1914-2024 : A centodieci anni dalla prima guerra imperialista mondiale
Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario non sono cambiate, semmai sono ancor più intransigenti nella lotta contro la democrazia borghese, contro il nazionalismo e contro ogni forma di opportunismo, vera intossicazione letale del proletariato
( Quaderni de “il comunista”, N° 1, Agosto 2024 )
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Premessa
Con l’uscita di questo nr. 1 dei Quaderni de “il comunista”, intendiamo mettere a disposizione dei compagni, dei simpatizzanti e dei lettori interessati alle posizioni del partito e alla sua attività nel tempo, dei materiali che fanno parte dell’attività di assimilazione teorica e politica che il partito, nel suo lavoro collettivo, svolge soprattutto nelle sue Riunioni Generali.
Abbiamo voluto dedicare questo primo numero al tema delle posizioni marxiste di fronte alla prima guerra imperialistica mondiale, richiamando le posizioni espresse da Lenin e dal Partito bolscevico in quegli anni e le posizioni della Sinistra comunista d’Italia che si rivelarono perfettamente coincidenti con quelle di Lenin pur non conoscendole prima della Rivoluzione d’Ottobre.
La Sinistra comunista d’Italia è stata definita per molto tempo come Sinistra “italiana”. Ma noi, questa definizione, l’abbiamo abbandonata volentieri ai nazionalcomunisti e agli intellettuali borghesi, come del resto l’aggettivo “bordighismo” con cui hanno voluto, soprattutto con lo stalinismo, definire la corrente politica della Sinistra comunista d’Italia allo scopo di rendere le sue tesi e le sue posizioni come il risultato del pensiero di un particolare uomo, in questo caso Amadeo Bordiga, e non come l’evoluzione storica del radicamento del marxismo in Italia attraverso lo svolgimento delle lotte sociali e politiche che, nel nostro paese, si sono dovute confrontare su tutti i piani - economico, sociale, politico, ideologico, tattico, organizzativo - soprattutto contro la democrazia borghese e le sue varie interpretazioni: dall’anarchismo alla massoneria, dal riformismo al cattolicesimo, dalla monarchia costituzionale al sindacalismo rivoluzionario e al massimalismo parolaio. Per questa ragione storica e politica abbiamo sostenuto che il comunismo, in Italia, è nato adulto.
In Italia il capitalismo si è sviluppato lasciando molte sacche di arretratezza dovute allo spostamento storico dello sviluppo economico nei paesi dell’Europa occidentale, in particolare Inghilterra, Francia, Olanda e Germania, grazie alle scoperte geografiche degli altri continenti, rallentando e bloccando in questo modo, in Italia, lo sviluppo che già nel Quattrocento si era fortemente innestato grazie ai rapporti commerciali con l’Oriente e la forza delle banche fiorentine, genovesi, veneziane. Nelle regione del Nord - Piemonte, Lombardia e Veneto, più vicine alla Francia e alla Germania, ricche di corsi d’acqua necessaria sia all’industria che all’agricoltura - e nelle regioni meridionali, soprattutto Campania e Puglia, si formò un proletariato urbano e rurale che fu indispensabile non solo allo sviluppo economico dei vari staterelli in cui l’Italia era ancora divisa, ma anche alla lotta della borghesia contro il feudalesimo per giungere alla costituzione dello Stato unitario italiano. Se il Seicento fu il secolo inglese e il Settecento il secolo francese, l’Ottocento fu il secolo dello sviluppo vorticoso del capitalismo in tutta Europa, e in America. E il capitalismo non si poteva e non si può sviluppare se non creando una sempre più vasta massa di diseredati, di espropriati, da trasformare in lavoratori salariati. In Italia, i movimenti sociali di segno proletario, sia nelle città che nelle campagne, si mossero molto più tardi che in Inghilterra e in Francia, dai quali movimenti, però, trassero esperienza che costituì la base del radicamento ideologico e teorico del socialismo francese, ma anche dell’ideolgia tedesca che la borghesia italiana “illuminata” adattò alle caratteristiche storiche della sua formazione. La giovane borghesia italiana, affamata di profitti e di territori economici da sfruttare, seguì le orme dello sviluppo coloniale e imperialistico dei capitalismi inglese e francese, sebbene con minor successo data la sua oggettiva arretratezza capitalistica, ma volle la sua fetta di potere coloniale e la guerra libica contro gli ottomani del 1911-12 fu l’occasione per cimentarsi con le altre potenze europee a livello internazionale. Ma fu anche l’occasione per il giovane proletariato italiano e per il Partito