tanto più se si tratta di un vaccino. Gli stessi virologhi, diventati negli ultimi due anni delle star televisive, sostenevano che per trovare un vaccino efficace ci vogliono un paio di decenni almeno. Ma la pressione degli interessi borghesi è stata talmente forte in questi ultimi anni che ogni ricerca in questo campo doveva portare dei risultati nel più breve tempo possibile. E, sempre nell’interesse borghese, gli stessi virologi che prima avanzavano dubbi su vaccini prodotti troppo in fretta, sposavano poi la tesi che la scienza moderna, grazie agli avanzati metodi di sperimentazione e grazie all’enorme investimento di capitali pubblici e privati, era in grado di accorciare i tempi di ricerca e di produzione dei miracolosi vaccini... Si passava così, con noncuranza, dai necessari dieci o vent’anni per trovare un vaccino efficace ad un anno o poco più... 

La concorrenza tra potenze imperialistiche si è fatta talmente acuta che nessun paese intendeva restare in recessione troppo a lungo: avrebbe perso non solo profitti immediati, ma opportunità di mercato prossime e future. Non per nulla gli Stati Uniti di Trump accusavano la Cina di aver ritardato appositamente le informazioni di cui era già in possesso su questa nuova epidemia di Sars-CoV2 per poter sviluppare il più possibile i propri commerci prima che l’epidemia si trasformasse in pandemia e obbligasse gli altri paesi a fermare la propria produzione e i propri commerci col resto del mondo... Non per nulla gli Stati Uniti di Biden hanno continuato a mettere in campo l’ipotesi di una fuga di questo coronavirus dai laboratori di Wuhan, accusando la Cina di aver falsato l’origine dell’epidemia, per discolparsi dalle cause dirette e rintracciabilissime del suo evolversi e diffondersi, dirigendo l’attenzione della scienza mondiale sulla zoonosi, sul salto di specie da animali selvatici all’uomo per mezzo del consumo umano di carne di animali selvatici... Tutto serviva, non importa quale accusa fosse quella giusta, per costruire una campagna di paura a livello mondiale, simile alle campagne di pericolo di guerra mondiale come quelle imbastite in occasione della guerra russo-ucraina in corso da più di 8 anni e in questi mesi scoppiata platealmente in un’aggressione da parte di Mosca per accaparrarsi un altro pezzo di Ucraina dopo la Crimea e sottrarla all’influenza anche militare euro-americana.

Per la verità, la martellante campagna di paura lanciata nel marzo del 2020 ha ottenuto una risposta positiva dalla gran parte della popolazione e del proletariato (salvo alcuni scioperi che alla fine sono rimasti isolati e non hanno funzionato come miccia per una lotta più generalizzata); così la borghesia ha potuto sostituire, ad un certo punto, la campagna di paura durata due anni con una campagna che mettesse in primo piano la speranza di uscire dal tunnel grazie al miracoloso vaccino. Miracoloso, perché invece di dieci, vent’anni, sono bastati 10-12-16 mesi per averne a disposizione già centinaia di milioni di dosi. Le maggiori case farmaceutiche mondiali, che in verità lavoravano evidentemente su questo vaccino già dal 2003 dopo la comparsa della prima Sars-CoV, si sono presentate sulla scena con la soluzione di tutti i mali. Pfizer-BionTech, AstraZeneca, Johnson & Johnson, Moderna ecc., così come i vaccini cinesi della Sinovac e della Sinopharm e lo Sputnik russo, sono diventati i protagonisti indiscussi della “battaglia finale” contro il Covid-19.

La chiamata all’unione nazionale di ogni borghesia si è ancor più rafforzata nella misura in cui l’Unione Europea si è dichiarata unico centro in grado di acquistare e distribuire centinaia di milioni di dosi di vaccino anti-Covid-19 a favore dei paesi membri, trasformando quasi l' Unione Europea, in una multinazionale con propri magazzini utilizzati per la fornitura, però a caro prezzo, dei miracolosi vaccini...

 

LA CIVILTÀ BORGHESE E LA SUA INESORABILE PUTREFAZIONE

 

Che hanno fatto i governi quando è comparsa la nuova epidemia?

Ogni governo si è messo alla ricerca del “paziente zero” del proprio paese, senza successo. In Cina i primi ammalati e i primi morti a causa della Sars-CoV-2 sono stati nascosti al mondo; si saprà alla fine di dicembre del 2019 che si trattava, appunto, di un nuovo coronavirus, chiamato Covid-19. Molti mesi dopo si saprà inoltre che in Cina questo virus circolava almeno da settembre 2019. Era stato individuato a Wuhan, grande città industriale della provincia di Hubei, situata alla confluenza del fiume Han nel fiume Azzurro; una metropoli industriale di 11 milioni di abitanti che fornisce merci a tutto il mondo, in collegamento permanente con l’Europa, le Americhe e naturalmente il resto dell’Asia. Come già in passato, la Sars-CoV2, grazie ai frequentissimi viaggi commerciali che dalla Cina raggiungono tutto il mondo, e soprattutto le metropoli occidentali, si è facilmente diffusa nel pianeta, portandosi appresso la sua carica virale e la sua naturale carica mutante utile a superare i vari ostacoli che si frappongono al suo replicarsi. Si tratta di un virus che si diffonde per via aerea, perciò meno individuabile e meno contenibile di tanti altri, e ama i grandi assembramenti di ospiti, come le colonie di pipistrelli nelle caverne o le masse umane delle metropoli.

I virus sono dei parassiti, vivono e prosperano replicandosi soprattutto negli animali, perlopiù selvatici e, attraverso il salto di specie, possono raggiungere anche gli uomini. L’ambiente naturale è il loro mondo da miliardi di anni; hanno imparato a sopravvivere passando da un animale all’altro, modificandosi continuamente proprio per sopravvivere e replicarsi. E finché l’animale è selvatico e continua a vivere nel suo ambiente selvatico, adattandosi a ciò che l’ambiente specifico in cui nasce e prospera gli offre, riesce anche a produrre gli anticorpi necessari alla sua immunizzazione; è la selezione naturale che provvede ad eliminare gli esemplari più deboli e quelli che non trovano l’ambiente adatto alla propria sopravvivenza. Succede nel regno vegetale e nel regno animale, come nel mondo dei parassiti.

Ma lo sviluppo millenario delle società umane ha infranto il dominio assoluto dell’ambiente selvatico, modificandolo e riducendolo per far posto all’ambiente sociale umano. Le società divise in classi che hanno punteggiato la storia dello sviluppo sociale umano, pur tentando di trovare, di volta in volta, un equilibrio tra il proprio sviluppo e l’ambiente naturale, e pur dovendo subire le forze della natura come forze dominanti, sviluppavano necessariamente le proprie forze produttive che non potevano non sconvolgere, a gradi diversi, l’ambiente naturale in cui agivano. La forza dirompente dell’industria moderna con cui la società capitalistica si è imposta a livello planetario, mentre da un lato, in pochi secoli, sviluppava come mai prima le proprie forze produttive conquistando terre, mari e cieli, portando le capacità tecniche e le conoscenze dell’uomo a livelli in precedenza sconosciuti, dall’altro lato, e proprio in forza delle leggi del profitto capitalistico quale motore dello sviluppo sociale borghese, indirizzava queste stesse forze produttive  in un volano che regolarmente sfuggiva al controllo delle classi dominanti borghesi. La stessa ambizione umana di controllare le forze della natura per trarne beneficio per la propria sopravvivenza e il proprio benessere – utilizzandole nell’attività industriale e agricola, come il vento, il moto ondoso, la fertilità dei terreni, o nel sottosuolo per estrarne minerali, metalli, gas o idrocarburi – si è scontrata in realtà con l’organizzazione economica e sociale fondamentalmente predatoria che il capitalismo ha portato a livelli massimi, tanto da rendere sempre più tossico, e tendenzialmente invivibile, sia l’ambiente umano che l’ambiente naturale.

