1969: Russia e Cina si sparano sulle rive dell'Ussuri

E' scritto che i nazionalismi si sbranino

(«il comunista»; N° 172 ; Marzo 2022)

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Secondo la teoria stalinista del socialismo mercantile, teoria che col marxismo non ha nulla a che fare, l'URSS e Cina era paesi "socialisti", si chiamavano "paesi fratelli". Si sa, tra "fratelli" si litiga... succede in tutte le famiglie... Nell'URSS, dopo la sconfitta del bolscevismo leninista e della rivoluzione proletaria a livello internazionale, il socialismo è stato ucciso e l'Unione Sovietica ha proseguito il suo sviluppo come paese capitalista e, infine, imperialista e come tale ha partecipato alla seconda guerra imperialista mondiale e alla spartizione imperialista del mondo. La Cina, a sua volta, massacrati i proletari rivoluzionari di Shangai e Canton tra il 1925 e il 1927 dai nazionalisti del Kuomintang di Chiang Kai-shek e sepolta quindi la rivoluzione proletaria cinese, col beneplacito di Stalin, conobbe un lungo periodo di guerra civile tra i "comunisti" di Mao e l'esercito di Chiang Kai-shek; nella seconda guerra mondiale del 1939-45 la Cina  (Mao e Chiang Kai-shek insieme) fu alleata degli Stati Uniti contro il Giappone e nel 1949 le truppe di Mao vinsero e cacciarono Chiang Kai-shek che si rifugiò nell'isola di Formosa, nota come Taiwan.

Dopo un breve periodo di grande amicizia tra Pechino e Mosca, le loro relazioni si guastarono, come era logico per due paesi capitalisti. Al di là degli scontri ideologici, la sostanza dello scontro va cercata nella spinta di entrambi gli Stati di imporsi come potenze non solo continentali, ma internazionali. Ciò non cancellava, ovviamente, i contrasti locali, riguardanti sia i confini tra i due Stati che le zone di influenza, nello specifico i paesi dell'estremo oriente, dalla penisola Coreana all'Indocina. Nel 1969, sulle rive dell'Ussuri, il fiume che separa il confine russo-cinese all'estremo oriente, a nord della Corea, le guardie di confine russe attaccarono le guardie di confine cinesi; il motivo immediato dello scontro era il possesso di alcuni isolotti al centro del fiume, ma era evidente che i veri motivi andavano cercati nei contrasti territoriali e nazionalisti tra i due paesi.

Dopo l'intervento armato a Budapest e a Praga, la Russia continuava nella sua politica di forza anche nei confronti della Cina, facendo emergere non solo la sua politica imperialistica ma anche l'interesse ideologico di imporre il proprio nazionalismo al quale si opponeva il nazionalismo cinese.  Su questo particolare aspetto il nostro partito scrisse l'articolo, pubblicato nell'allora giornale di partito (1), che qui di seguito riproduciamo e che non ha perso nulla della sua verve critica. 

 

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La storia sanguinosa del "blocco fraterno" delle democrazie popolari si è arricchita sulle due rive dell'Ussuri di un nuovo squallido episodio, non il primo, certo, né ultimo.

Se nel 1956 i carri russi soffocarono senza pietà l'insurrezione ungherese fra gli applausi di Mao (allora in grande seppur temporaneo idillio con Kruscev), nel 1960 il conflitto russo-cinese esplodeva pubblicamente e, da allora, la "escalation" non ha più conosciuto respiro. Oggi, imposta alla Cecoslovacchia la "normalizzazione", come dicono questi messeri del Cremlino, con cinquecentomila soldati del Patto di Varsavia nell'agosto scorso e con pressioni e minacce non platoniche in queste ultime settimane, ecco in Estremo Oriente prima i commandos di frontiera, poi l'artiglieria, infine i carri armati e l'aviazione, difendere a gara i "sacri confini" del "sacro" suolo di patrie nemiche, come osano dirsi, "socialiste"!

Noi non abbiamo mai creduto che i partiti russo e cinese polemizzassero sul modo migliore di condurre la "lotta antimperialista" (non diciamo di "fare la rivoluzione" che per essi è morta e seppellita in tutti i paesi, anche se ogni tanto le rendono omaggio... con le labbra). Abbiamo sempre detto e dimostrato che la disputa "ideologica" che li opponeva era soltanto il paravento del conflitto fra due Stati, l'uno quanto l'altro estranei al socialismo. Come potrebbe, il PC cinese inventore del "blocco delle quattro clasi", rimproverare seriamente al PC russo il suo "Stato di tutto il popolo"? Se la Cina, grande antesignana - con l'India... gandhista! - della coesistenza pacifica, rinfaccia oggi con veemenza all'URSS di praticarla, è solo perché lo fa senza di lei - e contro di lei. D'altra parte, come può l'URSS teorica del socialismo nazionale erigersi a giudice dell'ortodossia mille volte calpestata di partiti fratelli?

