Nella continuità del lavoro collettivo di partito guidato dalla bussola marxista nella preparazione del partito comunista rivoluzionario di domani (3)

(Rapporti alla riunione generale di Milano del 17-18 dicembre 2022)

(«il comunista»; N° 178 ; Giugno-Agosto 2023)

Ritorne indice

 

Sulla guerra civile in Spagna

Il movimento proletario industriale

(continua da numero precedente)

 

 

La riunione generale che si è svolta a Milano, lo scorso 10-11 giugno, ha visto la partecipazione dei compagni di Francia, Svizzera, Italia; non hanno potuto partecipare per improvvisi problemi familiari i compagni dalla Spagna e da Napoli; erano presenti anche i compagni della Repubblica Ceca e i giovani compagni di Trento. I compagni hanno espresso grande partecipazione alla riunione ricavandone molti stimoli per continuare nell’impegnativa attività di partito nonostante le poche forze che lo costituiscono.  

Il rapporto iniziale è stato dedicato al Movimento di lotta in Francia contro la riforma delle pensioni nel quale si sono messe in risalto l’ampiezza e la spinta combattiva del movimento proletario, ma anche le sue inevitabili debolezze dovute in particolare all’influenza ancora notevole del collaborazionismo dei sindacati ufficiali e al loro sabotaggio sistematico del movimento di lotta. Un articolo di bilancio di questo movimento è presente in questo numero del giornale ed introduce, nello stesso tempo, la brochure che i compagni francesi hanno pubblicato nel giugno scorso (Bilan de la lutte contre la «réforme» des retraites), presente nel sito di partito. E’ seguito il tema di cui era incaricato il compagno spagnolo sull’Insurrezione del 1934 e sull’unità operaia, che è stato in ogni caso tenuto da parte di un altro compagno grazie al rapporto scritto che il relatore aveva inviato in precedenza, e che qui di seguito pubblichiamo. Si è tenuto poi il terzo rapporto sulla Guerra russo-ucraina e i «piani di pace», previsto nell’ambito della trattazione sul Corso dell’imperialismo mondiale. Il testo di questo rapporto è presente anch’esso in altra parte di questo stesso giornale.

 

 

Intermezzo

L’insurrezione del 1934 e l’unità operaia

 

Dedicheremo il nostro intervento in questa RG alla questione della cosiddetta “rivoluzione di ottobre del 1934” e al processo catalizzatore, nei periodi immediatamente precedenti e successivo ad essa, di questo “processo di unità” tra diverse correnti politiche e sindacali.

Nella nostra precedente relazione, già pubblicata in italiano, avevamo affrontato solo superficialmente questo lavoro e, data l’importanza del tema, abbiamo ritenuto necessario dedicargli un po’ più di spazio e, soprattutto, affrontarlo non come una specie di anniversario del movimento operaio in Spagna ma di farlo sottolineando il vero significato che esso ebbe per la classe proletaria spagnola.

A tal proposito abbiamo già detto, nell’articolo che gli abbiamo dedicato nell’80° anniversario dell’insurrezione (vedi A 80 años de la insurrección proletaria de 1934 in El proletario n. 6, marzo 2015), che questo evento ha significato il punto più alto raggiunto dal proletariato spagnolo, in termini di capacità di lotta indipendente, nella sua predisposizione rivoluzionaria, durante i tortuosi anni ‘30. L’ottobre 1934 non fu solo un lampo che illuminò un’Europa in cui, in quel momento, il proletariato sembrava aver completamente abbandonato il campo di battaglia, ma segnò anche il limite a cui la classe proletaria spagnola fu capace di arrivare nel suo confronto con la borghesia. Sconfitta l’insurrezione, i proletari non avrebbero mai più, neppure durante le giornate di luglio del 1936, lottato apertamente per i loro interessi di classe. Ciò non significa che con la sconfitta dei proletari asturiani (quelli che hanno partecipato più vigorosamente alle giornate di ottobre) ogni possibilità di azione proletaria sarebbe stata completamente liquidata. Gli eventi del luglio 1936 dimostrano che così non era. Quello che è successo è che dopo l’ottobre 1934 la classe proletaria è stata completamente in balia della piccola e grande borghesia repubblicana, subordinando la propria indipendenza politica al programma antifascista del Fronte Popolare prima e al governo di parte repubblicana dopo la rivolta militare.

Per questo è importante studiare gli eventi dell’ottobre 1934 come un picco in cui si manifestò la massima tensione di classe raggiunta dal proletariato spagnolo: in precedenza, l’accumularsi delle forze da parte proletaria non permetteva ancora di dare per scontata la sua sconfitta; successivamente, tutte le correnti situate alla sinistra del PCE e del PSOE e che avevano qualche radicamento nazionale, cedettero ai canti delle sirene dell’unità, della difesa della Repubblica ecc. Anche le correnti della cosiddetta Sinistra Comunista Spagnola, direttamente legate a Trotsky, cedettero alla generale tendenza ad abbassare le proprie posizioni di fronte alla corrente unitaria, dando vita al POUM, sulla cui fondazione diremo qualcosa in questo testo.

Il processo di progressivo accumulo della tensione sociale e di crescita della volontà di lotta proletaria iniziò con l’attenuarsi dell’illusione democratica e repubblicana con cui la borghesia spagnola era riuscita a uscire dalla grande crisi politica e sociale della fine degli anni Venti. Come è noto, dopo il periodo di dittatura del generale Miguel Primo de Rivera, il regime monarchico fu praticamente incapace di trovare una forma di governo in grado di garantire i delicati equilibri sociali che la dittatura era riuscita a mantenere. In questa situazione, furono proprio i rappresentanti dell’oligarchia e della piccola borghesia, molti dei quali direttamente legati alla monarchia, a non vedere altra via d’uscita che la proclamazione della repubblica, dando il via libera ai partiti che per due decenni avevano sbandierato questa esigenza. Questi partiti, eredi di una lunga ma sterile tradizione di agitazione tra gli strati popolari delle grandi città, trovarono nella rivitalizzazione della famosa coalizione repubblicano-socialista un modo per influenzare direttamente le masse proletarie. Si parla di rivitalizzazione perché, come è noto, il Partito socialista abbandonò i compiti repubblicani quando accettò di collaborare con la dittatura di Primo de Rivera: solo dopo la sua caduta e di fronte all’aumento della tensione sociale, il PSOE tornò a quei compiti. In ogni caso, la nuova piattaforma repubblicana, organizzata attorno al Patto di San Sebastián tra il PSOE e diversi tipi di partiti repubblicani con la collaborazione della CNT, non è riuscita a determinare la caduta della monarchia. Il pronunciamento militare del 1930 (l’insurrezione di Jaca) fallì a causa della paralisi del PSOE, che si rifiutò di imporre lo sciopero generale quando l’esercito repubblicano era già insorto...

In questa situazione si raggiunse un grande accordo che comprese anche gli elementi politici tradizionalmente legati alla destra per forzare la caduta del regime di Alfonso XIII. Questo e non altro fu il motivo per cui furono usate, come pretesto, alcune elezioni municipali, che non furono neppure vinte dai repubblicani in tutto il paese, per formalizzare la caduta della monarchia con l’andata in esilio del re. Per decenni gli storici nazionali hanno parlato dello scarso sostegno che ebbe la II Repubblica al momento della sua proclamazione. Ed è vero: ebbe pochi consensi, ma quei pochi che ebbe furono indispensabili per raggiungere il duplice obiettivo di porre fine alla vecchia forma di Stato e al tempo stesso di illudere le masse proletarie con il nuovo regime repubblicano.