La scienza, cioè la conoscenza delle leggi della natura di cui anche l’uomo fa parte, è stata sempre, inevitabilmente, piegata agli interessi delle classi dominanti, in ogni società divisa in classi, perciò anche nella società borghese. E’ indiscutibile che, nell’epoca della borghesia rivoluzionaria, la scienza ha avuto uno sviluppo straordinario; ma è altrettanto indiscutibile che le ricerche e i risultati della scienza, nel corso di sviluppo del capitalismo che ha trasformato la classe borghese da rivoluzionaria a conservatrice e, infine, a classe reazionaria, sono ricerche e risultati il cui interesse – e la cui proprietà fisica e intellettuale – non è per nulla generale e al di sopra della divisione sociale in classi contrapposte, ma è esclusivamente capitalistico, piegato quindi al profitto capitalistico. Come è ampiamente dimostrato dal corso di sviluppo del capitalismo, l’incessante industrializzazione della produzione e dello scambio è indirizzata alla valorizzazione del capitale che viene investito nei diversi settori economici. Ne risulta, quindi, non solo un limite che il capitalismo genera a se stesso in termini di sviluppo delle forze produttive, ma anche un gigantesco e anarchico spreco di prodotti-merce e di forza lavoro-merce poiché i cicli di produzione e di distribuzione dipendono dai mercati in cui le merci vengono piazzate e vendute. Quando nei mercati le più diverse merci non trovano più sbocchi redditizi, ossia non riescono più ad essere vendute a prezzi che garantiscano un saggio medio di profitto, i mercati entrano in crisi, la società borghese nel suo insieme entra in crisi e va incontro ad un periodo di distruzione delle forze produttive (capitali, merci e forza lavoro salariata) che essa stessa aveva sviluppato.

La legge del profitto riguarda qualsiasi campo economico, qualsiasi attività umana, dalla produzione di beni alla riproduzione degli uomini, e riguarda ogni campo della vita sociale degli uomini, quindi anche quello sanitario. La crisi, che nel capitalismo sviluppato è crisi di sovraproduzione – troppe merci che rimangono invendute, troppi uomini senza salario che non trovano un lavoro per sopravvivere –, può essere superata a due condizioni: o la classe dominante borghese applica i mezzi più drastici per eliminare le merci invendute, per eliminare le attività non redditizie, nella produzione, nel commercio, nei servizi, nelle istituzioni (chiudendo fabbriche, cantieri, uffici, magazzini e negozi, ospedali, stazioni, licenziando lavoratori e gettando sul lastrico una parte considerevole di popolazione, mantenendola, se si tratta di un paese ricco, col minimo indispensabile per non morire di fame), oppure affronta i contrasti con le borghesie concorrenti con mezzi di guerra, al fine di strappare loro i territori economici e i proletariati (i mercati delle merci e della forza lavoro) da sfruttare a proprio esclusivo vantaggio.

La guerra guerreggiata è infatti una delle “soluzioni” alle quali tutte le borghesie si preparano, e preparano ideologicamente, politicamente e materialmente il proprio proletariato per irreggimentarlo in difesa della “patria”, in vista di quei periodi in cui i reciproci e contrastanti interessi non siano più conciliabili. In questo senso la pace borghese prepara la guerra borghese; e l’ampiezza della guerra dipende non dalla volontà di governanti più o meno assetati di potere, ma dagli effetti materiali (quindi economici, finanziari, politici e sociali) che le crisi del capitalismo producono. Ogni “guerra” che conduce la borghesia – di concorrenza economica, finanziaria, politica e di proprietà privata intellettuale come sono i brevetti in qualsiasi campo, perciò anche in quello farmaceutico – è una guerra che prepara la borghesia alla guerra guerreggiata.

Come il capitalista controlla la propria azienda e tutti coloro che vi lavorano, così lo Stato borghese controlla la vita sociale generale con mezzi che gli sono propri: le leggi, la magistratura, i tribunali, la polizia, le carceri, le forze armate. Dove non arrivano le leggi, arrivano la polizia o l’esercito, ma la loro interconnessione è alimentata dall’interesse che accomuna qualsiasi frazione borghese: la difesa del potere borghese sulla società, la difesa dell’economia capitalistica e del suo modo di produzione perché è su questa specifica economia che la classe borghese si è fatta dominante e può continuare a dominare. Le crisi economiche e le crisi di guerra distruggono merci, capitali, mezzi di produzione e di trasporto, edifici, fabbriche, reti stradali e ferroviarie, porti e aeroporti, città intere, esseri umani a milioni, mandando in rovina interi strati di popolazione, ma non distruggono il modo di produzione capitalistico, non distruggono la società borghese e quindi i rapporti di produzione e di proprietà borghesi grazie ai quali, dopo i disastri economici e sociali prodotti dalle crisi e dalle guerre, il capitalismo rinasce a nuova “giovinezza”, ricostituendo cicli economici e finanziari che inesorabilmente porteranno a nuove crisi e a nuovi scontri di guerra.

D’altra parte, che cosa è avvenuto dalla fine della seconda guerra mondiale in poi? Durante il cosiddetto trentennio di grande espansione economica seguito al 1945 il capitalismo si è sviluppato, sì, ma non senza crisi e guerre; crisi locali e guerre locali, ma che, al termine di un ciclo di espansione in cui sono cresciute le potenze dei vecchi paesi imperialisti e la concorrenza tra di loro per accaparrarsi mercati vecchi e nuovi e in cui si sono sviluppate nuove potenze imperialiste allargando il numero dei concorrenti imperialisti e, quindi, aumentando i contrasti, sono sboccate nel 1975 in una crisi mondiale. Ognuna di queste crisi, e la stessa crisi mondiale del 1975, sono state superate dalle borghesie di ogni paese con una serie di interventi economico-sociali che le hanno accomunate in una sorta di autolimitazione che, come sostenuto in uno dei nostri testi-base di partito (Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe, 1946-48) (3), «conduce il capitalismo a livellare intorno ad una media l’estorsione del plusvalore». Questa autolimitazione consiste nell’adozione di «temperamenti riformistici propugnati dai socialisti di destra per tanti decenni», riducendo in questo modo «le punte massime e acute dello sfruttamento padronale, mentre le forme di materiale assistenza sociale vanno sviluppandosi» (leggasi: ammortizzatori sociali, come misure che tacitano i bisogni più impellenti delle grandi masse). E’ stata sufficiente questa “autolimitazione” nell’estorsione del plusvalore per allontanare dall’orizzonte borghese le crisi, le guerre, i contrasti interborghesi, le tensioni sociali, la lotta operaia? No, ma ha permesso ai poteri borghesi di ridimensionare le classiche rivendicazioni classiste del proletariato, facilitando l’opera della collaborazione tra le classi che, da marxisti, sappiamo essere la migliore arma in mano alla borghesia per depotenziare la spinta alla lotta e all’organizzazione classista delle masse proletarie. 

