Dalla guerra commerciale alla guerra armata, una spirale che può essere spezzata soltanto dalla lotta rivoluzionaria di classe del proletariato

(«il comunista»; N° 187 ; Maggio-Luglio 2025)

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Nel rapporto sul Corso dell’imperialismo mondiale, tenuto alla Riunione generale di partito dell’ottobre 1978, scrivevamo, a proposito dell’offensiva del capitale contro la classe operaia (1):

«Se il capitalismo è finora riuscito a resistere alla crisi [quella mondiale del 1975, NdR], è anche grazie alla collaborazione delle direzioni sindacali e ai partiti riformisti che, al governo o alla “opposizione”, l’hanno aiutato a mantenere l’ordine e ad accrescere i profitti a spese della forza lavoro, sia partecipando apertamente all’applicazione dei cosiddetti “piani antinflazione”, sia impedendo orgni reazione generalizzata all’offensiva antioperaia».

E continuavamo:

«Questo compito [cioè queste forme di collaborazione di classe da parte dei sindacati e dei partiti operai riformisti, NdR], il riformismo non potrà assolverlo all’infinito con altrettanta facilità. L’offensiva borghese non è che ai suoi inizi. Certo, essa ha già ottenuto dei risultati: la risaliti dei profitti in tutti i paesi ha probabilmente causato una leggera ripresa della redditività; ma da un lato, secondo gli stessi portavoce del capitale, essa è ancora insufficiente, dall’altro, e soprattutto, il problema della tendenza del saggio di profitto alla caduta non è affatto, a lungo termine, risolto. Per accrescere ancora i saggi ritenuti insufficienti, poi impedire che ricomincino ineluttabilmente a cadere, il capitale non può far altro che proseguire nella sua offensiva contro i lavoratori, riprendersi una dopo l’altra le briciole e le “garanzie” che era stato in grado di concedere, distruggere a poco a poco le basi materiali su cui ha potuto prosperare il riformismo operaio. Di qui le grida di allarme di quest’ultimo e, a volte, certe esitazioni nei diversi strati borghesi di fronte ai pericoli di un’offensiva troppo brutale. Ma, anche a coloro che temerebbero le conseguenze dei propri atti, l’aggravarsi della concorrenza impone di applicare in tutto il loro rigore le leggi della produzione capitalistica, alle quali essa dà la forma di ineluttabili costrizioni esterne. Dando il segno della sovrabbondanza di capitale, la crisi e la caduta del saggio di profitto hanno dato il segnale della guerra economica generalizzata, in cui il dio sanguinario del saggio di profitto assume il volto dell’idolo “razionale” della competitività. In nome di questo nuovo imperativo categorico, ogni borghese predica la mobilitazione generale, esigendo dai proletari di tutti i paesi gli stessi sacrifici costantemente rinnovati: licenziamenti, compressione dei salari accelerazione dei ritmi, lavoro notturno ecc. – insomma, applicazione sempre più implacabile delle leggi del capitale e, quindi, pressione aggravata sulle spalle degli sfruttati. Nello stesso tempo cresce la pressione sulle masse asservite delle aree dominate dall’imperialismo, si accentua la concorrenza per le materie prime a buon prezzo e per le zone di influenza economiche, si esasperano gli antagonismi interimperialistici.

«Fino a quando? Finché la società borghese non possa far altro che ammettere – a modo suo – che non sono i profitti estorti al lavoro vivo che aumentano troppo lentamente, ma è il lavoro morto, accumulato che è cresciuto troppo in fretta; insomma, che la caduta del saggio di profitto, la crisi, l’inasprirsi della guerra economica, non sono se non le manifestazioni di una sola e medesima realtà, la sovraproduzione generale di capitale. Nel mondo a rovescia della concorrenza, questa non può apparire ad ognuno degli sciacalli borghesi che come un eccesso di capitali individuali, di concorrenti che vengono a disputare sempre più aspramente la loro parte di plusvalore che non è potuto crescere abbastanza in fretta per saziarli tutti. Di qui l’aggraversi crescente degli antagonismi imperialistici, che sfocia “con la regolarità dei fenomeni naturali” nella guerra di eliminazione reciproca fra i capitali, e alla distruzione massiccia di capitale imposta dalle stesse leggi della produzione capitalistica.

