La teoria della lotta di classe del proletariato contro la classe borghese e contro l'ordine esistente in ogni paese è alla base della lotta per il comunismo. Il compito dei comunisti marxisti di oggi è di difendere i fondamenti della teoria marxista in tutte le sue parti e di lottare per la costituzione del partito di classe nel solco della continuità teorica, programmatica, politica e tattica tracciato dalla Sinistra comunista d'Italia fin dal 1920
( Rapporti tenuti alla Riunione Generale del 12-13 maggio 2025 )
(«il comunista»; N° 187 ; Maggio-Luglio 2025)
I Rapporti tenuti in questa riunione hanno riguardato i seguenti temi: gli Elementi di economia marxista; La Guerra civile di Spagna 1936-39 secondo la Frazione del PCd’I all’estero (II parte, “Prometeo”); Il comunismo in Italia nacque adulto (la Sinistra comunista d’Italia in perfetto allineamento teorico-programmatico e politico con Lenin e le Tesi del II congresso dell’IC).
Iniziamo la pubblicazione del primo Rapporto sugli Elementi di economia marxista.
Questo testo fu pubblicato nel Prometeo (la rivista dell’allora partito comunista internazionalista), dal n. 5 (Genn.-Febb. 1947) al n. 14 (Genn.-Febb. 1950) della prima serie; poi è stato ripreso e pubblicato come n. 3 della collana “i testi del partito comunista internazionale” nel 1971, a integrazione del quale furono aggiunti, in Appendice, due studi: Sul metodo dialettico e Comunismo e conoscenza umana, rispettivamente in Prometeo, seconda serie, n. 1 (Nov. 1950) e n. 3-4 (Lugl.-Sett. 1952), che conservano il carattere non accademicamente freddo e distaccato, ma di battaglia polemica che hanno gli Elementi.
Una battaglia polemica che per la Sinistra comunista d’Italia e per il nostro partito – come si legge nella Presentazione degli Elementi nell’edizione del 1971 – è stata una costante difesa dell’integralità della nostra dottrina contro le ideologie della classe borghese e le deformazioni dei suoi servi opportunisti; è stata, inoltre, la rivendicazione e l’anticipazione della società comunista, come diretta antitesi dell’economia e della società del capitale dal cui seno nasce e che è dialetticamente chiamata ad abbattere e a sostituire.
Non si tratta di testi accademici, ma di armi di combattimento destinate soprattutto alle giovani generazioni, secondo la parola d’ordine costante del nostro partito che “nell’ambito storico attuale ad alto potenziale controrivoluzionario, si impone la creazione di giovani elementi direttivi che garantiscano la continuità della rivoluzione: l’apporto di una nuova generazione rivoluzionaria è condizione indispensabile per la ripresa del movimento”.
Gli anni in cui Amadeo Bordiga teneva, al confino di Ponza, il “corso” per militanti dedicato agli Elementi di economia marxista, erano gli anni in cui, come ribadito nella Presentazione degli “Elementi” nella loro pubblicazione del 1971, “sconfitta a Lione e poco dopo al VI Esecutivo Allargato dell’I.C. 1926, la nostra corrente, nell’emigrazione o al confino, in carcere o nella solitudine, sosteneva tuttavia l’ultima e veemente battaglia in difesa, contro ogni mistificazione, della dottrina e del programma marxisti”.
Da allora in poi è stata nostra caratteristica ribadire a ogni passo che “il marxismo è un blocco unico e invariante il quale non si può ridurre a un semplice ‘metodo’ d’interpretazione dei fatti via via che si succedono, ma offre una visione globale del corso della storia umana e dello stesso divenire della natura; non è un mosaico di cui si possono a piacere cambiare le tessere lasciando invariato il quadro d’insieme, ma è una concezione scientifica e globale del mondo in cui tutto si lega, e a nessuno è concesso di accettarne o respingerne a piacere questa o quella parte senza sfigurarne e quindi distruggerne la potenza rivoluzionaria”.
I. "Elementi di economia marxista" nella continuità del materialismo scientifico
PREMESSA
Nella serie di temi che sviluppiamo nel nostro lavoro per difendere la continuità e l’invarianza del marxismo, e che presentiamo nel quadro delle nostre riunioni generali, affronteremo quella che è l’arma più potente del proletariato nella sua lotta contro la società capitalista sul piano teorico e che rappresenta il fondamento concreto dell’organizzazione, della prospettiva e delle basi politiche della lotta di classe.
Quest’arma è quella del Capitale-Critica dell’economia politica, opera magistrale di Marx, che analizza e descrive i meccanismi più fondamentali del modo di produzione capitalistico, basato sullo sfruttamento del lavoro salariato e che definisce la produzione di plusvalore come sua ragione di agire, esistere e svilupparsi.
In questo esercizio non utilizzeremo direttamente l’opera di Marx, il cui Primo Libro – su Il processo di produzione del Capitale (1) – formula tutte le leggi e le categorie materiali dalla nascita al pieno sviluppo capitalistico, come la merce e il denaro, il valore, la produzione di plusvalore, la composizione del capitale e l’accumulazione del capitale.
Faremo riferimento a un testo di Bordiga, Elementi dell’economia marxista, che è un condensato del primo libro del Capitale, estraendone esclusivamente le nozioni economiche, tralasciando quelle politiche, storiche generali o filosofiche dell’argomento, metodo che permette di mettere in luce, in maniera molto diretta, tutte le leggi matematiche della natura, del funzionamento e dello sviluppo capitalistico.
Questo testo deve essere contestualizzato. Ha una storia particolare, legata alla repressione del movimento operaio e dei suoi rappresentanti comunisti e perfino socialisti da parte delle autorità fasciste in Italia. Nel novembre del 1926 la polizia effettuò una vasta campagna di arresti, prendendo di mira in cima alla lista i leader comunisti, tra cui Bordiga, Gramsci e molti altri. Condannato a tre anni di confino, Bordiga scontò la prima parte della pena nell’isola di Ustica e fu poi trasferito sull’isola di Ponza. Sebbene isolati dal continente, i gruppi dei militanti comunisti continuarono la loro attività militante organizzando incontri e conferenze di formazione politica. Fu a Ponza che Bordiga intraprese l’opera di esposizione del primo libro del Capitale. Per la cronaca, Bordiga fu liberato alla fine del 1929, posto sotto sorveglianza della polizia e poi escluso dal Partito Comunista d’Italia nel marzo 1930.
La pubblicazione di questo rapporto apparve sulla rivista Prometeo nel 1947-1950, nei numeri da 5 a 14 e poi nell’opuscolo n. 3 dei testi del partito comunista internazionale nel 1971.
In francese, il testo fu pubblicato parzialmente nel bollettino teorico Travail de groupe – crogiolo della futura rivista Programme communiste – nei numeri 2, 3, 4 e 5 del 1957. La versione completa degli Elementi fu pubblicata su Programme communiste n. 2 (gennaio-febbraio 1958), n. 3 (aprile-giugno 1958), n. 4 (luglio-settembre 1958), n. 5 (ottobre-dicembre 1958) e n. 7 (aprile-giugno 1959).
Gli Elementi seguono quindi esattamente lo stesso piano del primo libro del Capitale:
-Sezione I: La merce e la moneta
-Sezione II: La trasformazione del denaro in capitale
-Sezione III: La produzione del plusvalore assoluto
-Sezione IV-V: Capitalismo e potenzializzazione del lavoro (La produzione del plusvalore relativo)
-Sezione VI: Il salario
-Sezione VII: Accumulazione di capitale
-Sezione VIII: Accumulazione primitiva
-Conclusioni
Nell’esposizione odierna ci occuperemo delle sezioni I e II, cioè della merce, della moneta e della trasformazione del denaro in capitale. In una seconda esposizione, prevediamo di affrontare le sezioni III, IV-V e VI e in una terza esposizione, le sezioni VII e VIII.