Considerando le crisi periodiche a cui va incontro, si può affermare che il capitalismo, per svilupparsi e per mantenersi in vita, ha bisogno delle crisi, tanto più se sono crisi di guerra, perché la sovraproduzione viene eliminata, il mercato si “libera” delle merci invendute, mentre nel settore della produzione – e di conseguenza in quello della distribuzione – le aziende più forti resistono, quelle più deboli tendono a sparire o spariscono definitivamente. I capitalisti danno per scontato che la crisi della loro economia rovesci sulle masse proletarie una crisi ben più drammatica di quella che subiscono loro. Dal loro punto di vista essi hanno già fatto la loro parte, autolimitando l’estorsione di plusvalore dal lavoro salariato; i proletari, quindi, “devono” fare la loro parte, cioè accettare i sacrifici che la difesa dell’economia capitalistica richiede, in attesa della “ripresa economica” nella quale potranno tornare alla “normalità” precedente la crisi. Ma questa “normalità” non è che l’espressione di uno sfruttamento che non svanisce, anzi, uno sfruttamento che lega ancor più la vita sociale del proletariato alla vita sociale della borghesia, facendo dipendere la vita dei proletari da una collaborazione sociale che chiamiamo appunto collaborazione di classe, nella quale gli interessi specifici della classe proletaria si confondono totalmente con gli interessi della classe borghese, fino ad essere irriconoscibili.

Allora, per il bene della patria, dell’economia nazionale, dell’economia aziendale, della democrazia, i sacrifici richiesti e imposti alla classe proletaria rappresentano quel che essa deve alla società borghese per avere accesso agli ammortizzatori sociali, per avere un lavoro, per poter sopravvivere. La visione della borghesia non cambia, crisi o non crisi.

In tutto questo come c’entra la questione della pandemia, della salute?

Nella società borghese, per quanto la classe dominante separi e divida un settore di attività dagli altri, una famiglia dalle altre, un individuo da tutti gli altri, considerando la società come un unico gruppo “umano” in cui ad ognuno dei suoi componenti è data la possibilità di eccellere, di primeggiare, di trovare la “propria strada”, di esaudire i propri desideri; nella società in cui il vero dominio materiale è dato dal modo di produzione capitalistico sulla base del quale la società si è divisa non in tanti individui diversi gli uni dagli altri, ma in classi sociali con interessi di classe totalmente antagonisti, ogni questione è una questione sociale.

Da quando, col capitalismo, la produzione materiale si è sviluppata attraverso il lavoro associato, e attraverso la creazione delle masse di lavoratori salariati, sottoponendo l’intera società a rapporti di produzione e di proprietà borghesi caratterizzati dal possesso totalitario dei mezzi di produzione e di scambio da parte della classe borghese e dal possesso unicamente della forza lavoro da parte della classe proletaria, ogni problema, ogni questione è una questione sociale. Perciò la borghesia, nel rapporto con la classe del proletariato, non lascia nulla al caso. In questo rapporto, come in ogni rapporto sociale, vige la legge della forza. Con la forza la classe borghese ha imposto il suo potere abbattendo i poteri delle classi dominanti precedenti; quella forza, dal punto di vista storico, era forza rivoluzionaria e il proletariato già esistente, sebbene non ancora politicamente indipendente, era un tutt’uno con la borghesia contro il feudalismo in occidente, contro il dispotismo asiatico e lo schiavismo in oriente. Con la forza la borghesia ha imposto le sue leggi, ha piegato il mondo al suo potere di classe, ha creato una società a sua immagine e somiglianza. Con la forza essa mantiene il potere politico ed economico sulla società nonostante lo sviluppo del capitalismo abbia perso completamente la sua potenza rivoluzionaria, trasformandola in potenza reazionaria. E una delle dimostrazioni di questa potenza reazionaria la si trova proprio nella scienza che si è totalmente uniformata agli interessi della classe dominante. D’altra parte, tutto ciò che va sotto i nomi di civiltà, cultura, valori, ideali, non è che l’espressione degli interessi di classe della borghesia, interessi che riconducono ogni scoperta tecnica e scientifica, ogni slancio a riconsiderare e criticare i valori scolpiti nelle leggi e nelle costituzioni esistenti, ogni tentativo di cambiamento nei rapporti sociali e nel rapporto con la natura, al nodo centrale della società: come affrontare e superare le contraddizioni sempre più acute che si manifestano nella società borghese mettendola sistematicamente in crisi?

La risposta è nota fin da quando il marxismo ha definito il corso storico di sviluppo della società borghese come un corso storico segnato da un inizio e da una fine, un corso storico che attraversa una lunga fase rivoluzionaria, un’altrettanto lunga fase di conservazione e una fase di reazione – dunque il contrario di ogni progresso umano – la cui durata dipende da quella lotta di classe che gli stessi borghesi hanno scoperto per primi: la lotta tra la classe della borghesia, padrona di tutto, e la classe proletaria padrona soltanto della forza lavoro, senza il cui sfruttamento la borghesia non avrebbe il potere che ha e il capitalismo andrebbe in crisi mortale.

In conclusione, è attraverso la lotta di classe del proletariato che è possibile affrontare e risolvere tutte le contraddizioni della società borghese; una lotta che non può puntare che al potere centrale, al potere politico con cui la classe borghese domina la società e difende il suo dominio sociale. E le contraddizioni enormi che emergono nella gestione della sanità pubblica in ogni paese capitalista avanzato dimostrano che l’antagonismo di classe fra borghesia e proletariato non è un fatto episodico, né tanto meno un’invenzione dei comunisti, ma la caratteristica dei rapporti sociali nella società borghese. Anche durante la pandemia è emerso che i decessi hanno riguardato per la stragrande maggioranza dei casi gli appartenenti al proletariato e al popolino, già colpiti oltretutto da patologie pregresse e perciò già indeboliti di fronte ad una malattia così letale. Non è infatti un caso che la sanità pubblica, dedicata per la maggior parte dei suoi servizi al popolino e al proletariato, viene sistematicamente depotenziata a favore della sanità privata dedicata coi suoi servizi a pagamento soprattutto alla media e grande borghesia.

Se la civiltà borghese deve essere valutata dal grado di efficienza nella prevenzione delle malattie da parte della sanità pubblica, è presto detto: è la civiltà della malattia e della morte, non della vita

 

CRISI SANITARIA, PARTE DELLA CRISI ECONOMICA CAPITALISTICA

 

Gli anni della pandemia di Covid-19 sono stati indubbiamente anni di crisi sociale ed economica. La crisi sanitaria, in realtà, si è sovrapposta ad una crisi economica già in corso, aggravandola, facendola diventare una crisi economica a livello mondiale. In ogni paese, con l’abbattimento del PIL di diversi punti sotto lo zero, si è registrata inevitabilmente l’eliminazione di diverse aziende, soprattutto di piccole e medie dimensioni, e di moltissimi posti di lavoro, cosa che ha aggravato la situazione sociale delle masse proletarie che già dovevano affrontare lavoro precario e lavoro nero, aumentando considerevolmente la disoccupazione; e nulla potevano i governi, come in Italia, che dichiaravano il blocco dei licenziamenti per il solo periodo considerato di “emergenza”...

