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Giugno 1953

La Comune di Berlino, lunga e dura la strada, meta grande e lontana

 

( Opuscolo A5, Edizioni il comunista, 40 pagine, Giugno 2023, Prezzo: 4 €, 6 FS) - pdf

 


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INDICE

  Premessa

Gli operai berlinesi sono insorti contro la galera del lavoro salariato («il programma comunista» n. 12/1953)

La Comune di Berlino: dura e lunga la strada, meta grande e lontana («il programma comunista» n. 14/1953)

Berlino dalla rivolta proletaria alla guerra dei pacchi («il programma comunista» n. 15/1953)

 

APPENDICE

 

Gli imperialismi inglese, americano, russo e francese rispetto alla Germania nella II guerra mondiale e nel suo dopoguerra

Il capitalismo tedesco affila gli artigli («il programma comunista» n. 17/1953)

Fino a quando la «prosperità» tedesca? («il programma comunista» n. 1/1954)

Federati contro la classe operaia i Governi di Occidente ed Oriente («il programma comunista» n. 1/1954)

La «prospettiva» tedesca («il programma comunista» n. 7/1954)

A un anno dalla Comune rossa di Berlino («il programma comunista» n. 13/1954)

Gli operai tedeschi non hanno «scelto la libertà» («il programma comunista» n. 6/1952)

 


Premessa

 

Giugno 1953 – giugno 2023.

 

Settant’anni fa il proletariato di Berlino Est e della Germania Est – all’epoca si definiva Repubblica Democratica Tedesca – si rivoltò contro il potere borghese a quel tempo spacciatosi come potere socialista.

L’apice degli scioperi, delle manifestazioni e della rivolta fu raggiunto tra il 16 e il 17 giugno, ma nelle settimane precedenti in gran parte delle città industriali della Germania Est, ad Eisleben, Finsterwalde, Fürstenwald, Chemnitz-Borna e poi ancora a Dresda, Halle, Görlitz sul Neisse, Merseburgo, Bitterfeld-Wolfen, Rosslau sull’Elba, Gera, Falkensee, Lipsia, Francoforte sull’Oder, Potsdam, Greifswald, Gotha e molte altre ancora, ci furono scioperi e manifestazioni del tutto spontanei. I partecipanti ai movimenti di sciopero e alle manifestazioni sono stati stimati dai 500.000 al milione, mentre le città  e le cittadine coinvolte furono tra le 500 e le 700. In pratica, gran parte dei proletari della Germania Est si mobilitarono contro le condizioni di vita e di lavoro già molto pesanti nel dopoguerra, ma rese intollerabili dalle misure che il governo stalinista di Grotewohl e di Ulbricht prese nei mesi precedenti; il malcontento era talmente generalizzato che si mobilitarono anche i contadini, come nel distretto di Cottbus, in particolare a Jessen, che, per parte loro, cavalcando il malcontento generale, rivendicavano una riduzione delle quote di prodotti agricoli da consegnare allo Stato.

Con le misure adottate tra l’aprile e il maggio 1953, su pressione di Mosca (che pretendeva alti pagamenti per i danni subiti nella guerra mondiale), il governo, sfruttando ancor più la forza lavoro salariata, tentava di ottenere una ripresa economica importante per superare il periodo di crisi seguito alla guerra e caratterizzato dallo scontro di interessi tra il blocco russo e il blocco occidentale. In sintesi il governo, dopo aver ritirato le tessere annonarie e i biglietti dei mezzi pubblici a prezzo ridotto per i lavoratori, innalzato i prezzi della carne e dei prodotti contenenti zucchero, impose a tutte le aziende, industriali e agricole, di aumentare del 10% le quote di produzione senza toccare i salari base – già molto bassi – e immettendo la solita formula del premio di produzione per i lavoratori che aumentavano volontariamente la propria produttività superando la quota richiesta e che sollecitavano i compagni di lavoro a fare lo stesso.

Le masse proletarie tedesco-orientali si sono ribellate, di fatto, senza averne una piena coscienza, anche contro la concorrenza fra proletari alimentata fortemente nei paesi cosiddetti socialisti dell’Est, esattamente come succedeva nei paesi occidentali. Il sistema economico capitalistico era l’unico sistema comune a tutti i paesi, aldilà della veste che propagandisticamente volevano indossare: democratica, socialista, autoritaria, dittatoriale...

Va ricordato che la Germania, vinta nella seconda guerra imperialista mondiale, ma sempre punto estremamente cruciale dell’assetto imperialistico europeo e mondiale, fu divisa in due secondo i territori che nel finire della guerra furono occupati, da un lato, dalle truppe russe e, dall’altro, da quelle alleate. La capitale Berlino, cuore pulsante della politica e dello scontro storico tra borghesi e proletari, fu ancor più divisa, in ben quattro settori, tra Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Francia. L’occupazione militare della Germania, secondo gli interessi degli imperialismi vincitori della guerra, avrebbe dovuto garantire il massimo controllo sulle forze economiche tedesche, piegando la borghesia tedesca agli interessi dei vincitori, e il massimo controllo sulle masse proletarie, la cui combattività era nota storicamente ai russi quanto agli alleati occidentali.

