Guerra e crisi alimentare

(«il comunista»; N° 173 ; Aprile-Giugno 2022)

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Ogni guerra provoca, prima o poi, una crisi alimentare. Nel caso della guerra russo-ucraina attuale, l'allarme sulla crisi del grano, e dei cereali in generale, ha messo in fibrillazione tutti i governi del mondo. La Russia è il primo paese esportatore di grano al mondo, ma le sanzioni che la colpiscono non riguardano soltanto il gas e il petrolio ma anche tutte le altre esportazioni, dunque anche quella dei cereali. Anche l'Ucraina fa parte dei maggiori paesi produttori ed esportatori di grano, e hanno fatto molto scalpore i 20 milioni di tonnellate di grano bloccati nelle navi al porto di Odessa a causa della guerra.

L'esportazione di grano ucraino riguarda in particolare i paesi poveri, più deboli, e che non sono in grado di pagare gli alti prezzi a cui si vendono oggi i cereali. La legge capitalistica della domanda e dell'offerta prevede che un bene molto richiesto nei mercati, ma poco disponibile per le ragioni più varie (cattivi raccolti, difficoltà nel trasporto a causa di conflitti ecc.), sale inevitabilmente di prezzo. Lo si può acquistare soltanto pagando il prezzo più alto; chi non lo può pagare rimane senza. Nel caso del grano, come di tutti cereali e di tutti i prodotti alimentari di base, i prezzi molto più alti possono essere pagati soltanto dai paesi ricchi e comunque a spese della popolazione, in particolare del proletariato e dei suoi strati più poveri.

I primi 10 grandi produttori mondiali di grano (dati 2019) sono, in mln di tonn.: Cina (133.590), India (102.190), Russia (73.500), USA (52.258), Canada (32.350), Ucraina (29.000), Pakistan (25.600), Australia e Argentina (19.000 cad.), Iran (16.800). Ma essere grande produttore non significa automaticamente essere grande esportatore. Infatti Cina, India, Pakistan, Iran (rimanendo ai paesi sopra elencati) utilizzano il grano prodotto per il consumo interno e per rafforzare le proprie scorte, non per esportarlo. I primi 10 grandi esportatori mondiali di grano (dati 2019) sono, in mln di tonn.: Russia (35,8),  USA (27,29), Canada (22,06), Australia (21,98),Francia (15,22), Ucraina (17,31), Argentina (13,09), Germania (7,89), Romania (5,75) e Kazakhistan (4,25). Non tutti i paesi vendono il proprio grano allo stesso prezzo (che dipende dalla sua qualità, dalla sua disponibilità immediata, da quanti raccolti si fanno in un anno, dai costi di trasporto ecc.), ma aldilà del prezzo-base a cui il grano è stato venduto, questi sono i primi 10 paesi anche per valore in mln di dollari. Tenendo conto della produzione di grano per continente, e della sua quota in % sulle esportazioni mondiali, abbiamo questo quadro: Europa 34,4%, Nord America 27,1%, Asia 24%, Oceania 7,5%, Latino America 6,6% e Africa 0,1%.

Dunque Europa e Nord America - che rappresentano i paesi più industrializzati e ricchi - detengono il 61,5% delle esportazioni mondiali di grano. Considerando che i maggiori importatori di grano sono in particolare i paesi dell'Africa e dell'Asia, anche dal punto di vista dell'alimentazione del genere umano i paesi più industrializzati e imperialisti dominano sul mondo intero. Tra i maggiori importatori di grano troviamo (dati 2019), in mln di tonn.: Egitto (12,0), Indonesia (10,4), Algeria (7,9), Brasile (7,2), Bangladesh (5,9). Seguono i paesi dell'Europa dell'Est e la Turchia che acquista il grano dall'estero per produrre cibo e poi rivenderlo.

Il grano è indiscutibilmente uno dei motori del commercio alimentare mondiale e, per molti paesi, è talmente basilare che anche la minima variazione del suo prezzo, provoca proteste e sommosse mettendo in pericolo la stabilità dei loro governi. Basti ricordare le rivolte del pane nella Tunisia di Bourghiba, tra la fine di dicembre 1983 e l'inizio del 1984, la cui repressione provocò non  meno di 80 morti, o  la «guerra della semola», nell'Algeria di Bendjedid, nell'ottobre del 1988, repressa con i carriarmati e che fece , secondo i dati ufficiali, 162 morti; e  l'aumento del 400% del mais in Messico, nel 2007, che ha provocato la «rivolta delle tortillas», con decine di migliaia di manifestanti in tutte le città del paese, e che ha fatto intervenire il governo per abbattere gli aumenti; e di nuovo in Tunisia, tra il natale 2010 e il gennaio 2011, quando scoppiò la cosiddetta  «primavera araba», sommosse che hanno provocato non meno di 50 morti, con immediati riflessi in Algeria e in tutto il Medio oriente (1).

In pratica i prezzi dei cereali aumentano come aumentano tendenzialmente tutti i prezzi delle materie prime quando la loro produzione entra in crisi a causa di conflitti locali o più estesi tra gli Stati, l'aumento del consumo di carne anche in paesi in cui questa abitudine alimentare non era così esagerata (come in Cina, in Brasile o in Russia per non parlare degli USA), o a causa della crescente domanda, come dagli anni 2000 in avanti, di bioetanolo utilizzato come carburante alternativo per le automobili.

Ad esempio, negli Stati Uniti, il primo produttore mondiale di mais, un terzo delle coltivazioni di mais è destinato alla produzione di etanolo molto più redditizia di quella per consumo alimentare. E così, come sottolinea la worldsocialagenda, citata in nota, «Oltre ai 7 miliardi di persone che devono mangiare, si aggiunge un miliardo di automobili, milioni di aerei e navi,. macchinari ecc.». La legge del profitto capitalistico decide facilmente a chi dare la priorità: alle auto, agli aerei, alle navi, ai macchinari, insomma alle infrastrutture e a tutti quei mezzi di produzione e di consumo che comportano alti profitti; che poi, degli oltre 7 miliardi di abitanti del pianeta, più della metà sopravviva nella miseria più nera, per il capitale è un... danno collaterale. Collaterale al profitto capitalistico, naturalmente. In agricoltura, dunque, notoriamente molto meno sviluppata dell'industria, si assiste ad uno sviluppo paragonabile a quello industriale solo nei casi in cui questa produzione agricola fa concorrenza, in termini di redditivià degli investimenti, alla produzione alimentare specificamente umana.

Situazioni caotiche, come quelle appena accennate in questo articolo, riempiono la storia del capitalismo da sempre. Ma il capitalismo non le risolverà mai, anzi le renderà ancora più tragiche.

 


 

(1) Cfr. 7.1.2011, www. lastampa.it/ esteri/ 2011/ 01/ 07/ news/le-precedenti-rivolte-del-pane-in-algeria-e-tunisia-scheda.1.369822068/;  www. worldsocial agenda.org/ 3.2- Le-rivolte- del-pane;  www.ilgiornale.it/news/messico-scoppia-rivolta-delle-tortillas.html

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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