socialista per dimostrare che la loro energia di classe poteva essere indirizzata non a favore delle conquiste coloniali borghesi (sostenute dai “sindacalisti rivoluzionari” come Arturo Labriola e company), ma a favore della lotta di classe antiborghese, antimilitarista, anticoloniale, anti-guerraiola. Non è stato un caso che proprio in corrispondenza dell’opposizione alla guerra italo-turca si formasse la corrente politica che si caratterizzerà come sinistra marxista e che fosse costituita soprattutto dai giovani socialisti che lottarono non solo contro il riformismo, l’anarchismo e il sindacalismo rivoluzionario, ma anche contro la borghesia democratica che si esprimeva soprattutto nel parlamentarismo. Tra il 1910 e il 1914, alle soglie dello scoppio della prima guerra imperialista mondiale, la sinistra marxista in Italia si impone come la corrente che, più di ogni altra, era conseguente ai dettami del socialismo scientifico, dunque del marxismo; una corrente politica non nasce in una notte e nemmeno ad opera di un “capo”, perché è comunque e sempre il risultato di un processo storico della lotta fra le classi.
Nella Storia della Sinistra comunista, primo volume, § 9. Si delinea la sinistra marxista, si legge: «Da quando fu in maniera più o meno chiara evidente che l’inquadratura del movimento storico della classe proletaria si traccia nell’ambiente e nell’azione della classe stessa, ossia da quando la critica del capitalismo uscì dalla fase utopistica, la dottrina fu rivoluzionaria nel senso iniziale che, se una rivoluzione nella società e nelle sue forme tutte aveva fatto vincere gli interessi e le pretese del terzo stato, della classe borghese, una rivoluzione storica avrebbe accompagnato il mutare delle condizioni di vita della classe proletaria». La storia delle società umane procede a salti, a fasi, e il marxismo, superata la fase utopistica della critica del capitalismo trasformò questa critica dalla sua forma ideologica a scienza, deducendo che lo sviluppo sociale si basa sullo sviluppo delle forze produttive e sul contrasto - insopprimibile in ogni società divisa in classi - tra le forze produttive e le forme di produzione, forme che, nel capitalismo, dunque nella società borghese, sono costituite dai rapporti di proprietà e di sfruttamento del lavoro salariato. Essere marxisti, essere conseguenti con la teoria, o dottrina, marxista, significa applicare un metodo di interpretazione della storia e dei fatti sociali che si basa sul materialismo storico e dialettico, secondo la quale in ogni grande fase storica lo sviluppo sociale è caratterizzato dalla formazione, dati determinati rapporti di produzione, di classi dominanti e di classi subordinate e che la lotta fra classi dominanti e dominate si svolge su due campi: quello della lotta economica e quello della lotta politica. Secondo Marx, il fatto fisico della lotta svolta da gruppi locali, di categoria, di azienda o di mestiere è insopprimibile ed è la base dell’azione dei comunisti, ma non è ancora lotta di classe, non è la prova che il proletariato si sia organizzato in classe, e quindi in partito politico, come appunto afferma il Manifesto del 1848.
Questa distinzione è basilare, e contribuisce a separare inizialmente i marxisti da tutti i socialisti riformisti, sindacalisti, libertari, culturalisti, gradualisti, evoluzionisti, parlamentaristi. Ma la vera qualità del marxismo rispetto a tutte le altre teorie e ad ogni altra ideologia sta nel considerare la lotta di classe come la lotta politica non solo per la conquista dei pubblici poteri - come si diceva un tempo - ma per la conseguente instaurazione della dittatura di classe del proletariato, che è la forma che il proletariato rivoluzionario dovrà prendere necessariamente per costituirsi come classe dominante come scritto nel Manifesto del partito comunista di Marx-Engels. Perché questo processo storico rivoluzionario avvenga non basta che il proletariato lotti sul terreno economico, ma deve elevare la sua lotta a livello politico; e tale lotta non potrà non essere violenta perché la classe dominante borghese usa e userà tutta la violenza di cui è capace - e nella storia del suo dominio di classe ha dimostrato di non darsi alcun limite nell’applicare la violenza più estrema - per non perdere il suo potere, i suoi privilegi che consistono soprattutto nella piena libertà di sfruttare le masse proletarie di tutto il mondo per estorcene una quota sempre maggiore di tempo di lavoro non pagato che, nell’economia capitalistica, produce il plusvalore e, quindi, il profitto.
