Centinaia di migliaia di morti e feriti, donne e bambini soprattutto. Oggi Gaza è questo! La popolazione inerme, costretta senza cibo, acqua e medicinali, viene immolata agli interessi di uno Stato macellaio. Uno sterminio che i proletari non dimenticheranno!
(Supplemento Gaza e Cisgiordania a «il comunista» N° 186 - Marzo – Aprile 2025 )
Che il popolo palestinese sia destinato a non potersi stabilire nella sua terra d’origine, in modo pacifico e riconosciuto da tutti gli altri Stati, per noi è cosa evidente da anni. E’ dal 1948, dalla costituzione dello Stato di Israele, ma non dello Stato di Palestina, che questo destino è segnato. I palestinesi sono diventati per la grande maggioranza proletari loro malgrado, progressivamente espropriati delle loro case, dei loro campi, della loro “patria”.
Dal punto di vista dell’ideologia borghese questo è un dramma che potrebbe essere risolto soltanto riconoscendo ai palestinesi un pezzo di terra dove stare. Ma a ottant’anni dalla fine della seconda guerra imperialista mondiale in cui le grandi potenze democratiche non hanno mai considerato il popolo palestinese degno di avere un suo Stato, una sua “patria”, una sua classe dominante borghese come tutti gli altri Paesi; in cui lo hanno ingannato per decenni con le dichiarazioni Onu sul ritornello “due popoli, due Stati”, dissanguando le sue energie nei pluriennali scontri di guerra in cui i combattenti palestinesi venivano a loro volta illusi dai Paesi arabi “amici” che si sono ben presto dimostrati nemici quanto, se non peggio, dei sionisti. Dopo ottant’anni di illusioni e di combattimenti, i palestinesi si ritrovano ad essere spogliati di tutto e della propria vita. Con la complicità mondiale di tutti gli Stati, a partire da quello più democratico e più massacratore di popoli, gli USA, lo Stato sionista e borghese-democratico di Israele sta portando a termine il suo grande sogno: fare terra bruciata per i palestinesi, impossessarsi dei loro territori, cacciare e deportare i palestinesi in altri paesi, schiavizzare quelli che sono sfuggiti ai bombardamenti e garantire i privilegi sociali, economici e politici alla popolazione israeliana secondo i classici criteri di discriminazione razzista e religiosa.
Il fatto che il popolo palestinese sia un popolo senza patria è però un fatto positivo dal punto di vista proletario e storico. Il proletariato è, per antonomasia, la classe senza patria: non possiede mezzi di produzione, non possiede capitali e soprattutto non è proprietario del prodotto del suo lavoro perché la ricchezza che produce appartiene esclusivamente alle classi borghesi dominanti, ai capitalisti che difendono questa realtà attraverso lo Stato e le sue forze armate.
I proletari palestinesi, che rappresentano la maggioranza della popolazione palestinese, anche quando riescono a coltivare qualcosa su un fazzoletto di terra, dipendono totalmente dal lavoro che svolgono per i padroni israeliani o dagli “aiuti” internazionali che le varie potenze imperialiste concedono per salvare la faccia umanitaria con cui cercano di coprire i sistematici massacri a Gaza e in Cisgiordania. Niente di meglio i palestinesi si possono aspettare da organizzazioni politiche e militari come l’ANP o Hamas, come in precedenza dai gruppi che formavano l’OLP, perché queste organizzazioni si sono vendute fin dall’inizio a borghesie più forti che hanno interessi completamente opposti a quelli del proletariato palestinese che viene utilizzato ora da una, ora dall’altra delle borghesie, al solo scopo di ottenere per sé stesse qualche privilegio e un minimo di potere su di esso per piegarlo per sempre allo sfruttamento capitalistico spegnendo il suo istinto di classe a ribellarsi ad ogni oppressione, ad ogni sopruso.
Il fatto che recentemente, nella pur disastrata situazione di Gaza, vi siano state manifestazioni contro Hamas perché liberi gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani, sperando che questo facesse smettere bombardamenti e distruzioni da parte di Tel Aviv, denota certamente una rottura di quella relativa fiducia che Hamas si era conquistata nei quindici anni precedenti. Ma in piena guerra, in una situazione in cui la popolazione gazawi non trova riparo da nessuna parte, anche continuando a spostarsi da nord verso sud e viceversa, perché comunque viene sempre colpita, la fine di una Gaza palestinese si avvicina.