A due anni dalle restrizioni sociali giustificate con la pandemia, le statistiche borghesi registrano i punti positivi della ripresa economica e l’andamento più che florido delle borse di tutto il mondo; andamento che nessuna istituzione borghese ha il coraggio di affermare con certezza che durerà a lungo. Troppi contrasti si sono accumulati in questi ultimi trent’anni; troppe guerre locali che hanno coinvolto direttamente le grandi potenze imperialistiche hanno provocato disastri materiali e umani, con massicce migrazioni che si sono riversate sui paesi dell’opulenza capitalistica, dagli Stati Uniti all’Europa occidentale, tentando di superare le guardie di frontiera pronte a sparare e i muri alzati ai confini, per poter pensare ad un futuro di pace e di benessere. Nel frattempo, l’opulenza capitalistica non può nascondere l’aumento dei morti sul lavoro, l’aumento della precarietà dei posti di lavoro e della disoccupazione, soprattutto per i giovani, le donne e per gli ultracinquantenni, e il reale abbattimento dei salari rispetto al rialzo del costo della vita. 

La crisi sociale generata dalla pandemia ha però consentito al potere borghese di adottare velocemente, quasi sempre senza passare dalle lunghe trafile ediscussioni parlamentari, tutta una serie di misure ideate appositamente per abituare la popolazione, e il proletariato in particolare, ad ubbidire agli ordini emanati dal governo.

Queste misure, bloccando la circolazione delle persone e la possibilità di riunirsi, obbligandole a tutta una serie di atti individuali isolando materialmente ogni persona dalla vita sociale – a eccezione dei lavoratori salariati dei settori economici ritenuti “essenziali”, costretti invece a recarsi al lavoro anche se in condizioni di totale insicurezza – e sottoponendole ad una campagna di paura quotidianamente portata in ogni casa attraverso tutti i mezzi di comunicazione, terrorizzavano tutti al solo pensiero di incontrarsi con parenti e amici.

Queste misure sono state indirizzate ad un controllo generale e mirato di tutta la popolazione, come la successiva imposizione della vaccinazione e dei green pass ha chiaramente dimostrato. E, mentre le case farmaceutiche che hanno prodotto i diversi vaccini smerciati a miliardi soprattutto nei paesi industrializzati – aldilà della loro reale efficacia senza tener conto delle possibili reazioni avverse nel breve e nel lungo periodo – hanno incassato nel giro di soli due anni profitti giganteschi, le borghesie di ogni paese, salvo rari episodi isolati, sono riuscite a evitare di affrontare tensioni sociali che avrebbero potuto spingere alla lotta consistenti masse di proletari colpiti, oltre che dalla disoccupazione, dalla precarietà del lavoro e dall’insicurezza di vita in generale, anche dalla discriminazione sociale in termini di cure sanitarie.

In assenza di organizzazioni proletarie classiste di difesa immediata e, quindi, in assenza di lotte classiste del proletariato, non ci si poteva attendere una risposta generale di segno proletario a questa ulteriore e generalizzata pressione sociale. I proletari che hanno tentato di ribellarsi a queste restrizioni e a questo controllo sociale – data la pluridecennale opera opportunistica del collaborazionismo sindacale e politico, e dato l’isolamento reale in cui si sono sempre trovati i proletari combattivi che lottavano al di fuori delle direttive del bonzume sindacale – sono stati attirati dai movimenti interclassisti che, caratterizzatisi con parole d’ordine come “no vax”, “no obbligo vaccinale”, “no green pass”, protestavano perché le loro attività commerciali, artigianali o piccolo-industriali venivano colpite dalle misure governative, rischiando così di perdere i loro privilegi sociali.   

Non va dimenticato, infatti, che la borghesia ha avuto, tutto sommato, un compito piuttosto facile nell’imporre un rafforzato controllo sociale, perché un controllo sociale esiste già da tempo ed è quello che esercitano da decenni, per conto del potere borghese, i sindacati collaborazionisti e i partiti riformisti. Ai proletari dei paesi capitalisti avanzati è data la possibilità di accedere, come abbiamo ricordato, ad un castello di ammortizzatori sociali che li difende, in linea di massima, dal precipitare di colpo nella miseria e nella fame. Questo fatto alimenta fortemente la collaborazione di classe; una collaborazione che ha bisogno di mediatori riconosciuti da entrambe le parti, o perlomeno mediatori in grado di garantire ai proletari, ma soprattutto agli strati proletari meglio pagati, una difesa dei loro piccoli «privilegi» rispetto alla massa di proletari, sia autoctoni che di altre nazionalità, che invece sono alla mercé del precariato, del lavoro nero, del caporalato e della disoccupazione. Ed è indiscutibile che il fatto che il clima sociale generato dalla pandemia, e dall’uso che della pandemia ha fatto la classe borghese dominante, ha bloccato ancor più le spinte proletarie ad organizzare una risposta sul terreno della lotta di difesa dei suoi interessi immediati, ribellandosi a misure che schiacciavano i proletari in una condizione di impotenza generale.

E’ sotto gli occhi di tutti che, aldilà del comune interesse europeo di dotare ogni paese membro dell’Unione Europea delle dosi di vaccino ritenute indispensabili per vaccinare la grandissima parte della popolazione e, in particolare, sottoporre il proletariato alla vaccinazione obbligatoria attraverso il ricatto, per poter accedere al posto di lavoro, dell’esibizione del green pass, gli interessi di ogni capitalismo nazionale si sono scontrati con gli interessi nazionali di tutti gli altri Stati. Infatti ogni Stato ha preso decisioni e misure diverse, ma sempre in funzione della continuità della produzione e degli scambi nei mercati internazionali, sempre attento alla concorrenza capitalistica che non è mai scomparsa, anzi, in una certa misura si è acutizzata.

 

LA PICCOLA BORGHESIA E L’INTERCLASSISMO, LINFA DELLA COLLABORAZIONE DI CLASSE

 

Di ribellioni e proteste alle misure restrittive dei governi e in particolare all’obbligo vaccinale e al green pass, individuati come due imposizioni insopportabili per la tanto proclamata “libertà individuale”, ce ne sono state, sì, ma di segno interclassista.

L’interclassismo è una politica tipicamente piccoloborghese con la quale la piccola borghesia cerca di rafforzare le proprie rivendicazioni coinvolgendo le masse proletarie. L’interclassismo è la linfa della collaborazione di classe, perché attraverso di esso si cerca di spingere i proletari ad assumere in proprio la difesa dei privilegi sociali della piccola borghesia e, per suo tramite, gli interessi generali della borghesia dominante. Lo specchietto per le allodole utilizzato dalla piccola borghesia per coinvolgere i proletari a propria difesa è costituito dall’idea che i privilegi sociali posseduti dai piccoli borghesi possono essere fatti propri anche dai proletari, privilegi sociali che in sostanza sono sintetizzabili in riserve materiali (proprietà di immobili, di terra, di buoni del tesoro, risparmi, fondi assicurativi ecc.), che andrebbero ad aggiungersi a quella specie di “garanzie sociali” rappresentate dagli ammortizzatori sociali.

