La fame spasmodica di profitto e di territori economici è da sempre la base economica su cui l'imperialismo scatena la sua violenza distruttrice di popoli e di forze produttive.

L'ennesima ecatombe dei palestinesi, ulteriore azione genocida della borghesia israeliana, complici le borghesie d’America e d’Europa, può essere fermata e vinta solo dalla lotta di classe al di sopra delle nazionalità e per la rivoluzione proletaria e comunista

(Supplemento Palestina a «il comunista»; N° 188 ; Agosto-Ottobre 2025)

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L'oppressione nazionale che colpisce da più di cent'anni la popolazione palestinese è una delle forme di dominio politico ed economico che le classi borghesi attuano per assicurarsi sovraprofitti e un ulteriore controllo sociale già imposto con l'oppressione salariale. Il nazionalismo che le borghesie dei popoli oppressi hanno opposto alle borghesie dei paesi dominanti, svuotato delle sua spinta storica rivoluzionaria si è trasformato in un ulteriore ostacolo all'emancipazione dei popoli oppressi. La via d'uscita dall'oppressione nazionale, come da qualsiasi altra oppressione sociale, dal lavoro salariato all'oppressione femminile, passa esclusivamente dalla lotta di classe del proletariato, prima di tutto contro la propria borghesia nazionale per elevarsi alla lotta internazionale e rivoluzionaria contro le borghesie di tutti i paesi.

Riprendiamo qui il testo che avevamo pubblicato nell'aprile 2002, in stretto collegamento con le posizioni del partito comunista internazionale fissate nelle sue tesi dal 1951 in avanti, consapevoli del fatto che questo Appello non poteva, e non può nemmeno oggi, essere accolto dal proletariato in Palestina, in Israele, in Europa, in America o in qualsiasi altro paese data la forte depressione sociale in cui è ancora immerso il proletariato internazionale. Ma il compito del partito di classe è di mantenere vivo l'indirizzo rivoluzionario di classe in qualsiasi situazione, anche la più sfavorevole, perché il corso storico del capitalismo e delle sue sempre più acute contraddizioni riproporrà inesorabilmente la tremenda alternativa: guerra imperialista mondiale o guerra di classe del proletariato internazionale. La preparazione del partito di classe e del proletariato a quello svolto storico fa parte dei compiti dell'organo vitale, il partito comunista rivoluzionario, della rivoluzione proletaria cioè della via per la vera soluzione di tutte le oppressioni sociali, di tutte le guerre di rapina e di sterminio che caratterizzano l'ultima delle società divise in classi, la società borghese.

 

 

Ai proletari israeliani - Ai proletari palestinesi - Ai proletari d’Europa e d’America

 

 

Mai, i capitalisti, i borghesi, i lacchè della borghesia, i borghesi travestiti da operai o da comunisti, hanno speso le loro energie, le loro speranze, le loro aspettative, le loro forze se non allo scopo di difendere– con tutti i mezzi possibili–gli interessi di classe in cui si identificano realmente, e dai quali dipendono la loro vita, i loro privilegi, la loro ricchezza: gli interessi di classe della borghesia.

Ogni proletario sa, sulla propria pelle, che il borghese lo inganna, lo getta di lato se non può più sfruttarlo a dovere, lo abbandona nella miseria e nella fame, lo uccide nelle fabbriche, nei cantieri, nelle miniere, nelle strade o in una guerra o per effetto di una guerra. Ma sa anche che da solo non ha e non avrà mai la forza di opporsi a questa micidiale ruota dell’oppressione salariale e sociale, e che solo organizzandosi nella lotta e per la lotta è possibile vedere lo spiraglio di un futuro diverso. La storia dei popoli è la storia delle lotte che le classi sociali, che formano ogni popolo, si fanno: da un lato le classi che impongono e difendono i privilegi sociali e il dominio economico, politico e sociale sull’intero «popolo» e dall’altro le classi che si difendono dai privilegi sociali e dal dominio e dalla violenza economici, politici e sociali delle classi dominanti.

La storia delle lotte di classe, svoltasi in un arco storico che comprende la comparsa delle prime società umane divise in classi (l’era del primitivo schiavismo) e l’ultima società divisa in classi (l’era del capitalismo avanzato), ha prodotto una società– quella appunto del Capitale– in cui tutte le vecchie frammentazioni e contraddizioni, in cui tutti i vecchi e faticosi modi di produzione sono stati superati, condensandoli in un unico e mondiale modo di produzione quello capitalistico– da cui dipende vita e morte di tutta l’umanità.

In Israele, come in Cina, negli Stati Uniti d’America come in Nepal, in Argentina come in Ruanda, in Australia come nell’interno del Mato Grosso, domina ormai da moltissimi decenni la ferrea legge del Capitale, la legge del Mercato e del profitto capitalistico, là dove lo sviluppo è portato al massimo come là dove l’arretratezza economica getta da molto tempo milioni di esseri umani nell’inedia, nella fame, nell’abbrutimento. Sviluppo e arretratezza egualmente dovuti alla marcia del capitalismo.

Lo sviluppo del capitalismo, dal punto di vista economico– e quindi sociale e politico– non è stato e non è per nulla equilibrato, tutt’altro; è sempre stato, giusta Marx, uno sviluppo ineguale. I paesi che, per condizioni storiche, ambientali e in possesso di ricchezze naturali specificamente utili per lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, si sono sviluppati prima di altri, hanno imposto al mondo il modo di produzione più moderno e, attraverso di esso, lo hanno dominato e continuano a dominarlo.

L’enorme e progressivo sviluppo economico, sociale e politico che il capitalismo ha rappresentato rispetto a tutti i modi di produzione più vecchi, rispetto al dispotismo asiatico come allo schiavismo, rispetto al feudalesimo come all’economia naturale, dametàdell’800, con la comparsa delle prime lotte rivoluzionarie del proletariato europeo, si è via via trasformato sempre più in un ostacolo sia allo sviluppo economico dei paesi arretrati sia allo sviluppo politico e umano del mondo intero. Lo sviluppo capitalistico di un paese ha sempre provocato arretratezza e miseria per i paesi più deboli. La ferrea legge del Capitale, una volta sbarazzatasi delle vecchie economie precapitalistiche, da leva storica del progresso umano si è trasformata nella più micidiale oppressione economica e sociale. Popoli, liberati dal giogo feudale e monarchico, si trasformarono in popoli oppressori di altri popoli. Gli interessi capitalistici di classi borghesi nazionali si trasformarono sempre più in interessi «di tutto il paese» antagonisti ad altri interessi «nazionali» di altri «paesi», in un perenne conflitto fra Stati per la supremazia capitalistica in un mercato che diventava sempre più mondiale.