La via d’uscita nell’immediato e nel prossimo futuro da questa guerra, per i palestinesi non è a loro favore. O vengono massacrati o si lasciano deportare in qualche paese che concorda con gli Usa e con Israele di prenderseli in carico come merce di scambio per ottenere in contropartita miliardi di dollari e favori su altri piani.
Soltanto la ripresa della lotta di classe proletaria indirizzata verso la rivoluzione antiborghese, anticapitalistica, che coinvolga i proletari non solo palestinesi ma anche del Medio Oriente e che contagi i proletari dei paesi imperialistici che hanno forti interessi nell’area mediorientale, sarà in grado di rovesciare i rapporti di forza che ora sono ancora completamente a favore delle classi borghesi e dell’imperialismo.
La ripresa della lotta di classe proletaria non è il risultato dell’iniziativa di qualche gruppo cospiratore che colpisca con azioni terroristiche i simboli dei poteri capitalistici o degli Stati oppressori, credendo di dare in questo modo un esempio del fatto che i poteri forti del capitalismo possono essere colpiti; non è nemmeno il risultato di un’avanzata graduale delle lotte economiche dei proletari che prendono coscienza delle proprie condizioni di sfruttati e vi si ribellano con forza allargando nel contempo la propria lotta agli altri settori economici; e non è nemmeno il risultato della presa di coscienza politica dei proletari rispetto a finalità storiche della propria classe introdotta nelle file proletarie da una specifica attività culturale attuata da gruppi o partiti proletari organizzati a quello scopo.
La ripresa della lotta di classe è il risultato della combinazione di fattori economici, sociali e politici che mettono oggettivamente in movimento le masse proletarie sul terreno dell’antagonismo di classe tra gli interessi più generali del proletariato e gli interessi più generali della classe borghese.
E’ l’antagonismo di classe che sorge dalle sempre più forti contraddizioni del modo di produzione capitalistico e del regime politico borghese che difende il suo potere con qualsiasi mezzo, a scatenare le forze produttive contro le forme borghesi che le soffocano. Alla lotta di classe i proletari giungono spinti da una situazione sociale generale che si è resa insostenibile dal punto di vista della loro esistenza quotidiana e dalla quale possono uscire soltanto con la forza e la violenza di classe.
Dopo aver imboccato questa strada e aver iniziato a scontrarsi con le forze di conservazione e reazionarie organizzate dal potere borghese, i proletari cominceranno a rendersi conto che la loro lotta sta assumendo una caratteristica del tutto diversa da ogni lotta economica e immediata, la caratteristica della lotta politica nella quale gli obiettivi da parziali e immediati diventano inevitabilmente generali coinvolgendo non solo un determinato capitalista, un determinato settore economico o un determinato governo, ma l’intera classe dei capitalisti e l’intera istituzione politica accentrata nello Stato.
E’ a questo punto che il proletariato, nell’esprimere delle sue avanguardie politiche, incontra il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario che avrà la possibilità di influenzare l’avanguardia proletaria più decisa ed evoluta dal punto di vista di classe nella misura in cui avrà lavorato costantemente nelle file proletarie in tutto il periodo precedente in cui la lotta di classe era assente o del tutto marginale, mantenendo fermi le basi teoriche e il programma politico rivoluzionario grazie ai quali è stato ed è in grado di anticipare lo svolgimento storico sia delle contraddizioni del capitalismo e del potere borghese, che dello sviluppo della lotta di classe fino allo svolto rivoluzionario e alla presa del potere da parte della classe proletaria.
La rivoluzione, infatti, non è tale se non si pone l’obiettivo della presa del potere da parte della classe proletaria come obiettivo principale e se non concretizza la presa del potere nella dittatura di classe del proletariato, l’unica forma politica che consente alla rivoluzione proletaria di procedere nella trasformazione della società borghese in società socialista, l’unica forma politica che consente al potere proletario e comunista di sbaragliare e vincere ogni resistenza, ogni attacco da parte delle forze della reazione borghese e capitalista, sia interne che esterne al paese in cui la rivoluzione ha vinto.
