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Guerra russo-ucraina

1. La guerra russo-ucraina dal suo scoppio alla "controffensiva" di Kiev

 

( Opuscolo A4, 76 pagine, Febbraio 2024, Prezzo: 8 € ) - pdf

 


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INDICE

 

• Premessa

 

I Parte

 

• L'imperialismo russo, nello scontro con l'imperialismo americano e con gli imperialismi europei, muove le sue truppe alla riconquista territoriale delle aree strategiche dell'Ucraina: dopo la Crimea, il Donbass e poi Odessa? (Presa di posizione, 24.02.2022, www.pcint.org)

• Alcuni punti sulla situazione storica che ha prodotto anche la guerra russo-ucraina (il comunista, n. 172, marzo 2022)

• Guerra russo-ucraina: l'imperialismo con la forza delle armi esaspera il nazionalismo di ogni paese (il comunista, n. 172, marzo 2022)

• Proletariato e guerra imperialista. La posizione di classe del proletariato contro la guerra imperialista, in qualunque paese, in Russia e in Ucraina, in Europa e nelle Americhe, in Cina, in Giappone e in tutto l'Oriente, in Australia e in Africa è una sola: Lotta di classe, prima di tutto contro la propria borghesia, e lotta di classe contro le borghesie di tutti gli altri paesi. Proletari di tutto il mondo unitevi!, signifca esattamente questo! (Presa di posizione, 06.06.2022, www.pcint.org; il comunista, n. 173, aprile-giugno 2022)

• Ucraina. Una guerra che continua a preparare il terreno a future guerre in Europa e nel mondo (il comunista, n. 173, aprile-giugno 2022)

• Sulla guerra russo-ucraina. Contro la guerra, su entrambi i fronti, mentre la guerra continua (il comunista, n. 174, luglio-sett. 2022)

• Ai proletari russi e ucraini (il comunista, n. 176, gennaio-febb. 2023)

• Per le sue guerre sporche, la borghesia utilizza anche i mercenari (il comunista, n. 173, aprile-giugno 2022

• Ucraina, Corea del XXI secolo? (il comunista, n. 176, gennaio-febbraio 2023)

• La guerra in Ucraina serve agli USA per indebolire l'Europa (il comunista, n. 176, gennaio-febbraio 2023)

• Guerra russo-ucraina. Sono i piani di guerra, non di "pace", al centro degli interessi dell'imperialismo mondiale, sempre più immerso in contrasti irrisolvibili se non con la guerra (il comunista, n. 178, giugno-agosto 2023)

• Sulla guerra in Ucraina. Internazionalismo proletario e disfattismo rivoluzionario nella tradizione marxista (Presa di posizione, agosto 2022, www.pcint.org)

 

II Parte

 

• Pace sociale e guerra imperialista [Paix sociale et guerre impérialiste] (Programme communiste, n. 11, avril-juin 1960; il comunista, n. 174, luglio-settembre 2022)

• Russia-Ucraina: crisi di guerra, carneficina senza fine (il comunista, n. 178, giugno-agosto 2023)

• Reazioni contro la mobilitazione in Russia (il comunista, n. 175, dicembre 2022)

• Ucraina. I lavoratori sotto attacco. Il governo ucraino in guerra contro i suoi proletari

(il comunista, n. 174, luglio-settembre 2022)

• Venti di guerra in Europa (il comunista, n. 171, dicembre 2021-gennaio 2022)

• La forza prevale sul diritto (estratto da: Ucraina:Contro il nazionalismo, per l'unione proletaria di classe!(il comunista, n. 134, aprile 2014)

 


 

Premessa

 

 

Con l’uscita di questo primo opuscolo vogliamo fornire ai compagni e ai lettori una prima antologia dei materiali che abbiamo pubblicato dall’inizio della guerra russo-ucraina (febbraio 2022) fino al dicembre 2023. Questi materiali sono stati pubblicati sia nei giornali e nelle riviste di partito, sia nelle prese di posizione inserite nel sito www.pcint.org

Abbiamo sottotitolato: «dal suo scoppio alla “controffensiva” di Kiev» in quanto la cosiddetta «operazione speciale militare» di Mosca, che, secondo i presupposti degli strateghi russi, doveva finire in breve tempo col risultato di sottrarre all’Ucraina oltre alla Crimea anche le province di Donetz e di Lugans’k nel Donbass, in realtà si è prolungata e si sta trasformando in una lunga guerra di trincea.

Dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, al dicembre 2023 sono passati 22 mesi. In questi 675 giorni di guerra non si è avverato nulla di quello che le due parti belligeranti hanno sostenuto: né la Russia è riuscita finora a piegare definitivamente l’Ucraina ai propri obiettivi, né l’Ucraina è riuscita a difendere la sua sbandierata sovranità territoriale e a ricacciare la Russia oltre i suoi confini precedenti. C’è stato un momento in cui sembrava che la Russia potesse arrivare fino a Odessa e oltre, mettendo in ginocchio Kiev, costringendola ad accettare la perdita di una buona parte del suo territorio. Poi, la reazione ucraina, sostenuta da tutto il mondo occidentale in termini di armamenti, finanziamenti e intelligence, ha bloccato e in parte respinto l’avanzata delle truppe russe, tanto da incoraggiare Kiev a predisporre una controffensiva con cui mirava a riprendere il controllo addirittura di tutto il Donbass e anche della Crimea. Che queste fossero soltanto pie intenzioni e parole di propaganda per mantenere alto il morale delle truppe ucraine è stata la stessa situazione reale a rivelarlo. Entrambi gli eserciti, con l’arrivo dell’autunno e dell’inverno, si sono impantanati in una guerra di trincea che, per certi versi, ricorda un po’ la prima guerra mondiale. La carneficina prosegue esattamente come in quella guerra.

Da quanto risulta evidente sul campo e dalle intenzioni reali dei due belligeranti, questa guerra ha tutte le caratteristiche di una guerra lunga, logorante e devastante. E’ una guerra in cui gli imperialismi occidentali, guidati dal binomio anglo-americano, stanno attaccando l’imperialismo russo con i propri armamenti, ma con i soldati ucraini. Da parte sua l’Unione Europea ha condiviso pienamente, almeno all’inizio, il disegno americano che prevede l’isolamento della Russia, indebolendo significativamente la sua influenza economico-politica sostenuta dagli accordi economici sulle materie prime di cui l’industria europea ha assoluta necessità, gas naturale e petrolio soprattutto. In questo disegno era evidentemente previsto che l’Europa, in particolare la Germania e l’Italia, che dipendevano in modo notevole dalle forniture di gas e petrolio russi, tagliasse i ponti con la Russia e si rivolgesse ad altri fornitori, gli Stati Uniti innanzitutto. In parte, ma solo in parte, questo disegno è andato in porto, attraverso le sanzioni deliberate contro le forniture russe di qualsiasi merce e il blocco dei capitali russi depositati nelle banche estere. La Russia non è stata piegata né dalle sanzioni attuate dall’Unione Europea che, anzi, hanno avuto un effetto boomerang sulle economie dei paesi europei, né dal tentativo di isolarla nel quadro delle relazioni internazionali. La Cina, prima, e poi i paesi del Brics e molti altri paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina non si sono schierati con gli Stati Uniti, rivelando un’antica ostilità verso gli imperialismi occidentali protagonisti di un brutale colonialismo che, nel tempo, si è trasformato in un colonialismo economico-finanziario, ma sempre pronto a tornare alle vecchie abitudini di repressione militare.

In questi quasi due anni di guerra in Ucraina, tutte le grandi compagnie industriali del settore militare e degli armamenti hanno avuto un picco di crescita eccezionale. I rifornimenti di carri armati, munizioni, missili, droni e di tutte le attrezzature meccaniche e informatiche necessarie alla conduzione di una guerra moderna, se da un lato hanno svuotato in buona misura i vecchi arsenali militari di tutti i paesi coinvolti, dall’altro lato li hanno spinti a rinnovare i propri arsenali, ad investire su nuovi armamenti in vista non tanto di una guerra locale, come quella che si sta svolgendo in Ucraina, ma di una guerra generale e mondiale di cui ormai ogni cancelleria è convinta.