Secondo la visione di Trotsky e della sua corrente, la costituzione della Repubblica nel 1931 segnò l’inizio, l’apertura, della “rivoluzione spagnola”. Riportiamo di seguito il suo articolo La rivoluzione spagnola: un’ulteriore scadenza, pubblicato in La verité del 12 dicembre 1931.

 

«La rivoluzione spagnola ha creato le premesse politiche necessarie per una lotta immediata del proletariato per la conquista del potere. La tradizione sindacalista del proletariato spagnolo si è manifestata come uno dei grandi ostacoli allo sviluppo della rivoluzione spagnola. Gli eventi hanno colto di sorpresa l’Internazionale Comunista. Totalmente incapace all’inizio della rivoluzione, il partito comunista ha perseguito una falsa politica su quasi tutte le questioni fondamentali. Ricordiamo ancora una volta che l’esperienza spagnola ha mostrato che l’attuale direzione dell’Internazionale Comunista è un terribile strumento di disorganizzazione dell’avanguardia rivoluzionaria nei paesi avanzati. Il ritardo dell’avanguardia proletaria rispetto agli eventi; la dispersione, nel senso politico del termine, delle lotte eroiche delle masse lavoratrici; i patti tacitamente sottoscritti tra gli anarcosindacalisti e la socialdemocrazia costituiscono, in sostanza, le condizioni politiche che hanno consentito alla borghesia repubblicana, alleata con la socialdemocrazia, di rifondare l’apparato repressivo e di concentrare un potere considerevole nel governo, colpendo sempre più forte le masse lavoratrici, che erano sul punto di sollevarsi.

Ciò dimostra che il fascismo non è l’unica via d’uscita della borghesia nella sua lotta contro le masse operaie. L’attuale regime spagnolo assomiglia al cosiddetto “kerenskismo”, cioè all’”Ultimo” (o penultimo) governo della “sinistra” che la borghesia schiera nella sua lotta contro la rivoluzione. Tuttavia, l’esistenza di un tale governo non dimostra necessariamente la debolezza delle file del proletariato. In assenza di un partito rivoluzionario, la combinazione di mezze riforme, proclami “di sinistra”, gesti ancora più “di sinistra” e repressione può essere utile alla borghesia più del fascismo stesso.

Inutile dire che la rivoluzione spagnola non è ancora finita. Non è ancora riuscita a risolvere nemmeno i problemi più elementari, la questione agraria, la Chiesa, il problema delle nazionalità, ed è ancora molto lontana dall’aver esaurito l’energia rivoluzionaria delle masse popolari. La rivoluzione borghese non può dare di più così. Per quanto riguarda la rivoluzione proletaria, si può solo dire che la situazione è prerivoluzionaria, niente di più. È molto probabile che il progressivo sviluppo della rivoluzione spagnola non superi questo periodo per un tempo più o meno lungo. Per questo il processo storico, in qualche modo, apre un nuovo credito al comunismo spagnolo.»

 

Non è questo il momento di entrare nelle immense differenze che separano le posizioni storiche della Sinistra comunista d’Italia da quelle del rivoluzionario russo, nemmeno sul terreno concreto della situazione vissuta in Spagna all’inizio degli anni Trenta. Ma è necessario concordare con Trotsky su un punto spesso ignorato: l’agitazione che dilaga tra i proletari dopo l’instaurazione della II Repubblica e che si concretizza in scioperi, occupazioni di terre, scontri con le forze armate ecc. ruppe il quadro della transizione “morbida” che la piccola borghesia repubblicana e il Partito socialista volevano realizzare. Il periodo dal 1931 al 1934 non può essere considerato, ovviamente, una rivoluzione, ma piuttosto un aumento esponenziale delle forze rivoluzionarie della classe proletaria. Nella visione trotskista, questo processo ha assunto la forma di una rivoluzione di tipo democratico, diretta contro i residui feudali nelle campagne, contro il potere dilagante della Chiesa, per la libertà delle nazionalità oppresse ecc. Ma al di là di questo tentativo di trasporre automaticamente lo schema russo del febbraio 1917 al caso spagnolo, la verità è che tutti questi elementi, caratteristici della debolezza storica del capitalismo spagnolo ancora oggi, hanno agito da stimolo per inasprire ancora di più la situazione. In Spagna, nel 1931, non c’era nessuna rivoluzione democratica borghese in sospeso, né compiti democratici da assumere da parte del proletariato rivoluzionario paragonabili a quelli svolti dai bolscevichi nel 1917, ma, quando arrivò la Repubblica, le forze che rimasero addormentate dietro questo peso morto del passato, i braccianti delle campagne, la piccola borghesia catalana, le classi popolari delle città con un maggior peso commerciale che soccombevano sotto il dominio religioso del cattolicesimo ecc. costituirono uno stimolo che unì la forza crescente del proletariato della città e delle campagne per mantenere il nuovo regime in una situazione di squilibrio permanente.

Le insurrezioni dei proletari di Casas Viejas (Siviglia), Bajo Llobregat (Catalogna) o La Rioja, tutte avvenute in un periodo di due anni, furono un segno non solo della tensione sociale accumulata, ma anche della disposizione di alcuni settori del proletariato ad aderire a qualsiasi genere di avventura armata del tipo organizzato dagli anarchici del FAI.

Ma questa crescente tensione, al di là delle rivolte appena ricordate, si manifestò sotto forma di continui scioperi come quello di Telefónica, che nel 1931 provocarono la morte di 20 operai, o gli scioperi generali di Cadice e Vitoria, in ottobre e dicembre dello stesso anno. In particolare nelle Asturie, i movimenti di sciopero hanno acquisito un’importanza inusitata. Le grandi concentrazioni minerarie e di fabbriche metallurgiche, l’esistenza di un porto industriale come Gijón ecc. avevano creato un proletariato industriale altamente organizzato che, nel periodo dal 1931 al 1934, aveva trasformato la regione asturiana in una polveriera in cui scoppiavano conflitti per qualsiasi motivo. Nell’anno cruciale del 1934, la stessa UGT (maggioritaria nella regione attraverso il sindacato minerario SOMA) riconobbe che, una volta iniziato uno sciopero, di solito per un piccolo problema, non era in grado di riportare gli operai al lavoro.

Questa conflittualità non si è manifestata solo sul terreno dello scontro diretto, immediato tra proletari e borghesi. Non fu solo un lungo periodo di lotte e scioperi, ma insieme a questi scontri assunse grande importanza la variabile organizzativa. In effetti, questo punto è particolarmente importante in quanto il problema dell’insurrezione del 1934, momento culminante di questo momento storico, è stato solitamente presentato come una conseguenza della tendenza all’unità che da diverse organizzazioni proletarie aveva prevalso sulla consueta frammentazione in due correnti sindacali e politiche, quella propriamente sindacalista con a capo la CNT e quella socialista del PSOE e dell’UGT. E senza dubbio questa tendenza all’unità è esistita ed è stata proprio lì che ha avuto più forza, nelle Asturie, dove ha avuto più forza l’insurrezione di ottobre. Ma conviene considerarla nei suoi giusti termini perché la parola d’ordine di unità non giustifichi l’adesione di tutte le forze politiche e sindacali, dopo il 1934, alla disastrosa politica del Fronte Popolare proposta dall’Internazionale degenerata di Stalin.