D’altra parte, la differenza tra lo sviluppo dell’imperialismo americano ed europeo-occidentale e quello dell’imperialismo russo era evidente. I dollari che contribuirono a sostenere lo sforzo di guerra dei paesi che formavano il blocco degli Alleati (dunque anche della Russia) contro il blocco delle potenze dell’Asse (Germania, Giappone e Italia, che, come si sa, dal settembre del 1943 girò le spalle a Hitler), continuarono a sostenere la ricostruzione postbellica in tutta l’Europa occidentale, ma non la ricostruzione postbellica della Russia che – aldilà dell’interessata alleanza con gli anglo-americani nella guerra contro la Germania, dopo essere stata alleata con la Germania nazista nel 1939 per spartirsi concordemente la Polonia) – doveva contare sulle proprie forze che, notoriamente, consistevano soprattutto nel settore militare. Ciò non permetteva alla Russia di Stalin, in fase di forsennata industrializzazione fin dalla metà degli anni Venti, di usare le proprie risorse anche per elevare il tenore di vita in generale della sua popolazione, in particolare del suo proletariato, come invece potevano permettersi l’America e i suoi alleati occidentali. Ma la giovane Russia capitalista era troppo affamata di profitto industriale e troppo impegnata ad affondare i propri artigli imperialisti sui paesi europei confinanti, soprattutto ad  Ovest, per non usare le sue armi storiche fin dai tempi degli zar: l’oppressione dei popoli, la repressione poliziesca e l’occupazione militare. Quel che serviva al giovane capitalismo russo – e che, nello studio dello sviluppo economico della Russia svolto dal nostro partito, definimmo: Saziare la fame di acciaio, coltivare la fame proletaria (1) – serviva anche ai capitalismi nazionali dei paesi dell’Europa dell’Est che falsamente si definivano “socialisti”.    

Data la forte influenza dei partiti stalinisti e dei sindacati collaborazionisti, la rivolta dei proletari tedesco-orientali non poteva che essere spontanea, disorganizzata, toccando a macchia di leopardo le varie aziende e i vari distretti. Ma, nonostante il peso notevole dell’opportunismo stalinista sulle masse proletarie, per una volta ancora il proletariato tedesco dette prova di una grandissima combattività, cosa che lo ha sempre caratterizzato nella sua storia. Come ricordato, già dall’inizio di giugno, dopo che entrò in vigore l’ultimo decreto governativo, iniziarono le prime agitazioni operaie che culminarono, nei giorni dal 15 al 17 giugno, con i grandi scioperi a Berlino Est. Qui furono gli edili impegnati nella costruzione dell’ospedale di Friedrichshain, sulla Stalinalee, ad iniziare lo sciopero perché fosse revocato l’innalzamento del 10% delle quote di produzione, chiamando allo sciopero generale gli altri operai. Il 16 giugno la polizia intervenne cercando di spezzare i cortei di sciopero e reprimendo le manifestazioni operaie nelle quali venivano trascinati anche studenti e piccoloborghesi. Il controllo del proletariato, oltretutto di un paese capitalisticamente più evoluto della Russia stessa come la Germania, era un obiettivo troppo importante perché la Russia rimanesse a guardare; le forze dell’ordine di Grotewohl venivano decisamente contrastate e in molte città avevano la peggio. Ecco, dunque, che con l’arrivo dei carri armati russi il sangue proletario cominciò a scorrere. La repressione fu durissima; si contarono decine di morti (solo nel 2004 si accertò l’identità di 55 morti, mentre altri 18 rimasero sconosciuti), centinaia di feriti, migliaia di arresti. Alcuni resoconti, non ufficiali, parlarono anche di 41 soldati russi fucilati perché durante la rpressione non eseguirono gli ordini.

Il loro grande coraggio, il sangue versato nella loro rivolta contro sfruttatori e aguzzini vestiti con la camicia rossa, non fece fare ai proletari, tragicamente, un salto di qualità nella loro lotta; l’infatuazione partigiana e collaborazionista deviò la loro combattività nella palude delle illusioni democratiche trasformandola in generale impotenza.