Tutto il mondo, che un tempo guardava cosa facevano gli Stati Uniti e l’URSS, considerando i vantaggi, o gli obblighi, di allearsi con gli uni o con l’altra, oggi guarda soprattutto come si muovono sullo scacchiere internazionale gli Stati Uniti e la Cina, senza perdere di vista il comportamento della Russia, vista la sua solida forza nucleare. L’alleanza tra Cina e Russia, è chiaro, è temuta sia a Washington che a Londra, e non è meno temuta a Berlino o a Parigi. D’altra parte, sta emergendo all’orizzonte un’altra potenza, l’India, che in uno scontro bellico mondiale potrebbe mettere in campo, anche se non è detto, il suo miliardo e mezzo di abitanti, un’industria che sta sviluppandosi in modo accelerato e una posizione strategica rilevante rispetto all’Oceano Indiano. Nel frattempo si assiste allo scenario di una Germania e di un Giappone che hanno ricominciato ad armarsi in modo consistente, sebbene sotto l’occhio vigile di Washington. I presupposti di una politica estera che mira a far sì che ogni imperialismo di levatura mondiale predisponga le proprie forze finanziarie, economiche, politiche e militari a sostenere uno sforzo bellico di dimensioni mondiali, ci sono tutti. E non è detto che le alleanze future ricalcheranno gli schemi passati. Troppi motivi di scontro tra le diverse potenze imperialistiche stanno emergendo per quanto riguarda le relazioni commerciali e finanziarie – anche se in superficie non n ne affiorano molti – mentre i fattori di crisi determinati dalla sovraproduzione si stanno acutizzando vistosamente (non ultima, la crisi immobiliare in Cina che rischia di ricalcare la crisi dei subprime americani del 2008).

Tramontato il condominio russo-americano sull’Europa, dopo trent’anni di convivenza “pacifica” (in Europa, non nelle altre parti del mondo), seguito alla fine della seconda guerra imperialista mondiale, viene sempre più a galla la reale politica di aggressione e di oppressione che caratterizza i grandi paesi capitalistici, sia al proprio interno, nei confronti dei propri proletariati, sia all’esterno, nei confronti di tutti gli altri paesi. L’imperialismo è necessariamente aggressivo e non c’è forza sociale che sia in grado di attenuarne l’aggressività e la spinta ad opprimere paesi e popoli al fine di rafforzarsi, se non la classe proletaria, nella misura in cui essa si riconosca come l’unica vera forza antagonistica del capitalismo e, quindi, dell’imperialismo, tornando sul terreno di lotta di classe aperta e rivoluzionaria.

Il crollo dell’URSS ha dato l’avvio allo scontro aperto interimperialistico anche in Europa, prima con le guerre in Jugoslavia, che hanno messo a soqquadro tutti i Balcani, frammentandola in tanti staterelli pronti ad affittarsi ufficialmente agli imperialisti occidentali o all’imperialismo russo; poi le incursioni nel Mediterraneo contro la Libia per sottrarla all’influenza russa e nel Medio Oriente terremotandolo ancor più di quanto non fosse già per conto proprio, sostenendo le guerre di tutti contro tutti e utilizzando Israele come il più affidabile gendarme imperialistico in quell’area. Poi è stata la volta dell’Ucraina, che gli artigli dell’imperialismo occidentale volevano strappare all’influenza russa, prima coi giochi politici, poi direttamente con la guerra. In realtà, per quel che riguarda l’Europa, se nei primi 40 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale era divisa in due aree di influenza ben precise, il famoso «condominio russo-americano», con il crollo dell’URSS anche la parte di Europa dell’Est è stata attirata nel campo di influenza statunitense che, attraverso la Nato, esercita anche un pesante controllo militare. Ciò non impedisce agli imperialismi europei più forti di ritagliarsi un’importante fetta di potere, soprattutto da quando si è costituita l’Unione Europea, e non impedisce a questi stessi imperialismi di fronteggiarsi in contrasti commerciali e finanziari che mettono sempre a rischio gli equilibri di volta in volta raggiunti.

Tutta la propaganda occidentale ha sostenuto che l’attuale guerra russo-ucraina sia stata provocata dall’invasione russa del 24 febbraio, e che le vere mire di Mosca non erano di annettersi una parte dell’Ucraina, se non tutta, ma... di invadere l’Europa dell’Est nel diabolico disegno di ricostituire la vecchia URSS. La propaganda russa, invece, sostiene che l’invasione militare russa (chiamata «operazione speciale militare» con l’obiettivo di denazificare e di demilitarizzare l’Ucraina) è stata una «doverosa risposta» alla difesa delle popolazioni russofone della Crimea e del Donbass che subivano una particolare oppressione da parte di Kiev e al mancato rispetto da parte di Kiev degli accordi di Minsk,... d’altra parte non rispettati nemmeno dalla Russia.