Come abbiamo spiegato nella parte precedente di questo lavoro, dopo la caduta della dittatura di Primo de Rivera ci fu una rivitalizzazione delle tradizionali forze sindacali del proletariato spagnolo. Da parte della CNT, che era praticamente scomparsa per l’azione combinata della repressione governativa e padronale e per l’abbandono degli stessi militanti anarchici, i sindacati riaprirono rapidamente le porte dopo l’arrivo della Repubblica e si riempirono nuovamente di ampi settori proletari che, in Catalogna, a Saragozza o a Madrid, hanno raccolto la parte dei lavoratori che pativa le peggiori condizioni di esistenza, molti dei quali si erano appena stabiliti in città negli anni precedenti e che si sono sentiti subito spinti a combattere dall’azione devastatrice della crisi economica del 1929, dalla disoccupazione e dalla fame.

La fortissima crescita della CNT dal 1931, promossa da un proletariato estremamente combattivo e disposto a seguire i settori più duri dell’anarchismo militante sindacale, portò con sé lo scontro fra due correnti che si contendevano il controllo del sindacato. La prima di queste, quella che proveniva dagli anni durissimi della dittatura di Primo de Rivera e che, durante l’interregno tra questa e l’instaurazione della Repubblica, giunse a patti con le piattaforme repubblicane e il PSOE per accelerare la caduta della monarchia. Una volta avvenuto il cambio di regime, questa corrente prese posizioni riformiste e conciliatrici, soprattutto con uno Stato che considerava un progresso rispetto al precedente. La seconda, una corrente anarchica più radicale nelle sue forme, favorevole a mantenere uno scontro continuo con il padronato e lo Stato repubblicano. Essa proveniva dai vecchi gruppi di azione armata degli anni ‘20 e riuscì a incanalare l’ondata che stava emergendo nella CNT verso il famoso susseguirsi di insurrezioni e rivolte armate del 1931, 1932 e 1933.

Lo scontro tra le due correnti fu inevitabile e portò all’uscita dei settori considerati riformisti, che fondarono una propria confederazione sindacale, la Federación Sindicalista Libertaria (chiamata anche Sindacati di opposizione), presente soprattutto in Catalogna. Per decenni il mito di un proletariato spagnolo anarchico e di una CNT rivoluzionaria dalla testa ai piedi ha deliberatamente ignorato il fatto che dal 1933 in poi la principale roccaforte di questo sindacato, la Catalogna, ha visto svilupparsi “un altro” movimento sindacalista libertario che, pur non arrivando a raggiungere la CNT per numero e influenza, arrivò comunque ad avere un’influenza decisiva tra i proletari della regione. Di ciò bisogna tener conto per comprendere che la frammentazione della classe proletaria in termini organizzativi è stata, in conseguenza sia di politiche avventuriste che riformiste, molto grande: la spinta della forza proletaria è stata soffocata, una volta passato il momento di massima combattività spontanea, da una divisione che, anche sul terreno della lotta immediata, ha stremato gli operai di tutte le correnti.

Da un altro lato, a parte il sindacalismo libertario della CNT e simili, l’altra grande forza presente nel proletariato era la coppia PSOE-UGT. Come è noto, entrambi hanno partecipato, guidati da Largo Caballero, alla dittatura di Primo de Rivera, utilizzando tutte le risorse a loro disposizione, compresa la repressione poliziesca e militare, per reprimere i proletari legati alla CNT. Una volta arrivata la Repubblica, il governo ricadde nella combinazione repubblicano-socialista che il PSOE e l’UGT avevano formato a partire dal 1909. I primi due anni del nuovo regime - gli anni in cui si sviluppò la legislazione sociale e del lavoro antioperaia che caratterizzò la Repubblica e che il regime franchista mantenne, anni dopo, parzialmente intatto ma anche gli anni della repressione contro i proletari di Siviglia o di Casas Viejas - riportarono al governo il PSOE.

Per quanto riguarda la base operaia del PSOE e dell’UGT, questa risiedeva principalmente tra i settori minerari delle Asturie, dove SOMA attuava una politica di scontro con i padroni molto più dura di quella attuata nel resto del sindacato, tra il giovane proletariato della metallurgia basca e in alcuni settori di lavoratori di Madrid, come tipografi, muratori ecc. Dal punto di vista sindacale, la corrente socialista propugnava il rifiuto degli scioperi (anche parziali, di una sola azienda) e promuoveva sistemi di prevenzione sociale come l’assicurazione contro la disoccupazione ecc. Solo che, come già detto, in regioni come le Asturie la situazione era diversa. In Catalogna, l’altra grande regione industriale del paese, l’UGT e il PSOE non hanno mai acquisito una forza significativa proprio perché sono stati la CNT e i suoi dirigenti anarchici a rispondere meglio alle esigenze del proletariato locale.

Va però notato che nel periodo dal 1931 al 1934, e soprattutto tra i lavoratori agricoli, la politica insurrezionale della CNT, che provocò decine di morti e centinaia di arresti senza che le lotte andassero oltre una sommossa rapidamente sconfitta, condusse molti lavoratori giornalieri ad entrare a far parte della Federación de la Tierra dell’UGT, che svolse un ruolo particolarmente importante negli anni successivi.

Insieme a CNT e a PSOE-UGT è necessario aggiungere una terza corrente. Questa è la Federación Catalano-Balear (Federazione catalano-balearia), matrice del Blocco dei lavoratori e degli agricoltori (Bloque Obrero y Campesino, BOC) da cui finì per essere indistinguibile e con il cui nome è conosciuta. Si tratta di una scissione del PCE causata dalla debacle del Partito durante gli anni della dittatura di Primo de Rivera (debacle dalla quale non uscì fino al 1936 quando fu imposta la politica dei Fronti Popolari). Come è noto, il suo leader fu Joaquín Maurín e le sue posizioni sono un misto di socialismo alla maniera della III Internazionale stalinizzata e di nazionalismo catalano. Sua è, ad esempio, la definizione di “rivoluzione democratico-socialista” per definire il periodo apertosi nel 1931, la difesa della “rivoluzione nazionale” in Catalogna, nei Paesi Baschi... e anche in Andalusia ecc. Questa corrente, nonostante il suo scarso radicamento, praticamente limitato alla Catalogna e ad alcune zone come Madrid o le Asturie, ebbe grande importanza negli anni successivi sia per il suo ruolo nella formazione delle alleanze operaie del 1933 sia per la sua successiva fusione con la Sinistra Comunista di Nin per formare il POUM.

È comune affermare, come detto sopra, che fu la tendenza all’unità di queste correnti politiche e sindacali a dare origine all’insurrezione del 1934. Si dice che, nello specifico, fu la creazione delle Alleanze Operaie (AO), un’organizzazione che in momenti diversi avrebbe unito tutte queste organizzazioni in una piattaforma comune di lotta, e che avrebbe reso possibile il movimento rivoluzionario. Questo non è vero perché le Alleanze non furono un organismo rimasto immutabile, nonostante la sua breve vita, e quindi non poterono essere il veicolo dell’insurrezione, ma per comprendere correttamente il peso reale e politicamente sano assunto da questa tendenza all’unità proletaria, è necessario riferirsi alle Alleanze come manifestazione almeno formale di questa tendenza.