Innanzitutto una parola sul Capitale e sulla sua genesi.
Nella prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale (2), Marx scrive: «Oggetto della mia ricerca in quest’opera sono il modo di produzione capitalistico e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono» (libro I) e avverte che «il secondo volume di quest’opera tratterà il processo di circolazione del capitale (libro II) e le forme del processo complessivo (libro III). Il terzo e ultimo libro illustrerà la storia della teoria (Libro IV) (3). Più avanti, nella loro stesura definitiva, i titoli di questi volumi diventeranno:
per il Primo Libro “Il processo di produzione del Capitale”,
per il Secondo Libro “Il processo di circolazione del capitale”,
per il Terzo Libro “Il processo complessivo della produzione capitalistica” e
per il Quarto Libro “Teorie del plusvalore”.
I diversi Libri del Capitale appariranno in base alle possibilità materiali e alla realtà della vita e della salute di Marx. Il primo libro fu pubblicato nel 1867, mentre l’autore era ancora in vita e sotto la sua direzione. Gli altri libri furono pubblicati dopo la morte di Marx (1883) da Engels, che si assunse il compito di raccogliere i manoscritti dei libri II e III (pubblicati rispettivamente nel 1885 e nel 1894), e da Karl Kautsky, d’accordo con Engels, per il libro IV, che fu infine pubblicato in più parti solo tra il 1905 e il 1910.
Non si può parlare del Capitale senza menzionare Per la critica dell’economia politica, pubblicato nel 1859 e che doveva costituire la prima pietra di un’opera sui meccanismi del modo di produzione capitalistico. Dopo questa pubblicazione, Marx fu indotto a rivedere il suo piano di pubblicazione iniziale e a decidere il nuovo piano finale del Capitale, nel cui Primo Libro riprese in gran parte i risultati e le conclusioni dei capitoli del testo Per la critica dell’economia politica.
Ma prima di affrontare il contenuto del Capitale, faremo una breve digressione sul materialismo storico e il socialismo utopistico; la prendiamo solo come esempio figurativo, tra gli altri, di deviazioni opportunistiche storiche e vicoli ciechi. In questo quadro ristretto non affronteremo la polemica e la lotta condotte da Marx ed Engels contro i filosofi prodotti dall’epoca storica, come Hegel, Feuerbach o Bauer, né la questione della dialettica scientifica, per la quale possiamo solo rimandare all’appendice agli Elementi, vale a dire Sul metodo dialettico (4).
Lo scopo è quello di mostrare quanto fosse profondo il divario tra Marx, che iniziò le sue riflessioni sulla critica dell’economia politica intorno al 1845, e la confusione e la dispersione ideologica che regnavano all’epoca e che furono fatali per il proletariato, e quindi in che misura quest’opera avrebbe forgiato la dottrina rivoluzionaria del proletariato.
MATERIALISMO STORICO CONTRO IDEALISMO E METAFISICA
È infatti indispensabile ritornare alla feroce lotta di Marx ed Engels contro tutte le varianti della filosofia idealista e metafisica della prima metà del XIX secolo, un periodo di formidabile spinta all’espansione del capitalismo in tutta Europa e nel Nord America, dove l’analisi e la spiegazione della società umana e della sua evoluzione verso nuovi rapporti di produzione fallirono nella trappola di una rappresentazione del mondo che passava dall’idea alla materia e non dalla materia all’idea, come spiegheranno il materialismo e la dialettica scientifici.
Quando Marx considera il suo lavoro sull’analisi scientifica del modo di produzione capitalistico pienamente sviluppato, la società borghese della fine del XVIII e dell’inizio del XIX secolo sta di fatto emergendo da un periodo di produzione ideologica intermedia, navigando tra il tutto-mistico e l’inizio del materialismo delle scienze naturali.
In questo periodo cruciale, nel campo delle scienze naturali e fisiche prevalsero le teorie materialiste, che sostenevano l’esperienza come base per analizzare e spiegare i fenomeni nell’ambiente reale, ma l’onnipotenza delle filosofie idealiste, metafisiche e perfino mistiche regnava ancora nel campo delle dottrine legate allo studio storico delle società umane. La borghesia, socialmente ed economicamente in ascesa e politicamente rivoluzionaria, si era, nel migliore dei casi, allontanata da tutte le vecchie dottrine dogmatiche e dalle filosofie dell’”idea” e della “sostanza essenziale” delle cose per descrivere la realtà e le cause materiali dei fenomeni che la natura la portava a constatare, ma il suo materialismo si fermava ai campi delle scienze come la fisica o la chimica.
Tuttavia, l’analisi e la comprensione dello sviluppo storico delle società e della loro evoluzione rimasero al di fuori di qualsiasi fondamento e metodo scientifico e si basarono interamente sulle filosofie idealiste.
Nelle sue Tesi su Feuerbach, Marx – con una citazione celebre ma fin troppo distorta da tutti gli studiosi opportunisti che la storia politica e culturale ha generato – affermava che «i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; ma si tratta di trasformarlo» (5).
I filosofi con cui Marx ed Engels si scontrarono, marciavano, essi dicevano, “sulla testa”. Lenin, riferendosi al Ludwig Feuerbach di Engels, confermerà l’immagine più volte ripetuta dell’idealismo che marcia sulla testa: «Il materialismo ritiene la natura elemento primordiale, lo spirito elemento secondario e mette al primo posto l’essere, al secondo il pensiero. L’idealismo procede all’inverso» (6).
Sebbene la loro attualità presenti delle sfumature, si potrebbe riassumere il loro pensiero di fondo riprendendo ciò che Engels pensava di Hegel: «Hegel era un idealista, cioè per lui i pensieri della sua testa non erano i riflessi, più o meno astratti, delle cose e dei fenomeni reali, ma invece le cose e il loro sviluppo erano i riflessi realizzati della “Idea” preesistente, non si sa come, al mondo medesimo. Conseguentemente, tutto veniva poggiato sulla testa e il nesso reale del mondo veniva completamente rovesciato» (7).
Marx ed Engels diranno nello stesso senso:
«La vita materiale degli individui, che non dipende in alcun modo dalla loro sola “volontà”, il loro modo di produzione e le loro forme di scambio, che si condizionano reciprocamente, sono la base reale dello Stato e rimangono tali in tutti gli stadi in cui la divisione del lavoro e la proprietà privata sono ancora necessarie, in modo del tutto indipendente dalla volontà degli individui. Queste condizioni reali non sono affatto create dal potere statale; al contrario, creano questo potere» (8).
E, ne L’ideologia tedesca, daranno una definizione molto chiara di cosa sia il materialismo scientifico:
«Questa concezione della storia si fonda dunque su questi punti: spiegare il processo reale della produzione, e precisamente muovendo dalla produzione materiale della vita immediata, assumere come fondamento di tutta la storia la forma di relazioni che è connessa con quel modo di produzione e che da esso è generata, dunque la società civile nei suoi diversi stadi, e sia rappresentarla nella sua azione come Stato, sia spiegare partendo da essa tutte le varie creazioni teoriche e le forme della coscienza, religione, filosofia, morale ecc. ecc., e seguire sulla base di queste il processo della sua origine, ciò che consente naturalmente anche di rappresentare la cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca influenza di questi lati diversi l’uno sull’altro). Essa non deve cercare in ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall’idea, ma spiega le formazioni di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge di conseguenza anche al risultato che tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nell’”autocoscienza” o trasformandoli in “spiriti”, “fantasmi”, “spettri” ecc. ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria» (9) .