Il comunismo non ha dunque nulla a che vedere con questi scontri di frontiera... ideologica. Dai giorni del trionfo del "socialismo in un solo paese" di marca staliniana (di quello Stalin che era pronto a dividersi la Cina fifty-fifty con gli USA all'indomani dell'ultima guerra imperialista, ma che i maoisti venerano nel profondo del cuore come il simbolo della costruzione di una grande nazione, della "rivoluzione culturale" in funzione dello stakhanovismo e dell'industrializzazione forzata), dai giorni lontani della liquidazione della vecchia guardia internazionale comunista, l'URSS non è più che il centro di un'accumulazione di capitale nazionale, una nazione come le altre che sottomette le "nazioni amiche" del blocco orientale ad uno sfruttamento economico e ad una dominazione militare che noi non esitiamo, come non abbiamo mai esitato, a chiamare imperialistici senza parentesi né aggettivi.

Se la repubblica popolare maoista si è liberata da questa morsa e ormai cammina da sola, non è per difendere i principi della rivoluzione comunista traditi dai partigiani del "socialismo in un solo paese", non è per ricostruire il movimento internazionale rivoluzionario, ma per fare in Cina la stessa cosa che i russi hanno fatto in Russia.

Partendo da ancor più lontano che la Russia appena uscita dallo zarismo in questa corsa sfrenata all'accumulazione di un capitale nazionale, la Cina può raggiungere il traguardo solo con gli stessi metodi (azione decisiva dello Stato per spremere fino all'ultima goccia di sudore al proletariato in via di sviluppo e alle schiere innumerevoli di contadini chiamati a fare una parte delle spese della costruzione accelerata di un'industria pesante e perfino nucleare) e nel pieno di terremoti sociali dello stesso ordine di grandezza.

Ecco la base economica e sociale, esclsuivamente borghese, dell'antagonismo russo-cinese; la lotta fra due Stati, fra due nazioni dagli interessi antagonistici inconciliabili proprio perché nazionali dall'una e dall'altra parte, gelose del proprio "sacro suolo" e dei propri "sacri confini" (la povera Unità e il suo povero Boffa si sono visti tirare le orecchie per avere timidamente - e gesuiticamente - accennato alla difficoltà di conciliare l'internazionalismo con la celebrazione della santità delle frontiere: se lo meritano, essi che levano alle stelle il tricolore nazionale, l'indipendenza della patria, l'autonomia del loro partito, il policentrismo ed altre belle filiazioni del "socialismo in un solo paese"!).

Se i parvenus russi del "socialismo" nazionale hanno reagito con un doppio giro di sorrisi in direzione dell'Occidente imperialista (come hanno clamorosamente ostentato con le visite degli ambasciatori "sovietici" ai governi occidentali, prima di tutto a Bonn (2), per informarli del... pericolo giallo all'orizzonte e della ferma volontà di Mosca di arginarlo), i cinesi hanno cercato di capitalizzare l'incidente esortando le masse a manifestare il loro patriottismo aumentando lo sforzo produttivo, e non lesinando a loro volta i sorrisi non solo alle scioviniste Romania e Jugoslavia in contrasto con l'URSS per questioni anch'esse nazionali (Pechino che si pavoneggia del suo antirevisionismo e tuttavia amoreggia nel fatto con i rappresentanti estremi del revisionismo, Ceausescu e Tito, ecco un bell'esempio di fedeltà al... programma marxista!), ma anche ai suoi partner commerciali dell'Occidente, finalmente convertitisi al riconoscimento della necessità e opportunità di stringere rapporti di scambio con l'Oriente "socialista".

Sulle rive dell'Ussuri come su quelle della Moldava, due nazionalismi si affrontano. Il proletariato rivoluzionario non ha confini e interessi nazionali da difendere. Esso è internazionalista, o non è nulla!

 


 

(1) L'articolo "E' scritto che i nazionalismi si sbranino" è stato pubblicato ne "il programma comunista1 n. 7 del 13 aprile 1969.

(2) All'epoca la Germania, vinta nella seconda guerra mondiale, era stata divisa dalle potenze vincitrici, in Germania Ovest (Repubblica federale tedesca) e Germania Est (Repubblica democratica tedesca). Berlino, vecchia capitale dell'impero tedesco e del III Reich, fu anch'essa divisa in due, Berlino Ovest e Berlino Est, dal famoso muro; l'Ovest era sottomesso all'occupazione militare alleata (USA, Inghilterra e Francia), l'Est all'occupazione militare russa.

Perciò la capitale della Germania Ovest era stata spostata a Bonn, mentre la capitale della Germania Est era Berlino est.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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