Nel 1933-34 convergono diversi fatti. Sul piano internazionale, l’ascesa al potere di Hitler, passando sulla testa di un proletariato tedesco che storicamente è stato il referente politico e organizzativo dei proletari di tutto il mondo, oltre al golpe di Dolluss in Austria. Questi due avvenimenti allertarono gli elementi più pronti del proletariato spagnolo che videro molto vicina la minaccia di una dura controrivoluzione in Spagna. Sul piano interno, la politica di palestra rivoluzionaria con la quale i vertici anarchici della CNT intendevano destabilizzare la Repubblica per arrivare al trionfo del loro comunismo libertario, si dimostrò un fallimento incapace non solo di raggiungere il loro obiettivo ma anche di frenare i settori più reazionari della borghesia spagnola.

Questi ultimi, da parte loro, una volta superato l’impasse dell’instaurazione della Repubblica, si riorganizzarono politicamente. Da un lato, i tradizionali settori della reazione, la Chiesa e i monarchici si riorganizzarono insieme alla destra di tipo “accidentalista” (sostenitori del rispetto della Repubblica come terreno di gioco politico) per formare una grande coalizione parlamentare (la Confederazione spagnola delle Destre autonome-CEDA) per incanalare la tensione accumulata da borghesia e piccola borghesia negli anni precedenti. Dall’altro lato, i settori più duri di questa corrente reazionaria si organizzarono in una sorta di riproduzione del Partito Nazionale Fascista italiano chiamato Falange Spagnola e cercarono di riprodurre un movimento simile a quello di Mussolini. Nonostante la loro forza limitata, sia la corrente parlamentare che la Falange rappresentarono il migliore sforzo possibile da parte della borghesia conservatrice per annientare il movimento operaio combattendo la Repubblica che, non servendo da muro di contenimento del movimento operaio, consideravano inutile. Per questa corrente, il 1934 fu anche l’anno chiave.

Di fronte a questa situazione (ascesa di Hitler, esaurimento della “via insurrezionale” anarchica e formazione di un movimento reazionario all’interno della borghesia), le Alleanze Operaie apparvero come un tentativo del Blocco Operaio e Contadino di rilanciare il Fronte Unico politico del III Congresso dell’IC e arrivare con esso a unire le forze proletarie disperse. L’Alleanza Operaia era composta, in un primo momento, dalla BOC, dai sindacati di opposizione alla CNT, dall’Unió de Rabassaires (organizzazione dei piccoli proprietari agricoli della Catalogna), dal PSOE e dall’Unione dei Socialisti della Catalogna (una piccola corrente che faceva parte del governo locale della Generalitat di Catalogna). All’inizio era limitata alle aree della Catalogna dove queste correnti erano presenti e i loro sforzi assunsero un marcato carattere sindacale. Così, le Alleanze sono nate dal Fronte Unico dei disoccupati che si mobilitò nella città di Barcellona contro la disoccupazione forzata che migliaia di proletari subivano come conseguenza della crisi economica e del boicottaggio che l’alta borghesia operava, ritirando i propri investimenti, alla Repubblica. Fu da questa mobilitazione che nacquero i legami organizzativi che resero possibile la successiva formazione delle Alleanze come entità permanente nel tempo. Successivamente, le Alleanze furono protagoniste di due grandi lotte in Catalogna. In primo luogo attraverso il Fronte Unico di Luz y Fuerza, che mobilitò i lavoratori di tutte le organizzazioni sindacali che lavoravano nel settore dell’elettricità (protagonista nel 1919 del famoso sciopero che ottenne la giornata lavorativa di 8 ore, ma molto disorganizzato in termini sindacali nel 1933), che ottenne un consistente aumento salariale con la semplice minaccia di uno sciopero unitario. In secondo luogo, attraverso lo sciopero del settore commerciale, cioè dei cosiddetti “colletti bianchi”, settore praticamente non sindacalizzato e da cui le correnti repubblicane traevano buona parte della loro forza politica. Ancora una volta la vittoria, questa volta attraverso uno sciopero, andò alle Alianzas Obreras, che consolidarono così una certa influenza tra i settori proletari non affiliati alla CNT.

Se si tirano in ballo questi fatti, che oggi possono sembrare a prima vista irrilevanti rispetto all’ampiezza degli avvenimenti che si sono svolti pochi mesi dopo in tutto il Paese, è perché questo modello di organizzazione del Fronte Unico (e non esclusivamente proletario) ha rappresentato uno scossone scatenando una corrente di opinione favorevole all’unità operaia in diverse regioni e settori. Non intendiamo dire, come talvolta fa una storiografia troppo compiacente con il POUM e la BOC (il suo più immediato antecedente) che queste prime Alleanze Operaie siano state all’origine dell’insurrezione del 1934, ma nemmeno si può negare il loro ruolo di esempio che, soprattutto nelle Asturie, ha avuto un peso rilevante.

Dopo questa prima fase, che durò fino al 1933, le Alleanze ottennero l’appoggio del Partito Socialista a livello nazionale. Il PSOE cercava di trasformare le Alleanze in una sorta di base proletaria oltre l’UGT che gli permettesse di guardare nuovamente al potere perso dopo le elezioni del 1933. Per questo impose la fine della dinamica delle rivendicazioni parziali e degli scioperi locali che erano stati al centro delle Alleanze in Catalogna e stabilì di trasformarle in un organo dedicato esclusivamente alla preparazione dell’insurrezione. Questa corrisponde alla seconda fase della vita delle Alleanze. Dopo che il BOC, i sindacati di opposizione ecc. cercarono l’adesione del PSOE su scala nazionale, questo riuscì a dominare completamente le Alleanze, imponendo la sua forza organizzativa e disciplinando il resto delle organizzazioni sia a livello sindacale che politico. Con ciò, le Alleanze hanno mostrato il corso necessario e inevitabile della politica del Fronte Unico politico: portare il proletariato sotto il controllo delle forze opportuniste. Evidentemente nel caso spagnolo non c’era nemmeno un Partito Comunista politicamente capace di esercitare le funzioni che l’IC di Lenin gli aveva assegnato, ma in ogni caso questo non fa che mostrare più chiaramente le vere conseguenze di questa politica.

Chiaramente, l’obiettivo del PSOE all’interno delle Alleanze non è mai stato quello di utilizzarle come organo di combattimento insurrezionale, ma di limitarle ad essere un’espressione della sua forza nelle strade come riflesso della sua posizione parlamentare: in un momento in cui, come si è detto, le correnti reazionarie della borghesia stavano facendo un passo avanti, il PSOE pensò di poter utilizzare il prestigio raggiunto con l’idea di “unità operaia” per mobilitare i proletari che non erano direttamente sotto la sua influenza. In questo modo, il PSOE ha incoraggiato verbalmente l’idea di un’insurrezione, arrivando anche a fingere di essere disposto a guidarla, per frenare le correnti di destra. Ciò ha portato ad un aumento della pressione tra le basi proletarie, sia da parte del PSOE che del resto delle organizzazioni, che sono state quelle che avevano portato la parola d’ordine dell’unità sul terreno reale del confronto con i padroni e lo Stato.