IDEALISMO E UTOPISMO
Dalla filosofia dell’idealismo non potevano che nascere, in termini di trasformazione della società moderna, edificata sulle rovine delle antiche società di tipo feudale, invenzioni dello spirito sull’organizzazione della produzione e sui rapporti sociali tra le categorie sociali. L’idealismo avrà un’influenza importante e decisiva sul percorso politico degli utopisti. Per esagerare ciò che stavamo spiegando sul materialismo, potremmo dire che l’idealista o il metafisico, di fronte all’operaio che lavora in fabbrica, lo vedranno al massimo come un uomo che soffre, disincarnandolo da ogni categoria sociale del modo di produzione capitalista, mentre il materialista scientifico lo designerà come una forza lavoro della classe operaia che si sta facendo sfruttare dal proprietario della fabbrica per estorcere dal suo lavoro il plusvalore necessario alla riproduzione del capitale.
Sulla base dell’idealismo e della metafisica, in questo periodo di svolta dai vecchi regimi moribondi a quello del capitalismo traboccante di vitalità, la durezza sociale e la profonda miseria dei proletari incatenati all’inferno delle officine, delle fabbriche e della nuova industria pesante, non lasciarono indifferente la sensibilità umana dei primi critici della società capitalista, spesso provenienti peraltro dalle file borghesi, quelli che Marx avrebbe definito nel Manifesto come i “socialisti critico-utopisti”, tra i quali figuravano Saint-Simon, Owen e Fourier, per citare solo i più eminenti. I socialisti utopisti, cresciuti proprio in questa filosofia del pensiero predominante sulla realtà, non riuscivano – ed è Marx che lo sottolinea giustamente – a trovare la strada giusta per l’analisi scientifica della nascente società capitalistica, che non aveva ancora sviluppato e generalizzato all’intera società tutte le sue categorie economiche e sociali e che non offriva le condizioni materiali, se non i primi frammenti, per tale analisi. Non potevano fare a meno di rendersi conto dell’ingiustizia della società borghese, che non faceva altro che sostituire i vecchi rapporti sociali con altri altrettanto brutali e sprezzanti nei confronti della vita delle classi inferiori e dei non-benestanti.
Marx-Engels affermavano nel Manifesto che: «Gli inventori di quei sistemi [di Saint-Simon, Fourier, Owen ecc.] vedono l’antagonismo delle classi e anche l’efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa società dominante. Ma non vedono nessuna attività storica autonoma dalla parte del proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e particolare del proletariato» (10).
In assenza di un’analisi più scientifica, la loro ricetta sarà quella di inventare e creare da zero – se si presenterà l’opportunità finanziaria – prototipi a grandezza naturale di unità di organizzazione della vita sociale, culturale e produttiva, che non potrebbero abolire le fondamenta della società da loro criticata ma che ne ammorbidirebbero i tratti grazie al cambiamento e alla purificazione umanistica della coscienza di ogni uomo, che appartenga a un rango sociale inferiore oppure superiore. I falansteri di Fourier, come le comunità di Owen (New Harmony Society), progetti nati dalle loro menti, non trasfigureranno il mondo capitalista emergente. Né lo faranno le teorie di Saint-Simon, il cui progetto era di eliminare gli «oziosi» che dirigevano lo Stato e parassitavano la società, per far posto agli «industriali»: «La tranquillità pubblica non può essere stabile finché i più importanti industriali non siano incaricati di dirigere l’amministrazione della ricchezza pubblica» (11).
Tutti i socialisti utopisti hanno un punto di vista comune, ereditato dal loro idealismo filosofico: la negazione del capitalismo come nuovo modo di produzione, che porta con sé l’emergere di nuove categorie economiche e nuove classi e che comporta materialmente tutte le contraddizioni e gli elementi della sua futura distruzione. Si tratta quindi della negazione del fatto che le cause della miseria generata dal capitalismo non siano le stesse di quelle dei tempi feudali. In questa prospettiva, la miseria della disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro salariato, l’accumulazione di ricchezza nelle mani della nuova borghesia, non sono dunque un prodotto della realtà specifica e materiale del capitalismo, ma un fenomeno universale che trascende le epoche e si radica nella coscienza moralmente disturbata degli uomini, indipendentemente dalla loro appartenenza di classe.
La loro nuova società sarà quindi costruita agendo in base a questa coscienza per eliminare le influenze dannose del passato e trasformando ogni uomo in un cittadino retto, irreprensibile e devoto alla comunità.
IL CAPITALE DI MARX, ARMA DI COMBATTIMENTO DELLA CLASSE OPERAIA
La prima cosa da dire sul Capitale è che non si tratta di una semplice descrizione statistica e statica dell’economia capitalista; né si tratta di una fotografia, per definizione acronica, che non tiene conto del movimento del tempo e quindi delle modifiche e dei rivolgimenti che esso apporta nel corso della storia umana.
È un film che mostra, dal passato e dal presente, che il capitalismo è un modo di produzione che – come altri nella storia – contiene in sé i semi del proprio superamento attraverso le sue contraddizioni e attraverso le classi sociali che ha generato. Questa visione immobilista, che fissa una volta per tutte il carattere imperituro del capitalismo, è ancora quella degli economisti eruditi e dei professori accademici che lo interpretano non come un modo di produzione che si scava inesorabilmente la fossa, ma come la quintessenza assoluta della società umana, giunta al termine del suo sviluppo materiale e quindi ormai immutabile. Contro questa visione cristallizzata del pensiero borghese, Marx spiega da buon dialettico scientifico che i meccanismi economici che collegano gli uomini tra loro nell’atto di produrre i loro mezzi di sussistenza – qualunque sia la società considerata nella storia umana – generano tutti i fattori che portano in sé le condizioni della loro stessa distruzione; e ciò è tanto più vero per il capitalismo basato sulla produzione di beni, sul loro scambio mercantile e la cui produzione di plusvalore è l’obiettivo determinante e ineludibile della sua sopravvivenza. Spiegare le leggi fondamentali del capitalismo significa quindi anche spiegare le contraddizioni, le forze e i processi che lo porteranno alla rovina e alla distruzione.
Nella lettera a J. Weydemeyer del 5 marzo 1852 (12), Marx rivolge la sua critica ad un economista americano, H.C. Carrey, che esprime la «nobiltà» del capitalismo e l’impossibilità di superarlo «cercando di dimostrare che le condizioni economiche: rendita (proprietà fondiaria), profitto (capitale) e salario (lavoro salariato), invece di essere condizioni della lotta e dell’antagonismo, sono piuttosto condizioni di associazione e armonia», e prosegue:
«Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna, e la loro lotta reciproca.
«Molto prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato: 1) dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2) che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi».
L’analisi del modo di produzione in questa «fase storica determinata» che Marx compie nel Capitale è quindi interamente incentrata su questa «società senza classi» e sulle condizioni per realizzarla.
Elementi di economia marxista
Sezione I. Merce e Denaro
«La ricchezza delle società, nelle quali domina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una “enorme raccolta di merci”; la merce singola, come la sua forma elementare. L’analisi della merce è quindi il punto di partenza della nostra indagine» (13).
È con questa prima frase che Marx apre la sua opera di analisi del capitalismo e in essa è contenuto il suo metodo scientifico: per spiegare il funzionamento del capitalismo, egli parte dal suo elemento più semplice, dalla sua particella più piccola, che costituisce la merce alla quale attribuisce due forme, il valore d’uso e il valore di scambio. Poi viene la questione del valore e della sua sostanza, cioè da cosa è composto e da dove trae la sua esistenza.
Marx inizia quindi l’analisi del modo di produzione capitalistico, che appare ai sensi umani come una macchina di estrema complessità, dalla sua espressione più semplice, quasi banale. Il complesso, scientificamente, non si comprende dall’alto, ma dal basso. Ad esempio, prima di definire le formule che esprimono i movimenti dei pianeti, delle stelle e degli asteroidi solitari, la scienza astronomica è passata attraverso l’espressione delle leggi più semplici della gravità e della meccanica di Newton; e sulla base della legge gravitazionale, derivante dall’attrazione delle masse le une sulle altre in proporzione alla loro dimensione, hanno reso possibile spiegare il balletto delle stelle nell’universo, e nel nostro sistema solare in primo luogo (14). Nel Capitale, Marx agisce seguendo le stesse linee metodologiche per far emergere le leggi fondamentali del capitalismo, isolando i parametri fondamentali, quelli della merce, del suo valore, della sua circolazione, per poi, su questa base, sviluppare i processi più complessi del capitalismo.
