Qual è il futuro dei palestinesi di Gaza?
(«il comunista»; N° 187 ; Maggio-Luglio 2025)
I palestinesi hanno davanti a sé il loro sistematico sterminio, voluto e organizzato da Israele col beneplacito e il sostegno di tutti gli imperialisti, a cominciare dai democraticissimi Stati Uniti d’America e Stati europei.
Dopo decenni di tentativi andati a vuoto di costituirsi in una nazione e in uno Stato indipendente, alla pari degli altri e soprattutto di Israele, sembra non vi siano vie d’uscite; ma una via d’uscita esiste, ed è la via storica della ripresa della lotta di classe del proletariato non solo nei paesi del Medio Oriente, ma soprattutto nei paesi capitalisti avanzati nella prospettiva della rivoluzione proletaria e comunista internazionale, in Europa, in America, in Russia, nell’Oriente estremo, in Cina e Giappone; una lotta di classe che non potrà non colpire, dall’esterno, anche paesi in cui la collaborazione di classe tra proletariato e borghesia si è così cementata nel corso di decenni da apparire inattaccabile, come Israele.
A molti questa prospettiva può sembrare fuori dalla realtà, immaginaria e irrealizzabile, alla stessa stregua di un «risveglio» delle classi lavoratrici dei paesi del Medio Oriente.
La classe dominante borghese, dopo aver superato in più di duecento anni una serie interminabile di crisi economiche, commerciali e finanziarie, di lotte sociali e di assalti al potere da parte proletaria, financo una rivoluzione come la rivoluzione bolscevica del 1917 con la sua temporanea influenza sull’Europa e sul mondo, dopo aver superato ben due guerre mondiali una più devastante dell’altra, e le loro conseguenze negative, dopo aver continuato a sviluppare l’economia industriale e capitalistica sottomettendo alle sue leggi ogni parte del mondo, anche la più lontana geograficamente dai grandi centri finanziari e imperialistici, e dopo aver legato ogni proletariato agli interessi nazionali della propria borghesia, soffocando rivolte e ribellioni ogni volta che esplodevano, e continuando a far scoppiare guerre in ogni parte del mondo fino a terremotare la pacifica Europa; dopo tutti questi fatti, ciò che appare impossibile non è la rivolta, la ribellione di strati popolari o di nazioni intere all’oppressione che subiscono costantemente dai grandi Stati imperialistici, dai grandi monopoli e trust mondiali, dalle grandi banche, ma che le rivolte e le ribellioni si trasformino in lotte di classe organizzate come avveniva nell’Ottocento e nel primo trentennio del Novecento.
Finora si è assistito a Stati democratici, a seconda degli interessi immediati e futuri della propria borghesia, che si alleano o si scontrano con altri Stati democratici o con Stati autoritari, totalitari, ma tutti egualmente borghesi e antiproletari; si assiste ormai da decenni ad una sempre più forte militarizzazione dei confini e di ogni società nazionale, non importa se questa militarizzazione sia opera della borghesia nazionale oppure di borghesie altre che si sono imposte vincendo le guerre. E’ sempre più evidente, soprattutto dalla fine della seconda guerra imperialistica mondiale, che la lotta di concorrenza tra i vari capitalismi nazionali ha messo in primo piano ciò che il Manifesto del partito comunista, Il Capitale, l’Imperialismo, in una parola il marxismo, aveva previsto centottanta, centosessanta e centodieci anni fa: gli Stati borghesi, non importa se democratici, monarchico-costituzionali o totalitari, sono, in ogni paese, strumenti del dominio capitalistico sulla società; succhiano sudore e sangue dal lavoro salariato delle masse proletarie, sudore e sangue dalle masse contadine povere, al solo scopo di rafforzare il potere del capitalismo su ogni territorio del pianeta, su ogni mare e in ogni cielo. Secondo la borghesia, alle leggi del capitale, e quindi della grande borghesia capitalistica, devono rispondere non solo le grandi e le piccole aziende, i grandi e i piccoli commerci, ogni piccola e grande proprietà, dunque ogni paese, e ogni singolo individuo fin dalla nascita e finché respira, ma tutte le generazioni che seguiranno. Se il futuro lo si immagina da quel che succede nel presente, il futuro non è del tanto propagandato benessere, della tanto invocata pace, delle rivendicate libertà, uguaglianza, fraternità: il futuro prospettato in ogni paese dalla borghesia dominante lo raccontano le bocche dei cannoni, le bombe che cadono sulla testa, i missili sparati da terra, dal mare, dal cielo. E quando non sono i cannoni a sparare, le bombe e i missili a fare stragi e a radere al suolo intere città, ci pensano la fame, la denutrizione, la sete, la carestia e la criminalità che approfitta sempre del caos causato dalle crisi sociali e di guerra. Borghesia e criminalità , pur combattendosi, si sostengono a vicenda, sono figlie entrambe del modo di produzione capitalistico, per entrambe il loro dio onnipotente è il denaro al quale sacrificare ognbi cosa, popoli compresi.