Di questa situazione approfittarono le forze controrivoluzionarie, che cercavano la legittimazione necessaria per compiere un golpe e trasformare la Repubblica in un qualche tipo di governo autoritario, sicuramente più simile a quello di Salazar in Portogallo che a quello di Mussolini o di Hitler, date le condizioni del paese, ma comunque capace di disporre di tutte le forze necessarie per schiacciare il proletariato senza le limitazioni che il modello repubblicano esigeva. Mentre il PSOE minacciava di “dichiarare la rivoluzione” quando l’estrema destra della CEDA (vincitrice delle elezioni del 1933) sarebbe entrata al governo, la stessa CEDA, che guidava la borghesia più reazionaria, vide l’occasione perfetta per il suo rilancio: entrare al governo avrebbe significato scegliere il momento esatto in cui i proletari si sarebbero lanciati nel combattimento e, con esso, la capacità di preparare quel momento nelle condizioni più vantaggiose per essa.

Questa fu, infatti, l’origine dell’insurrezione del 1934: una manovra dell’estrema destra per sconfiggere in campo aperto il proletariato e imporre i termini di resa che la Repubblica, in due anni di scioperi e tumulti, non aveva saputo fare.

Sul versante proletario, al di là delle manovre del PSOE e dell’inerzia della CNT, gravemente danneggiata dalle sue avventure insurrezionali, l’unità di classe di cui parlavano tutte le correnti politiche si è realizzata solo, e in parte, nelle Asturie. Solo qui le Alleanze Operaie, che partivano dal substrato di una vasta mobilitazione operaia non indebolita dai moti insurrezionali del 1932-1933, avvenuti direttamente nelle fabbriche e nelle miniere, con un proletariato molto più concentrato che in Catalogna e, naturalmente, che a Madrid, hanno avuto un certo successo. Questo aspetto dev’essere ben capito: le Alleanze Operaie non sono mai state altro che un accordo tra i vertici della burocrazia sindacale. Lo furono in Catalogna, dove rafforzarono la divisione sindacale creando una sorta di sindacato alternativo alla CNT, lo furono a Madrid, dove il PSOE le ha utilizzate per gli scopi citati, e lo furono anche nelle Asturie. La differenza in questa regione stava proprio nel fatto che questa immensa forza proletaria (le Asturie furono la regione d’Europa con il maggior numero di scioperi nel periodo dal 1931 al 1933) costrinse i vertici sindacali a cedere alle richieste di maggiore mobilitazione, maggiore fermezza ecc. È significativo, è utile sottolinearlo sempre, che in questa regione si sia realizzata, a differenza di quanto avvenuto nel resto del paese, l’unione tra CNT e UGT; un’unione aiutata indubbiamente per la scarsa presenza degli anarchici della FAI, ma soprattutto per le condizioni di vita e di lavoro del proletariato asturiano appena descritte.

Gli eventi del 1934 sono ben noti. In ottobre, dopo una radiosa estate di mobilitazioni operaie e con un’atmosfera prerivoluzionaria in tutto il paese, il governo radicale di Lerroux ha permesso alla CEDA di entrare nel governo. Immediatamente il PSOE (e le Alleanze Operaie) “decretano” la rivoluzione. Scoppiano piccoli scioperi in tutto il Paese, alcuni armati, che il governo reprime senza difficoltà. A Madrid, l’organo direttivo dell’insurrezione controllato dal PSOE, si nasconde, si rifiuta di dare ordini e aspetta solo di essere trovato e arrestato per dare come conclusa la sua missione. In Catalogna, le Alleanze Operaie dichiarano uno sciopero generale e cercano di controllare con le armi in pugno alcuni paesi e città. La CNT non aderisce alla dichiarazione di sciopero. Il governo della Generalitat, guidato dalla ERC, dichiara l’indipendenza della Catalogna mentre reprime i lavoratori nelle strade. Poche ore dopo l’esercito prende il controllo di Barcellona e sconfigge gli ultimi nuclei che resistevano.

Solo nelle Asturie (insieme a parte di León e Palencia, regioni confinanti e anch’esse con un gran numero di minatori) la situazione è diversa. I comitati operai guidati dall’UGT e dalla CNT si erano preparati per lo sciopero insurrezionale, avevano fatto incetta di armi e dinamite ecc. Per questo riuscirono a prendere il controllo dei bacini minerari e di alcuni quartieri operai di Gijón (città portuale delle Asturie). La cosiddetta “comune delle Asturie” sopravvive per quindici giorni in disperata attesa che si sollevi anche il resto dei proletari del paese. Questo non accadde e i militari, guidati da Franco e Ochoa, presero il controllo della regione, scatenando una brutale repressione che si concluse con la morte di centinaia di proletari giustiziati sul campo. Nemmeno di fronte a questa situazione, la CNT e l’UGT, al di fuori delle Asturie, sono state in grado di organizzare una minima risposta...

Il mito delle Asturie rosse, accresciuto dal vigore di classe del proletariato asturiano che non cederà per decenni, sopravvive ancora oggi. Gli eventi nelle Asturie del 1934 furono semplicemente l’esempio più cruento della grande capacità di mobilitazione del proletariato spagnolo. Dal 1931 al 1934 la borghesia spagnola vide crescere senza sosta il disordine sociale che l’aveva costretta a “concedere” la Repubblica di fronte alle forze di conservazione monarchiche. Ai loro occhi, almeno agli occhi di una parte di questa borghesia, il governo repubblicano socialista del 1931-1933 non era in grado di affrontare le tensioni sociali esistenti. Fatti come le rivolte di Casas Viejas, Bajo Llobregat, ecc. hanno dimostrato la debolezza del regime repubblicano. Ciò portò a un rafforzamento delle correnti più reazionarie della borghesia, dando luogo sia alla formazione del blocco elettorale di estrema destra, sia alla nascita della Falange con tutto il suo armamentario filofascista.

Da parte del proletariato, durante questo periodo ci fu un apice di tensione rivoluzionaria. Ma ciò durò poco: sia la corrente capeggiata dal PSOE che invocava la fiducia nel regime repubblicano, sia i tentativi insurrezionalisti anarchici finirono per indebolire le forze dei proletari.

Nel 1934 c’erano, da un lato, un proletariato le cui forze cominciavano a manifestare la debolezza politica e organizzativa che lo avrebbe caratterizzato per tutto il periodo, e, dall’altro, una borghesia sempre più votata alle forze reazionarie che, a loro volta, si organizzavano sempre più. Per la classe proletaria, il trionfo di queste forze reazionarie faceva presagire un destino simile a quello del proletariato tedesco, italiano o portoghese. La classe borghese, da parte sua, era disposta a rinunciare all’illusione democratica per ristabilire il proprio ordine. Tra le due classi, la piccola borghesia si schierava dalla parte della borghesia o si orientava verso movimenti nazionalisti come l’ERC, che hanno finito per rafforzare lo Stato.