1. VALORE D’USO
Per esistere, la merce deve avere un valore d’uso, cioè deve rispondere, in quanto oggetto o prodotto, alla soddisfazione di un particolare bisogno, materiale o immateriale, derivante dalle necessità della sopravvivenza umana e quindi della vita della società in cui essa si evolve in un dato momento storico. Questa condizione necessaria ne determina l’esistenza, nessuna utilità, nessuna merce: «L’utilità di una cosa fa di essa un valore d’uso» (15).
A sostegno della sua definizione di valore d’uso e della sua relazione con il valore di scambio, Marx afferma: «Una cosa può essere valore d’uso senza essere un valore. Così avviene quando la sua utilità per l’uomo non sia mediata dal lavoro: è il caso, per esempio, dell’aria, delle terre vergini, dei pascoli naturali, del legname di boschi incolti ecc. Una cosa può essere utile, e prodotto di lavoro umano, senza essere merce. Chi soddisfa i propri bisogni coi prodotti del proprio lavoro crea valore d’uso, ma non merce. Per produrre merce, egli deve produrre non solo valore d’uso, ma valore d’uso per altri, valore d’uso sociale. (...). Infine, nessuna cosa può essere valore senz’essere oggetto d’uso. Se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile, non conta come lavoro e quindi non contiene valore» (16).
Il valore d’uso è quindi indipendente dal valore di scambio, non può essere condizionato o modificato da esso e, a differenza del valore di scambio, non deve a quest’ultimo la sua esistenza o meno.
2. VALORE DI SCAMBIO
In quanto tale, il valore d’uso di un oggetto, di un prodotto, di un utensile, per quanto semplice possa essere, come una selce scheggiata, è diverso dagli altri prodotti, perché non può essere consumato, speso, utilizzato che nell’ambito specifico di un bisogno particolare e non tutti i bisogni sono uguali. La selce usata per tagliare le pelli degli uri [bovini primitivi, ormai estinti] non ha la stessa utilità dell’ago d’osso usato per assemblare successivamente queste pelli. Il valore d’uso, in sé, non può essere misurato quantitativamente; è nello scambio che si deve attribuire un valore a questo o a quell’oggetto. Parliamo quindi del valore di scambio del valore d’uso quando esso passa da una mano all’altra, da un individuo che non ne ha bisogno o non ne ha più bisogno a un altro la cui attività dipende da esso ma che non lo produce.
In tutti gli oggetti o prodotti fabbricati, raccolti, cacciati, c’è qualcosa di comune nel loro valore d’uso che permette di «misurarli» tra loro e, di conseguenza, di confrontarli in vista dello scambio. Tutti sono stati creati dalla forza lavoro umana e tutti hanno accumulato una certa quantità di questo lavoro, più o meno significativa: « (...) sono tutti ridotti tutti insieme a lavoro umano eguale, lavoro astrattamente umano. (...) a dispendio di forza lavoro umana senza riguardo alla forma in cui è stata spesa» (17).
Marx continua:
«Come misurare, ora, la grandezza del suo valore? Mediante la quantità della “sostanza creatrice di valore” in esso contenuta, il lavoro. La quantità del lavoro si misura poi mediante la sua durata temporale; il tempo di lavoro possiede a sua volta il suo metro in date frazioni di tempo come l’ora, il giorno, ecc. (…) Ognuna di queste [forze lavoro individuali] è forza lavoro umana identica alle altre, in quanto possiede il carattere di forza sociale media e come tale agisce, non abbisognando perciò nella produzione di una merce che del tempo di lavoro mediamente, o socialmente, necessario» (18).
In uno scambio semplice, una merce per un’altra merce, come potrebbero due produttori essere sicuri che la stima quantificata da questa misura del tempo delle loro due merci da scambiare rappresenti l’uguaglianza, senza che uno dei due venga imbrogliato? Engels rispose a questa domanda:
«Il contadino del Medioevo conosceva quindi con una certa esattezza il tempo di lavoro richiesto per la fabbricazione degli oggetti da lui ottenuti con lo scambio. Il fabbro, il carradore del villaggio lavoravano infatti sotto i suoi occhi e così dicasi del sarto e del calzolaio che, ancora ai tempi della mia giovinezza, facevano il giro dei nostri contadini della Renania e trasformavano in vestiti e scarpe le materie prime da essi prodotte. Sia il contadino, sia le persone dalle quali egli comprava erano essi stessi lavoratori, gli articoli scambiati erano i prodotti propri di ciascuno. Cosa avevano speso, nella fabbricazione di questi prodotti? Lavoro e soltanto lavoro: per la sostituzione degli attrezzi, per la produzione della materia prima, per la sua lavorazione, non avevano speso altro che la loro forza lavoro; come, dunque, potevano scambiare questi loro prodotti con quelli di altri produttori-lavoratori, se non in proporzione al lavoro in essi impiegato? Il tempo di lavoro impiegato in questi prodotti non era allora soltanto l’unica misura adatta per la determinazione quantitativa delle grandezze da scambiare; era anche la sola possibile. O si pensa che il contadino o l’artigiano fossero così sciocchi da cedere il prodotto di dieci ore di lavoro di uno contro quello di una sola ora di lavoro dell’altro?» (19).
Lo scambio tra due merci può quindi realizzarsi solo se è soddisfatta la seguente condizione iniziale: che il loro valore sia identico o sostanzialmente uguale e che – essendo tutte le merci il risultato del lavoro umano – il loro valore sia misurato dal tempo di lavoro socialmente necessario.
Il lavoro è la misura dell’equivalenza delle merci, ma è necessario comprendere che le condizioni di produzione di un oggetto possono variare a seconda delle condizioni materiali, tecniche e sociali in cui vengono prodotte. L’abilità dell’artigiano varia e, di conseguenza, varia anche il tempo di lavoro; il terreno di un contadino sarà più o meno sassoso e la sua aratura più o meno lunga. Non possiamo quindi porre un segno assoluto di uguaglianza tra due merci. Tenendo conto di queste differenze nella produzione, il tempo di lavoro preso in considerazione è il tempo di lavoro sociale medio necessario in un dato periodo, sapendo che fattori quali l’aumento della produttività determinato dai nuovi mezzi di produzione e dalle nuove organizzazioni del lavoro e della sua divisione, possono far sì che il tempo di lavoro necessario per la produzione di uno stesso oggetto vari. Il valore di scambio delle merci è dunque certamente uguale al tempo di lavoro socialmente necessario, ma non è una grandezza immutabile, dipende dalla produttività del lavoro; quando aumenta, il tempo di lavoro diminuisce e così diminuisce il valore dei beni prodotti. Quindi il valore varia in una certa proporzione, a volte inferiore, a volte superiore al valore delle merci.
La legge della gravità di Newton conferma l’esperimento: un corpo è meno pesante in quota che al livello del mare. Varia quindi entro un certo intervallo, e questa variazione è molto più grande se portiamo questo corpo su un altro pianeta.
È in un certo senso il nostro valore di scambio sulla base della realtà degli scambi. La massa, ovvero la quantità di materia contenuta in un corpo, è espressa in kg ed è un dato costante poiché dipende solo dal corpo stesso. La massa non varia indipendentemente dalla posizione del corpo. Questo è il nostro valore espresso in termini di tempo di lavoro socialmente necessario (sulla Terra, ovviamente).
In conclusione: «Ora conosciamo la sostanza del valore: è il lavoro. Conosciamo la sua misura di grandezza: è il tempo di lavoro» (20).
Resta ora da definire le forme di valore, la forma semplice e la forma generale ed equivalente.