Ciò non toglie che la piccola borghesia abbia interessi immediati spesso contrastanti con quelli della grande borghesia, perché l’attività industriale, agricola e commerciale delle piccole e medie aziende dipende dalle banche, dagli istituti finanziari e dallo spazio che la grande industria, il grande commercio, le grandi aziende in generale lasciano alle piccole e medie aziende; spazio e “libertà” di produzione e di commercio legale che, mentre si riduce in modo repentino e drammatico ad ogni crisi economica, apre un diverso “spazio” alla produzione e al commercio illegale. Nella storia del capitalismo la piccola borghesia ha sempre dovuto subire periodi di rovina durante le crisi economiche e finanziarie e, in particolare, durante le crisi di guerra, soprattutto se la guerra scoppiava nel proprio paese. I piccoloborghesi rovinati precipitano irrimediabilmente nella proletarizzazione: perdendo o riducendo in modo consistente gran parte delle proprie riserve materiali, essi devono sopravvivere vendendo la loro forza lavoro come sono costretti a fare i proletari. Certo, grazie alle loro professionalità, al loro grado di istruzione e ai loro mestieri precedenti difficilmente finiscono per fare i manovali o i facchini; è più facile che, trovando lavoro, vadano ad ingrossare le fila di quell’aristocrazia operaia già abbondantemente presente in tutti i paesi capitalistici avanzati, o le fila delle organizzazioni malavitose. Resta il fatto che, anche se precipitano nella proletarizzazione, i piccoloborghesi portano con sé abitudini, pregiudizi, credenze, atteggiamenti che li hanno sempre caratterizzati su cui basano la loro speranza di tornare – passato il brutto periodo della crisi – ai loro privilegi sociali precedenti. Naturalmente, come capita in ogni crisi economica e sociale, e come avviene per la grande borghesia, ci sono gruppi di piccola borghesia che con la crisi ci guadagnano (col mercato nero o con l’usura) e questo fatto costituisce una speranza concreta per quelli che invece all’immediato sono andati in rovina.

La piccola borghesia è lo strato sociale che nella società subisce più oscillazioni sia in termini di benessere economico e sociale sia in termini ideologico-cultural-politici; per il suo interesse economico e sociale, in quanto dotata di riserve materiali, e per la sua posizione sociale e la sua vita integrate nei meccanismi economici e sociali del capitalismo, essa deve il suo benessere al dominio borghese sull’intera società e, soprattutto, sullo sfruttamento del lavoro salariato di cui anch’essa è beneficiaria. Solo quando la crisi economica rovina la sua posizione sociale, precipitandola nella proletarizzazione, allora è costretta ad assaggiare cosa vuol dire non essere più “padrona”, ma essere costretta a vendere la propria forza lavoro individuale ad un padrone che, con la crisi, non è caduto in disgrazia.

La piccola borghesia, nel gergo paternalistico della grande borghesia, è detta anche classe media, perché la sua posizione nella stratificazione sociale borghese è situata appunto fra la grande borghesia, la classe dominante, e la classe dei lavoratori salariati. E’ uno strato sociale, di fatto, che fornisce alla società borghese e alle sue istituzioni, sia pubbliche che private, la massa di burocrati del pubblico impiego e di intermediari a tutti i livelli, nell’industria, in agricoltura e nei servizi, in campo economico, finanziario, culturale, politico, amministrativo, religioso, sportivo, militare. Il fatto di far funzionare tutti gli ingranaggi economici e sociali dell’organizzazione sociale borghese nella posizione di coloro che li gestiscono per conto del capitale, dà l’illusione ai piccoloborghesi di essere indispensabili alla società, al suo ordine, al suo buon funzionamento e al suo sviluppo; in contropartita pretendono, soprattutto dallo Stato, privilegi, protezione e difesa della loro posizione sociale. Quando i privilegi, la protezione e la difesa del loro benessere privato vengono meno per via della crisi economica, i piccoloborghesi si rivolgono alle autorità perché non si dimentichino del servizio sociale che svolgono, e se le autorità fanno orecchie da mercante, si mettono ad abbaiare, a ringhiare, si rivoltano, organizzano proteste e cercano alleati, guarda caso nei proletari perché li hanno visti tante volte scioperare e scontrarsi con la polizia, e in loro riconoscono una forza che la piccola borghesia, cullatasi in un benessere individuale che la elevava socialmente, non possiede.

Per il marxismo la piccola borghesia è una mezza classe, non tanto perché la sua posizione sociale sta tra le due classi principali della società, la grande borghesia e il proletariato, ma soprattutto perché essa non ha un interesse sociale e storico nettamente differente dalle due classi principali della società. Socialmente essa fa parte della borghesia, e difende a spada tratta i rapporti di produzione, di scambio e di proprietà del capitalismo da cui essa trae i suoi privilegi sociali, ma, gli effetti delle contraddizioni sociali della società borghese e delle sue crisi, la spogliano dei suoi privilegi sociali, la precipitano nelle condizioni del proletariato con il quale è costretta a condividere le condizioni materiali, ma non condivide assolutamente gli interessi di classe. Oscilla, quindi, tra l’ambizione di mantenere e migliorare la sua posizione sociale di proprietario e di piccolo capitalista e la condizione proletaria di senza riserve dopo essere stata rovinata dalla crisi economica. Questa oscillazione si ripercuote anche sul piano ideologico e politico, spingendola, a seconda della situazione storica, ad abbracciare la causa della grande borghesia o la causa del proletariato.

Le vicende storiche hanno dimostrato che soltanto in un caso alcuni strati di piccola borghesia abbracciano la causa proletaria, sebbene non per sempre: quando la lotta di classe rivoluzionaria del proletariato mostra la reale possibilità di abbattere il potere politico borghese, il suo Stato con tutte le sue istituzioni, diventando esso stesso classe dominante. In questa situazione particolare, il potere proletario, abbattendo tutta una serie di misure sociali borghesi che colpiscono, oltre al proletariato, anche la piccola borghesia, mostra alla piccola borghesia che è nel suo interesse appoggiare il potere proletario, o perlomeno a non schierarsi apertamente dalla parte della reazione borghese. E non c’è dubbio che il terrorismo che il potere proletario applica nei confronti della classe borghese e dei suoi tentativi di restaurazione sia un concreto deterrente anche per larghi strati della piccola borghesia che, pur nella situazione di vittoria rivoluzionaria del proletariato, come dimostrato dalla Comune di Parigi e, soprattutto, dall’Ottobre 1917 russo, tendono ad appoggiare la classe borghese nei suoi tentativi di resistenza e di restaurazione. Questa mezza classe, costituisce perciò, in generale, un nemico della classe proletaria, aldilà dei singoli elementi che scavalcano il fossato che li divideva dagli interessi di classe del proletariato.