E in tutto questo storico sviluppo, mentre comparivano classi borghesi moderne là dove esistevano solo caste, contadini rivoluzionario storico e decisivo fra il proletariato internazionale e tutte le borghesie del mondo, per la morte del mercato, del capitale, del lavoro salariato e di ogni oppressione dell’uomo sull’uomo. poveri e nobili, compariva allo stesso tempo un’altra classe sociale moderna: il proletariato, la classe dei lavoratori salariati, la classe di senza riserve, di diseredati, costituita esclusivamente da braccia da sfruttare. Dominando la Produzione Capitalistica sul piano della struttura economica, domina la forma del Lavoro Salariato sul piano di ogni attività lavorativa: l’economia, la sopravvivenza dei popoli dipende ormai da due secoli esclusivamente dal modo di produzione capitalistico, e quindi dal rapporto fra Capitale e Lavoro Salariato. E ciò vale sia nel paese economicamente più avanzato del mondo che nel paese economicamente più arretrato.

L’universalizzazione del capitalismo, già ben nota a Marx, e che oggi supposti scopritori di «nuove tendenze economiche» hanno chiamato globalizzazione, ha ancor più legato le sorti dell’umanità intera agli andamenti economici e finanziari delle maggiori potenze; ogni angolo del pianeta è diventato così un territorio economico di interesse di qualche potenza economica regionale o mondiale, ogni popolo, anche il più sperduto e «sconosciuto», dipende da destini e interessi altrui. Ma tale universalizzazione capitalistica ha anche prodotto la generalizzata condizione di lavoro salariato sotto ogni cielo, generando masse sempre più vaste di proletari, di senza riserve, accomunati fondamentalmente dalla stessa condizione di lavoratore salariato da cui dipende la stessa loro vita. Masse di proletari i cui interessi non solo immediati ma anche futuri sono tutti indirizzati contro gli interessi borghesi, in un antagonismo sociale che vedrà la fine soltanto in uno scontro rivoluzionario storico e decisivo fra il proletariato internazionale e tutte le borghesie del mondo, per la morte del mercato, del capitale, del lavoro salariato e di ogni oppressione dell’uomo sull’uomo.

In questa storia delle lotte fra popoli e, in realtà, fra classi sociali, emergono costantemente contraddizioni sempre più acute e irrisolvibili nell’ambito dell’economia e della società del capitale. Se è vero, come è documentato da duecento anni di storia capitalistica, che le classi borghesi al potere non sono mai riuscite a risolvere le contraddizioni materiali del modo di produzione su cui fondano il loro dominio sulla società (la ricchezza si accumula sempre più in una minoranza di capitalisti mentre nella stragrande maggioranza di uomini del pianeta si accumula una miseria sempre crescente), è altrettanto vero che esse non sono mai riuscite a risolvere le contraddizioni che provengono dall’ oppressione economica, sociale, politica e militare di interi popoli e paesi da parte di potenze economiche e militari più forti. Sviluppandosi il capitalismo si sviluppano nello stesso tempo e in modo sempre più acuto le fortissime contraddizioni che oppongono le classi borghesi alle classi proletarie, i paesi più forti alla moltitudine di piccole nazioni e di paesi più deboli: ogni genere di oppressione, invece di attenuarsi e scomparire, si acutizza sempre più; e l’oppressione nazionale, che pedanti intellettuali archiviano come questione della passata epoca del colonialismo, diventa invece una regola sempre più attuale, non solo nei confronti dei paesi della periferia del capitalismo avanzato ma anche all’interno dei paesi più sviluppati.

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Proletari d’Israele!

 

Il Medio Oriente, coacervo di piccole nazioni, e in particolare la terra di Palestina, è la dimostrazione più evidente dell’incapacità del potere borghese di risolvere e superare le contraddizioni che in quel territorio economico si sono accumulate, soprattutto dalla seconda guerra imperialistica in poi.

I richiami all’identità nazionale da parte dei vostri governanti (siano essi di «destra» o di «sinistra»), e gli stessi richiami da parte delle organizzazioni nazionalistiche palestinesi (facciano o meno parte dell’OLP), in realtà servono da scudo a contrapposti interessi egualmente borghesi: da un lato la vostra borghesia israeliana, particolarmente condizionata dal sionismo e da questo in parte resa unita, dall’altro la borghesia palestinese incapace di rappresentare in modo unitario un popolo che le guerre e le sconfitte hanno fatto a pezzi; entrambe assetate di terra e di braccia da sfruttare per i propri profitti.

Certo, Israele, che è uno Stato e un paese imposto dall’alto dai vincitori del secondo macello imperialistico, ha una funzione nel Vicino e Medio Oriente che nessun altro paese ha mai avuto per così lungo tempo. Israele è uno Stato colono, uno Stato gendarme, sostenuto non tanto dalla vitalità della propria economia nazionale, ma esclusivamente dal capitale finanziario internazionale, e in particolare dal capitale finanziario statunitense. Lunga mano di Washington, in una vasta zona dove impera l’islamismo e in cui si concentrano fortissimi e contrastanti interessi legati al petrolio, Israele non potrà mai fare a meno di Washington, ma nemmeno Washington potrà mai fare a meno di Israele. Gli interessi nazionali israeliani si intrecciano fortemente con gli interessi imperialistici americani, ne sono costantemente condizionati; la sopravvivenza della classe borghese dominante israeliana dipende strettamente dai flussi finanziari che giungono dall’America. A questi interessi la scaltra borghesia israeliana collega costantemente due motivi ideologici di grande effetto propagandistico, interno ed esterno: a) difesa della civiltà occidentale in terre islamiche e dunque giustificazione «storica» del suo estremismo nazionalistico, b) vittimismo «storico» legato alla lunga oppressione razziale subita nei secoli e in particolare da parte del nazismo nel secolo scorso, legato al mito della «terra promessa». Ciò non significa che non vi siano urti e conflitti di interesse fra Israele e Stati Uniti d’America, come sempre tra Stati borghesi, ma non sono mai stati tali da mettere in forse la tenuta della loro simbiosi.

A questo nazionalismo all’ennesima potenza la borghesia israeliana è riuscita, fin dal primo momento della costruzione di uno Stato ebraico in Palestina, ad accorpare anche gli strati proletari di origine ebraica grazie alla presa dei due motivi ideologici sopra ricordati, grazie ai vantaggi materiali ed economici loro somministrati in virtù della colonizzazione delle terre palestinesi, e all’opera demolitrice dei cardini classisti e marxisti che lo stalinismo prima e il post-stalinismo dopo hanno attuato attraverso l’opportunismo di marca democratica e interclassista.

 

Proletari israeliani: siete avvelenati dal nazionalismo e dal democratismo, purtroppo, ed è per questo che non avete mai alzato un dito– per quel che ne sappiamo– contro i vostri veri nemici di classe in casa, la borghesia israeliana, per combattere contro l’oppressione del popolo palestinese.