La lotta di classe, dunque, è lotta proletaria indirizzata alla conquista del potere politico, e tale indirizzo non può sorgere spontaneamente dalla lotta economica del proletariato, anche se in questa lotta i proletari delle diverse aziende, delle diverse categorie o nazionalità riescono ad unirsi in organismi unitari di difesa economica che normalmente si chiamano sindacati. Tale indirizzo lo può dare soltanto il partito politico di classe, cioè l’organo che storicamente si è formato sulla base delle finalità della lotta di classe, sulle finalità rivoluzionarie che il marxismo ha scoperto nell’applicare il materialismo storico e dialettico, dunque la teoria scientifica dello sviluppo delle società umane. Il fine storico della lotta di classe del proletariato è la società senza classi, il comunismo.
Come può la classe del proletariato che lotta in ogni paese del mondo, sotto la guida del suo partito di classe, per conquistare il potere politico e diventare la classe dominante, abbattendo lo Stato borghese ed erigendo al suo posto lo Stato proletario, essere il portatore della futura società senza classi? La classe del proletariato è la classe dei lavoratori salariati, la classe che non possiede nulla, né i mezzi di produzione, né la produzione stessa, ma è la classe che produce tutta la ricchezza di ogni paese e pur producendo tutta la ricchezza esistente è obbligato a farsi sfruttare in modo sempre più intenso per ricevere in cambio un salario in denaro che è l’unico mezzo col quale acquistare i beni di prima necessità che il proletariato stesso ha prodotto. E’ la classe che, proprio per le sue condizioni di esistenza, non ha nulla da difendere nella società del capitale: il lavoro del proletario - dice il marxismo - crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta il lavoro salariato. E finché questo sistema non salta per aria, finché il movimento rivoluzionario del proletariato non abbatterà il regime borghese che difende il sistema capitalistico, il proletariato continuerà a subire l’oppressione capitalistica in tutte le forme che la borghesia di ogni paese adotta e adotterà per difendere il sistema che le permette di sfruttare e continuare a sfruttare il lavoro salariato. Soltanto l’apporto della teoria rivoluzionaria rappresentata dal marxismo può aprire la prospettiva storica dell’emancipazione del proletariato dal capitalismo, un’emancipazione che non sarebbe completa se non portasse l’intera società umana ad emanciparsi dalla divisione in classi. Perciò il proletariato lotta, pur non essendone pienamente cosciente, per una società in cui non vi sia più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E’ la sua condizione materiale a porlo oggettivamente in questa situazione. Ma la sua lotta, lo scontro sociale tra le classi, le minime vittorie e le numerose sconfitte nella sua lotta nei due campi, quello economico e quello politico, hanno prodotto esperienza e da questa esperienza si è formata la coscienza di classe. La coscienza di classe non è la somma delle coscienze individuali di ogni proletario esistente sulla terra, ma è la teoria della lotta di classe e delle sue finalità.
Come molte volte ricordato, il marxismo è la teoria che ha tratto il meglio di quanto l’economia inglese, la filosofia tedesca e il socialismo francese hanno potuto dare nel secolo XIX; è la teoria - non una teoria tra le tante - della rivoluzione del proletariato come l’ultima rivoluzione di classe nelle società divise in classi, con respiro internazionale perché internazionale è il capitalismo e internazionale è la classe dei lavoratori salariati. La classe borghese è la classe che ha sostituito le classi dominanti precedenti, abbattendone i relativi poteri politici e scardinando i modi di produzione che impedivano lo sviluppo senza limiti del capitalismo; il capitalismo è quello non solo più sviluppato in assoluto rispetto a quelli precedenti, ma il modo di produzione che ha creato la classe proletaria che storicamente è destinata ad abbattere lo stesso modo di produzione che l’ha creata per sostituirlo con un modo di produzione non più votato al mercato, al profitto capitalistico, allo sfruttamento sfrenato della maggioranza degli uomini che abitano il pianeta, ma alla soddisfazione razionale dei bisogni della vita sociale dell’umanità. Per rivoluzionare da cima a fondo l’intero sistema economico esistente, su cui comunque si è basato finora lo sviluppo sociale, il proletariato non può basare la propria lotta e i propri interessi di classe su un modo di produzione più avanzato già in formazione all’interno del modo di produzione capitalistico come hanno potuto fare le classi rivoluzionarie precedenti, e la borghesia all’interno della società feudale grazie alla proprietà privata, alla disponibilità di capitali che ha permesso di impiantare i primi opifici e le prime manifatture, alle invenzioni tecniche e ai primi macchinari che permettevano di associare il lavoro di molti operai nello stesso stabilimento. Il proletariato trova la sua forza materiale nella sua stessa condizione di lavoro salariato, nel suo essere l’imponente esercito mondiale dei produttori dell’intera ricchezza sociale, ma la sua forza di classe la può trovare soltanto sull’unità di lotta anticapitalistica e sulla guida del suo partito di classe che detiene storicamente la sua coscienza di classe.