La piccola borghesia, colpita dalla crisi economica, e in un periodo di assenza della lotta di classe proletaria, si sente automaticamente al centro della protesta, assumendo in un certo senso la guida delle proteste contro lo Stato che non la protegge, come vorrebbe, dagli effetti più duri della crisi. Le proteste nei più diversi settori, hanno bisogno di simboli sufficientemente generici e condivisibili per poter aggregare i piccoloborghesi che normalmente si occupano dei propri affari individuali in concorrenza gli uni contro gli altri, sempre pronti ad approfittare delle disgrazie altrui. Allora si capisce come mai sono nati e si sono sviluppati movimenti di protesta contro l’aumento del costo del carburante, o per alzare i prezzi di certe materie prime per l’industria alimentare come il latte, oppure contro l’aumento repentino del costo dell’energia elettrica come è successo in questo periodo in cui si è scatenata la guerra russo-ucraina. I piccoloborghesi, sebbene colpiti e rovinati dalla crisi economica, sono troppo attaccati alla proprietà privata e ai privilegi sociali che derivano dal dominio del capitale sul lavoro salariato, per non sperare di recuperare la loro posizione sociale una volta superata la crisi economica; è per questo che non abbandoneranno mai la speranza di tornare alle loro condizioni precedenti la crisi economica, ed è in ragione di questa speranza, e di questa illusione per molti di loro, che sostengono in generale le politiche volte alla “ripresa economica” perché in questa ripresa essi vedono la riconquista della loro posizione sociale precedente. La stessa cosa vale anche nella situazione in cui i loro privilegi sociali sono stati colpiti a causa delle forti restrizioni (dai lockdown ai coprifuoco fino ai green pass) che i governi hanno applicato in questo lungo periodo di pandemia di Covid-19.

Le proteste e i movimenti di piazza contro il green pass, e l’obbligo vaccinale che il green pass maschera, hanno avuto come obiettivo principale la “libertà di movimento delle persone”, la libertà di commerciare, di viaggiare, perché queste “libertà” consentono a tutte le attività legate alla piccola produzione e al commercio di prosperare. Gridare alla libertà individuale violata, sbandierando la grande parola di libertà, serviva e serve soprattutto a fini molto più prosaici: se in negozio, al ristorante, in albergo, in agenzia turistica, non entrano i consumatori, i negozi, i ristoranti, gli alberghi, le agenzie di viaggi chiudono e l’attività piccoloborghese legata ad essi viene semplicemente cancellata. La libertà, come per la grande borghesia, così anche per la piccola borghesia, non è altro che la libertà di commerciare, la libertà di riempirsi le tasche di soldi, la libertà di mantenere ed ampliare la proprietà privata di immobili, di terra, di capitali, tutte libertà che poggiano sullo sfruttamento del lavoro salariato, diretto o indiretto che sia. Niente a che vedere con l’emancipazione sociale rivendicata dal proletariato in termini di classe, volta a non far più dipendere la vita quotidiana di ogni essere umano dal mercato, dalla produzione di merci, dal loro scambio e, quindi, dal capitale.

 

L’ARDUA E LUNGA VIA DELLA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE

 

Il proletariato, da decenni, condivide con la piccola borghesia l’illusione di poter migliorare la propria condizione sociale facendo leva sugli stessi meccanismi economici e politici usati dalla grande borghesia. Piegati dalla paura di ammalarsi, di perdere il lavoro, di morire a causa del Covid-19, nella grande maggioranza i proletari si sono adeguati alle misure che i governi hanno imposto. Anche quando il potere borghese, come in Italia, è giunto a ricattare apertamente i proletari obbligandoli, per accedere al posto di lavoro, a presentare il green pass, in mancanza del quale scattava la sospensione dal lavoro e del salario, i proletari non hanno trovato la forza di reagire, di lottare (salvo qualche episodio isolato, come il tentativo di sciopero dei portuali di Trieste, fallito immediatamente perché non ha utilizzato metodi e mezzi della lotta di classe: al lavoro, ad esempio, potevano tranquillamente entrare tutti coloro che non aderivano alla sciopero). Non solo i grandi sindacati tradizionalmente collaborazionisti hanno sposato al mille per cento i ricatti del governo, ma anche i sindacati cosiddetti alternativi, cosiddetti “combattivi”, si sono vergognosamente piegati agli ordini emanati dal governo, chiedendo, al massimo, che i tamponi per i lavoratori che non volevano vaccinarsi fossero gratuiti.

In assenza di organizzazioni classiste, indipendenti dai poteri borghesi e dalla politica collaborazionista, il proletariato non riuscirà mai a lottare efficacemente contro le misure antioperaie e i ricatti, sia dello Stato che del padronato. Ma l’organizzazione di classe sul terreno della difesa immediata non nasce se non sulla spinta della lotta operaia, una spinta che non nasce a freddo, ma che è generata da una situazione sociale in cui le condizioni generali della classe proletaria diventano insostenibili e in cui la borghesia dominante – colpita essa stessa in modo molto serio dalla crisi del suo sistema economico e dalla concorrenza delle borghesie straniere – non è più in grado di soddisfare tutti i bisogni elementari di vita delle grandi masse proletarie. Finché la classe dominante borghese ha la possibilità, e la volontà, di devolvere una parte della ricchezza accumulata sullo sfruttamento del lavoro salariato, a soddisfare i bisogni più impellenti delle grandi masse, il proletariato, che per generazioni ha accettato la difesa dell’economia nazionale, della democrazia, delle condizioni sociali in cui è di fatto contretto a vivere, e che per generazioni si è abituato ad utilizzare mezzi di protesta e di lotta che non scalfiscono nemmeno di un millimetro gli interessi generali e particolari dei capitalisti e dei ceti politici di cui sono portavoce, sarà sempre una classe impotente, somiglierà sempre più alle mezze classi piccoloborghesi che fanno tanto rumore, ma non cambiano nulla.

Nella situazione generata dal Covid-19, i paesi capitalisti più avanzati hanno affrontato la crisi sanitaria e la crisi economica ad essa collegata non solo con misure restrittive eccezionali, ma anche impegnando miliardi di dollari, di euro, di yen, di yuan, di rubli per tamponare il disagio economico delle aziende e, in minima parte, dei lavoratori, al fine di dotarsi di vaccini per la gigantesca campagna vaccinale mondiale lanciata come arma decisiva per combattere e vincere la battaglia contro il Covid-19, e al fine di tamponare le situazioni più gravi in cui sono cadute le aziende e i lavoratori. Questo flusso gigantesco di denaro, deciso da Washington, dall’Unione Europea, da Tokyo, da Pechino e certamente anche da Mosca, ha dato l’idea alla propria popolazione, e quindi anche al proletariato, che lo Stato non solo può intervenire in situazioni di crisi profonda, per salvare le banche e le più importanti aziende, ma può decidere di intervenire a beneficio dell’intera... comunità nazionale.

L’accettazione da parte delle masse proletarie di sopportare duri sacrifici nei periodi di crisi economiche e nel periodo dell’ultima crisi sanitaria – una crisi che si è abbattuta soprattutto sulle masse lavoratrici di ogni età, non solo in termini di disoccupazione e di precariato, ma anche di morti sul lavoro e di morti per Covid-19, mentre la morìa degli over-settanta toglieva di mezzo decine di migliaia di pensionati facendo così risparmiare allo Stato miliardi di euro in pensioni che non erogherà più – è il risultato non di una convinta partecipazione dei proletari alla difesa di una società che nella realtà quotidiana dimostra di mettere la vita umana all’ultimo posto delle sue preoccupazioni, ma di una lunga opera di opportunismo e di forzata collaborazione interclassista da parte delle forze di conservazione sociale che hanno il compito di influenzare e controllare le masse lavoratrici per conto del capitale; forze di conservazione come i partiti politici cosiddetti “di sinistra”, un tempo cosiddetti “operai”, come i sindacati che di “operaio” hanno solo la tessera di iscrizione, o le associazioni religiose o parareligiose che si dedicano al conforto di quella parte di umanità che viene regolarmente emarginata dalla società borghese ecc.