D’altra parte, come in molte altre occasioni storiche, l’assenza di un partito di classe, saldo nella teoria e nei principi, centralisticamente organizzato e influente sulle masse proletarie organizzate sul terreno della difesa immediata dei propri interessi classisti, fu decisiva anche in queste rivolte genuinamente proletarie. Spinti dalla disperazione per le condizioni di vita e di lavoro, i proletari di Berlino e della Germania Est si ritrovarono non soltanto soli di fronte alla repressione statale e alla repressione imperialista di Mosca, ma anche del tutto isolati dalle masse proletarie della Germania Ovest, a loro volta imprigionate nella collaborazione di classe con la propria borghesia, che godevano però di ammortizzatori sociali che non esistevano nella parte orientale. Che le misure prese in Russia, come in Germania Est e negli altri paesi dell’Est Europa sotto il tallone di ferro russo, fossero di carattere inequivocabilmente capitalista e sfruttatore, non c’era alcun dubbio; questo specifico e inequivocabile carattere esprimeva tutto ciò che di contrario poteva esistere rispetto al socialismo e i proletari, prima ancora che contro la inevitabile repressione poliziesca, si rivoltarono contro quelle misure, pur se fatte passare per misure atte alla “costruzione del socialismo”.

Ovvia l’utilizzazione di queste rivolte da parte occidentale sul piano dell’incitamento a battersi con la violenza e con la guerra civile (alla “partigiana”, come nella seconda guerra mondiale) per la “riconquista della libertà e della democrazia”, ammettendo perciò l’uso della violenza e della guerra civile, ma solo a beneficio dell’imperialismo di marca occidentale; e sul piano morale, indicando la repressione moscovita attuata coi carri armati e con i plotoni di esecuzione come l’espressione della classica “barbarie asiatica” mentre il “comunismo” veniva equiparato alla miseria, alla fame. Come del tutto logica è stata la propaganda stalinista che giustificava la repressione contro i “provocatori” che sarebbero stati pagati dagli imperialisti occidentali per impedire alle masse proletarie di procedere nella “costruzione del socialismo” in casa propria...

Le rivolte del giugno 1953 a Berlino e nella Germania dell’Est costituivano in ogni caso un forte campanello d’allarme per il capitalisti occidentali e orientali, perché potevano rappresentare un esempio non solo per le masse proletarie della Germania Ovest ma di tutta Europa e, quindi, del mondo. Dovevano perciò essere represse duramente e con tutta la violenza necessaria perché i proletari non potessero riprovarci in periodi successivi; dovevano approfittare dell’assenza delle organizzazioni di difesa economica classiste e dell’assenza di un partito veramente comunista per spezzare e soffocare un movimento certamente spontaneo, ma oggettivamente spinto ad un livello di lotta molto più ampio del terreno semplicemente economico. La repressione moscovita faceva parte, quindi, di quella divisione dei compiti che gli imperialisti euro-americani e russi avevano concordato dividendosi l’Europa in due grandi aree di reciproco controllo; una suddivisione che non riguardava soltanto i territori economici da sfruttare, ma anche il controllo delle reciproche masse proletarie affinché le giovani generazioni proletarie non potessero collegarsi alle esperienze di lotta rivoluzionaria delle generazioni proletarie di vent’anni prima.

A questo compito hanno provveduto lo stalinismo e il post-stalinismo, con la loro opera – insieme raffinata ideologicamente e brutale materialmente – di degenerazione, prima, e di controrivoluzione, poi, con la quale sono stati distrutti l’Internazionale Comunista, il partito bolscevico di Lenin e, a catena, tutto il movimento comunista e proletario mondiale. La storia, come sappiamo, non si spiega con i “se”: se il partito bolscevico non fosse degenerato; se in Germania fosse sorto nel 1918-1919, nonostante l’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, un partito comunista saldo, sia teoricamente che praticamente; se la corrente di Sinistra comunista che fondò il Partito comunista d’Italia nel 1921 l’avesse costituito già nel 1919-1920 e avesse avuto un peso a livello internazionale molto più importante di quanto ebbe, ecc. ecc. ... I fattori soggettivi – partito di classe, forti associazioni economiche di classe – che costituiscono, insieme ai fattori oggettivi – situazione economica, sociale e politica di crisi della società borghese – le condizioni favorevoli alla rivoluzione proletaria e al suo esito positivo, non sono figli di un “se”. L’atto di volontà necessario alla loro formazione e alla loro attività poggia su condizioni storiche materiali che rendono matura la loro esistenza. La dottrina marxista non è nata per volontà dell’individuo Marx, ma è stata il risultato della lotta fra le classi che si è svolta in secoli di storia; il partito bolscevico di Lenin e la rivoluzione russa non sono nati per volontà dell’individuo Lenin, ma per la coincidenza storica di fattori soggettivi e oggettivi maturi e in grado di dare vita in quegli anni cruciali al partito di classe capace di esprimere appieno la coscienza di classe del movimento storico del proletariato non solo russo, ma mondiale. Allo stesso modo, la corrente di Sinistra comunista formatasi in Italia nei cruciali anni 1911-1920 non è nata per volontà dell’individuo Bordiga, ma per l’incontro storico tra la dottrina marxista già operante da più di mezzo secolo, l’esperienza delle lotte di classe in Europa, il cui apice dopo il 1848 fu toccato con la Comune di Parigi del 1871, le lotte del proletariato tedesco che dettero vita al più grande Partito socialista europeo ponendo le basi per la formazione dei partiti rivoluzionari in Germania, in Francia, in Italia, in Russia, e le stesse lotte del giovane proletariato italiano che fin dal 1897-98 diede una dimostrazione di forza con grandi manifestazioni di scioperi e di protesta per il pane e il lavoro che videro sulle barricate la presenza di donne e ragazzi sia di città che di campagna, piegate soltanto dai cannoni di Bava Beccaris e dalle fucilate della Guardia regia. Internazionalmente stavano maturando le condizioni storiche perché la lotta di classe proletaria si evolvesse in lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico e l’abbattimento dello Stato borghese. La stessa guerra imperialista mondiale fu espressione massima dello sfruttamento dei proletariati di tutti i paesi e della loro irreggimentazione nei reciproci massacri al fronte, ma fu, allo stesso tempo, fucina della reazione di classe del proletariato tedesco, russo, italiano, austriaco, serbo, francese, ungherese, tanto da dare vita già durante la guerra ad episodi non isolati di disfattismo rivoluzionario, di fraternità tra i soldati dei fronti “nemici”, di diserzione, e a spingere il proletariato russo – influenzato e guidato dal partito bolscevico di Lenin – a farsi carico del grande compito di abbattere rivoluzionariamente, durante la guerra stessa, in un primo tempo il potere zarista per poi passare all’abbattimento del potere borghese di Kerensky facendo della vittoria della rivoluzione proletaria in Russia un fatto compiuto, trasformandola nel conquistato primo bastione di una rivoluzione internazionale le cui condizioni oggettive erano finalmente storicamente mature.