Aldilà delle mezze verità che fanno sempre parte della propaganda borghese, e che ognuna delle parti, il supposto aggressore e il supposto aggredito, tira in ballo per giustificare le proprie mosse e per galvanizzare le proprie truppe, rimane il fatto che, da quando esiste il capitalismo, la borghesia – come afferma il Manifesto del Partito Comunista del 1848 – è sempre in lotta contro il vecchio regime là dove ancora resiste, contro le borghesie straniere e contro il proletariato. Ovviamente, il tipo di lotta che ogni borghesia dominante conduce in queste tre grandi direzioni storiche può differire anche molto da un paese all’altro e in base alle diverse fasi dello sviluppo del capitalismo, ma fondamentalmente non cambia: è sempre una lotta di aggressione.

I marxisti non cadono nella trappola dell’aggredito che deve difendersi dall’aggressore, perché l’obiettivo della lotta della classe proletaria prevede la lotta contro ogni borghesia nazionale, tanto più contro le alleanze borghesi internazionali che servono per condurre guerre generali e mondiali per sovvertire l’ordine mondiale esistente. Le due guerre imperialiste mondiali del 1914-18 e del 1939-45 dimostrano che l’ordine mondiale precedente ad esse non aveva risolto i contrasti tra i diversi Stati che sfociarono, appunto, in quelle guerre. E le guerre locali, regionali, areali che sono seguite alla cosiddetta pace proclamata alla fine della seconda guerra imperialista mondiale, dimostrano, a loro volta, che non solo i vecchi contrasti interimperialistici non sono stati superati, ma che a quelli si sono aggiunti nuovi contrasti dovuti allo sviluppo di nuove potenze capitalistiche che cercano, a loro volta, di assicurarsi fette di mercato per i propri capitalismi nazionali a detrimento dei concorrenti. Il fatto è che il mercato mondiale è uno ed è su questo unico mercato mondiale che agiscono i capitalismi nazionali con tutta la loro spinta a sopraffare, quando e dove possibile, i concorrenti.

La fase imperialista dello sviluppo capitalistico non ha attenuato i vecchi contrasti tra i più forti e avanzati Stati borghesi – Stati che diventano, come dice Lenin nel suo Imperialismo, «Stati benestanti», «Stati usurai» in cui la borghesia vive dell’esportazione del capitale e di «dividendi dei suoi titoli» – e gli Stati più deboli, meno sviluppati capitalisticamente; in realtà, i vecchi contrasti si sono acutizzati, a causa dei livelli di concorrenza mai raggiunti in precedenza tanto da richiedere, ad ognuno di essi, una politica estera sempre più aggressiva. Naturalmente l’aggressività degli Stati imperialisti non è paragonabile a quella degli altri Stati, soprattutto in termini finanziari e militari. Ciò non toglie che ogni capitalismo nazionale si mantenga in piedi, nonostante le crisi che lo scuotono periodicamente, grazie alla lotta che in particolare conduce contro la forza lavoro salariata, la vera produttrice di valore.