 

Proletari israeliani: siete stati educati dalla vostra borghesia, ma anche dall’opportunismo di marca stalinista, a vedere come alleati più fidati i borghesi israeliani e a vedere, quindi, come possibili nemici tutti coloro che osteggiavano in un modo o nell’altro la nascita e l’espansione di Israele, anche se questo avveniva straziando corpi proletari delle nazionalità più diverse, ma in particolare palestinesi. Non vi accorgete che l’«unione sacra» sostenuta dall’ebraismo vi ha sempre negato, in verità, la possibilità di lottare contro la vostra borghesia in difesa dei vostri interessi di classe e, soprattutto, di lottare contro l’oppressione nazionale che la vostra borghesia esercita sui palestinesi, oppressione nazionale dalla quale anche voi ricevete dei vantaggi? E non vedete che la vantata democrazia che farebbe di Israele l’unico paese «veramente democratico» di tutta l’area mediorientale non ha impedito e non impedisce ai vostri governanti - certo, democraticamente eletti – di opprimere e macellare sistematicamente i palestinesi; e di mandarvi in guerra, ogni volta che il potere borghese dichiara la «patria» in pericolo, a difesa di interessi soltanto borghesi?

 

Proletari israeliani: avete sulle vostre spalle una grande responsabilità in particolare nei confronti dei proletari palestinesi: state condividendo con la vostra borghesia l’oppressione contro il popolo palestinese, la cacciata dei palestinesi dalla propria terra, i massacri e le carneficine che l’esercito israeliano, da quando esiste, non ha smesso di attuare nei confronti dei palestinesi.

Il vostro primo dovere proletario è quello, giusta Lenin, di riconoscere il diritto dei palestinesi a separarsi da Israele, al di là del fatto che essi siano effettivamente in grado di costituire o meno uno Stato indipendente. Ed è parte integrante di questo primario dovere la vostra più ferma e decisa battaglia contro l’oppressione nazionale che la vostra borghesia attua nei confronti dei palestinesi. Nella misura in cui non vi schierate decisamente per il ritiro immediato delle truppe israeliane dai Territori palestinesi, per la fine di ogni oppressione nazionale antipalestinese, e per il riconoscimento del diritto dei palestinesi a separarsi da Israele, voi proletari israeliani non potrete che essere considerati «oppressori» alla stessa stregua dei borghesi israeliani, «nemici» alla stessa stregua di tutti gli strati borghesi di Israele!

La storia, ricordava Marx, si vendicherà dei popoli che opprimono altri popoli: la storia, aggiungiamo noi, farà i conti anche con i proletariati che si sono resi complici della propria borghesia nell’oppressione di altri popoli. Dei vantaggi che da «israeliani» traete dall’oppressione dei palestinesi dovrete, un giorno, rendere conto. Nella lotta di classe che opporrà il proletariato in quanto tale– aldi là della nazionalità– alla borghesia in quanto tale, che posto prenderete? I proletari di origine ebraica hanno scritto gloriose pagine di lotta, anche nelle situazioni più drammatiche come nella battaglia del ghetto di Varsavia durante la seconda guerra imperialistica, ma da decenni le avete dimenticate. La vostra collaborazione con la borghesia israeliana vi ha portati ad essere, di fatto, complici dei massacri di Sabra e Chatila, ieri, e di Jenin, oggi.

Ma l’esercito israeliano sta rispondendo ad efferati atti di terrorismo! vi continuano a dire.

I kamikaze palestinesi si fanno saltare nei bar, nei ristoranti, nei supermercati, nei bus uccidendo civili innocenti, e vanno fermati! vi continuano a dire.

Il terrorismo palestinese va sradicato una volta per tutte, continuano a dichiarare i vostri governanti, e per sradicarlo si fa la guerra «all’intero popolo palestinese»!

Sì, gli atti di terrorismo sono sempre efferati, portano la morte sia che colpiscano con la precisione di un cecchino che facendo saltare una mina-umana. Ma non sono forse atti efferati di terrorismo la distruzione di case palestinesi con tutti i suoi abitanti, le incursioni aeree e le cannonate con le centinaia di morti di civili palestinesi innocenti? Non sarà che, siccome sono «palestinesi», quei civili non debbono essere considerati «innocenti»? Nei fatti vi è un esercito tra i più potenti del Medio Oriente che occupa militarmente i Territori palestinesi e che, con il pretesto della lotta contro il terrorismo, mette a ferro e fuoco le città e i villaggi di un intero popolo, peraltro sottoposto da decenni all’oppressione nazionale; un popolo che non si fa domare facilmente e che combatte con le armi che ha, anche a mani nude come nella prima Intifada nella quale ai lanciatori di sassi venivano democraticamente spezzate le braccia, o in questa seconda Intifada nella quale l’esercito israeliano passa la popolazione, democraticamente, senza distinzioni di sesso o di età, direttamente per le armi.

Sì, gli atti di terrorismo provocano morti, spesso innocenti. In guerra, gli atti di terrorismo sono mezzi usati da entrambi i fronti, ne fanno parte integrante. La sproporzione di forze tra un esercito moderno e superequipaggiato e miliziani del popolo male armati e non inquadrati in un vero e proprio esercito, non può che spingere i miliziani ad atti di terrorismo. Ai nostri occhi non solo è evidente la sproporzione di mezzi, e delle conseguenze materiali, ma questi atti terroristici vanno inquadrati nella disperazione di organizzazioni che sanno di non poter offrire all’esercito israeliano un’opposta forza organizzata in esercito, ma che nonostante ciò non si fanno domare e attendono la sistematica e più brutale rappresaglia, ben sapendo che la rappresaglia colpirà civili innocenti e confidando nel fatto che gli effetti raccapriccianti di tali rappresaglie facciano intervenire forze più potenti dell’esercito che hanno di fronte, magari eserciti di Stati più forti, e minino in qualche modo la compattezza e lo spirito di guerra del nemico. Con attentati terroristici non si sono mai vinte le guerre, ma della guerra essi fanno parte.

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Proletari d’Israele!

 

Il vostro futuro non sta nella collaborazione con la vostra borghesia, non sta nel girare lo sguardo da un’altra parte mentre uomini, donne, bambini, vecchi vengono falciati dalla mitraglia dei carri armati con la stella di Davide, non sta nelle lamentose e impotenti marce della pace che mai hanno fermato una guerra! Il pretesto del «terrorismo» non vi deve confondere perché con questo pretesto la borghesia israeliana cerca per l’ennesima volta di costringervi all’unione sacra contro un nemico che in realtà ha in qualche modo generato essa stessa.

La vostra borghesia dominante ha il vitale bisogno di tenervi strettamente legati alle sue sorti, alle sue esigenze, alle sue mire: senza il vostro appoggio, senza la vostra complicità, senza il vostro silenzio, la vostra borghesia dominante avrebbe molte più difficoltà nel difendere i suoi specifici interessi di classe e nel portare la guerra contro i palestinesi o i paesi confinanti. Gli attentati terroristici palestinesi, nei fatti, per la vostra borghesia dominante sono come una manna: essi giustificano qualsiasi operazione militare, qualsiasi restrizione politica, qualsiasi giro di vite sociale; se il terrorismo palestinese, non ci fosse, i borghesi israeliani se lo inventerebbero. Non rompendo il fronte comune che vi lega alla borghesia israeliana, nei fatti apparite voi stessi egualmente oppressori dei palestinesi.