A questa titanica lotta del proletariato europeo, i proletari tedesco-orientali, nel secondo dopoguerra non riuscirono a  collegarsi perché le condizioni soggettive – l’esistenza di forti associazioni economiche classiste e del saldo partito di classe – erano state distrutte dalla doppia controrivoluzione: quella classica borghese e imperialista, e quella di stampo staliniano che incatenò il glorioso proletariato russo e, con lui, il proletariato europeo e mondiale alle sorti delle proprie borghesie nazionali in una lotta che di proletario non aveva più nulla perché era soltanto la lotta di concorrenza tra imperialismi.

Non si poteva, perciò, pretendere che le rivolte di Berlino Est e di tutta la Germania Est fossero sufficienti per far girare la ruota della storia a favore della rivoluzione proletaria che da Berlino si diffondesse poi in tutta Europa e nel mondo. Dal movimento spontaneo della lotta proletaria, che esprime l’innegabile antagonismo di classe con la borghesia, non nasce automaticamente la sua coscienza di classe, cioè il partito politico di classe. Quest’ultimo, che rappresenta nell’oggi il futuro dell’emancipazione del proletariato e il comunismo, nasce in parallelo alle lotte proletarie, unendo in un organismo specifico, fondato sulla dottrina del comunismo rivoluzionario che chiamiamo marxista, i principi e il programma della rivoluzione comunista e l’organizzazione in grado di centralizzare il movimento proletario per orientarlo ai fini esclusivamente rivoluzionari – come fu il partito bolscevico di Lenin – e soltanto questa sua specificità definisce la coscienza di classe del proletariato non di un paese particolare ma del proletariato internazionale. E’ per questo grande obiettivo che i comunisti rivoluzionari della Sinistra comunista d’Italia, ridotti dalla controrivoluzione ad uno sparuto pugno di militanti, hanno continuato a battersi allora e oggi, e continuano a battersi perché domani, quando la storia delle contraddizioni sempre più acute del capitalismo mondiale rimetterà all’ordine del giorno la lotta di classe e rivoluzionaria, il partito di classe sia non solo presente, ma significativamente influente e saldo nella continuità teorica, politica, tattica e organizzativa così da garantire la vittoria proletaria a Berlino, a Parigi, a Londra, a Roma, a Mosca, a Washington, a Pechino e nel mondo.

Raccogliamo qui di seguito tre articoli del 1953, pubblicati nell’allora giornale di partito “il programma comunista”, che, in perfetta continuità col metodo di studio e di lavoro del partito, fanno da base alla valutazione delle rivolte successive del 1956 in Polonia e in Ungheria, del 1968 in Cecoslovacchia, del 1970 e del 1980 ancora in Polonia.    

 

Milano, giugno 2023

 


 

(1) Cfr. L’economia russa dopo il XXV congresso. Saziare la fame di acciaio, coltivare la fame proletaria, “il programma comunista” n. 10  del 1976.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

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