La tensione sociale, da parte proletaria, tendeva all’azione unitaria sia in campo sindacale che in quello politico, anche se era evidente l’assenza di un partito di classe capace di dare a questa tendenza la necessaria coerenza in tutti gli ambiti dello sviluppo della lotta di classe. Proprio per questa assenza, il PSOE prima e la FAI dopo possono imporre le loro tendenze ultrasettarie, apparentemente contrapposte ma convergenti nella loro capacità di smobilitazione. Le Asturie sono state l’unico luogo in cui la pressione della base sindacale è riuscita a superare il freno che l’UGT e la CNT rappresentavano nel resto del paese. Ma questa forza spontanea, lasciata a se stessa, viene presto schiacciata.

Per quanto riguarda la borghesia, il 1934 dimostrò che, pur essendo capace di forzare la falsa partenza insurrezionale del proletariato e di reprimerlo poi con grande durezza, l’ordine che imponeva non era stabile. In altre parole, l’equilibrio che intendeva raggiungere, con un proletariato schiacciato e le mani libere per imporre un governo molto più autoritario, non fu possibile. La sua stessa debolezza di classe, la stessa che la portò a liberarsi della monarchia nel 1931 e a cedere il governo del Paese al PSOE e ai repubblicani, le impedisce di consolidare un governo forte. Dopo l’insurrezione del 1934, la CEDA non fu in grado di governare nemmeno per due anni e il suo governo con i radicali cadde in mezzo a terribili scandali finanziari. Da parte delle squadre armate di strada, anche con le forze del movimento operaio esaurite com’erano, la Falange e qualunque gruppo simile non furono assolutamente capaci di emulare il loro modello italiano, essendo ridotte a una forza testimoniale.

In conclusione, l’”ascesa fascista” della borghesia spagnola nel 1934 non fu altro che un fuoco fatuo. Fu completamente incapace di articolare un’alternativa politica di questo tipo. Da quel momento divenne evidente che ciò che la classe civile non avrebbe ottenuto in alcun modo, poteva essere ottenuto solo dall’esercito, che doveva agire da spina dorsale militare e politica, come comando unico di una classe debole e atomizzata.

Per quanto riguarda il proletariato, la sconfitta dell’insurrezione del 1934 implicò la sua definitiva subordinazione alle correnti borghesi articolate nei partiti repubblicani. Come abbiamo spiegato, la tensione accumulata nel campo proletario fin da prima della proclamazione della Repubblica ebbe luogo nonostante gli sforzi della borghesia e della piccola borghesia per frenare la loro volontà di combattere attraverso l’inganno e la corruzione che implicavano la partecipazione democratica e il rispetto della legalità repubblicana come parte di una rivoluzione democratica presumibilmente in corso. Nel 1934 il confronto tra i settori irriducibili del proletariato e la borghesia avvenne come e quando volle la fazione più reazionaria di quest’ultima, che si avvalse anche della collaborazione del PSOE. Ma in ogni caso si trattava di un movimento di classe che sia la socialdemocrazia che le correnti anarchiche e sindacaliste cercavano di combattere o disorganizzare, che avveniva sul terreno dello scontro diretto con la classe nemica e che non può essere in alcun modo considerato, come la storiografia di destra sostiene, un colpo di Stato del PSOE.

Da questo punto di vista, si corre il rischio di considerare l’insurrezione di ottobre come una sorta di passo falso dopo il quale la questione della rivoluzione rimase in sospeso fino al luglio 1936. Secondo questo punto di vista, dopo gli eventi del ‘34 e la dura repressione subita dalla classe proletaria, bastava che essa riprendesse forza per lanciare nuovamente l’attacco. Non è questo il momento di valutare il vero significato delle giornate del luglio 1936 (ci arriveremo in seguito), ma si può dire senza nulla togliere al rigore per brevità che nel 1936 la classe proletaria era già totalmente disarmata dal punto di vista politico e organizzativo senza alcuna possibilità di superare questa situazione. È vero che, come abbiamo visto sopra, la classe borghese organizzata attorno alle fazioni reazionarie dentro e fuori il parlamento, non è riuscita neppure a farsi carico del governo del Paese per più di un anno e mezzo, dovendolo cedere, nel febbraio del 1936, alla coalizione del Fronte Popolare. Ma la sconfitta del proletariato, dal punto di vista politico, che è quello che ci interessa perché è quello che definisce il significato a lungo termine delle sue lotte immediate, non ha avuto a che fare solo con l’essere schiacciato o meno da un governo reazionario: dal 1931 alla crescente tensione sociale potrebbe corrispondere – anche solo ipoteticamente e con scarse possibilità di successo – una sorta di maturazione di qualsiasi forma di elementi proletari d’avanguardia in grado di rompere con la pressione esercitata da socialisti, sindacalisti e anarchici. Questa tendenza all’unità di cui si è parlato sopra e che ha avuto uno splendido riscontro in movimenti come quello delle Asturie, è stata a sua volta riflesso della lenta maturazione di un proletariato che ha accumulato in pochi mesi l’esperienza di anni. Ovviamente non vogliamo dire che in Spagna sarebbe potuto emergere un partito comunista basato sui principi corretti e genuini del marxismo rivoluzionario, cosa che sarebbe andata controcorrente rispetto alla situazione mondiale e che avrebbe richiesto forze che oggettivamente non esistevano, men che meno in un paese come la Spagna. Il Partito della rivoluzione non si forma durante i periodi rivoluzionari, la rivoluzione non obbliga né facilita la sua formazione, nemmeno nei termini più strettamente formali, e la Spagna ne è un grande esempio. Ma la storia, nel 1931, non era scritta e, anche escludendo come irreale l’apparire improvviso di un partito marxista, la classe proletaria tendeva a porsi, sempre più, sul terreno della lotta di classe. E fu questa tendenza che fu sconfitta nel 1934, segnando i veri termini della sconfitta proletaria.

Dopo l’ottobre 1934 la situazione era questa: carceri piene di prigionieri proletari, organizzazioni politiche e sindacali in clandestinità e un governo che aveva apertamente dichiarato guerra al proletariato. Fu in questo contesto che apparve la parola d’ordine del Fronte Popolare, diffusa dall’Internazionale di Stalin e che cercava soprattutto di influenzare la situazione francese. Come è noto, questa parola d’ordine ribaltava le indicazioni del cosiddetto terzo periodo (lotta alle correnti socialiste equiparate al fascismo, scissioni sindacali di tipo comunista ecc.) e consentiva non solo la collaborazione con i socialisti ma anche con le stesse correnti repubblicane, considerate, da quel momento, paladine dell’antifascismo. Il Partito Comunista di Spagna, ancora estremamente debole nel 1935, poté diffondere questa nuova svolta politica perché le correnti repubblicane e socialiste videro in essa la conferma della politica che avevano difeso dal 1931, pur alterando leggermente i rapporti di forza a favore dei repubblicani. La parola d’ordine del fronte populista e antifascista si diffuse a macchia d’olio tra quei dirigenti socialisti e anarchici sulle cui spalle ricadeva la sconfitta del 1934. Per i socialisti, il Fronte Popolare significava solo la riproposizione della loro storica coalizione con i repubblicani, in termini forse più moderati dal tentativo che comportava di strappare alcuni settori piccoloborghesi e borghesi alle tendenze reazionarie e filofasciste che si erano rafforzate molto di più dal 1933. Per loro il 1934 non aveva significato assolutamente nulla e il Fronte Popolare non implicava un cambio di rotta. Per gli anarchici che controllavano la CNT, che avevano visto fallire la loro politica insurrezionale e che, agendo con la loro abituale e criminale incoerenza, avevano raggiunto un accordo con l’esercito per chiedere il ritorno al lavoro nel 1934, il Fronte Popolare significò un’ancora di salvezza, un pretesto per il suo passaggio definitivo alla lotta nei limiti della legalità repubblicana che poteva effettuarsi con la scusa di difendere i detenuti condannati nelle carceri di tutto il paese. Questo è il significato ultimo della tacita approvazione del Fronte Popolare pronunciata da avventurieri come García Oliver, Durruti o Ascaso. Dietro la parola d’ordine della libertà per i detenuti c’era, in verità, la politica antifascista di collaborazione tra le classi che da allora non trovò più barriere all’interno dei sindacati della CNT.