Nella lotta tra imperialismi per la divisione del mondo in sfere di influenza e in fonti di profitti, non sparisce lo sviluppo del capitalismo che si contrappone materialmente alla tendenza alla decomposizione dello stesso capitalismo, caratteristica della fase imperialista. Lenin portava l’esempio della Germania, che già tra il 1870 e il 1905 aveva registrato un rapidissimo sviluppo di tutta la sua economia, e soprattutto degli Stati Uniti che, oltre tutto, non avevano dovuto attraversare la lunga fase storica del feudalesimo avendo goduto direttamente dell’impianto capitalistico grazie alla migrazione europea. La stessa Russia, nel periodo successivo alla rivoluzione d’Ottobre e, soprattutto, nel periodo dello sviluppo capitalistico nazionale a tappe forzate rappresentato dallo stalinismo, nel quindicennio che la porterà ad essere uno dei protagonisti della seconda guerra imperialista mondiale, aveva fatto registrare quella rapida crescita economica che era inimmaginabile nel precedente regime zarista, sebbene il modo di produzione capitalistico fosse stato già introdotto soprattutto nella Russia europea. Inutile dire che un ulteriore sviluppo si ebbe dopo la seconda guerra imperialista mondiale, che portò Mosca a gareggiare con Washington e Londra a livello di influenza nel mondo, ma con un handicap non facilmente colmabile: pur essendo un territorio ricco di materie prime (petrolio, carbone, gas, ferro, manganese, nichel, stagno, rame, mercurio, uranio, platino, oro, diamanti, frumento ecc. ecc.), come lo sono anche gli Stati Uniti, la Russia non ha però una struttura industriale altrettanto radicata, capillare ed efficace, il che la costringe a doversi rivolgere al mercato esterno per molti prodotti di alta tecnologia che non è in grado di produrre internamente (auto, prodotti farmaceutici, computer, macchine da ufficio, macchine pesanti, equipaggiamento per la trasmissione ecc.). Secondo l’Economic Complexity Observatory (1), che registra molto dettagliatamente acquisti e vendite di molti paesi del mondo, nel 2019 il 60% complessivo delle esportazioni russe ha riguardato le forniture energetiche di petrolio, gas naturale e carbone, per un ammontare di circa 240 miliardi di dollari; il solo export di queste materie prime finanzia l’intero import russo. La guerra russo-ucraina, che ha provocato le sanzioni euro-americane contro l’export russo, soprattutto di queste materie prime, e il blocco dell’utilizzo dei capitali russi depositati nelle banche occidentali, hanno chiaramente colpito l’economia russa, che si è però in parte ripresa trovando altri acquirenti (in particolare Cina e India) e continuando comunque a fornire i paesi europei – ovviamente in modo più contenuto – attraverso mediatori terzi che il mercato capitalistico produce sempre in grande quantità.

Questa guerra, dunque, fatta per procura dall’Ucraina di Zelensky e con cui gli Stati Uniti e la Nato dovevano mettere in ginocchio la Russia, si è rivelata – almeno da questo punto di vista – un boomerang soprattutto per l’Europa. Tutte le economie europee, in particolare quella tedesca, hanno dovuto segnare un calo consistente al limite della recessione. Non parliamo dell’economia ucraina che è praticamente distrutta ma che, di fronte ad un periodo di sovraproduzione come l’attuale, risulta essere l’occasione per le grandi potenze occidentali per risollevarsi un po’, se non altro attraverso l’industria degli armamenti.

E’ infatti cosa nota che il notevole sostegno finanziario e i rifornimenti all’Ucraina di armi e munizioni da parte occidentale, da un lato hanno contribuito e contribuiscono a prolungare la guerra – e la continua carneficina di masse di proletari sia ucraini che russi -, dall’altro, con le distruzioni provocate, hanno attuato la distruzione dell’economia, quindi dell’industria e dell’agricoltura ucraine, delle infrastrutture, delle città e delle vie di comunicazione, tanto da costituire un ghiotto boccone per gli investimenti di capitali nella ricostruzione; investimenti di capitali ovviamente americani, inglesi, tedeschi, francesi, italiani e, al loro seguito, tutti i possibili capitali occidentali in frenetica ricerca di redditività, di profitti. Per l’ennesima volta la guerra imperialista si conferma come un’occasione di «ringiovanimento» del capitalismo, e un’occasione per disfarsi di una sovraproduzione che ciclicamente intasa e soffoca i mercati.

La situazione in cui si trovano il proletariato russo e ucraino e il proletariato europeo, americano e di tutti gli altri paesi, è ancora di grande depressione. La stessa lotta immediata di difesa del salario e delle condizioni di vita basiche non è ancora riuscita a spezzare la cintura di sicurezza con cui le classi dominanti borghesi tengono avvinti i propri proletari nazionali alle esclusive esigenze di sopravvivenza del capitalismo. Episodicamente, ora in Francia, ora in Cina, ora negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, in Spagna o in Italia, la lotta proletaria emerge dalla palude in cui l’ha impantanata l’opportunismo collaborazionista, ma non riesce ancora a liberarsi dalle illusioni democratiche e dalle spinte corporative che la condizionano da decenni. Decenni in cui masse sempre più grandi di proletari e di diseredati fuggono dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina, dai paesi della periferia dell’imperialismo, via terra e via mare, verso i paesi dell’opulenza capitalistica, alla ricerca di situazioni di sopravvivenza più stabili; fuggono dalla miseria, dalle carestie, dalle guerre provocate direttamente e indirettamente dai paesi capitalisti più avanzati e, per questo, più aggressivi, più cinici, più disumani.