Come mai la borghesia di ogni paese, dopo essere stata sorpresa dalla pandemia di Sars-CoV-2, si è data tanto da fare per aumentare in poco tempo il controllo sociale mascherato da controllo sanitario?

Le crisi economiche dell’ultimo trentennio hanno aggravato la situazione sociale in tutti i paesi capitalistici avanzati, aumentando enormemente le diseguaglianze sociali e, con ciò, il pericolo di tensioni sociali incontrollabili. Un tempo, una parte degli effetti negativi delle crisi economiche dei paesi imperialisti veniva dirottata sulle colonie e sui paesi della periferia del capitalismo; dallo sprofondamento dell’impero russo e dall’accentuato disordine mondiale che ne è seguito, le borghesie imperialiste sanno che nel loro futuro prossimo andranno incontro a contrasti a livello mondiale sempre più acuti e gravi, fino a quando le soluzioni militari avranno il compito di “riordinare” il mondo secondo gli interessi degli imperialismi più forti; è già successo con la prima guerra imperialista mondiale e con la seconda, non sarà diverso con la terza guerra imperialista mondiale a cui le borghesie di ogni paese si stanno preparando da molto tempo.

Il più ampio controllo sociale fa parte di questa preparazione borghese alla guerra, perché, quando sarà il momento, il pericolo più grande per l’ordine borghese – in qualsiasi paese che farà parte dei blocchi di guerra contrapposti – potrà venire solo dal proletariato, dalla sua lotta non solo contro la guerra in generale, ma contro la guerra imperialista in particolare e non come lotta pacifista, ma come lotta di classe. Se le generazioni proletarie degli ultimi settant’anni, a causa dello stravolgimento totale del marxismo operato dallo stalinismo e dalle sue successive varianti, non hanno assorbito le lezioni del primo ventennio del Novecento derivate dal formidabile movimento rivoluzionario europeo che sboccò nella rivoluzione d’Ottobre 1917 e nella instaurazione dell’aperta dittatura proletaria in Russia, è tanto più difficile oggi che le attuali generazioni proletarie facciano proprie quelle lezioni. Ci vorrà ancora del tempo, ma lo sviluppo delle contraddizioni e delle crisi borghesi farà da base alla rinascita del movimento proletario di classe nella misura in cui i proletari riprenderanno a lottare sul loro terreno di classe, quel terreno in cui si esprime apertamente l’antagonismo di classe antiborghese, in cui le materiali spinte sociali di sopravvivenza faranno avanzare i gruppi di proletari più coscienti e combattivi sul terreno della rottura sociale che, in parole povere, sarà la rottura della collaborazione tra le classi, trascinando dietro di sé il resto delle masse. Ebbene, è esattamente questo che la classe dominante borghese cerca di impedire, come cerca di impedire, attraverso sia l’opera controrivoluzionaria capillare delle forze dell’opportunismo e del collaborazionismo, sia la corruzione economica e politica e sia la repressione, la costituzione del partito di classe.

La borghesia sa bene che senza una guida politica solida, con chiari e fissati obiettivi storici e ferreamente disciplinata – dunque senza il partito di classe – il proletariato sarà destinato a sprecare le sue potenti energie e a volgerle contro se stesso e i suoi interessi di classe, come tragicamente successe in particolare in Germania tra il 1918 e il 1923. Da quella tragedia non solo il partito di classe, che noi oggi rappresentiamo sebbene in forma embrionale, ha tratto lezioni indispensabili per lo sviluppo e la vittoria del movimento rivoluzionario avvenire, ma le ha tratte anche la borghesia che quindi sa che non basta sconfiggere il proletariato nelle battaglie di strada e deviarlo nei vicoli ciechi di una falsa democrazia “operaia”, ma deve sconfiggere il suo partito di classe, corromperlo, decimarlo, reprimerlo in tutti i modi perché non abbia la possibilità di condurre il movimento proletario, quando rialzerà la testa, alla vittoria nella sua guerra di classe. 

L’esperienza derivante da questo periodo di pandemia, che ha colpito in particolare i paesi capitalisti avanzati – mentre i paesi delle periferia dell’imperialismo sono stati colpiti sistematicamente non solo da pandemie, ma anche da guerre devastanti –, insegna che la borghesia non lascia nulla al caso, che è sempre pronta ad utilizzare tutti gli strumenti economici, politici, sociali utili ad imbrigliare il proletariato nelle maglie della collaborazione interclassista. Alla democrazia formale abbina la democrazia fascistizzata, quella sorta di centralizzazione politica sostenuta da una consistente e forzosa “unità nazionale” – per ora non ottenuta con la forza delle armi – per cui il controllo sociale finisce per apparire come una misura necessaria a beneficio di tutta la popolazione, e per la quale si rende indispensabile la partecipazione diretta del proletariato (i lavoratori facciano la loro parte!, lo dicono non solo i governanti, ma anche i leader politici e sindacali opportunisti). E, grazie a quell’”unità nazionale”, ogni governo giustifica un controllo sociale sempre più stretto come metodo politico necessario per affrontare ogni sorta di crisi, quella sanitaria per il Covid-19 come quella economica per l’intasamento generale dei mercati, e  quella di guerra, come oggi tra Russia e Ucraina, dimostrando che quell’unità nazionale non serve per superare e cancellare le crisi che punteggiano tutto il corso di sviluppo del capitalismo e che si sono acutizzate nell’epoca dell’imperialismo, ma per affrontarle rafforzando i poteri borghesi già più forti, aumentando i contrasti derivanti da una concorrenza mondiale sempre più aggressiva e spingendo ogni borghesia a prepararsi, politicamente, economicamente e militarmente, a guerre più devastanti ancora di quelle già avvenute. L’unità nazionale in regime borghese non allontana la guerra guerreggiata, l’avvicina!

 

UNO SGUARDO AL FUTURO

 

I virologi affermano che i virus – perciò anche questo coronavirus Sars-CoV-2 –, dopo un certo tempo perdono la loro carica letale e anche dopo aver sterminato milioni di esseri umani (soprattutto per colpa degli uomini e della loro organizzazione sociale, aggiungiamo noi), e grazie alla famosa “immunità di gregge”, riducendo la propria vitalità e divenendo controllabili e curabili. Quel che rimane delle epidemie nell’esperienza umana è certamente una conoscenza ulteriore di determinati patogeni, ma, visti gli interessi economico-politici della classe dominante borghese, ciò che più sta a cuore alla borghesia è, da un lato, la possibilità di far girare la macchina del profitto capitalistico al massimo possibile approfittando delle crisi sanitarie (e i giganteschi profitti accumulati dalle Big Pharma ne sono un esempio lampante), dall’altro la necessità di aumentare il controllo sociale soprattutto se le forze tradizionali dell’opportunismo stanno esaurendo la loro carica letale contro gli interessi di classe del proletariato.

La situazione che si profila nel prossimo futuro per il proletariato, un futuro pieno di fattori di crisi e di attacchi alle sue condizioni di esistenza, è tra le più difficili proprio perché esso deve ricostituire da zero la sua forza sociale di resistenza alla pressione capitalistica e di lotta contro tutte le forze sociali schierate a difesa del capitalismo, dello Stato borghese, dell’ordine borghese.