Da parte dei sindacati di opposizione, che si erano sempre mossi all’interno dello spettro riformista, la situazione non fu più complessa: l’adesione al Fronte Popolare fu unanime e portò di fatto alla riunificazione con la CNT, una volta collocate sia la tendenza moderata che quella anarchica sullo stesso terreno.

C’è un punto che è particolarmente necessario chiarire all’interno di questa nuova tendenza all’unità, realizzata questa volta in termini di collaborazione (e quindi di subordinazione) alla classe borghese e alle sue correnti di sinistra. Si tratta della comparsa del POUM, un nuovo partito, posto a sinistra del PCE e del PSOE, e che è stato considerato in molte occasioni come una reazione marxista alla degenerazione dei partiti socialdemocratici e stalinisti.

Il POUM, come è noto, è nato dalla fusione del Bloque Obrero y Campesino e della Izquierda Comunista de España (ICE). Della prima corrente abbiamo già parlato e la seconda era formata da un piccolo gruppo di militanti, tra cui Nin e Andrade, influenzati (ma non diretti) da Trotsky. Questo gruppo, che si stava progressivamente sganciando dalle posizioni di Trotsky, finì per rompere con lui quando decise di unire le forze con il BOC per fondare un nuovo tipo di partito. Non possiamo dilungarci ora in una relazione delle posizioni della Izquierda Comunista de España, di Trotsky né delle loro reciproche divergenze, cosa che ci richiederà, a tempo debito, un lavoro specificamente dedicato ad essa. Ci concentriamo, quindi, sulla fondazione del POUM come l’esempio più rilevante di come, dopo i fatti del 1934, anche gli elementi che potevano essere più vicini a posizioni nettamente marxiste finirono per cedere e abbracciare posizioni che implicavano l’accettazione della necessità di lotta puramente democratica, della coalizione con le correnti borghesi ecc.

Per mostrarlo alleghiamo il testo Che cos’è e cosa vuole il Partito dei Lavoratori dell’Unificazione Marxista? (il POUM), che rappresentava, nel 1936, dopo il periodo di illegalità a cui era stato costretto il partito sin dalla sua fondazione nel 1935, la dichiarazione dei principi che la nuova organizzazione lanciava ai proletari.

Il testo inizia riconoscendo la necessità di un partito di classe, che dovrebbe essere formato dai gruppi che concorrono alla formazione del POUM. Così, dopo il fallimento dell’insurrezione dell’ottobre 1934, attribuito proprio alla mancanza di quel partito di classe essenziale per il trionfo della rivoluzione proletaria, il BOC e l’ICE

“era naturale che si fondessero, dimostrando in pratica che la teoria del partito unico non era un semplice slogan di agitazione, ma che costituiva realmente, sia per il BOC che per la Sinistra Comunista, il motivo principale di tutte le loro azioni al momento presente.”

Su quali basi è stata realizzata questa fusione, al di là della corrente che, in generale, promuoveva l’unità in tutti i settori?

Il primo punto fondamentale, la caratterizzazione delle esigenze rivoluzionarie del momento

 

«L’attuale fase della rivoluzione che ha luogo in Spagna è un momento di transizione tra la controrivoluzione fascista e la rivoluzione democratico-socialista.

Questa situazione va avanti dal 1931 e potrebbe continuare ancora per qualche tempo con oscillazioni, a sinistra o a destra. Ma inesorabilmente l’esito finale sarà: socialismo o fascismo. […]

Il carattere della rivoluzione nel nostro paese non è semplicemente democratico, ma democratico-socialista.

Solo se la classe lavoratrice prende il Potere, giungerà a terminare la rivoluzione democratica strettamente legata, in questa epoca storica, alla rivoluzione socialista.

La borghesia ha perso ogni capacità rivoluzionaria. Non può mantenersi sulle basi della democrazia. Evolve più o meno rapidamente, a seconda delle circostanze, verso una situazione fascista, poiché il fascismo è la manifestazione politica della decadenza della borghesia.

La classe lavoratrice è l’unica garanzia della vera democrazia. Attraverso la difesa imperterrita delle rivendicazioni democratiche che la borghesia teme (borghesia di sinistra) e distrugge (borghesia di destra), la classe lavoratrice raggiungerà la soglia della rivoluzione socialista.»

 

Abbiamo già discusso, in altra occasione, sul significato di questa “rivoluzione democratico-socialista” (vedi La presunta “sinistra” comunista spagnola di fronte alla sua “rivoluzione democratica” in El programa comunista n. 54 del novembre 2020), quindi ora basta mostrare il passo indietro compiuto dalle posizioni che l’ICE difese nel 1931 e che sono evidenziate nel testo di Trotsky che riproduciamo all’inizio di questo lavoro fino a questa “mostruosità democratico- socialista” che è al centro del programma politico del POUM. Ovunque è evidente il rifiuto storico che la nostra corrente, la Sinistra Comunista d’Italia, sosteneva nei confronti delle posizioni di Trotsky, basate su un’analisi del tutto errata dell’imminente “rivoluzione democratico-borghese”, posizioni che lo portarono ad ammettere il cambio di regime repubblicano come un passo avanti nel processo rivoluzionario ecc. Comunque, le posizioni del rivoluzionario russo erano ancora all’interno di ciò che in un modo o nell’altro è teoricamente e politicamente ammissibile per il marxismo: il passo compiuto dagli elementi provenienti dall’ICE ha significato un regresso in piena regola, da posizioni errate ma pur sempre marxiste e suscettibili di essere corrette a posizioni che si collocano nel terreno teorico e politico della borghesia. Identificare la democrazia con il socialismo, porre il proletariato come esecutore del programma borghese, assimilandolo al programma comunista, opporre le proprie rivendicazioni democratiche al fascismo e porle come una presunta barriera contro di esso... Tutto ciò va ben oltre gli errori in cui, per estrapolazione automatica dell’esperienza russa, incorse la corrente trotskista da cui proveniva la ICE.

Nello specificare cosa significa il problema della “rivoluzione democratico-socialista” per l’azione politica del partito, il POUM afferma

 

«Il Partido Obrero ritiene che le premesse fondamentali affinché l’unificazione marxista rivoluzionaria sia un fatto sono le seguenti:

Prima. La rivoluzione spagnola è una rivoluzione di tipo democratico-socialista. Il dilemma è: socialismo o fascismo. La classe lavoratrice non potrà prendere il Potere pacificamente, ma attraverso l’insurrezione armata.