3. LA FORMA SEMPLICE DEL VALORE
Dopo aver descritto le caratteristiche della merce, sia come valore d’uso sia come valore di scambio, e aver definito l’espressione del valore, contenuta nella durata del lavoro, Marx passa alla «genesi della forma denaro» che il valore alla fine assumerà:
«Ognuno sa (...) che le merci possiedono una forma valore a tutte comune, che contrasta nettamente con le forme naturali varie dei loro valori d’uso: la forma denaro. Si tratta qui di condurre a termine un’impresa che l’economia classica non ha mai neppure tentata: mostrare la genesi di questa forma denaro, e perciò seguire lo sviluppo dell’espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci, dalla sua forma più semplice e meno appariscente fino all’abbagliante forma moneta. Con ciò sparirà, nello stesso tempo, anche l’enigma del denaro» (21)
In questo percorso fino alla moneta, cominciamo dal valore sotto una forma semplice che si riferisce allo scambio di una merce con un’altra di tipo diverso, escludendo per il momento altre merci.
Questa è l’espressione «più semplice» del valore:
x merce A = y merce B (*)
o formulato diversamente:
x merce A vale quanto y merce B
Per esempio:
20 metri di tela = 1 capo di abbigliamento,
oppure
20 metri di tela hanno il valore di un capo di abbigliamento.
In questa equivalenza tra A e B, la tela e l’abito, si considera dunque identica la quantità di lavoro socialmente necessaria alla loro reciproca produzione. Ma in questa uguaglianza di scambio le due merci non svolgono lo stesso ruolo. Marx afferma che la prima merce svolge un «ruolo attivo» e la seconda un «ruolo passivo» (22).
La prima, ciò che cerca di essere scambiato con qualcosa di uguale, ha una forma relativa di valore, mentre la seconda merce, ciò che è uguale nello scambio, funziona come una forma equivalente di valore. Il termine «relativa» esprime la dipendenza della prima merce (x merce A) dalla seconda (y merce B) e il termine «equivalente» esprime il fatto che il valore della seconda merce è uguale a quello della prima.
In altre parole, la seconda forma serve a misurare il valore della prima. Naturalmente, possiamo invertire i termini dell’uguaglianza e dichiarare che 1 abito = 20 metri di tela e la tela assume la forma equivalente del valore, mentre l’abito assume quella della forma relativa. Nella versione iniziale dell’uguaglianza, l’abito rappresenta la forma equivalente; esiste solo come espressione del valore della tela, ma potrebbe esistere anche come espressione del valore di un’altra merce, ricordando che la forma di equivalente può adempiere alla sua funzione solo se l’unità di confronto è il tempo di lavoro; questo tempo di lavoro non è di per sé una merce in più, ma rappresenta solo l’unità di misura del valore.
Possiamo quindi anche scrivere:
Valore di x merce A = valore di y merce B = valore V
Il valore V è la forma semplice del valore. Ma è limitato all’espressione di un’equivalenza tra due sole merci; non può quindi essere un valore generale. Il nostro sarto che cede il suo vestito in cambio di 3 polli, ma questi polli non gli servono a nulla se deve cedere un secondo vestito a un altro contadino che coltiva grano.
Per riassumere, facciamo riferimento alla definizione di Marx:
«La forma semplice del valore di una merce è contenuta nel suo rapporto di valore o di scambio con qualsiasi altro tipo di merce. Il valore della merce A è espresso quantitativamente dalla proprietà della merce B di essere immediatamente scambiabile con A. È espressa quantitativamente dallo scambio sempre possibile di una data quantità di B contro la data quantità di A. In altre parole, il valore di una merce è espresso unicamente dal fatto che essa si pone come valore di scambio».
4. LA FORMA DI VALORE GENERALE ED EQUIVALENTE
Quindi, con una forma semplice di valore, abbiamo visto che solo due merci sono poste in una relazione di equivalenza; ma ogni merce può avere un valore in relazione a un’altra merce.
Così:
Il valore di x merce A = il valore di y merce B,
oppure = il valore di z merce C,
oppure v merce E,
oppure = ecc.
In altre parole:
20 metri di tela = 1 abito,
oppure = 10 libbre di tè,
oppure = 40 libbre di caffè,
oppure = 2 once d’oro,
oppure = 1/2 tonnellata di ferro,
oppure = ecc.
Osserviamo quindi che la relazione di scambio – forma semplice – di 2 merci implica 2 equivalenze: una volta è B l’equivalente per il possessore di A, un’altra volta è A l’equivalente di B.
Per 3 merci si avranno 6 equivalenze, per 4 merci si avranno 12 equivalenze e per 10 merci, 90 equivalenze. La formula da ricordare se sono presenti n merci vi saranno n(n-1) equivalenze.
Ci rendiamo conto che il numero di equivalenze è esponenziale e non possiamo immaginare che l’artigiano, il contadino, il mercante possano utilizzare un sistema binario come sistema generale di ambio.
«Infatti – spiega Marx – se il possessore della tela la scambia con molte altre merci e di conseguenza ne esprime il valore in una serie di altrettanti termini, i possessori delle altre merci devono scambiarle con tela ed esprimere i valori delle loro diverse merci in un solo e medesimo termine, la tela».
Se non consideriamo più i 20 metri di tela come il valore relativo, ma come la forma equivalente che ci consente di quantificare il valore di tutti gli altri beni, scriveremo invece le relazioni come segue:
1 abito = }
10 libbre di tè = }
40 libbre di caffè = } 20 metri di tela
2 once d’oro = }
½ tonn. di ferro = }
x merce A = }
Da questa forma semplice di successione del valore, che mette in relazione solo due merci, ricaviamo la conclusione che tutte le merci, in una quantità determinata, valgono 20 metri di tela, il che rappresenta ora la forma generale del valore.
«La forma naturale della merce che diventa l’equivalente comune, la tela, è ora la forma ufficiale dei valori. (…) La forma generale del valore relativo che abbraccia il mondo delle merci imprime alla merce equivalente che ne è esclusa [dal mondo delle merci] il carattere di equivalente generale. La tela è ora immediatamente scambiabile con tutti gli altri beni» (23).
Negli scambi simili al baratto delle antiche società umane, non è più necessario memorizzare decine di semplici relazioni di valore per scambiare dei beni. In questo contesto storico di scambio semplice, il possessore del bene A deve essere in contatto fisico con il possessore del bene B per poter concludere lo scambio. D’altro canto, se una merce può svolgere il ruolo di valore equivalente a qualsiasi merce a essa riferita, diventa possibile effettuare uno scambio senza una relazione fisica tra i barattieri, poiché una terza persona, il commerciante, può fungere da intermediario utilizzando una merce equivalente, storicamente il sale, per consentire lo scambio.
Negli Elementi di economia marxista viene fornito un esempio di questo processo di scambio delle merci: la forma semplice (ad es. una vacca = tre capre), dato che non si può tagliare la vacca in tre, se si ha bisogno solo di una capra, non si realizza più, ma si ha lo scambio di una vacca per 30 libbre di sale – l’equivalente generale – e poi tra 10 libbre di sale e una capra, mentre le altre 20 libbre possono aspettare un’altra opportunità per essere scambiate. Le merci che svolgono questa funzione di equivalente generale devono però possedere caratteristiche stabili di conservazione, inalterabilità e un volume ridotto per essere trasportate. Questo ruolo, dati questi requisiti, verrà gradualmente assunto dall’oro.
L’oro diventa la forma del denaro, sostituisce la tela o il sale e l’espressione dei valori diventa:
1 vestito = }
10 libbre di tè = }
40 libbre di caffè = } 2 once d’oro
20 metri di tela = }
½ tonnellata di ferro = }
x merce A = }
Marx precisa: «L’oro si presenta di fronte alle altre merci come denaro solo perché, già prima, si presentava di fronte ad esse come merce. Al pari di tutte le altre merci, anch’esso funzionava come equivalente o in veste di equivalente singolo in atti di scambio isolati, o in veste di equivalente particolare accanto ad altri equivalenti di merci. A poco a poco è giunto a funzionare, in cerchie ora più ristrette, ora più larghe, come equivalente generale. Non appena ha conquistato il monopolio di questa posizione nell’espressione del valore del mondo delle merci, esso diventa merce denaro» e la sua «forma valore generale appare trasmutata nella forma denaro» (24), cioè in forma prezzo.