La storia delle lotte proletarie, e soprattutto delle loro sconfitte, ha dimostrato che senza la guida del partito di classe, senza la guida di un partito coerentemente marxista, saldo nella teoria e nel programma e abile nel maneggiarli - come fu il partito bolscevico di Lenin - al fine di interpretare in modo corretto le situazioni e i rapporti di forza tra le classi a livello mondiale oltre che a livello locale, senza un partito all’altezza del compito storico assegnato alla classe del proletariato, quest’ultima non ha alcuna possibilità di perseguire le finalità storiche dell’emancipazione non solo della sua classe, ma dell’intera umanità.
Le battaglie di classe, come le abbiamo chiamate da sempre, contro ogni cedimento riformista, gradualista, sindacalista, operaista o parlamentarista, che hanno caratterizzato la Sinistra marxista d’Italia dalla sua formazione in poi, dimostrano un perfetto allineamento con le battaglie di classe di Lenin e dei bolscevichi che prepararono e guidarono il proletariato russo nella Rivoluzione d’Ottobre; battaglie di classe che, nella loro magnifica coerenza marxista, permisero di riguadagnare l’altezza teorica e politica del comunismo rivoluzionario negli anni cruciali in cui si giocavano le possibilità reali della rivoluzione proletaria mondiale. Erano gli anni della grande crisi capitalistica che sfociò nella prima guerra imperialista mondiale, gli anni in cui, nonostante il gigantesco tradimento della causa proletaria e rivoluzionaria operato dalla II Internazionale socialdemocratica allo scoppio della prima guerra imperialista mondiale, e in cui il proletariato di tutti i paesi era stato condotto dalle borghesie e dai socialsciovinisti europei a massacrarsi nelle trincee all’insegna di un nazionalismo che invece di essere combattuto su ogni fronte fu assunto, al posto della bandiera rossa proletaria, come la bandiera tricolore per la quale il proletariato di ogni paese, aggredito o aggressore, “doveva” versare il proprio sangue a “difesa della patria”. Gli anni in cui la prospettiva rivoluzionaria illustrata nei suoi tratti fondamentali dal marxismo fin dal 1848 dimostrava di essere l’unica via attraverso la quale il proletariato mondiale poteva finalmente liberarsi delle catene che lo imprigionavano al sistema capitalistico e borghese, liberando con la propria lotta tutti gli oppressi del mondo
Pochissime furono le correnti marxiste che non cedettero all’opportunismo e al socialsciovinismo: i bolscevichi, prima di tutto, la sinistra marxista d’Italia, gli spartachisti di Rosa Luxemburg e Liebknecht, il piccolo partito serbo e molti elementi sparsi ancora incastrati nei partiti socialisti e socialdemocratici provenienti dalla II Internazionale.