Il vostro futuro sta nel futuro della lotta di classe proletaria innanzitutto contro la vostra borghesia di casa, lotta che può trovare i veri e autentici alleati soltanto nei fratelli di classe proletari– al di sopra di ogni distinzione di nazionalità– e i vostri fratelli di classe sono prima di tutto i proletari palestinesi ai quali dovete la vostra solidarietà per il solo fatto che subiscono l’oppressione nazionale da parte della vostra borghesia. Ma per solidarizzare effettivamente da proletari siete obbligati a spezzare nettamente il legame che vi stringe nella collaborazione con i vostri borghesi, con i vostri capitalisti, coni vostri governanti.

Solo se riuscirete a spezzare questo legame, se riuscirete a liberarvi dall’abbraccio velenoso e soffocante del nazionalismo ebraico e del democratismo borghese, sarete in grado non solo di portare solidarietà ai proletari che la vostra borghesia opprime, ma anche di scendere sul terreno della lotta di classe indifesa dei vostri esclusivi interessi operai contro gli interessi dei borghesi israeliani, interessi che li porta a sfruttare voi in quanto lavoratori salariati e, più brutalmente, i proletari palestinesi approfittando dell’oppressione nazionale esercitata su tutto il popolo palestinese.

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Proletari palestinesi!

 

La Palestina vi è sempre stata indicata come la patria da agognare, la patria da ricostituire e alla quale dedicare ciecamente forza, energia, speranza, vita. L’oppressione nazionale che Israele esercita su di voi, e su tutto il popolo palestinese, vi ha spinti a identificare i vostri interessi primari con gli interessi «nazionali», con gli interessi della vostra borghesia nazionale.

Ogni patria è un obiettivo borghese, ed esclusivamente borghese. Essa è legata ad un territorio, con dei confini, entro i quali la borghesia innalza il suo Stato, le sue istituzioni, forma il suo esercito, le sue polizie, i suoi tribunali, crea il suo mercato nazionale, batte la propria moneta e crea le proprie banche, targa le proprie merci, entro i quali confini la borghesia si arroga il diritto di sfruttare direttamente il proprio proletariato, e magari proletari immigrati da altri paesi ancor più poveri, dal cui lavoro salariato estorcere il plusvalore – alla pari di qualsiasi altra borghesia al mondo.

Il proletariato, proprio perché è fondamentalmente senza riserve, non ha patria!

Voi stessi siete una dimostrazione di questo assunto marxista: siete proletari in Israele, lo siete in Giordania, in Libano, in Siria, in Egitto, in Italia, in Francia o in America. Lavoratori salariati, quindi proletari, per sopravvivere siete obbligati a vendere la vostra forza lavoro in qualsiasi paese vi siate rifugiati, a qualsiasi capitalista intenda sfruttare la vostra forza lavoro per i suoi profitti.

Da proletari, in particolare in Israele, subite due tipi di oppressione: all’oppressione salariale che vi accomuna ad ogni proletario del mondo, da quello israeliano all’italiano, dal pakistano al libanese, dal russo al cinese all’americano, si aggiunge in sovrappiù la brutalità dell’oppressione nazionale, e da parte di un paese, Israele, che si vanta di essere l’unico paese «veramente democratico» in tutto il Medio Oriente. Ma la lotta contro l’oppressione nazionale esercitata sia su di voi proletari che sui borghesi in quanto palestinesi, non vi deve far dimenticare che la borghesia palestinese, finché ne avrà la forza, continuerà ad utilizzare al massimo possibile la vostra energia, la vostra indomabile tenacia, la vostra combattività, il vostro sangue per raggiungere i suoi specifici interessi!

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Proletari palestinesi!

 

Per decenni siete stati indirizzati a profondere i più grandi sacrifici con il miraggio di una «patria» tutta palestinese, nella quale finalmente vivere in pace. Per decenni siete stati indirizzati a credere che questa «patria» poteva vedere la luce solo con la «distruzione di Israele», e la condizione avrebbe dovuto essere la vittoria militare e politica della borghesia palestinese sulla borghesia israeliana. In realtà, mai le organizzazioni nazionaliste palestinesi, a cominciare da Al Fatah, hanno avuto in animo di andare «fino in fondo» nella lotta contro l’oppressione nazionale israeliana; esse, proprio perché borghesi, hanno sempre tentato la via del compromesso, ma è stata tale la pressione israeliana che non potevano non organizzare anche la lotta armata per obiettivi però sempre più ristretti, sempre più miseri, fino ad una supposta «Autorità» in città e campi spezzettati e supercontrollati dall’esercito israeliano.

Per decenni siete stati ingannati dalla vostra borghesia nazionale e da tutte le borghesie dei paesi arabi cosiddetti «fratelli» poiché i loro veri scopi hanno sempre puntato, in realtà, a controllare la vostra combattività, la vostra tenacia, affinché non diventaste un esempio vivente di lotta anticapitalistica in tutta la regione. Il «Settembre nero», Tall-el-Zaatar, dimostrano che quando il proletariato si arma e tende a difendere i propri interessi di classe anche solo sul terreno immediato, si trova contro tutte le borghesie dominanti della regione, unite e alleate a difesa della proprietà privata, delle banche, degli interessi appunto «nazionali» e di classe.

Le organizzazioni politiche del nazionalismo palestinese, da quelle più moderate a quelle più estremiste, non potevano e non possono andare oltre l’obiettivo di una patria borghese, ossia un mercato nazionale in cui sfruttare in modo più organizzato e vasto voi che rappresentate una ricchezza per il Capitale: la Forza Lavoro. L’indipendenza politica da Israele– se mai la borghesia palestinese avesse avuto la forza storica di conquistare un territorio unitario nel quale erigere il suo Stato indipendente– sarebbe stata raggiunta, sì, ma a tutto vantaggio dell’oppressione salariale senza la quale la classe borghese non ha possibilità alcuna di guadagno, e quindi di vita.

Le vicende della Resistenza palestinese, dei mille compromessi di una borghesia vigliacca e pronta a vendersi ai più potenti della terra pur dimettere le mani su un pezzo di terra sul quale innalzare la bandiera della sua proprietà privata, hanno portato la popolazione palestinese, e quindi anche il proletariato, nel vicolo cieco dello Stato-bantustan, di un aborto continuo di «autorità amministrativa» frammentata in territori spezzettati e messi stabilmente sotto il controllo militare del vero Stato moderno esistente in Palestina, lo Stato di Israele. L’oppressione nazionale, cacciata a parole mille volte dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, non ha mai smesso di essere esercitata nemmeno per un minuto.