L’espressione del valore relativo semplice di una merce assume la forma del prezzo e, per prendere l’esempio della tela:
20 metri di tela = 2 once d’oro,
o se 2 sterline sono il nome del denaro,
20 metri di tela = 2 sterline
Che per effettuare lo scambio venga utilizzata una merce piuttosto che un’altra come equivalente generale, non cambia nulla di fondamentale. Lo sviluppo e l’espansione geografica del commercio portarono alla scelta dell’equivalente generale non su una merce deperibile, ma su metalli come l’oro o l’argento.
Abbiamo fatto un’aggiunta nella rivista teorica di partito programme communiste:
« (...) non è perché fossero “preziosi” (?) che l’oro e l’argento sono diventati equivalenti generali, ma sono diventati equivalenti generali per ragioni pratiche e perciò sono stati considerati preziosi. È quindi chiaro che l’oro e l’argento sono denaro solo perché erano già merci» (25).
Questa interpretazione quasi mistica dell’oro e dell’argento come equivalenti generali ci porta al capitolo successivo dedicato al carattere feticistico del denaro.
5. IL CARATTERE STORICO-SOCIALE DELLA QUESTIONE
Nel Capitale di Marx, il capitolo è intitolato «Il carattere feticistico della merce e il suo segreto».
Questo capitolo, afferma il nostro Elementi di economia marxista, «è di indole storica e polemica ed esso presuppone un’enunciazione della dottrina del determinismo economico che non forma l’oggetto de Il Capitale, ma è inseparabile dalle dottrine marxiste sul carattere dell’economia capitalistica» (26). Dopo aver analizzato con grande attenzione il significato storico e sociale della merce in tutte le sue forme, Marx introduce questo capitolo per ricordare il metodo scientifico utilizzato nel suo approccio alla merce, al valore, e rimprovera gli economisti borghesi dell’epoca che scivolano nel misticismo sulla questione del valore. Nel Capitale si dimostra, attraverso il metodo dell’analisi storica dei rapporti tra gli uomini, che il valore di scambio, che permette di misurare la quantità di valore di una merce, non è una proprietà specifica e innata delle cose. Non dipende solo da se stessa, ma anche dai rapporti sociali tra gli uomini che permettono la produzione di oggetti e il loro consumo. Ma gli economisti borghesi tradizionali, con cui Marx si scontra, concepiscono l’economia politica esclusivamente attraverso la società capitalista che li arricchisce e consente loro il dominio di classe. Per loro il valore di una merce diventa un feticcio. La definizione di feticcio nel dizionario designa un oggetto che suscita venerazione superstiziosa e che è quindi legato a una concezione magica o religiosa, quindi immateriale, del mondo.
L’economismo borghese feticista non considera che il valore che la merce contiene deriva dal lavoro sociale, quindi dai rapporti materiali che legano gli uomini, in tutte le epoche, in un processo di produzione artigianale, industriale o agraria, risultante dal lavoro semplice, individuale, o dal lavoro associato dove domina la moderna divisione del lavoro. Prendendo le distanze dall’analisi scientifica storica per considerare solo la società capitalista idealizzata e immaginata come il futuro ultimo della società umana, l’economismo borghese cade in visioni ideologizzate e idealistiche della definizione della merce, estraendola dai rapporti sociali per farne una cosa a sé. Il valore utile di un oggetto non contiene in sé un valore di mercato; in quanto tale non ha alcun valore. Soltanto nell’azione dello scambio viene determinato il suo valore di scambio. Citando l’economista Samuel Beiley (27) che affermava che «Un uomo o una comunità sono ricchi, una perla o un diamante hanno valore e lo hanno in quanto tali», Marx risponde seccamente: «Finora, nessun chimico ha mai scoperto il valore di scambio in perle o diamanti» (28).
6. LA CIRCOLAZIONE. VALORE E PREZZO
Nella prima parte della riesposizione degli Elementi abbiamo definito la merce come l’unità più piccola dell’intero modo di produzione, ne abbiamo evidenziato il carattere sociale e spiegato da un lato le sue forme come valore e dall’altro come il valore viene definito nel quadro dello scambio di merci. Il valore di una merce, abbiamo detto, è espresso dal tempo di lavoro necessario e una cascata di scambi può essere realizzata solo a condizione che esista una merce che serva da equivalente generale, il sale nella sua forma più primitiva, l’oro o l’argento in una forma più evoluta, cioè in ultima analisi la forma moneta.
Quando parliamo di tempo di lavoro socialmente necessario, dobbiamo sempre ricordare che non si tratta di un dato temporale costante e fisso. È l’espressione materiale non solo della produttività del lavoro in un momento particolare, ma anche di variazioni casuali, perfino soggettive, anche se ciò può talvolta sembrare aneddotico rispetto alla legge generale. Nel caso di una diminuzione di valore dovuta all’introduzione di nuovi processi produttivi, nuove tecnologie, nuovi materiali, ciò provoca una diminuzione del tempo di lavoro e porta a una diminuzione di valore, cioè quando è espresso in oro o denaro, a una diminuzione dei prezzi; questo nuovo valore diventerà il nuovo punto di riferimento per molto tempo, fino ai prossimi sconvolgimenti nelle tecnologie di produzione.
Per illustrare ciò, negli Elementi, Bordiga prende l’esempio del cavallo vincitore di un derby tra i 20 cavalli iscritti alla corsa. Il tempo di lavoro necessario per l’allevamento – e quindi per la produzione – del cavallo X o Y, vincitore o meno, è lo stesso per tutti i cavalli, indipendentemente dai diversi contesti materiali. Ma il valore d’uso di un cavallo da corsa è quello di produrre un profitto dalle scommesse. Soltanto un cavallo raggiungerà questo obiettivo, quindi il suo prezzo di scambio, che rifletterà la qualità dell’utilizzo del destriero, sarà molto più alto di quello degli altri, relegati al rango di ronzino. Ma, poiché la valutazione del tempo di lavoro è globale per i 20 cavalli, Bordiga specifica che «il beneficio di un allevatore pareggia le perdite di altri 19, ma ciò non toglie che sussista la relazione tra il valore di un cavallo e il tempo di lavoro assorbito dall’allevamento» (29). Dunque, prosegue Bordiga: «Si può dunque parlare di una quantità di valore che non coincide di necessità con la forma prezzo, ma che ne è la base, potendo il prezzo oscillare in più e in meno attorno ad essa». (30).
Bordiga traccia anche un parallelo nella fisica con la questione della massa dei corpi. La massa, espressa in kg, è sempre costante per un dato corpo; dipende dalla composizione materiale, fisica e chimica del corpo, che non varia a seconda della posizione. Il peso di questo corpo, espresso in Newton, dipende dalla forza gravitazionale della stella presa come riferimento ed è espresso in N/kg. Ma anche su un dato pianeta, per noi la Terra, il peso dipende anche dalla distanza tra il corpo e il centro di questo pianeta. Quindi se posizioniamo il corpo sulla Luna, il peso diminuirà proporzionalmente alla forza di gravità che è molto più debole su questo satellite rispetto alla Terra. Se sulla Terra posizioniamo il corpo in riva al mare o sull’Everest, anche il suo peso cambierà: sarà meno pesante in montagna che in mare. Anche altri fattori, come la densità del sottosuolo terrestre o l’inclinazione del pianeta, possono intervenire a variare il peso, la cui massa è così costante.
Questa parafrasi scientifica si adatta perfettamente a comprendere il rapporto tra le categorie di valore e prezzo: il primo è costante (sempre in base a un dato ambiente di condizioni materiali e sociali di produzione), il secondo è variabile ma sempre legato al primo.