Ciò mette ancor più in rilievo l’importanza che ebbero le battaglie sul piano teorico e politico generale grazie alle quali, sulla base della vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia, fu possibile, per iniziativa specifica dei bolscevichi, la costituzione, in piena guerra civile in Russia, della Terza Internazionale nel 1919 alla quale venivano invitati tutti i partiti e tutte le correnti marxiste sulla base dell’atteggiamento antinazionalista e antisciovinista avuto di fronte alla guerra imperialista e delle Tesi - definite poi nel secondo congresso del 1920 - che saranno i capisaldi delle posizioni comuniste validi per tutti i partiti aderenti. Va sottolineato che, sebbene non ancora costituitasi in partito comunista in seguito alla rottura con i riformisti del PSI, la sinistra marxista d’Italia - organizzata nella Frazione Comunista astensionista a livello nazionale intorno al giornale Il Soviet di Napoli - invitata al secondo congresso dell’I.C. direttamente da Lenin, sarà tra le rare e salde formazioni marxiste d’Occidente che porteranno alle tesi dell’Internazionale un contributo di valore sulla base dell’esperienza di lungo periodo nelle battaglie di classe in difesa della teoria marxista nel suo complesso e contro la democrazia borghese all’interno stesso del PSI: il suo apporto si distinse in particolare sulle Condizioni di adesione all’Internazionale e sulla questione del parlamentarismo.
Sulle Condizioni di ammissione all’I.C. basta qui sottolineare che l’emendamento proposto da Bordiga alla tesi 16° che obbligava i partiti che volevano aderire all’I.C. di modificare il vecchio programma socialdemocratico con un “nuovo programma nel quale i principi della III Internazionale siano contenuti in modo non equivoco, pienamente collimante con le risoluzioni dei congressi mondiali. La minoranza che voterà contro il nuovo programma dovrà in forza dello stesso voto essere esclusa dal Partito. I Partiti che hanno gà aderito alla III Internazionale senza aver adempiuto tale condizione, dovranno convocare al più presto un congresso straordinario per uniformarvisi”, fu accettato e trasformato in 21a condizione (1). Bordiga aveva infatti affermato che “gli elementi di destra accettano le nostre tesi, ma in modo incompleto, con mille reticenze. Noi dobbiamo esigere che questa accettazione sia totale e senza riserve, nel campo della teoria come nel campo dell’azione”.
Sulla questione del parlamentarismo, la sinistra marxista d’Italia si rifece alle Tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI (Conferenza Nazionale di Firenze, 8-9 maggio 1920) in cui ribadiva che “lo scopo dell’azione del partito comunista è l’abbattimento violento del dominio borghese, la conquista del potere politico da parte del proletariato, l’organizzazione di questo in classe dominante”, in pefetta coerenza col Manifesto del 1848 e con le tesi dell’I.C., sottolineando che: “Mentre la democrazia parlamentare colla rappresentanza dei cittadini di ogni classe è la forma che assume l’organizzazione della borghesia in classe dominante, l’organizzazione del proletariato in classe dominante si realizzerà nella dittatura proletaria, ossia in un tipo di Stato le cui rappresentanze (sistema dei Consigli operai) saranno designate dai soli membri della classe lavoratrice (proletariato industriale e contadini poveri) con la esclusione dei borghesi dal diritto elettorale”. Nella critica all’ideologia del liberalismo e della democrazia borghese, le Tesi della sinistra marxista d’Italia e dell’I.C non hanno alcuna discrepanza, come d’altra parte anche le Tesi sul parlamentarismo, salvo la questione tattica del “parlamentarismo rivoluzionario”, sostenuta da Lenin, Zinoviev, Bucharin, Trotsky, col quale i bolscevichi credevano di poter influenzare le masse proletarie che seguivano ancora i partiti riformisti e opportunisti anche attraverso un’azione politica all’interno del parlamento borghese per dimostrare che l’istituzione parlamentare era al servizio soltanto della classe dominante borghese, lavorando quindi sulla sua più evidente contraddizione. E’ noto che la sinistra marxista d’Italia, rispettosa delle dichiarazioni di disciplina politica nei confronti dell’I.C., accettò la tattica del “parlamentarismo rivoluzionario” perché incastonata nel saldi principi della lotta generale contro la democrazia borghese, e fu l’unica corrente del comunismo occidentale ad applicarla rigorosamente senza cedere all’attitudine parlamentarista dei compromessi che caratterizzava tutte le correnti riformiste e socialscioviniste.
Gli anni successivi dimostreranno che, in forza del terreno politico riguadagnato dalle correnti opportuniste nel periodo in cui la rivoluzione proletaria in Occidente tardava e in cui i partiti comunisti dei paesi occidentali non si formarono su basi teoriche e programmatiche salde come quelle del bolscevismo leninista e della sinistra comunista d’Italia, il parlamentarismo “rivoluzionario” si ridusse al marcio parlamentarismo tout court, borghese in tutto e per tutto, con l’aggravante - per quel che riguarda l’Italia - di apparire come un bastione da difendere contro il sorgente fascismo e le sue scorribande squadristiche.