Il mondo capitalistico, come non prevede la stabilizzazione del lavoro salariato, precarizzandolo sempre più e rendendo la disoccupazione uno stato permanente in cui gettare masse crescenti di proletari, così non prevede neppure una semplice accoglienza per tutti coloro che soffrono la fame, la miseria o che cercano di sottrarsi alle conseguenze più terribili delle guerre. Gelose dei propri privilegi sociali, le classi borghesi li difendono con ogni mezzo, e come sono pronte a sfruttare la forza lavoro salariata condannandola a sopravvivere con miseri salari, così sono pronte a trasformarla in carne da macello sia nelle guerre di rapina che cadenzano il loro tempo, sia nella pace borghese che segue ad ogni guerra, gettando i proletari e i diseredati nell’emarginazione e nella fame.

Per non morire sotto le bombe, per non morire di stenti, per non morire sulle linee di guerra che ogni borghesia nazionale è pronta a disegnare a difesa dei suoi interessi di classe, i proletari ucraini come i proletari russi cercavano nella diserzione, o nella corruzione, la soluzione immediata della loro situazione individuale pur di non venire intruppati e inviati al fronte di guerra. La diserzione è la prima, istintiva reazione ad una chiamata alle armi o ad una permanenza al fronte non volute; se acquisisce la dimensione di un fenomeno collettivo, come durante la prima guerra imperialista mondiale, è segno di un primordiale rifiuto di classe a farsi ammazzare per scopi idealmente e praticamente non condivisi. I casi del primo tipo di diserzione che sono stati rilevati sia in Ucraina che in Russia hanno certamente preoccupato i rispettivi stati maggiori e governi, che sono intervenuti con le classiche leggi di guerra che prevedono la carcerazione o l’invio sui fronti di guerra più pericolosi. Le cronache giornalistiche danno notizia del fatto che Zelensky ha chiesto ufficialmente ai governi dei paesi occidentali che sostengono la sua guerra di consegnargli tutti gli uomini che presso di loro si sono rifugiati per scampare alla guerra; non si sa se effettivamente quei governi abbiano soddisfatto questa richiesta che, d’altra parte, è perfettamente coerente con il sostegno materiale e finanziario della guerra ucraina contro la Russia.

Né il proletariato ucraino, né il proletariato russo e nemmeno il proletariato europeo dei paesi coinvolti nel sostegno della guerra russo-ucraina rivelano oggi una spinta classista spontanea ad opporsi al macello che si sta svolgendo. Non sappiamo quanti proletari massacrati in guerra ci vorranno ancora perché vi sia una reazione spontanea e classista contro questa guerra borghese: probabilmente questa guerra finirà senza che i proletari ucraini e russi si siano liberati dall’influenza tossica dei rispettivi nazionalismi. La speranza è che da questo ennesimo esempio tragico di come le masse proletarie vengono utilizzate come carne da cannone, esse traggano una lezione fondamentale: la propria borghesia nazionale è il nemico numero uno del proletariato, e contro di essa va rivolta ogni lotta che abbia l’obiettivo di opporsi alla trasformazione dei lavoratori salariati in carne da macello! E’ una lezione su cui possono svilupparsi le altre lezioni necessarie ai proletari di ogni paese nella loro lotta contro le classi dominanti borghesi, in merito alla rottura della pace sociale, della collaborazione di classe, della cappa ideologica e organizzativa dell’opportunismo, per l’indipendenza di classe sul terreno immediato e su quello politico più generale.   

Di fronte all’invio dei proletari in guerra da parte delle rispettive borghesie, la parola d’ordine massima dei comunisti è sempre: disfattismo rivoluzionario, cioè un’opposizione alla guerra sul terreno della lotta classista che prevede l’unione della lotta proletaria nelle fabbriche e nella società con la lotta dei proletari in divisa sui campi di guerra. Questo collegamento non avviene automaticamente, poggia in realtà su larghe e continue esperienze di lotta classista già attuate in «tempo di pace», sia sul terreno della difesa immediata delle condizioni di esistenza proletarie, sia sul terreno politico dell’opposizione alle politiche dei governi borghesi; esperienze che sono fruttuose se fatte nella piena indipendenza di classe su entrambi i terreni citati.