La Comune di Parigi del 1871, prima, e la rivoluzione d’Ottobre 1917 e la dittatura bolscevica poi, hanno dimostrato che il proletariato è in grado di prendersi in carico la trasformazione della società a favore delle masse lavoratrici soltanto se porta la rivoluzione fino in fondo, cioè fino all’instaurazione della dittatura proletaria e alla sua difesa da ogni controrivoluzione; hanno dimostrato che la presa del potere e la sua tenuta non dipendono soltanto dalla forza sociale della classe proletaria, ma anche dalla guida politica impressa al movimento rivoluzionario e, in particolare, alla dittatura proletaria; hanno dimostrato che l’unica guida politica non può che essere il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario, che può svolgere il suo compito storico soltanto mantenendo intransigentemente fermi i principi e i capisaldi teorici e politici stabiliti dal marxismo fin dalla sua nascita.
Questo ultimo punto è particolarmente importante perché la presa del potere da parte della rivoluzione proletaria non è che il primo grande stadio del lungo processo rivoluzionario della storia moderna della lotta fra le classi.
Perché le forze della controrivoluzione borghese vengano vinte una volta per tutte in questo primo stadio, la rivoluzione proletaria – che può vincere in un paese o in alcuni paesi ma non contemporaneamente in tutti i paesi del mondo – deve attrezzare la sua dittatura di classe in modo da poter contemporaneamente battersi contro le forze controrivoluzionarie interne ed esterne, dedicarsi alla trasformazione economica e sociale fin dai suoi primissimi passi, e combattere anche tutte le ideologie opportuniste generate durante il lungo periodo di dominio della classe borghese e che non solo permangono nella vita sociale del paese o dei paesi dove la rivoluzione ha vinto, ma possono generare altre ideologie opportuniste sia cavalcando le difficoltà oggettive della trasformazione economica e sociale, sia appoggiandosi alle difficoltà politiche e militari del potere proletario nell’affrontare contemporaneamente i diversi livelli di lotta sul piano economico, sociale, politico, culturale, morale, religioso.
Nella storia delle precedenti società di classe che si sono imposte a quelle più antiche, la vittoria politica delle nuove classi dominanti è venuta dopo lo sviluppo sociale del nuovo modo di produzione, cosa che vale anche per il modo di produzione capitalistico che ha iniziato a formarsi all’interno delle forme feudali del potere politico ed è stato il suo prorompente sviluppo determinato da una nuova organizzazione nella divisione del lavoro e del lavoro associato nell’industria a pretendere nuove forme politiche e sociali più adatte al suo inarrestabile progresso. La rivoluzione politica borghese è seguita alla rivoluzione industriale della produzione, basata sulla proprietà dei mezzi di produzione e della stessa produzione da parte della borghesia e sul lavoro salariato, facilitandone lo sviluppo nel mondo intero, necessariamente attraverso cruente guerre contro le vecchie classi dominanti che non intendevano perdere potere e privilegi; anche la borghesia di ogni paese del mondo non intenderà perdere potere e privilegi nello scontro con il proletariato rivoluzionario e utilizzerà qualsiasi mezzo per difendere il suo dominio sociale ed economico.
La rivoluzione proletaria è una rivoluzione politica che non si basa su una trasformazione economica della produzione già in atto – come è avvenuto per la rivoluzione borghese – ma soltanto sulla forza sociale dei lavoratori salariati che sono i veri produttori dell’intera ricchezza sociale della quale non usufruiscono per nulla, rimanendone esclusi fin dall’inizio del processo produttivo capitalistico.
E’ d’altra parte lo stesso capitalismo, col suo sviluppo produttivo tecnico e organizzativo, a mettere inconsapevolmente a disposizione della rivoluzione proletaria la base produttiva che potrà essere trasformata da esclusiva produzione di merci, necessaria per i mercati nazionali e internazionali, a esclusiva produzione sociale necessaria alla vita sociale della specie umana.
Come detto nel Manifesto di Marx-Engels del 1848, la borghesia non ha solo creato la classe dei proletari per estorcere il plusvalore dal lavoro salariato, ma ha creato nello stesso tempo i suoi futuri becchini! La rivoluzione proletaria non avrà alcun interesse a sostituire la classe borghese con una classe che baserà il proprio potere su un altro tipo di proprietà privata e di Stato, con una classe che dominerà e vivrà soltanto disumanizzando sia il lavoro sociale rendendo anch’esso una merce, sia la vita sociale trasformandola in un grande mercato mondiale.
Nello sviluppo del capitalismo, la borghesia ha dimostrato di non essere padrona dell’economia che porta il suo nome, ma di dipendere completamente da leggi economiche che non controlla, come dimostrano le crisi economiche, commerciali e finanziarie che si susseguono da più di duecento anni. La borghesia ha dimostrato di essere una classe del tutto inutile rispetto al progresso umano; anzi, una classe che impedisce il progresso delle forze produttive al solo scopo di mantenere in piedi un regime economico attraverso il quale accaparrarsi la ricchezza generale prodotta dal lavoro umano, dal lavoro del proletariato mondiale.