La «nazione palestinese» è una nazione fottuta dalla storia, e la maggiore responsabile è stata ed è la borghesia palestinese.

I proletari palestinesi hanno segnata una via obbligata nella loro lotta per la sopravvivenza: la lotta contro lo Stato oppressore di Israele, ma anche la lotta contro lo Stato oppressore di Giordania, di Siria, di Libano dove le masse palestinesi si sono rifugiate; e la lotta proletaria contro la propria borghesia palestinese in difesa delle condizioni di vita e di lavoro quotidiane ed immediate.

Essi non avranno un vero aiuto nella loro lotta se non dalla loro stessa lotta al cui sostegno è chiamato il proletariato delle altre nazioni. I proletari palestinesi hanno la possibilità di una difesa efficace dei propri interessi di classe soltanto superando il limite angusto della «nazionalità palestinese», il limite angusto della piccola nazione, e associando la propria lotta alla lotta proletaria internazionalista che tende a sconfiggere i contrasti nazionalistici per incanalare la lotta di classe nell’alveo dell’unione di tutti i proletari del mondo.

Resta, ancor oggi, una situazione drammatica: i proletari palestinesi, confusi ancora nel «popolo», sono tragicamente soli a combattere e a sacrificare la vita in nome di un nazionalismo che non ha alcuna possibilità di risolvere nemmeno i problemi più elementari di sopravvivenza. Ogni «cessate il fuoco», ogni periodo di provvisoria pace è destinato ad essere seguito da ulteriori repressioni, invasioni militari, eccidi. E l’impotenza della propria borghesia provoca via via il ritorno all’uso degli attentati terroristici quale sola risposta «forte» ma al contempo disperata e impotente di un popolo che non trova vie d’uscita.

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Proletari palestinesi!

 

La vostra via non è nell’unione con i diversi strati borghesi che non vi offrono se non inganni e nazionalismo.

La via d’uscita non sta nel gettare alle ortiche la lotta contro l’oppressione nazionale e sottomettersi alla volontà dei potenti della terra; e non sta nemmeno nella cospirazione terroristica che altro non provoca se non la rappresaglia più feroce sulla popolazione inerme.

La via d’uscita è la più ardua e difficile, quella dell’organizzazione indipendente di classe, in quanto proletari e non in quanto «palestinesi», a difesa delle condizioni di lavoro e di vita proletarie; quella dell’organizzazione indipendente della resistenza quotidiana al capitale, l’unica «resistenza» che genera forza e solidarietà nella classe proletaria e che la difende da cedimenti opportunistici. La via d’uscita non può che essere di classe, e non di popolo; proletaria e antiborghese e non di popolo; indipendente sul piano organizzativo e su quello dei metodi di lotta e non confuso nella democratica impotenza del popolo. Su questo terreno, sul terreno della lotta di classe, aperta e cosciente, e solo su questo, anche la lotta contro l’oppressione nazionale assume forza e capacità di successo, e può attirare nella lotta i proletari di altre nazionalità, spronandoli alla solidarietà attiva.

Al di fuori della lotta di classe, al di fuori dell’organizzazione proletaria indipendente di classe, la martoriata storia del proletariato e del popolo palestinese continuerà senza fine.

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Proletari d’Europa e d’America!

 

Le borghesie imperialiste più potenti del mondo, le «nostre» borghesie, per l’ennesima volta, stanno giocando con la vita di popoli interi badando esclusivamente ai propri interessi di dominio. Il Medio Oriente è sempre stato una polveriera, una terra in cui i contrasti nazionali e imperialistici continuano da un secolo a gettare le nazionalità che lo popolano in guerre sempre più cruente. Petrolio e vie di comunicazione, controllo delle fonti di energia e dei passaggi d’importanza strategica per il dominio capitalistico mondiale, sono costantemente alla base di ogni contrasto interborghese, anche se talvolta questi contrasti prendono le sembianze di guerre di religione. Ma chi ne fa le spese, e in termini di massacri, sono sempre le masse di diseredati e di proletari, che si tratti di Israele o di Iraq, di Libano o di Afghanistan.

Gli interessi del capitale finanziario americano e dei più forti paesi europei, in quei deserti, sono colossali. Essi si intrecciano nello stesso tempo con gli interessi delle monarchie arabe che dominano su miliardi di barili di petrolio. Ma nessun trust imperialista laggiù interessato è disposto a lasciare la presa, si trattasse anche di un solo pozzo di petrolio. Dietro ai trust ci sono gli Stati, veri comitati d’affari armati dei capitalismi nazionali. E attraverso gli Stati si muovono le più diverse forze, politiche, diplomatiche, economiche, militari– a seconda del livello raggiunto dai contrasti interimperialistici – allo scopo di difendere in quei territori economici i propri interessi borghesi nazionali e di trust.

Ogni Stato borghese moderno si presenta come il più Democratico, il più ligio rispetto ai principi dei Diritti dell’Uomo, il più rispettoso della Sovranità Nazionale di ogni Paese, il più propenso a dirimere i contrasti fra nazioni sul piano politico e diplomatico. Ma non c’è Stato borghese moderno che non utilizzi sistematicamente la propria forza economica, finanziaria e militare per imporre i propri interessi «nazionali» sui diversi scacchieri internazionali. E al diavolo la sovranità nazionale, il dialogo politico e diplomatico, i Diritti dell’Uomo. I paesi a più vecchia democrazia sono quelli che hanno insegnato ad ogni altro paese sviluppatosi capitalisticamente in tempi più recenti che la forza economica e la forza delle armi vincono qualsiasi contrasto politico, si tratti di confini, di interessi economici e finanziari odi alleanze.

 E il Medio Oriente è la «zona delle tempeste» per antonomasia.

Ciò che ha caratterizzato l’atteggiamento delle potenze imperialistiche è la politica «della pace» da imporre in territori in cui gli scontri di guerra sembrano zampillare naturalmente da ogni oasi. Ma la realtà è che, nel tempo, gli scontri fra tribù più o meno nomadi si sono trasformati in scontri di interessi tra Stati, interessi determinati dal controllo di risorse molto più preziose per il capitalismo che non l’acqua delle oasi: il petrolio. La politica della pace, imposta dalle potenze imperialistiche, non è che il risultato della politica di guerra che queste stesse potenze imperialistiche si fanno a livello commerciale o finanziario; non è che il dominio economico e politico che le diverse potenze imperialistiche hanno tentato, e tentano continuamente, di imporre su tutti i paesi che formano il Medio Oriente; non è che la politica imperialistica di spartizione delle zone di influenza. 

Il pacifismo delle classi dominanti borghesi e imperialistiche è inversamente proporzionale agli interessi economici e finanziari presenti nella zona data: più importanti sono gli interessi e meno disposti alla pace sono i governanti che quegli interessi rappresentano. D’altra parte, in ogni paese capitalistico la pace, giusta Lenin, non è altro che un periodo che sta fra una guerra e l’altra, sia che la guerra interessi terre lontane sia si svolga nel proprio territorio.