Contro questo mondo, contro questo futuro non è la «buona volontà» degli uomini, non è la «democrazia» con i suoi «valori di libertà e di eguaglianza», falsi come nessun altro, a rappresentare la soluzione. La classe borghese non è composta di uomini che hanno cura della società degli uomini, ma è composta da uomini che sono strumenti del capitale, sono la mano del dio-capitale, i cui interessi vanno contro la società umana: quando al posto degli interessi della vita sociale della specie umana sono posti gli interessi del capitale, del denaro, della merce, cioè di una economia volta a piegare il lavoro umano esclusivamente alla valorizzazione del capitale, allora nessuna violenza viene bandita: la violenza del capitale, della sua economia mercantile, si trasferisce direttamente nella violenza della classe che detiene il potere politico, economico, militare piegando l’intera società agli interessi del capitalismo per il quale «servizio» questa classe non solo si appropria e accentra tutta la ricchezza prodotta dal lavoro umano, ma esercita qualsiasi tipo di violenza per difendere questo potere e per allargarlo a più vasti territori.
La guerra – che la borghesia israeliana conduce da decenni contro tutti i popoli che abitano nei territori confinanti quella che per gli israeliti è sempre stata la «Terra promessa» (...promessa dal Dio di Israele), a cominciare dalla popolazione palestinese che da qualche millennio è presente in tutta l’area in quanto anch’essa è una popolazione semita come lo è l’ebraica –, ha le sue radici non nel supposto anti-semitismo dei palestinesi, ma nell’interesse e nella necessità di entrambi i popoli a prevaricare l’altro per il domino sullo stesso territorio, soprattutto nelle aree fertili lungo il Giordano, e che ebbero nei contrasti religiosi plurimillenari una giustificazione ideologica per entrambe le parti. Con lo sviluppo del capitalismo, e quindi delle classi borghesi per ciascuna popolazione dell’area, i contrasti hanno preso inevitabilmente le caratteristiche di una guerra permanente in cui, dopo il crollo dell’impero ottomano che dominava da quattro secoli quei territori e la loro colonizzazione da parte delle potenze imperialistiche vincitrici della prima guerra mondiale – Inghilterra e Francia –, l’intera area del Vicino e Medio Oriente è stata completamente smembrata dalle antiche istituzioni imperiali. Inghilterra e Francia vi istituirono, a fini di dominio imperialistico, nuove entità nazionali: Iraq, Palestina/Israele, Giordania, Libano, Siria, Kuwait, Arabia Saudita, senza tener conto delle tradizioni stanziali delle diverse etnie e popolazioni, ma solo dei propri interessi imperialistici.