Perciò la classe proletaria, che è la classe dei produttori, è l’unica classe sociale che potrà essere il motore di una rivoluzione che farà scomparire dalla faccia della terra ogni divisione in classi della società. Il proletariato dovrà diventare classe dominante per imporre il processo rivoluzionario in tutti i paesi del mondo affinché il modo di produzione capitalistico venga sostituito completamente dal modo di produzione socialista, ossia da un modo di produzione in cui l’economia e tutti i suoi processi produttivi servano a soddisfare i bisogni sociali dell’intera specie umana e non di una particolare classe sfruttatrice. Per questo motivo chiamiamo comunista la rivoluzione proletaria, perché il fine storico non è quello di sostituire una società divisa in classi con un’altra società divisa in classi, come è avvenuto nel passaggio dalle società schiaviste a quella borghese, ma perché il suo fine storico è la società di specie, la società comunista, la società senza classi.
La società comunista attraverserà anch’essa un lungo periodo di trasformazione poiché, come scritto da Marx nella Critica del programma di Gotha, emergendo dalla società capitalistica, si porterà inevitabilmente appresso – sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale – le macchie della vecchia società dal cui seno è uscita, le abitudini e le contraddizioni che l’hanno caratterizzata
Nella sua prima fase, quando non esistono più proprietà privata, produzione di merci, denaro, classi dominanti e classi subordinate, il consumo di ogni individuo non potrà che seguire questa misura: il singolo produttore riceve dalla società – dopo le detrazioni necessarie per tutti gli individui temporaneamente o stabilmente inabili al lavoro – esattamente ciò che le dà, secondo la quantità individuale di lavoro fornita al lavoro sociale. Quindi, la quantità di lavoro data alla società è la misura adottata perché ad ogni individuo venga data una corrispondente quantità di mezzi di consumo.
Non esistendo più il denaro e i prodotti del lavoro sociale non essendo più merci, contro la quantità di lavoro dato il singolo individuo riceverà uno scontrino non cumulabile col quale ritirerà dal fondo sociale i mezzi di consumo corrispondenti alla quantità di lavoro erogato: in pratica, la stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un’altra. Nessuno può dare niente all’infuori del suo lavoro, e niente può passare in proprietà del singolo all’infuori dei mezzi di consumo individuali.
Inevitabilmente questa prima fase del comunismo trascina con sé delle diseguaglianze oggettive: ad esempio un lavoratore è ammogliato e l’altro no, uno ha più figli dell’altro ecc., o, in altre situazioni, un lavoratore non può temporaneamente lavorare, come ad esempio una lavoratrice nel periodo di gravidanza vicino al parto, o un malato o infortunato che ha bisogno di cure ecc. ecc.; è chiaro che l’organizzazione sociale affronterà queste diseguaglianze, questi inconvenienti, e troverà delle soluzioni senza tornare al sistema delle diseguaglianze di classe proprie della società capitalistica.
Ma, in una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto tra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni!
A questo grande obiettivo storico sono chiamati i proletari palestinesi, come i proletari di qualsiasi altro paese, al di sopra dei loro bisogni immediati, superando ogni ostacolo alla ripresa della lotta di classe e rivoluzionaria costituito dagli egoismi nazionalistici, di etnia o di razza.
Obiettivo lontano?
Sicuramente, ma obiettivo storicamente certo visto lo sviluppo di tutte le società divise in classi precedenti e lo sviluppo della società capitalistica. Le carneficine appartengono alla società capitalistica come dimostrano tutte le guerre di conquista, le guerre coloniali e le guerre mondiali.
Mentre le borghesie più sanguinarie del mondo si preparano alla prossima guerra imperialistica mondiale, per uscire dalla crisi economica e finanziaria che si fa sempre più acuta e internazionale e che non riescono a controllare e a superare se non attraverso un ennesimo olocausto, i proletari delle popolazioni più deboli e sfortunate di questa terra, come i palestinesi, stanno già pagando un prezzo altissimo e non per la propria guerra di classe nella prospettiva di finirla con ogni guerra, ma per gli interessi delle borghesie che sopravvivono solo se continuano a opprimere e a sfruttare le masse proletarie di tutto il mondo.
Partito Comunista Internazionale
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