Ed è per queste «guerre per la pace», per queste «guerre contro il terrorismo», per queste «missioni di civiltà» che ogni borghesia dominante chiede il sostegno dei propri proletari, vestendo le sembianze delle «forze del bene» - la Civiltà, la Democrazia, il Libero Mercato – che combattono le «forze del male» - la Barbarie, la Dittatura, l’Arretratezza! Mala realtà va letta in termini di crudi e sporchi interessi economici, finanziari, politici: là dove esiste una zona strategica per i paesi imperialisti sorgono contrasti di ogni tipo, fino allo scontro di guerra. E non ha alcuna importanza per i «superiori» interessi dell’imperialismo, che l’intervento militare infranga la «sovranità nazionale» del tale o tal altro paese: l’Afghanistan, la Jugoslavia, l’Iraq sono esempi recenti, per non parlare del solito Medio Oriente.

Perché mai le borghesie dominanti dei paesi imperialistici, data la potenza raggiunta e la loro possibilità di intervenire militarmente in ogni angolo del mondo a difesa dei loro specifici interessi, dovrebbero dannarsi tanto per convincere il proletariato dei propri paesi che le loro operazioni militari, le loro politiche di guerra, sono giustificate dal punto di vista ideologico e morale? Perché mai le classi borghesi spendono tante risorse nella propaganda dei loro ideali, quando da decenni sono riuscite a rendere il proprio proletariato, dal punto di vista della lotta di classe, praticamente inerte?

Il proletariato, la classe operaia, anche se in questi ultimi decenni è stata data per scomparsa, rappresenta, in realtà, per ogni borghesia la vera fonte dei suoi profitti: solo lo sfruttamento della forza lavoro, dunque del proletariato, dà la possibilità alla borghesia di guadagnare cifre sempre più imponenti di denaro; e denaro significa capitale. Avere a disposizione macchine, materie prime, energia e un mercato non serve a nulla se nel processo di produzione e di distribuzione delle merci non entra lo sfruttamento della forza lavoro. Questo sfruttamento consiste semplicemente nell’impossessarsi di una quota (sempre più consistente) di pluslavoro non pagata all’operaio; pluslavoro che si trasforma in plusvalore nel momento in cui la produzione viene venduta nel mercato. I capitalisti non possono fare a meno di sfruttare la forza lavoro; e sono tali l’intensità e l’ampiezza di questo sfruttamento che sul capitale industriale e commerciale si è innalzato all’ennesima potenza il capitale finanziario e speculativo. La fase imperialista del capitalismo consiste, in sostanza, proprio nel sovrastare del capitale finanziario e parassitario sul capitale produttivo.

Il proletariato, schiacciato da questo enorme castello costituito da tutti gli strati di borghesi e piccolo borghesi che vivono esclusivamente del profitto tratto dallo sfruttamento del lavoro salariato, costituisce un nodo vitale nel ciclo di produzione e valorizzazione del capitale.

La borghesia dominante, per esperienza di dominio sociale e politico, sa che più è libera nello sfruttamento della forza lavoro più riesce ad accumulare capitale; ed ogni volta che quella libertà di sfruttamento viene bloccata, ad esempio da scioperi oda moti sociali, la perdita di quote di plusvalore è certa. Perciò, essa ha bisogno che le tensioni sociali, provocate materialmente dall’antagonismo di classe presente nella società capitalistica, siano sotto il controllo delle forze politiche e sindacali conservatrici e collaborazioniste. La classe dominante ha tutto l’interesse a coinvolgere le masse proletarie nella difesa delle sue esigenze di dominio, nella difesa dei suoi interessi economici e politici. Esigenze e interessi che di norma vengono passati come «comuni», «nazionali», al di sopra delle classi. Perché tale coinvolgimento facilita lo sfruttamento della forza lavoro a livelli molto più alti che in situazioni di tensione o di rottura sociale.

Ma tale coinvolgimento i borghesi lo pagano: briciole dei loro enormi profitti raccolti dallo sfruttamento non solo del «proprio» proletariato ma di intere nazioni, vengono usate per corrompere il proletariato dei paesi industrializzati, per legarlo alle sorti del capitalismo nazionale, per spegnerne la combattività e la spinta classista di lotta.

Ebbene, è questo coinvolgimento, questo attutimento da parte proletaria degli antagonismi sociali negli attuali rapporti fra le classi, quel che permette alla classe dominante borghese di avere le mani libere, di agire senza troppi intoppi nell’opera sistematica di sfruttamento del lavoro salariato e nell’oppressione dei proletariati e dei popoli dei paesi economicamente più deboli.

I proletari d’Europa e d’America hanno avuto una lunga tradizione di lotta classista, e di lotta rivoluzionaria; tradizione che li ha caratterizzati in diversi svolti storici anche nella solidarietà di classe nei confronti dei proletari dei paesi oppressi dalle loro borghesie. Ma questa tradizione classista è stata sfigurata, lacerata, dall’opera delle forze della collaborazione di classe e dell’opportunismo politico e sindacale. Il sistematico e sempre più intenso ed esteso sfruttamento capitalistico del lavoro salariato è accompagnato regolarmente dall’opera altrettanto sistematica di deviazione e di intossicazione democratica e collaborazionistica da parte delle forze dell’opportunismo. Falsi comunisti, falsi socialisti, falsi difensori della causa e degli interessi proletari, in cerca solo di successi elettorali e personali, spendono da decenni le loro energie affinché il proletariato non ritrovi più il collegamento con la sua storia di classe e rivoluzionaria, affinché concepisca la sua sopravvivenza come un bene che gli è offerto dal capitalista, affinché veda il padrone, i difensori della legge del capitale, lo Stato, il potere politico democratico come fossero parti indispensabili di un tutto da salvaguardare, eventualmente da «migliorare» ma non da sovvertire. Ma gli antagonismi sociali non smettono di esistere, e più l’economia capitalistica avanza nella sua diabolica spirale mercantile più gli antagonismi sociali si acutizzano.

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Proletari d’Europa e d’America!

 

L’imperialismo rappresentato dagli Stati più industrializzati del mondo non ha per nulla superato e risolto le questioni legate all’oppressione coloniale; e tanto meno ha risolto gli antagonismi fra Stati concorrenti. Ciò significa che non solo il passato e il presente ma anche il futuro continuerà ad essere segnato dai macelli di guerra, dalla repressione, dalla miseria, dalla fame; la schiavitù del lavoro salariato imposta dal capitalismo è sempre accompagnata da una serie orrenda di oppressioni di ogni genere.

 

Più le classi dominanti borghesi hanno le mani libere, e più sono destinate ad aumentare sia l’oppressione salariale che l’oppressione sociale e nazionale.