Naturalmente, gli interessi delle potenze imperialistiche prevedevano non solo la spartizione del Vicino e Medio Oriente ex-ottomano in zone di influenza (perciò Siria e Libano furono assegante alla Francia, Giordania, Palestina/Israele, Iraq, Kuwait e Arabia Saudita, all’Inghilterra) in modo da controllare direttamente le vie di comunicazione, il monopolio del commercio e lo sfrutamento dei giacimenti petroliferi, ma anche l’istigazione delle diverse minoranze (innanzitutto quella curda, e poi anche quella ebraica) contro le popolazioni arabe. Alla fine della prima guerra mondiale, col trattato di Sèvres (1920) si definivano i nuovi confini modificando radicalmente l’intera area mediorientale. Con la seconda guerra mondiale, la sconfitta delle potenze dell’Asse e delle entità statali arabe che le sostenevano, e lo sterminio degli ebrei, le democrazie imperialistiche vittoriose per la seconda volta sui totalitarismi imperialistici, non fecero che aggravare i conflitti tra le popolazioni dell’area mediorientale, in particolare per quel che riguarda l’istituzione di Israele che, da «focolare ebraico» diventerà nel 1948 uno vero e proprio Stato in un territorio che le potenze imperialistiche mondiali riunite nell’ONU dal 1945 avrebbero voluto spartire in due Stati diversi, uno palestinese e uno ebraico, cosa che non avvenne mai. Che l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la stessa Francia, parteggiassero sostanzialmente per la popolazione ebraica e non per le popolazioni arabe fu evidente, aldilà delle ripetute dichiarazioni sui conflitti arabo-israeliani e sui «due popoli, due Stati», fin dalla costituzione violenta dello Stato di Israele che causò la prima grande catastrofe (in arabo, al-Nakba) per i palestinesi, costretti a fuggire in Libano e in Giordania; né l’Inghilterra, né tantomeno la Francia, intervennero per evitare l’esodo forzato di 700mila palestinesi dalla loro terra occupata militarmente dagli israeliani. Uno Stato ebraico faceva comodo a tutte le potenze imperialistiche perché avrebbe potuto svolgere il ruolo di loro gendarme in un’area turbolenta e difficilmente gestibile dopo averla completamente smembrata; e tacitava la cattiva coscienza delle democrazie imperialistiche che, pur conoscendo la fine che stavano facendo milioni di ebrei nei campi di concentramento nazisti, non fecero assolutamente nulla per fermare quello sterminio annunciato.
Così, finita la guerra, favorirono la migrazione di centinaia di migliaia di ebrei dalla Polonia, dalla Germania, dalla Russia e dallo stesso Medio Oriente verso Israele, la loro nuova patria. Così l’imperialismo – sotto le vesti formalmente democratiche o meno – sperava di attenuare, se non pacificare, un Medio Oriente che si prospettava invece come un’area in cui i contrasti etnici, religiosi, politici ed economici dei popoli che lo abitavano da sempre, si sarebbero incrociati, aggravandoli, con i contrastanti interessi delle diverse potenze imperialistiche. Nel frattempo, nel corso dei decenni dal 1948 in poi, Israele è diventato un paese capitalisticamente molto avanzato e con rilevanti mire espansionistiche, mire che non possono attuarsi se prima non riesce a sottomettere l’intera popolazione palestinese in condizioni di non nuocere in nessun modo all’interesse di Tel Aviv di appropriarsi l’intero territorio della Palestina, anche a costo di sterminare la popolazione palestinese come sta avvenendo a Gaza da oltre 600 giorni.
Le ribellioni, le rivolte, le guerre, di cui i palestinesi sono protagonisti da oltre sessant’anni, pur avendo costantemente perso e avendo dovuto battersi non solo contro l’esercito di Israele, ma anche contro i governi e gli eserciti dei paesi arabi che si dichiaravano sostenitori e amici della «causa palestinese»; pur affidandosi all’influenza e alla direzione di gruppi politici e milizie che dall’Olp in poi, fino all’ANP attuale e ad Hamas, hanno dimostrato, al contrario, di far prevalere i propri interessi di parte, i propri privilegi, sfruttando le masse proletarie e contadine palestinesi, mettendosi di volta in volta al servizio di una o dell’altra potenza regionale, dell’una o dell’altra potenza imperialistica; pur subendo le conseguenze più terribili in termini di oppressione, di umiliazione, di tortura, di morte, le masse palestinesi continuano a resistere e a sopravvivere in lembi di terra che si trasformano però sempre più in cimiteri a cielo aperto.
Che tutte le potenze imperialistiche siano interessate a mantenere buoni rapporti economici, commerciali, finanziari e politici con Israele è evidente; hanno continuato a commerciare armi di ogni tipo, anche dopo l’8 ottobre 2023, e di questo i grandi campioni sono gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia, perfino la Spagna che, all’ombra del recente riconoscimento da parte di Pedro Sánchez dello «Stato palestinese», ha aumentato l’importazione di armi da Israele dopo il 7 ottobre 2023, compresi i nuovi missili Spike e i mortai Cardom «provati in combattimento» a Gaza (1). Non hanno fatto nulla perché alle parole concilianti dei «due popoli, due Stati» (che sanno benissimo che non ci saranno mai) seguissero i fatti, e nulla per fermare le sistematiche violenze dell’esercito e dei coloni israeliani contro la popolazione civile palestinese.
