Nota di chiarimento politico sull'articolo «Nostri compiti nel presente e nostre prospettive»

(«il comunista»; N° 5 ; Ottobre 1985 )

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Il testo intitolato «Nostri compiti nel presente e nostre prospettive», contenuto nel n. 380, dicembre 1984, del “prolétaire” e nel n. 5, ottobre 1985, del “comunista”, fa parte dei primi lavori di bilancio della crisi esplosiva del partito del 1982-84, e di chiarimento delle posizioni dei gruppi di compagni di Francia, Svizzera, Italia, Grecia che si stavano riorganizzando insieme per ricostituire il partito che nella crisi andò in frantumi.

Questo testo aveva l’ambizione di definire quali dovevano essere le linee-guida dell’attività di partito e quali le priorità di lavoro e di intervento che quelle linee-guida richiedevano. Intendeva stabilire una sorta di ritmo alla generale attività dei compagni riorganizzatisi intorno al “prolétaire”, al “comunista” e a “kommunistikò programa”. I temi su cui si stabilivano con questo testo gli obiettivi, i metodi e la cornice politica dentro la quale l’attività di partito doveva svolgersi, erano: propaganda, agitazione, organizzazione. Secondo questo testo, il presupposto da cui si intendeva partire era che il superamento della crisi non aveva bisogno di basarsi su di un lavoro di generale riacquisizione del patrimonio teorico-politico-tattico che il partito aveva restaurato nel corso della sua vita più che trentennale; questo patrimonio lo si dava per “acquisito”, mentre il compito che spettava ai compagni che si opposero alla liquidazione del partito – sia su posizioni movimentiste che su posizioni accademico-attendiste – avrebbe dovuto essere quello di ripartire «dal punto esatto in cui lo sforzo passato si è spezzato», ossia lo sforzo di «costituire una rete militante internazionalista e internazionale di partito» che fosse in grado di «condurre un’attività militante capace di combinare i compiti di orientamento, propaganda, agitazione, intervento e organizzazione» nei movimenti sociali. La crisi esplosiva del partito veniva considerata come una crisi “organizzativa”, una crisi che poteva essere superata rifacendo un piano d’azione del partito concentrato in una più disciplinata e centralizzata attività di propaganda, agitazione e organizzazione all’interno dei movimenti sociali, di quanto non fosse stata l’attività precedente. Un piano d’azione che rispondesse, politicamente, ad una valutazione più positiva delle potenzialità dei movimenti di massa, ai quali si doveva riconoscere una dinamica favorevole all’intervento e all’influenzamento del partito e che il partito non doveva lasciarsi sfuggire.

Era quindi logico che, data questa impostazione, il testo affermasse che «i compiti di propaganda e di agitazione non assumono tutto il loro significato se non si inseriscono permanentemente in un lavoro di intervento ed organizzazione il più possibile sistematico di fronte a tutte le questioni parziali e su tutti i fronti della lotta immediata (sia di carattere economico, che sociale, che politico) concernenti le condizioni di vita e di lavoro delle masse». Per “masse” qui non si intendevano in particolare le masse proletarie, ma le masse popolari più ampie che comprendevano gli strati di piccola borghesia più o meno rovinata dalle crisi economiche, in particolare da quella mondiale del 1975; strati sociali che davano vita ai movimenti antinucleari, o antimilitaristi, e che si ritenevano interessanti per il partito non solo per la loro mobilitazione, anche violenta, contro le manifestazioni economiche e militari dell’imperialismo, ma anche per la moro mobilitazione internazionale, cosa che non capitava mai per i movimenti di sciopero proletari, nemmeno per i movimenti di grande impatto e durata come fu lo sciopero dei minatori inglesi nel 1985.

L’insistenza che in questo testo si dà alla costituzione di un partito come “rete militante internazionalista e internazionale”, fa pensare che in precedenza il partito non si fondava su principi politici e organizzativi internazionalisti e internazionali; la si fa passare, in un certo senso, come la grande novità sorta delle lezioni tirate dalla crisi del partito del 1982-84, disconoscendo, in realtà, non solo l’impostazione politica e organizzativa che stava alla base della stessa costituzione del partito dal secondo dopoguerra in poi, ma anche lo sforzo prodotto dal partito nel legare il suo sviluppo internazionale dagli anni Sessanta in poi, ad un piano d’azione internazionalista dal quale far discendere l’attività specifica di ogni sua sezione nazionale.

Nel testo non mancano le indicazioni degli ambiti nei quali il partito è giustamente chiamato ad intervenire: sul terreno della difesa immediata delle condizioni di vita e di lavoro proletarie, dentro e fuori dei sindacati tradizionali; sul terreno della lotta contro la repressione statale e contro le iniziative delle destre e degli opportunisti di sinistra; sul terreno della lotta contro il razzismo e per la difesa dei lavoratori immigrati; sul terreno della lotta alla guerra e per l’antimilitarismo e su quella della solidarietà internazionalista rispetto non solo alle lotte operaie negli altri paesi, ma anche alle lotte delle masse dei paesi dominanti dall’imperialismo.

Al di là di un certo schematismo di cui soffre questo testo, vi sono affermazioni, come quelle che abbiamo messo in evidenza, che lasciavano aperta la porta non solo ad interpretazioni sbagliate della funzione e del ruolo del partito di classe rispetto al proletariato e alla società in generale, ma anche a nuovi scivoloni di carattere movimentista, rischio che si è ripresentato nel partito anche dopo la crisi esplosiva e che colpì alcuni compagni che avevano inziato con noi il percorso di bilancio della crisi e di ricostituzione del partito.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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