 

Il mondo, che non avrebbe mai più dovuto conoscere le distruzioni di guerra, finito il secondo macello imperialistico, non è stato altro che un mondo in cui le guerre si sono moltiplicate a dismisura. E non è una questione di «dittatori», di personaggi «diabolici», del «male» che si impadronirebbe di certe forze politiche. E’ la società borghese, basata sul modo di produzione capitalistico che volge ogni interesse ad esclusivo beneficio del dio Capitale, l’origine di tutte le contraddizioni, di tutte le oppressioni, le repressioni, gli eccidi, le guerre che punteggiano il suo corso di sviluppo sia nelle forme democratiche che nelle forme della dittatura militare o fascista.

Israele, il paese che è sorto per dare una «patria» ad un popolo disperso e perseguitato nel mondo, rappresenta esso stesso un baluardo della società del capitale e si caratterizza anch’esso– al di là del ricordo dell’Olocausto e delle persecuzioni subite nei secoli– con la stessa cinica e inumana determinazione capitalistica e borghese nell’imporre i suoi specifici interessi nazionali nella regione in cui si è costituito. La classe dominante israeliana usa esattamente gli stessi mezzi e gli stessi metodi di oppressione nazionale e di repressione poliziesca e militare che hanno usato e usano altre classi borghesi al solo scopo di terrorizzare sistematicamente quegli strati sociali e quelle nazionalità che per ragioni storiche e sociali si oppongono al dominio borghese israeliano, allo scopo quindi di rafforzare in particolare il proprio dominio di classe. Demolire a cannonate le case nei villaggi palestinesi, sfondare le case dei palestinesi con i bulldozer schiacciando i loro abitanti sotto i cingoli non è «guerra di difesa dal terrorismo», è solo cinica carneficina, vero terrorismo di Stato utilizzato per sottomettere un intero popolo.

Israele chiede ai propri proletari, e ai proletari d’Europa e d’America, di sostenere la sua «guerra al terrorismo», la sua guerra contro il popolo palestinese dal quale dice di temere di venire distrutto. Ma la storia delle lotte fra le classi, delle guerre e delle rivoluzioni, non prende mai scorciatoie. L’epoca in cui le rivoluzioni borghesi anticoloniali e di liberazione nazionale ebbero successo è terminata negli anni Settanta del secolo scorso, e difficilmente si ripresenterà con le stesse potenzialità. A meno di una disgregazione dall’interno del potere borghese israeliano, è praticamente impossibile che la rivoluzione borghese nazionale palestinese abbia successo fino alla costituzione di uno Stato unitario e politicamente indipendente.

La Palestina è diventata una terra in cui è sorto lo Stato di Israele, impostosi con il terrorismo, la guerra e l’appoggio delle maggiori potenze imperialistiche vincitrici nella seconda guerra mondiale. Una terra che, secondo i disegni delle maggiori potenze mondiali, avrebbe dovuto spartirsi in uno Stato ebraico e in uno Stato palestinese; ma lo Stato palestinese non ha mai visto la luce. In realtà, le mire della classe borghese israeliana hanno sempre teso alla creazione di un unico e grande Stato unitario, cosa che dal punto di vista dello sviluppo storico sarebbe stato un passo avanti. L’integrazione fra i due popoli non è avvenuta, e per quanti palestinesi si siano rifugiati fuori della Palestina, ne rimangono sempre molti nei Territori, tanto da costituire una popolazione in grado di aspirare ad una propria terra. E questa sua indomabile spinta apre costantemente una ferita che non si rimargina mai.

Non saranno i negoziati fra borghesi palestinesi e israeliani– come non lo sono mai stati finora– ad aprire la strada ad una «convivenza pacifica» fra di loro; e non serviranno, come non sono serviti finora, nemmeno i negoziati imposti dall’America o dall’Europa a pacificare la terra di Palestina. Le borghesie di Israele e di Palestina potranno anche giungere a dei «cessate il fuoco», ma si tratterà sempre di periodi di pace temporanea perché i contrasti di fondo che oppongono i colonizzatori israeliani (e alle loro spalle, i «colonizzatori» americani) alle masse palestinesi oppresse (pallidamente sostenute dai paesi arabi e dai paesi europei), finché esisterà la società capitalistica e imperverseranno le sue leggi di concorrenza, non saranno mai superati.

Il proletariato, in quanto classe internazionale e storicamente indirizzata a rivoluzionare l’intera società borghese, è in realtà l’unica forza sociale in grado di affrontare e risolvere i contrasti e le contraddizioni che la società del capitale ha generato e genera continuamente.

In prospettiva, soltanto la dittatura proletaria, ossia il potere politico del proletariato esercitato dal suo partito di classe, potrà risolvere l’ingarbugliata matassa mediorientale. E lo potrà fare perché l’obiettivo principale della dittatura proletaria è quello di smantellare il modo di produzione capitalistico e le sue leggi, la produzione di merci e di capitali, la concorrenza e lo sfruttamento del lavoro salariato: smantellare, dunque, la base economica di tutte le contraddizioni della società borghese. In prospettiva, soltanto la classe del proletariato, per le sue condizioni sociali storiche di senza riserve, ha la possibilità di avviare – attraverso il suo potere politico dittatoriale – il processo di trasformazione della società divisa in classi antagoniste in una società di specie in cui le classi non esistono più, in cui lo scopo generale dell’attività umana non è accumulare denaro, estendere la proprietà privata, appropriarsi di quantità sempre più gigantesche di ricchezza sociale (come succede sotto il capitalismo) a detrimento di masse imponenti di uomini, ma armonizzare la vita umana e la natura, organizzando scientificamente la produzione di beni per i bisogni della specie e non per ingrossare conti privati in banca.

In prospettiva, soltanto attraverso la lotta di classe portata in modo organizzato e cosciente dal proletariato, indipendentemente dalle esigenze dell’economia capitalistica, nazionale o aziendale che sia, e fuori e contro ogni tipo di collaborazione interclassista, è possibile dare un futuro anche alle popolazioni oppresse dagli Stati capitalisticamente più forti. La lotta di classe combatte innanzitutto contro l’oppressione salariale, contro la schiavitù del lavoro salariato, ed è grazie a questa basilare resistenza al capitale e alla classe borghese che è possibile portare con successo la lotta contro ogni forma di oppressione, oppressione nazionale compresa! La lotta di concorrenza è tutta borghese, perché è generata dai contrasti che i capitalisti trovano nel mercato al momento di trasformare i prodotti che vendono in denaro, appunto in capitale. La lotta proletaria di classe non agisce sul terreno del mercato, non ha per scopo quello di accumulare più capitale del concorrente: agisce sul terreno delle condizioni salariali che accomunano tutti i proletari, tutti i senza riserve, e tende inevitabilmente ad abbattere quelle condizioni per sostituirle con altre condizioni di lavoro sociale non sottoposte allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La lotta proletaria di classe si basa, sotto il capitalismo, sulla difesa intransigente degli interessi economici e sociali dei lavoratori salariati, ma tende a romperei vincoli che obbligano le grandi masse proletarie alla schiavitù salariale, ponendo obiettivamente il problema storico dell’organizzazione economica e sociale della società umana.