La loro grande potenza, politica, economica, militare, a che è servita? A proteggere la popolazione civile palestinese? A impaurire lo Stato di Israele minacciandolo di pesanti ritorsioni se non ferma le sue sistematiche violenze contro la popolazione palestinese inerme? No di certo, visto che dopo 600 giorni di bombardamenti che stanno radendo al suolo la Striscia di Gaza, coi suoi oltre centomila morti tra quelli accertati e quelli sotto le macerie, con le sue centinaia di migliaia di feriti, moribondi, affamati e malati senza cure, molti governanti in giacca a cravatta si prendono il lusso di dire – a favore delle telecamere – che Israele «sta esagerando», che ha «oltrepassato il limite» (il limite di che cosa: quanti morti civili sono «accettabili» per lor signori in quasi due anni di bombardamenti, colpendo scuole, ospedali, abitazioni civili, campi dei rifugiati,?), che è ora di «negoziare»... con chi, con Hamas?, che è concausa della guerra sferrata da Israele, e che ha, invece, interesse che la popolazione di Gaza continui a subire ogni efferratezza di cui è capace l’esercito di Israele, per avere una ragione in più per riorganizzarsi e riprendere l’influenza almeno su una parte dei palestinesi e continuare a svolgere il suo ruolo di longa manus di alcune potenze regionali, e non solo l’Iran, che hanno interesse a tenere Israele occupata nell’area territoriale di quella che un tempo era la Palestina?
E non sono certo i cosiddetti «aiuti umanitari», sotto forma di camion pieni di cibo, di medicinali, di vestiario, di attrezzature che giungono al confine di Gaza e che dal 2 marzo scorso sono bloccati sotto il sole dall’esercito israeliano, impedendo qualsiasi soccorso alla popolazione bombardata sistematicamente e ridotta alla fame. Dopo aver cacciato da Israele l’organizzazione umanitaria dell’Onu URNWA, accusata di terrorismo dal governo terrorista di Israele, ed aver organizzato con gli Stati Uniti una nuova e sedicente organizzazione umanitaria, la Alliance of Lawyers for Palestine (ASAP), al comando della cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation (GHF), finanziata dal Mossad e dal Ministero della Difesa israeliano e costituita in realtà da mercenari americani ed ex agenti della Cia, Israele procede speditamente nel piano di radunare la maggior parte dei palestinesi della Striscia nel sud della Striscia. Qui ha organizzato, vicino al confine con l’Egitto, sotto la supervisione degli Stati Uniti, 4 punti di raccolta per la distribuzione del cibo (contro i 400 punti di raccolta dell’URNWA in tutta la Striscia), costruendo dei lunghi e stretti corridoi di filo spinato e sottoponendo ad identificazione tutti coloro che si mettono in coda usando i più avanzati sistemi tecnologici di biometria; dopo giorni e settimane di affamamento è ovvia la calca di palestinesi per assicurarsi anche una sola dose infima di cibo. Come era preventivato, per disperdere la calca e obbligare i palestinesi a infilarsi ordinatamente nei corridoi allestiti appositamente e contro l’assalto al poco cibo messo a disposizione, i contractors americani e le milizie criminali organizzate da alcuni clan palestinesi d’accordo con il governo di Netanyhau (2) sparassero sulla folla, aggiungendo morti e feriti su morti e feriti. In questo modo i palestinesi vengono trattati peggio che i prigionieri in qualsiasi campo di concentramento: dietro gli «aiuti umanitari» – utili a temperare la cattiva coscienza dei paesi imperialistici – brillano le canne dei mitra e i cannoni dei carri armati, trasformando in questo modo i punti di raccolta per la distribuzione del cibo delle trappole mortali.