La classe proletaria ha una forza storica potenziale di cui non è cosciente; più la borghesia riesce a influenzarlo e ad organizzarlo nella collaborazione interclassista, più il proletariato si allontana dal momento in cui la sua forza storica potenziale può trasformarsi in forza storica cinetica. La lotta di classe non è una prerogativa del proletariato; nella società capitalistica la classe borghese è la classe che ha iniziato a lottare contro il proletariato perché non diventasse una classe nel senso storico, una classe cioè che, rappresentando il vero motore dello sviluppo delle forze produttive, è oggettivamente spinta a rappresentare questo sviluppo contro ogni ostacolo che gli si frappone. E, come ogni movimento storico, anche quello del proletariato è un movimento che si basa sugli interessi economici immediati; ma sono interessi che si riassumono nella lotta contro il proprio sfruttamento, perciò totalmente antagonisti a quelli della classe sfruttatrice borghese. La lotta fra le classi deriva proprio da questo antagonismo sociale, e la borghesia lo sa così bene che fin dall’alba della società capitalista ha piegato con la forza la classe produttrice alle esigenze del capitale, vietando anche la sola organizzazione di difesa economica. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora; mentre si sviluppava il capitalismo si sviluppava anche il proletariato, raggiungendo livelli di scontro con i padroni che hanno elevato la lotta episodica e isolata contro il tale o tal altro padrone in una lotta contro tutti i padroni, contro l’associazione dei padroni; la lotta che la classe borghese faceva contro il proletariato è diventata lotta di classe nella misura in cui il proletariato si è riconosciuto classe differente e antagonista rispetto a quella borghese non solo sul terreno immediato, ma anche sul terreno politico più generale e sul terreno storico.

Nello sviluppo del capitalismo, la classe del proletariato, dopo lunghe e tragiche esperienze di lotta e di organizzazione di difesa economica e politica, si è imposto nella società borghese come una classe di cui la borghesia non può più non tener conto nella sua gestione economica e sociale. E ne ha tenuto talmente conto da cercare in tutti i modi, dopo averne contrastato l’organizzazione e lo sviluppo, di piegare le organizzazioni operaie – con la repressione e con la corruzione – alle esigenze del capitale e del potere borghese, per mantenerla nella condizione di classe subordinata, di classe per il capitale. Ma è col marxismo, cioè con la teoria del comunismo rivoluzionario, che la classe del proletariato ha dato alla sua lotta sociale un contenuto storico, un obiettivo storico raggiungibile soltanto attraverso la rivoluzione con la quale abbattere ogni potere, a cominciare da quello politico ed economico, delle classi dominanti che fino ad ora hanno esercitato il loro potere di classe, si tratti della borghesia o dei residui delle vecchie classi aristocratiche e feudali ormai imborghesite fino al midollo.

Il marxismo, rispetto al proletariato, ha contrapposto al concetto di classe per il capitale, il concetto di classe per sé. Non si tratta di un passaggio astratto, ideale, o di una evoluzione automatica dato lo sviluppo delle forze produttive e della forza sociale potenziale del proletariato. Per diventare classe per sé, quindi classe che riconosce di avere interessi e obiettivi storici del tutto indipendenti dalla classe dominante borghese, il proletariato deve scendere sul terreno della lotta di classe con proprie organizzazioni indipendenti da ogni interesse di conservazione borghese, e imboccare la strada che porta inevitabilmente alla rivoluzione. Può apparire del tutto estraneo un discorso di questo genere in occasione di una crisi sanitaria come questa del Covid-19, o in occasione di una guerra che si avvicina in modo impressionante al centro dell’imperialismo europeo occidentale. In realtà, per il proletariato, per la sua lotta e per il suo futuro, è l’argomento centrale perché è sempre stata la classe che ha subìto le più gravi conseguenze da ogni tipo di crisi della società borghese: è la classe che versa il suo sangue per una causa che non è la sua, ma che rafforza il dominio politico ed economico della classe borghese nemica il cui potere, finché non verrà abbattuto e sostituito con il potere proletario rivoluzionario, continuerà a reggersi sui massacri in tempo di guerra e in tempo di pace.

Il futuro del proletariato, finché rimane nelle mani della classe dominante borghese, sarà un futuro di sfruttamento, di fatica, di miseria, di fame, di massacri e non ci sarà nessun “cambio di governo”, nessuna “democrazia”, nessuna “collaborazione”, nessuna “unità nazionale” che potrà cambiare questo futuro; tanto meno le preghiere di un papa. Anche nei periodi in cui sembrava di poter vivere in pace e di avere la possibilità di migliorare le proprie condizioni di esistenza, questa pace e questi miglioramenti per proletari di alcuni paesi avanzati venivano pagati a caro prezzo dalle masse proletarie dei paesi più deboli. Mentre in Europa o negli Stati Uniti, l’esistenza in vita è in qualche modo ancora assicurata per la gran parte degli abitanti, e si può addirittura “scegliere” se vaccinarsi o meno – salvo gli obblighi imposti per motivi estranei alla cura medica –, negli altri paesi meno avanzati e dominati dall’imperialismo non c’è scelta tra la malattia e la cura, tra la vita e la morte, tra la guerra e la pace. Quel che appariva un tempo molto lontano dalle case europee, lo sfruttamento bestiale, la costrizione a migrare, la miseria e la fame, l’orrore della guerra, sta diventando, e per molti è già diventata, una realtà con cui fare i conti direttamente e non solo per un periodo temporaneo, come gli strascichi delle guerre nei Balcani tra il 1991 e il 1999 dimostrano e come dimostreranno le conseguenze della guerra russo-ucraina in cui i rispettivi nazionalismi si sbranano sistematicamente da anni.

La via d’uscita da tutto questo non è nell’unità nazionale, non è nella collaborazione fra le classi propagandata come la cura indispensabile contro ogni crisi sociale – sia sanitaria, economica, politica o di guerra – ma nella lotta dell’unica classe che ha in mano il futuro storico non solo di se stessa, ma dell’intera umanità, la classe mondiale del proletariato che, con la sua rivoluzione seppellirà definitivamente la società fondata sul mercato, sul denaro, sul profitto capitalistico, sulla proprietà privata e, soprattutto, sull’appropriazione privata della produzione sociale. E’ la via che conduce al comunismo, alla società di specie. 

 


 

(1)   Cfr D. Quammen, Spillover. Animal Infections and the Next Human Pandemic, W.W. Norton & Company, Inc. 2012. Uscito in Italia nel 2014 per la Adelphi Edizioni Spa di Milano, col titolo Spillover. L’evoluzione delle pandemie.

(2)   Sull’attività della Fondazione Bill&Melinda Gates, vedi “il comunista” n. 166, dicembre 2020, articolo intitolato Diseguaglianze e lotta di classe, che riferisce anche di uno scenario ipotizzato nel 2010 dalla The Rockefeller Foundation sempre inerente ad una pandemia e alle sue disastrose conseguenze a livello mondiale.

(3)   Forza violenza dittatura nella lotta di classe, pubblicato tra il 1946 e il 1948 nell’allora rivista di partito, Prometeo, è rintracciabile nel testo n. 4 del partito comunista internazionale, Partito e classe; di prossima pubblicazione anche la sua traduzione in lingua spagnola e francese.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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