La lotta di classe proletaria è, storicamente, l’unico indirizzo che il proletariato può prendere sia per difendersi più efficacemente nella lotta quotidiana contro la pressione e l’oppressione capitalistica, sia per avviarsi verso l’emancipazione dall’abbrutimento del lavoro salariato.

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Proletari d’Europa e d’America!

 

I sostenitori di Israele e della sua politica oppressiva verso i palestinesi sono le stesse classi borghesi che vi chiedevano il sostegno nella loro guerra in Algeria, in Vietnam, nelle guerre in Angola e in Mozambico, in Congo o in Etiopia; sono le stesse borghesie che vi hanno chiesto il sostegno nelle guerre mondiali passate e che vi chiederanno ancora il massimo sacrificio in una eventuale terza guerra mondiale. Le guerre di rapina, di colonizzazione, di spartizione dei mercati che le classi borghesi portano nei diversi continenti non devono mai avere l’appoggio del proletariato: il proletariato vi si deve opporre, le deve combattere con il suo disfattismo, con la sua rottura sociale!

Proletari europei e americani! Le vostre borghesie sono tra le più potenti del mondo, e grazie a questa loro potenza economica e finanziaria esse opprimono interi popoli e la maggior parte dei paesi del mondo.

E l’oppressione che sviluppano contro altri popoli e altri paesi è tantopiù facilitata e tanto più acuta nella misura in cui all’interno dei paesi imperialisti è assente la lotta proletaria di classe.

Rompere la pace sociale, rompere l’abbraccio pacifista e democratico con il quale la borghesia dominante avvolge il proletariato nella sua bandiera impedendogli di riconoscere i propri obiettivi di classe, rompere i mille legami che decenni di collaborazionismo politico e sindacale hanno tessuto, non sarà facile: sarà durissimo, ma è anche l’unica vie per riconquistare la capacità di difendersi da ogni sopruso, da ogni vessazione, da ogni pressione e repressione sui posti di lavoro come nella vita quotidiana e sociale!

La forza economica che le borghesie oggi dominanti nei paesi più industrializzati usano per dominare il mondo, per opprimere il mondo e in particolare le nazioni più deboli, può diventare una forza che sostiene invece la lotta rivoluzionaria del proletariato contro ogni forma di potere borghese e capitalistico; lo può diventare alla sola condizione di essere utilizzato allo scopo di rafforzare il potere politico conquistato e la lotta rivoluzionaria anticapitalistica in tutto il mondo.

Ma la forza di classe che il proletariato potrà ritrovare sarà data soltanto dal suo ricollegarsi, da un lato alle tradizioni classiste e rivoluzionarie che le generazioni proletarie precedenti, in particolare in Francia, in Germania, in Russia, in Italia, hanno costruito con le loro lotte, e dall’altro alla teoria e al programma del marxismo rivoluzionario che condensano l’esperienza storica passata e gli scopi futuri del movimento proletario rivoluzionario.

L’opera di trasmissione alle generazioni successive del patrimonio storico delle lotte e delle battaglie di classe è un compito del partito di classe, quell’organizzazione di militanti comunisti che si pone sulla rotta storica delle rivoluzioni anticapitalistiche e che del programma e della teoria comunista fanno il perno indispensabile per orientare le forze proletarie sulla via della completa emancipazione dal lavoro salariato e dalla società capitalistica. Via che passa inesorabilmente attraverso la rivoluzione e l’abbattimento del potere politico borghese, l’instaurazione della dittatura del proletariato esercitata dal solo partito comunista, la guerra rivoluzionaria in difesa del potere conquistato e a sostegno dei movimenti rivoluzionari nei paesi in cui la rivoluzione proletaria non ha ancora vinto, la trasformazione economica della società demolendo il modo di produzione capitalistico ed erigendo sulle sue ceneri il nuovo modo di produzione comunistico.

Il potere proletario e comunista è l’unico potere politico che mantiene fede ai suoi indirizzi e ai suoi programmi: riguardo la questione delle nazionalità oppresse, il diritto alla separazione dal vecchio paese capitalista oppressore sarà pienamente riconosciuto e attuato. Nessuna forzatura oppressiva sarà usata per mantenere le nazionalità prima oppresse dai paesi capitalistici più forti all’interno del nuovo Stato proletario. «Il proletariato vittorioso non può imporre nessuna felicità a nessun popolo straniero senza minare con ciò la sua propria vittoria», scriveva Engels a Kautsky, quando quest’ultimo era ancora marxista, il 12 settembre 1882, a proposito della questione coloniale.

L’obiettivo delle forze rivoluzionarie, e quindi della dittatura proletaria instaurata, è quello di associare il proletariato di tutto il mondo in un unico grande movimento rivoluzionario antiborghese e anticapitalistico. Perciò i proletari del paese in cui la rivoluzione comunista ha conquistato il potere si rivolgono innanzitutto ai proletari di tutte le altre nazionalità affinché uniscano le loro forze, la loro lotta, alla lotta rivoluzionaria anticapitalistica, alla lotta quindi contro ogni borghesia nazionale, e contro la «propria» innanzitutto. Il potere proletario, e quindi i comunisti, del diritto alla separazione di un popolo da un altro popolo non ne fanno un feticcio. Il grande obiettivo è quello di unire tutte le popolazioni che abitano il pianeta in un’unica società di specie, nel comunismo; ma non ci si arriva attraverso annessioni e inglobamenti forzati di territori e di popoli. Vi si arriva attraverso la lotta rivoluzionaria che il proletariato, di tutte le nazionalità, associato in una nuova Internazionale, sviluppa contro tutte le forze legate alla conservazione e alla difesa del capitalismo, dunque contro ogni borghesia nazionale, delle grandi come delle piccole nazioni. Ciò significa che, da parte del proletariato vittorioso in uno o più paesi, vi sarà sempre la solidarietà attiva e concreta a sostegno della lotta che il proletariato delle diverse nazionalità condurrà nei propri paesi affinché questa lotta sia portata la pieno successo.

I proletari coscienti e sensibili alla causa rivoluzionaria hanno un compito particolare in questa situazione di lungo sonno della lotta di classe: essi hanno il compito di collegarsi al programma e alla teoria del marxismo rivoluzionario. Essi hanno il compito di convogliare le loro energie alla formazione del partito di classe, di quel partito comunista internazionale senza la guida del quale nessun movimento proletario sul terreno dello scontro di classe e sul terreno rivoluzionario ha mai la possibilità di avere successo. Non è un assioma, è tesi confermata dalla storia delle lotte di classe, dalla storia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

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