E mentre sta avvenendo questa lunga e pesante carneficina, nella Striscia di Gaza, il principe Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, domenica 1 giugno intendeva incontrare Abu Mazen a Ramallah, in Cisgiordania per discutere di quello che dovrebbe diventare un giorno l’agognato «Stato palestinese». Da più di cinquant’anni un alto funzionario dell’Arabia Saudita non mette piede in Palestina; da più di cinquant’anni Riyadh tace sull’intera tragedia della popolazione palestinese. Alla guida di una delegazione araba composta da ministri degli Esteri di Egitto, Giordania e altri paesi della Lega Araba, il principe Faisal bin Farhan intendeva dare l’avvio ad un’iniziativa con la quale l’Arabia Saudita vuole tornare a giocare un ruolo fondamentale nel ricostruire i rapporti interstatali tra i paesi arabi della regione e Israele, giocando come si conviene ai mercanti più esperti, su più tavoli: la normalizzazione dei rapporti con Israele secondo i famosi Accordi di Abramo, interrottti a causa dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e della risposta violentissima di Israele sulla Striscia di Gaza, ma che avevano appianato le relazioni tra Israele e il Bahrein gli Emirati e il Marocco, e che potevano essere nuovamente ripresi tra Tel Aviv e Riyadh; la ripresa dei rapporti con l’ANP dopo averli abbandonati, rimettendo la «causa palestinese» in primo piano, concordandolo con la Francia di Macron con cui Riyadh ha organizzato all’Onu una conferenza per il 17-20 giugno prossimi proprio per rilanciare il riconoscimento dello Stato palestinese. Si assiste così ad un ennesimo teatrino in cui la «causa palestinese» viene usata, ora da una potenza ora dall’altra, come leva per imporre i propri interessi di spartizione in un’area sottoposta sistematicamente a contrasti tendenzialmente irrisolvibili e nella quale le potenze regionali Arabia Saudita, Iran, Turchia e naturalmente Israele tentano da almeno sessant’anni di imporsi rispetto agli altri contendenti. Ma dietro di loro, o al loro fianco, agiscono le potenze imperialistiche storiche e un imperialismo più giovane, come ad esempio la Cina, altrettanto interessati non alla «causa palestinese», ma al petrolio e alle vie commerciali che passano attraverso il Mar Rosso, il Canale di Suez e il Golfo Persico. Gli è che questa visita a Ramallah è stata impedita da Israele ed è stata ovviamente... rimandata. A dimostrazione che il grande piano israeliano prevede di ridurre la presenza dei palestinesi nella Striscia e in Cisgiordania al minimo storico possibile, sono i continui insediamenti di coloni in Cisgiordania e, domani, una volta terminato lo sterminio a Gaza, anche nella Striscia. Non per caso la visita del saudita Faisal bin Farhan a Ramallah si stava concretizzando ventiquattro ore dopo che il governo Netanyahu aveva approvato altri 22 insediamenti nella Cisgiordania occupata, la più ampia operazione di insediamento nei territori occupati destinati illusoriamente ad uno Stato palestinese...
La guerra nel terremotato Medio Oriente è stata, è e sarà la situazione normale perché sono troppi i contrasti che si sono accumulati e concentrati nel corso di cent’anni e oltre e che continuano a generare ulteriori contrasti; contro questa situazione di guerra permanente soltanto l’esplosione della lotta di classe proletaria potrà portare con sé una risposta storica alle continue carneficine con cui le borghesie regionali ed imperialistiche tentano di volta in volta di imporre i propri specifici interessi di parte. Una lotta di classe proletaria che può scoppiare in Egitto come in Siria, in Iran, come in Turchia, nella stessa Arabia Saudita come in Libano o in Iraq o nella stessa Palestina, ma che potrebbe avere la caratteristica di trasmettere l’incendio rapidamente in tutta la regione.
Purtroppo, e non da oggi, una via d’uscita dall’oppressione, dalle stragi e dall’attuale sterminio dei palestinesi è ancora completamente negata. Sotto la bandiera del «diritto di Israele a difendersi», la sanguinaria borghesia ebraica, a nome del «popolo eletto da Dio», da un Dio che pretende totale obbedienza e al quale è dovuto anche il sacrificio più grande, quello della vita umana; un «diritto di Israele a difendersi» che giustifica ogni azione, anche le più violente e disumane, pensata, programmata e fatta contro ogni altro popolo pagano o considerato nemico. Questa antichissima convinzione religiosa, con la quale il «popolo eletto da Dio» ha costruito nel tempo, da una generazione all’altra, uno strettissimo legame solidale tra tutti i suoi componenti, per queste comunità ebraiche, cacciate dai vari paesi fin dall’Impero romano, ha contribuito a farle resistere nel tempo dedicandosi agli scambi commerciali e ai prestiti di denaro, diventando nel tempo usurai e banchieri, visto che, per sopravvivere, non potevano per legge possedere immobili e terre; ma, nello stesso tempo, non è stata sufficiente a proteggerle dai massacri e dai progrom che dal Medioevo in poi le hanno colpite in Germania, in Inghilterra, in Francia e soprattutto in Russia. Un «popolo eletto da Dio» ma perseguitato da tanti altri popoli, cristiani soprattutto che, nell’infinita ipocrisia del cattolicesimo, del protestantesimo e dei cristiani ortodossi, dirigevano il malcontento delle classi inferiori verso le comunità ebraiche che, per le loro caratteristiche, erano facilmente identificabili e ghettizzabili.