«La soluzione borghese ultima della guerra economica non può quindi essere che la guerra guerreggiata. Mettendo i proletari dei diversi paesi in concorrenza gli uni con gli altri per meglio sfruttarli, la prima non fa che preparare la seconda, che li lancerà gli uni contro gli altri sui campi di battaglia. Perciò, nella prima come nella seconda, la classe operaia può evitare di essere schiacciata solo praticando il disfattismo, respingendo gli idoli borghesi della competitività, della economia nazionale, della patria, e difendendo i propri interessi di classe, che sono gli stessi in tutti i paesi. Solo così, rifiutando l’irreggimentazione sotto le bandiere borghesi per ricostruire l’esercito internazionale del proletariato. Essa potrà difendersi, oggi, contro la pressione sempre più insopportabile del capitale, e preparare domani la distruzione definitiva della società borghese e del suo sanguinoso corteo di sfruttamento, saccheggio e guerre».

Da allora sono passati più di 46 anni, e il quadro generale si è modificato soltanto in peggio, poiché il sanguinoso corteo di sfruttamento, saccheggio e guerre è aumentato a dismisura. Né le conseguenze della crisi mondiale del 1975, né quelle delle crisi successive per giungere al terremoto finanziario ed economico del 2008-2009, alla guerra in Ucraina e all’inasprirsi vorticoso della guerra in Medio Oriente, sono stati affrontati da una decisa ripresa della lotta di classe del proletariato.

Come detto nella conclusione della citazione ora riportata, tale ripresa non potrà avvenire se non si baserà sul disfattismo classista che il proletariato attuerà soltanto spezzando i legacci della collaborazione interclassista che lo soffocano. Soltanto da questo disfattismo e dalla difesa esclusiva dei suoi interessi di classe può rinascere la forza sociale del proletariato in grado non solo di resistere alle pressioni e alle oppressioni borghesi, in qualsiasi paese del mondo, ma di unificare al di sopra delle nazionalità, delle etnie e delle razze i proletari di tutto il mondo per ricostituire l’esercito internazionale del proletariato come tentò di fare il movimento comunista degli anni Venti del secolo scorso sull’onda della vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia.

Quella grande battaglia rivoluzionaria è stata persa, ma la guerra internazionale di classe, per la preparazione della quale era ed è necessario tirare tutte le lezioni dalle controrivoluzioni – cosa che soltanto una forza politica inflessibilmente legata teoricamente al marxismo autentico poteva e può fare, e tale forza si dimostrò essere soltanto la corrente della Sinistra comunista d’Italia – è una guerra di classe che non sorge all’improvviso, per spontanea germinazione dalle file del proletariato, ma come prodotto di una lunga e tormentata preparazione sul terreno della lotta proletaria immediata in cui le avanguardie del proletariato abbiano la possibilità pratica di fare esperienza classista e di collegarsi al partito di classe, cioè alla coscienza degli obiettivi storici dell’emancipazione del proletariato dal capitalismo.

Questo partito di classe si fonda sulla teoria marxista, sul socialismo scientifico che è il portato di tutto lo sviluppo del pensiero e della scienza economica e sociale dei secoli passati, ed è a questa teoria – l’unica che ha previsto il corso generale delle sviluppo delle società divise in classi e la loro fine storica – che la lotta classista del proletariato, cioè delle forze vitali della produzione sociale, si deve collegare e affidare per poter trasformare la forza d’urto del proletariato internazionale in una forza positiva atta alla trasformazione economica della società superando gli antagonismi di classe e organizzando armonicamente la società  come società di specie. Lunga e difficile via, ma unica risolutrice perché non vi siano più oppressione, sfruttamento, guerre

 


 

(1) Cfr. "il programma comunista" n. 1, 13 gennaio 1979.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

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