In questo Quaderno abbiamo raccolto i rapporti tenuti in diverse riunioni generali di partito dedicati Ai cent’anni dalla prima guerra imperialista mondiale, poi pubblicati in dieci puntate ne “il comunista” (a partire dal nr. 142, febbraio 2016, proseguendo nei nn. 143, 145, 147, 148, 149, 150, terminando nei nn. 163 e 164 del 2020. Qui non abbiamo inserito la puntata (pubblicata nel nr. 159) dedicata alla tragedia del proletariato tedesco nel primo dopoguerra (Germania 1918-1919: il tragico ritardo del partito), poichè questo specifico argomento è stato il tema del Reprint “il comunista” n. 14 del giugno 2021 intitolato, appunto, La tragedia del proletariato tedesco nel primo dopoguerra.
In Appendice abbiamo raccolto alcuni scritti del 1914-1918 di Amadeo Bordiga, l’esponente più saldo e coerente della sinistra comunista d’Italia ed internazionale; un estratto dal discorso di Bucharin al IV congresso dell’IC sulla questione della “difesa nazionale” in caso di attacco da parte di alcuni Stati borghesi allo Stato proletario russo e all’atteggiamento da avere nei confronti di altri Stati borghesi che guerreggiano contro gli Stati che attaccano la Russia proletaria; l’articolo di Bordiga del gennaio 1923 che si occupa dello stesso argomento e concludiamo con un articolo pubblicato dal partito ne “il programma comunista” del 1954, nella serie “Questioni storiche dell’Internazionale comunista”, intitolato Il comunismo in Italia nacque adulto.
Il materiale consultato è stato molto vasto, a partire dalla Storia della Sinistra comunista, voll. I , I-bis e II, per proseguire con gli interventi e gli scritti di Bordiga dal 1912 in poi, riferiti alla guerra di conquista della Libia e alla prima guerra imperialistica mondiale, alla costituzione della corrente di sinistra marxista all’interno del PSI che sarà la corrente che fonderà il Partito comunista d’Italia guidandolo per i primi tre anni, fino a quando le posizioni saldamente marxiste rivoluzionarie difese a spada tratta dai bolscevichi (Lenin, Trotsky, Zinoviev, Bucharin ecc.) iniziarono ad essere corrose da cedimenti tattici ed organizzativi in senso democratico-opportunistico, di cui gli stessi artefici della rivoluzione d’Ottobre e della costituzione dell’Internazionale Comunista diventarono successivamente inconsapevoli vettori, fino all’apertura dell’Internazionale all’opportunismo più marcio che si caratterizzerà come stalinismo. Con la teoria della “costruzione del socialismo in un solo paese” si corona la generale falsificazione del marxismo, decretando la vittoria completa della controrivoluzione borghese che, per il movimento operaio, prese il nome di stalinismo proprio per aver fatto passare lo sviluppo dell’economia capitalistica in Russia per “costruzione del socialismo” e, di conseguenza, lo Stato russo eretto sulla vittoria rivoluzionaria dell’Ottobre 1917 come uno Stato proletario e “socialista” e il partito comunista che lo dirigeva come il partito-guida del proletariato mondiale. La rinascita del movimento rivoluzionario e comunista non poteva che basarsi sulla restaurazione della dottrina marxista e sul bilancio della controrivoluzione staliniana. Cosa che ha fatto una sola corrente politica che resistette allo tsunami staliniano sebbene ridotta a pochissimi elementi: la Sinistra comunista d’Italia, che si assunse il compito di restaurare il marxismo rivoluzionario già durante la seconda guerra imperialistica mondiale, base indispensabile per la ricostituzione del partito di classe, comunista e internazionale.
(1) Cfr. “Sulle condizioni d’ammissione all’IC”, Protokoll des II. Weltkongress der Kommunistische Internationale, Hamburg, 1921, pp. 282-286. VI seduta, 29 luglio 1920. In A.Bordiga, Scritti 1911-1926, vol. IV, Ed. Fondazione Amadeo Bordiga, Formia 2011, p. 268.
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