Negli Elementi si afferma che: «Nacque la scienza meccanica quando si seppe misurare la massa, dato in un certo senso non concreto e sensibile; nasce la scienza economica con la misura della grandezza valore, mentre non si fa scienza se si pretende di doversi limitare a conoscere e a registrare prezzi contingenti col pretesto che solo questi in realtà si misurano e fissano in cifre» (31).
Questa osservazione può essere paragonata a quella di Marx: «Non è il denaro che rende commensurabili le merci. Al contrario, le merci possono rappresentare collegialmente i loro valori nella stessa merce specifica, elevandola così a comune misura del valore, cioè denaro, in quanto come valori sono tutte lavoro umano oggettivato e quindi sono in sé e per sé commensurabili. Il denaro come misura del valore è la necessaria forma fenomenica della misura immanente del valore delle merci: il tempo di lavoro» (32).
Detto questo sul valore e sul prezzo, viene ora la questione della circolazione delle merci nello scambio e della successione degli scambi.
Osserviamo innanzitutto che lo scambio di merci fa emergere un primo attore, colui che vende e per il quale l’oggetto che detiene non ha alcun valore utile, e un secondo attore per il quale la merce da acquistare rappresenta un valore d’uso sia per il loro consumo diretto – che completerà la circolazione – sia nella loro incorporazione nella fabbricazione di altri prodotti che a loro volta rappresenteranno un nuovo valore d’uso, non per questo secondo attore, ma per un terzo attore futuro al quale potranno essere venduti. Il ciclo continua in questo modo. Poiché Marx apprezzava il tessitore, prese la sua attività come esempio per illustrare questo secondo processo del ciclo dello scambio.
Un tessitore vende la sua merce al prezzo fisso di 2 sterline e, in un secondo momento, scambia le sue due sterline con una Bibbia di pari prezzo. Lo scambio descritto da Marx comporta quindi due fasi di alienazione. La prima è la vendita della tela – quindi la sua alienazione – al prezzo di mercato di 2 sterline. Questa fase è seguita da una fase in cui le 2 sterline vengono a loro volta alienate per una seconda merce: la Bibbia. Lo scambio avviene quindi secondo lo schema: Merce-Denaro-Merce o M-D-M
La prima metamorfosi della merce è quella della vendita, come scrisse Marx: «M-D: prima metamorfosi della merce, o vendita. Il passaggio del valore dal corpo di questa nel corpo dell’oro, come l’ho chiamato altrove, il salto mortale della merce» (33).
La seconda metamorfosi è quella dell’acquisto D-M.
Per il tessitore il ciclo della circolazione delle merci termina lì, ma questa seconda fase di M-D-M è allo stesso tempo la fase successiva di un altro scambio, poiché il venditore della Bibbia usa le 2 sterline per acquistare poi del brandy. Otteniamo quindi il ciclo Tela-Denaro-Bibbia-Denaro-Brandy-ecc. La sequenza di queste metamorfosi cicliche costituisce la circolazione delle merci. Marx osserva, a proposito del sistema del baratto, merce sotto forma di valore d’uso contro merce sotto forma equivalente, che, da un lato, la circolazione delle merci «infranga le barriere individuali e locali del baratto, dando sviluppo al ricambio organico del lavoro umano; dall’altro, come in forza di esso si generi tutto un insieme di rapporti naturali sociali non controllabili dalle persone agenti. Il tessitore può vendere tela solo perché il contadino ha già venduto grano; messer Testa Calda può vendere Bibbie solo perché il tessitore ha già venduta tela; il distillatore può vendere acqua ardente [acquavite] solo perché l’altro ha già venduto acqua di vita eterna, e così via» [Nel baratto, nessuno può alienare il proprio prodotto senza che un altro alieni contemporaneamente il proprio] (34).
La circolazione dei beni tramite il denaro rompe l’obbligo della simultanea alienazione degli oggetti di scambio che paralizza la circolazione; con il denaro come equivalente, l’azione dello scambio può essere distante nel tempo e nello spazio; aumenta la velocità di movimento delle merci.
7. CORSO DELLA MONETA
Questo capitolo corrisponde al Capitolo III. Il denaro o la circolazione delle merci, del Capitale, e affronta i temi della «misurazione dei valori», dei «mezzi di circolazione» e della «moneta». Per riassumere questo lungo capitolo del Capitale, bisogna essere molto concisi. Come negli Elementi, manterremo solo alcuni aspetti principali. Nel processo di circolazione delle merci, quanta moneta è necessaria per garantirne il funzionamento e adattarsi alla sua velocità? La quantità di denaro necessaria è necessariamente una funzione del valore totale delle merci in circolazione. Ma è necessario tanto denaro quanto il valore dei beni scambiati? No, non è necessario che abbia lo stesso valore.
Limitiamoci alle nostre 2 sterline, che vengono utilizzate in successione per scambiare grano, poi tela, poi una Bibbia e infine il brandy. Per questa successione di cicli di 4 merci, per un valore complessivo di 8 sterline, non è necessario emettere un valore di 8 sterline. Quando uno dei 4 beni viene scambiato, esce dal ciclo degli scambi, in quanto valore d’uso ha in qualche modo una sola vita; ma le 2 sterline rimangono costantemente nel corso degli scambi e servono allo scambio dei 4 beni. Vale a dire che per 8 libbre di merce, ne bastano solo 2 per un certo periodo di tempo. Il che ci porta a poter misurare la velocità di circolazione come il rapporto tra il valore totale delle merci e il valore monetario necessario: «Nella velocità di circolazione del denaro, si riflette la mobile unità di quelle fasi opposte e complementari che sono la conversione della forma d’uso in forma valore e la riconversione della forma valore in forma d’uso, ovvero l’unità dei due processi di vendita e compera» [La velocità del tasso di cambio della moneta si misura dunque dal numero di volte in cui le stesse monete ruotano in un dato tempo] (35). Nel nostro caso 1 sterlina trascina 4 sterline di scambio. Il graduale passaggio dalla moneta d’oro alla carta moneta modifica certamente la forma della moneta, ma non modifica in alcun modo il suo rapporto con le merci e la sua circolazione. Durante l’espansione del capitalismo, la carta moneta svolgerà anche altri ruoli nel campo della regolamentazione finanziaria, come la creazione di riserve di sicurezza. L’oro continua a svolgere il ruolo di garanzia per le valute cartacee. Ma quello che oggi Marx non poteva conoscere è che una moneta, il dollaro, avrebbe svolto lo stesso ruolo dell’oro.
(1) Il secondo libro tratta Il processo di circolazione del capitale, il terzo Il processo complessivo della produzione capitalistica, e il quarto le Teorie del plusvalore.
(2) cfr. Marx, Il Capitale, UTET, Torino 1974, Libro primo, p. 74.
(3) ivi, p. 77.
(4) Pubblicato originariamente su Prometeo, serie II, n. 1, novembre 1950, poi nell’opuscolo n. 3 dei Testi del partito comunista internazionale, nel 1971. In francese è apparso su Programme Comuniste n. 9, ottobre-dicembre, 1959 e nell’opuscolo Testi del Partito Comunista Internazionale n. 10, 1996.
(5) Engels, Ludwig Feuerbach, “Le idee” Editori Riuniti, Roma 1976; in Appendice: Marx, Tesi su Feuerbach, p. 86.
(6) Lenin, Materialismo ed empirio-criticismo, Opere, Editori Riuniti, Roma 1970, volume 14, p. 96.
(7) Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, “Le idee” Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 89-90.
(8) Marx-Engels, L’ideologia tedesca, III San Max, a cura di Sociales Paris, 1976, p. 326.
(9) Ibidem, pp. 139-140.
(10) Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Giulio Einaudi Editore, Torino 1962, p.231.
(11) Saint-Simon, Catechismo degli industriali, 1833 .
