Brasile: 100 giorni di governo Lula al servizio del capitalismo

(«il comunista»; N° 177 ; Marzo-Maggio 2023)

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Luiz Inácio Lula da Silva, detto Lula, ha appena festeggiato i suoi primi cento giorni da presidente del Brasile con un viaggio in Cina accompagnato da un centinaio di capitalisti: riconnettendosi con questo Paese, è andato soprattutto a difendere gli interessi del capitalismo brasiliano, essendo la Cina il principale partner economico del Brasile davanti agli Stati Uniti.

L’elezione di Lula a un terzo mandato come presidente aveva ovviamente scatenato l’entusiasmo dei suoi sostenitori del PT (Partito del Lavoro); è stata salutata anche dalle forze di sinistra e di estrema sinistra in America Latina e nel resto del mondo come una grande vittoria per i lavoratori brasiliani e la sinistra nel mondo e persino un incoraggiamento per i lavoratori di altri paesi. Tuttavia, non occorre essere delle volpi per accorgersi che questa «storica vittoria» della «democrazia» sul «fascista» Bolsonaro, il presidente uscente, era una vittoria alquantorelativa: Lula ha vinto con uno scarsissimo margine (50,9% dei voti contro 49,1 %): nelle elezioni parlamentari che si sono svolte in contemporanea sono stati i «bolsonaristi» a vincere con il 16,5% dei voti (99 deputati), mentre la coalizione elettorale intorno al PT ha raccolto poco meno del 14% (80 deputati ). Lo stesso vale per le elezioni riguardanti i senatori e i governatori.

Ma soprattutto, era certo, che l’avvento al potere di Lula non avrebbe portato granché ai proletari; egli aveva scelto come vicepresidente Alckmin, una personalità politica dell’alta borghesia, cattolico reazionario, legato agli ambienti finanziari. Questa scelta non dipendeva dal caso; Lula è riuscito a vincere solo perché è riuscito a convincere i circoli capitalisti più influenti, delusi dal mandato di Bolsonaro, che era in grado di difendere al meglio i loro interessi e quelli del capitalismo brasiliano in generale, sia a livello nazionale che internazionale. Ha moltiplicato le sue mosse nei confronti del settore agroindustriale (opposizione all’occupazione di terre da parte dei contadini senza terra ecc.) (1), che è uno dei più forti sostenitori di Bolsonaro, dei circoli religiosi (in particolare contrari all’aborto e a ogni cambiamento della legge che lo proibisce) e dell’esercito. I disordini dell’8 gennaio, quando bande di sostenitori dell’ex presidente di estrema destra hanno assaltato diversi edifici ufficiali della capitale Brasilia con la complicità di alcuni corpi delle forze dell’ordine, hanno dimostrato, qualora fosse stato necessario, che la borghesia nel suo insieme e le istituzioni statali non vedono una minaccia nell’ascesa di Lula alla presidenza; anche i bolsonaristi eletti, per la maggior parte, hanno condannatoqueste rivolte in stile Trump.

Lula godeva di un forte favore negli ambienti popolari grazie alle misure sociali prese durante i suoi precedenti mandati, misure che Bolsonaro aveva rimosso o ridotto a causa del loro costo per le finanze pubbliche. Queste misure concesse alle masse povere erano in realtà solo briciole del boom economico dell’epoca; la condizione economica del Brasile oggi è molto diversa: in una situazione di crisi internazionale Lula si è impegnato con gli ambienti finanziari a spendere il meno possibile sul piano sociale; il suo governo ha indubbiamente ripristinato la «bolsa familia» (assegni familiari, in particolare per i bambini sotto i 6 anni) per quasi 22 milioni di famiglie, e aumentato il salario minimo. Ma queste misure sono poco più che polvere negli occhi: il salario minimo è stato aumentato dell’1,3% mentre l’inflazione è ufficialmente al 6% e gli assegni familiari da cento dollari non potranno far fronte al tasso di povertà esploso durante l'epidemia di Covid-19 (50 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno) facendo ricomparire lo spettro della fame: più di 33 milioni di persone non avrebbero abbastanza da mangiare e il 59% della popolazione non mangerebbe regolarmente!

Il governo Lula ha risposto a questa situazione… rifondando il CONSEA (Consiglio nazionale per la sovranità alimentare e nutrizionale), un organo consultivo incaricato di monitorare la questione… Inoltre, il governo si è rifiutato di annullare le «riforme» antioperaie e antisociali del codice del lavoro e della previdenza sociale varate sotto Bolsonaro.

 

NÉ BOLSONARO NÉ LULA!

 

I proletari brasiliani non possono quindi aspettarsi nulla da Lula e dal suo governo, perché sono al servizio dei capitalisti – i due ministri «di sinistra» del Partito Comunista (PC do B) e del PSOL (Partito Socialismo e Libertà, di cui fanno parte diverse correnti trotskiste) sono piazzati lì solo per cercare di nascondere l'orientamento interamente filo-capitalista di questo governo. Né possono aspettarsi nulla dai sindacati collaborazionisti come il CUT, legato al governo, che ha appena sabotato uno sciopero selvaggio di oltre 4.000 lavoratori della manutenzione alla la raffineria Petrobras di Canoas.

Nelle inevitabili lotte che li attendono, i proletari dovranno guardarsi anche da tutti i falsi amici che li hanno chiamati a sostenere Lula, in nome della lotta contro Bolsonaro, e che domani cercheranno ancora di ingannarli. Attingendo alle loro tradizioni di lotta, dovranno trovare la via della lotta indipendente di classe contro i capitalisti e i loro governi che, indipendentemente dal colore politico, amministrano lo Stato borghese che deve invece essere abbattuto. Cosa che non può avvenire dall’oggi al domani, nonostante le molte difficoltà da superare su questa strada, ma non c’è altra alternativa.

 


 

(1) Il 30 marzo, il suo ministro dell’Agricoltura, Carlos Favaro (un uomo d’affari agroalimentare), ha condannato le recenti occupazioni delle terre da parte del MST (Movimento dei lavoratori senza terra, legato al PT) dichiarandole atti «abominevoli».

 

 

Partito Comunista Internazionale

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