Ma, l’essere stati per secoli perseguitati non ha impedito alla gran parte delle comunità ebraiche di arricchirsi grazie al commercio e all’usura, in un mondo in cui i rapporti, violenti e meno violenti, tra le diverse popolazioni si infittivano mettendo in evidenza sempre più la necessità dello scambio di prodotti e, in seguito di merci a tal punto che, quando l’oro, l’argento e poi il denaro diventarono la misura degli scambi, la pratica mercantile e usuraria rafforzata e raffinata nei secoli dagli ebrei li mise nelle condizioni di maggior privilegio sociale tanto da diventare esponenti di prim’ordine del capitalismo.
L’assenza della lotta di classe in Israele, in Europa, in America, nei paesi arabi del Medio Oriente, non permette al proletariato palestinese, e tanto meno alla popolazione palestinese in generale, di contare sull’unica solidarietà concreta che lo aiuterebbe a reagire allo sterminio, scrollandosi di dosso le sanguisughe nazionalborghesi di Hamas, dell’ANP e di tutti i vari clan e le varie formazioni politico-miliziane che negli ultimi decenni hanno rappresentato non una «soluzione nazionale e democratica» del conflitto israeliano-palestinese, ma lo sfruttamento della combattività e dell’indomabile resistenza dei proletari palestinesi per affermare i propri interessi di classe borghesi, i propri privilegi, ora con gli scontri armati contro Israele e contro questo o quello Stato arabo che si rivelava repressivo nei loro confronti quanto Israele, ora con i più vili e cinici compromessi con i poteri dominanti rappresentati da Israele o dai paesi arabi, dagli Stati Uniti o dagli Stati europei.
Alla più recente offensiva di Israele contro la popolazione di Gaza, dopo la finta tregua concordata con Washington, è stato dato il nome di carri di Gedeone. Ogni titolo che Israele ha dato alle sue guerre ha sempre avuto un forte valore simbolico. In questo caso, il riferimento è alla Bibbia, in particolare al Libro dei giudici e alle gesta del giudice Gedeone (XI-X sec. a.C.), «scelto da Dio» per riportare gli israeliti alla fede nel Dio di Israele, allontanatisi dai comandamenti di Dio e oppressi da popoli pagani come i Madianiti e gli Amaleciti. Le sue gesta si sintetizzano nell’operazione di sterminio che Gedeone organizzò con un attacco notturno a sorpresa nell’accampamento dei Madianiti; la sorpresa facilitò la vittoria di Gedeone e dei suoi 300 guerrieri; egli uccise personalmente i principi catturati e ordinò lo sterminio della popolazione di due villaggi, Succoth e Penuel, rei di non aver sostenuto i suoi soldati. Ripristinata così la legge del Dio di Israele e il controllo del territorio abitato dagli israeliti, il giudice Gedeone garantì, secondo quanto narra la Bibbia, la pace per quarant’anni. Fu elevato, nel Nuovo Testamento, ad esempio di fede per tutti i cristiani, una fede che imponeva, di fatto, lo sterminio di tutti coloro che non si sottomettevano alla legge del Dio di Israele... e alla legge del Dio dei cristiani...
E di che cosa si tratta se non di uno sterminio organizzato fin nei più piccoli dettagli, quel che avviene a Gaza dall’8 ottobre 2023, il giorno dopo l’attacco di Hamas ai kibbutz israeliani confinanti con Gaza? Uno sterminio consumato col beneplacito di tutti gli Stati cosiddetti civili, e di cui renderanno conto, un giorno, davanti all’avanzare del movimento rivoluzionario proletario che, spinto dalle sempre più acute e forti contraddizioni del capitalismo mondiale, inevitabilmente risorgerà dalle ceneri.
(1) Cfr. https://contropiano.org/altro/2025/06/05/benefici-inconfessabili-la-compravendi ta-darmi-tra-la-spagna-e-israele-dopo-il-7- ottobre- 0183806
(2) Cfr. htpps://www.avvenire.it/mondo/pagine/caos-aiuti-striscia, 31 maggio 2025, a proposito di Yasser Abu Shabab, membro di una potente famiglia di Khan Yunis nel sud della Striscia, che, d’accordo con le forze israeliane, ha organizzato gli assalti alle centinaia di camion del Programma alimentare mondiale dell’Onu.
5 giugno 2025
Partito Comunista Internazionale
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