(12) cfr. Marx-Engels, Carteggio, 1852-1855, Opere complete, Ed. Riuniti, Roma 1972, volume XXXIX, pp. 536-537.
13) Cfr. Il Capitale, UTET, Torino 1974, Libro I, Il processo di produzione del capitale, p. 107 [Sezione Prima, Merce e Denaro, Capitolo I. La merce].
(14) La legge sull’attrazione delle masse tra loro, la forza di gravità, può essere riassunta come segue: due corpi qualsiasi si attraggono in proporzione diretta alla loro massa e in proporzione inversa al quadrato della distanza dal loro centro di gravità. Una delle prime grandi scoperte, prima tramite calcoli e poi tramite osservazioni in senso teorico, fu la scoperta del pianeta Nettuno. L’osservazione di anomalie nell’orbita ellittica del pianeta Urano era stata attribuita alla presenza di un terzo pianeta sconosciuto che influenzava la traiettoria di Urano attraverso la sua massa. Nel 1846, calcoli matematici definirono la posizione di questo pianeta, che fino ad allora era sfuggito all’osservazione tramite telescopi astronomici (un’invenzione di Newton, ancora una volta...), e una volta localizzato tramite calcoli, il meraviglioso sconosciuto fu poi avvistato visivamente.
(15) Cfr. Il Capitale, cit., p. 10
(16) Ibidem, p. 114.
(17) Ibidem, p. 111.
(18) Ibidem, pp. 111-112.
(19) Cfr. Il Capitale, UTET, cit., Libro III, Integrazione e Poscritto al III Libro del Capitale di Federico Engels, p. 1102.
(*) Conserviamo il simbolo dell’uguaglianza (=), benché si tratti in realtà di equivalenza, dato che lo usa Marx: altrove abbiamo usato il simbolo a” [nota in “Elementi dell’economia marxista”, ediz. 1971]
(20) Cfr. Il Capitale, UTET, cit, Libro I, cit., p. 114 , in Nota in cui si riprende una frase presente nella prima edizione del Capitale, ma poi eliminata perché i concetti erano già espressi nelle frasi precedenti.
(21) Ibidem, p. 114 .
(22) Ibidem, p. 123.
(23) Ibidem, p. 133.
(24) Ibidem, p. 147.
(25) Cfr. Programme communiste, “Economie marxiste. II. Principaux résultats du Livre I du “Capital””, n. 48-49, pp. 83-84.
(26) Cfr. Elementi dell’economia marxista, Edizioni il programma comunista, 1971, p. 10
(27) Samuel Beiley è stato un economista inglese del XIX secolo. Wikiberal.org definisce la sua teoria del valore come segue: “La definizione stessa di valore è ‘la stima in cui è tenuto qualsiasi oggetto’.
Le relazioni tra i diversi beni di consumo sul mercato non hanno nulla a che fare con la presenza di un valore “sostanza” [cioè lavoro, N.d.R.] nel senso di ciascuna merce. Per il problema del valore di scambio in sé, Samuel Beiley ha fatto riferimento alla teoria soggettiva del valore, sostenendo che, in generale, il valore di scambio dipende dalla valutazione degli agenti economici che prendono parte allo scambio. Il valore è quindi solo una produzione astratta della mente e della sensibilità degli uomini, secondo i criteri soggettivi di ciascuno. Questa è la concezione magica del valore, ovvero il feticcio del valore. Secondo Marx, “per trovare un’analogia a questo fenomeno, bisogna cercarla nella regione nebulosa del mondo religioso” (cfr. Il Capitale, cit., p. 150).
(28) Cfr. Il Capitale, UTET, cit., Libro I, p. 163.
(29) Cfr. Elementi ... cit., p. 17.
(30) Ibidem, p. 17.
(31) Ibidem, p. 17.
(32) Cfr. Il Capitale, UTET, cit., Libro I, capitolo III: Il denaro o la circolazione delle merci. 1. Misura dei valori, p. 175.
(33) Ibidem, p. 188.
(34) Ibidem, p. 195-96.
(35) Ibidem, p. 205.
Errori nella Presentazione degli Elementi di economia marxista, “i testi del partito comunista internazionale” n. 3, Ed. il programma comunista, 1971
Che l'attività di partito si basi sul lavoro collettivo è dimostrato dal continuo contributo dei compagni in ogni suo aspetto. Segnaliamo in particolare che sugli Elermenti di economia marxista, previsti come tema da esporre alla recente riunione generale di Milano, un compagno si è accorto di alcuni errori contenuti nel testo pubblicato nel 1971. Riprendendo il breve cappello agli Elementi, pubblicato nel “Prometeo” n. 5 del 1947, nel testo del 1971 si è voluto introdurre lo studio con alcuni punti esplicativi . Nel punto 4 è stato scritto: “Forma valore generale e forma equivalente. Essa si presenta quanto consideriamo un dato numero di merci diverse e conosciamo tutte le equivalenze tra coppie di esse. Con due merci abbiamo una equivalenza, la forma semplice. Con tre merci tre equivalenze, con quattro dodici. Con dieci merci avremmo novanta equivalenze, sistema troppo complicato ai fini pratici e mnemonici. Per ricordare le novanta relazioni basta sapere quelle di nove merci ad un sola. e quindi nove sole relazioni da cui le altre facilmente derivano. Una merce è stata scelta come equivalente di tutte. Siamo alla forma generale del valore”. E’ detto: Con due merci abbiamo una equivalenza, la forma semplice. Qui gli errori sono due: con due merci le equivalenze sono due e non una, e non si tratta della forma semplice. L’altro errore è stato di considerare tre equivalenze con tre merci, mentre le equivalenze sono in realtà sei; ma di questo errore ci si era accorti già a quel tempo, . Quanto al concetto di “forma semplice”, va precisato che i due membri della formula: valore x merce A, e valore y merce B, portano al valore V (ossia forma semplice del valore); A e B sono membri che nella loro relazione costituiscono due forme diverse, come spiegato nel corso dello studio: la x merce A rappresenta la forma relativa, la y merce B rappresenta la forma equivalente. Con la forma semplice la merce che ci interssa non trova che un solo equivalente e non giungiamo ad una misura generale del valore, che invece è la sola che permette di comprendere come si arriva ad una merce che sia la misura generale dei valori delle merci; un tempo fu il sale (che permise di scambiare vacche con capre) come equivalente in termini di valore, successivamente l’oro e l’argento (grazie alla loro qualità di non modificarsi nel tempo, e infine il denaro. I valori delle merci non possono essere misurati secondo un’eguaglianza matematica, poichè per ogni merce dobbiamo saper scrivere la forma sviluppata: Se le merci sono n, questa forma sviluppata si compone di n-1 eguaglianze, e in tutto, in generale. le eguaglianze sono n(n-1). Infatti, per 10 merci dobbiamo conoscere 90 relazioni. Rispetto a questo errore, il nuovo “programma comunista” nel ripubblicare gli Elementi ha corretto l’errore iniziale (due merci una equivalenza, tre merci tre equivalenze) scrivendo: due merci, due equivalenze; tre merci, sei equivalenze. Ma ha lasciato nel caso delle due merci, due equivalenze, la definizione sbagliata di “forma semplice”. Di fatto lo scambio semplice, quello del baratto, quello primitivo, risolveva due bisogni diversi: il contadino aveva bisogno di té e aveva grano in abbondanza, così scambiava un sacco di grano con chi gli poteva procurare 10 metri di tela. Abbiamo due prodotti completamente diversi e di peso diverso, ma lo scambio si risolveva sulla base di un bisogno immediato tra due individui che in quel momento potevano soddisfare i reciproci bisogni con quelle particolari merci. Ma per un sistema di scambi generale, aldi sopra di ogni bisogno specifico e temporale, ci voleva una merce che rappresentasse la misura buona per ogni tipo di scambio. E’ così che l’economia mercatile sviluppata si è dotata del denaro.
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