Seconda. Una volta preso il Potere, instaurazione temporanea della dittatura del proletariato. Gli organi del Potere presuppongono la più ampia e completa democrazia operaia. Il Partito della rivoluzione non può e non deve soffocare la democrazia operaia.

Terza. Necessità dell’Alleanza Operaia a livello locale e nazionale. L’Alleanza Operaia deve necessariamente attraversare tre fasi: prima, come organo del Fronte Unico, svolgendo azioni offensive e difensive legali ed extralegali; seconda, organo insurrezionale; e terza, organo del Potere.

Quarta. Riconoscimento dei problemi delle nazionalità. La Spagna sarà strutturata sotto forma di Unione Iberica delle Repubbliche Socialiste.

Quinta. Soluzione democratica, nella sua prima fase, del problema della terra. La terra a chi la lavora.

Sesta. Di fronte alla guerra, trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Nessuna speranza nella Società delle Nazioni, che è il fronte unico dell’imperialismo.

Settima. Il Partito Unificato rimarrà ai margini della II e della III Internazionale, entrambe fallimentari, lottando per l’unità socialista rivoluzionaria mondiale costruita su nuove basi.

Ottava. Difesa dell’URSS ma non favorendo la sua politica di patti con gli stati capitalisti, ma attraverso l’azione rivoluzionaria internazionale della classe lavoratrice. Diritto di criticare la politica dei vertici dell’URSS se può essere controproducente per il cammino della rivoluzione mondiale.»

 

Da qui emerge, ancora una volta, l’identità tra socialismo e democrazia difendendo, inoltre, una indefinita “democrazia operaia” che si aggiunge all’elenco delle rivendicazioni senza alcun tipo di contenuto reale nel programma del partito.

Da questa citazione si può trarre, inoltre, un altro punto importante: l’Alianza Obrera, la cui genesi e il cui sviluppo come conglomerato di partiti operai e piccolo-borghesi, come si è visto, avrebbe dovuto essere, per fasi, organo del fronte unico, organo insurrezionale e organo di potere. Cosa significa questo? Identificare Alianza Obrera con i soviet, un’unione di partiti e sindacati con un organo di potere proletario. Poteva il POUM prendere il potere accompagnato da partiti come il PSOE o l’ERC? Secondo lui, sì. Questa è la sua concezione, del tutto superficiale, della natura della lotta rivoluzionaria: un cedimento assoluto ai principi frontisti che furono all’origine della sconfitta del 1934. Se allora si trattava di guidare l’insurrezione cacciando queste correnti, ora si cede davanti a loro e viene affidato loro il compito di prendere il potere insieme al presunto partito “marxista”.

Più avanti, nello stesso programma, si conclude

 

«Sulla base delle condizioni del movimento operaio, l’Alianza Obrera viene a svolgere nel nostro paese il ruolo rappresentato dai soviet nella rivoluzione russa: organi di fronte unico, prima, insurrezionali poi, e successivamente strumenti di Potere. Quando la classe lavoratrice conquisterà il Potere, l’attuale Stato borghese dovrà essere sostituito da qualcosa di nuovo che è proprio in germe nell’Alianza Obrera. […]

Il Potere non deve essere di questo o quel partito, ma della classe lavoratrice, che deve esercitarlo attraverso i suoi organi democratici – soviet, consigli, alleanze operaie.»

 

Qui si liquida non solo la questione delle Alianzas Obreras, ma anche quella del potere e quella del partito stesso, negando i principi fondamentali del marxismo. Di nuovo, il passo indietro rispetto alle origini stesse dell’ICE (per non parlare del programma del PCE del 1920, da cui provenivano militanti come Andrade) è enorme. Negando la questione del potere come questione del potere per l’uno o per l’altro partito che rappresenta esclusivamente e senza componenti democratiche l’una o l’altra classe, si abbandona completamente il terreno del marxismo rivoluzionario.

Il resto dei punti di questo brevissimo programma ruota attorno alle istanze democratiche che, come si vede, sono al centro della costituzione del partito. Si riferisce alla questione delle nazionalità, della terra e della guerra.

Per quanto riguarda la prima, si accettava pienamente il programma nazionalista del Bloque Obrero y Campesino. Pertanto, si identificava la posizione classica impugnata dai bolscevichi prima del 1917 sul diritto all’autodeterminazione come una fase della lotta politica contro l’influenza borghese tra i proletari dei paesi oppressi e oppressori, così come il carattere rivoluzionario delle lotte di emancipazione e sistematizzazione nazionale con la difesa di un programma nazionalista-federalista che stabiliva l’indipendenza delle “nazionalità oppresse” catalana, basca, galiziana e andalusa come obiettivo politico del partito “marxista” e la costituzione federale del paese come fine del lotta democratica. Si tratta, ancora una volta, di un cedimento di fronte non solo alle correnti più scioviniste all’interno del movimento operaio, ma anche alle organizzazioni nettamente piccoloborghesi, come l’Unión de Rabassaires, che aveva un’influenza decisiva nel BOC, o alla Esquerra Republicana stessa.

Sulla questione della terra e della guerra poco di più si può dire: erano vuoti slogan che non pretendevano di avere un’applicazione pratica. Soprattutto il punto sulla guerra, rispetto alla quale, dopo solo pochi mesi, si è vista la visione che il POUM aveva realmente al riguardo: dopo lo scoppio della guerra civile, sotto tutti gli aspetti imperialista, e tenuto conto del contesto internazionale, il POUM ha innalzato la bandiera antifascista e patriottica, appellandosi alla mobilitazione bellica della parte repubblicana, la sua alleanza internazionale con le “nazioni antifasciste” ecc.

Il programma del POUM, in vigore dalla sua formazione fino al 1936, rifletté in definitiva la paralisi politica che colpì il proletariato spagnolo dopo la sconfitta del 1934. E questa fu la principale conseguenza dell’assenza del partito di classe: l’incapacità del proletariato di trarre le lezioni della controrivoluzione, di non cedere sui punti fondamentali quando l’offensiva borghese è più forte e, quindi, di potersi preparare a riprendere il cammino della lotta quando ciò sarà di nuovo possibile. In generale, questa tragica situazione si è confermata sia nei movimenti avvenuti in campo sindacale, con l’unificazione dei sindacati del CNT e dell’opposizione, accettandone i principi collaborazionisti. Ma, in particolare, fu sul terreno della lotta per il partito di classe, terreno di cui il POUM cercò appunto di impadronirsi, che questa assenza di una solida corrente marxista assunse un carattere più duro: gli elementi proletari che potevano maturare un rifiuto delle correnti sindacaliste e socialiste, che potevano rivolgersi al marxismo, si trovarono con un “partito” che aveva fatto proprie esattamente tutte le posizioni antimarxiste sui punti fondamentali sia della valutazione del momento storico che dei compiti del partito.

Le conseguenze di ciò si vedranno poco tempo dopo, quando nel 1936 il POUM trascinò sia i proletari tra i quali cominciava ad affermarsi, sia quei militanti internazionali che accorrevano nella Spagna repubblicana, nella più abietta collaborazione tra le classi, concretizzatasi non solo nel mantenimento dei fronti imperialisti della guerra, ma anche nella collaborazione ministerialista su scala regionale...

 

 

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