Sarà il disfattismo proletario, che potremmo chiamare economico e politico immediato, a far da base al successivo disfattismo rivoluzionario in tempo di guerra. Questo disfattismo non è altro che il risultato della rottura della pace sociale, della rottura della collaborazione di classe in cui i proletari di ogni paese sono imprigionati. Il disfattismo rivoluzionario è già un atto politico di grande rilevanza, rappresenta un punto di passaggio dalla lotta classista di difesa immediata alla lotta di classe, alla lotta di offesa rivoluzionaria, alla lotta politica rivoluzionaria. Sono fasi della lotta proletaria che le vicende storiche possono avvicinare nel tempo e nello spazio, o distanziare, visto che dipendono dai rapporti di forza tra le classi dominanti e le classi proletarie. Rapporti di forza che non si modificano improvvisamente, ma la cui modificazione dipende da una serie notevole di lotte proletarie di carattere classista e dell’intervento decisivo in queste lotte del partito comunista rivoluzionario, che ha il compito di importare nelle file proletarie, nelle sue lotte e nelle sue organizzazioni, la «coscienza di classe», cioè la teoria rivoluzionaria che contiene gli obiettivi storici della lotta del proletariato come unica classe antagonista al cento per cento alla classe borghese a livello nazionale e mondiale.

La guerra russo-ucraina ha incrociato, nel suo ventesimo mese di massacri, un’altra guerra, sempre molto vicina all’Europa, la guerra tra Israele e la palestinese Hamas che governa da anni la Striscia di Gaza, in seguito all’incursione dei miliziani di Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre 2023, nel corso della quale hanno devastato una serie di kibbutz, ucciso più di 1200 israeliani, perlopiù civili, sequestrandone più di 200 come ostaggi, portati poi all’interno della Striscia. La guerra israelo-palestinese, in realtà non è mai finita veramente, visto che i governi di Tel Aviv non hanno mai smesso di sostenere gli insediamenti violenti dei propri coloni sulle terre che, dopo il riconoscimento dello Stato di Israele nel 1948, erano state assegnate dalle grandi potenze mondiali ai palestinesi. Questa guerra ha caratteristiche piuttosto diverse da quella che si sta svolgendo in Ucraina, e in un opuscolo dedicato al Medio Oriente e alla «questione palestinese» tratteremo approfonditamente i vari aspetti legati ad essa.

Rispetto alle vicende relative  alla guerra russo-ucraina, lo scoppio della guerra di Israele contro la Striscia di Gaza, per il coinvolgimento strettissimo degli Stati Uniti con Israele e per l’appoggio che da sempre i paesi dell’Europa occidentale hanno dato e danno ad Israele contro il cosiddetto «terrorismo palestinese», ha provocato un rallentamento significativo nelle forniture di armi e di finanziamenti all’Ucraina di Zelensky. Ma le tensioni di guerra si sono allargate anche nel sud del Medio Oriente, contro gli houti yemeniti che, in appoggio ad Hamas, hanno iniziato negli ultimi tempi ad attaccare le navi mercantili dirette in Israele che attraversano il Mar Rosso per imboccare il Canale di Suez, di fatto allargando il conflitto a tutta l’area mediorientale, andando a colpire gli interessi commerciali soprattutto dei paesi europei.

Quanto all’Ucraina che, nei confronti di Israele, è passata inevitabilmente in secondo piano – almeno per gli Stati Uniti – un atteggiamento più prudente nei confronti di Zelensky si era già evidenziato a Washington e a Londra visto che la tanto sbandierata controffensiva ucraina, che doveva iniziare già nella primavera inoltrata del 2023, ma continuamente rimandata – vista la tenace resistenza delle truppe russe sulle linee del fronte –, anche quando finalmente prese l’avvio, nel settembre 2023, non fece alcun passo significativo a proprio favore.

Questo si deve certamente ad una reale stanchezza delle truppe ucraine, illuse per mesi e mesi di poter lanciare una rapida e vincente controffensiva grazie agli armamenti più moderni che gli euro-americani avrebbero dovuto fornire (ma che arrivavano col contagocce e in tempi lunghissimi), e alla tenuta delle truppe russe, in parte sostituite da truppe più fresche e giovani.

La famosa controffensiva, che nella propaganda del governo Zelensky avrebbe dovuto, nel giro di qualche mese, riconquistare il Donbass e perfino la Crimea, è stata un totale flop. Ciò che ha potuto registrare il governo di Zelensky, oltre a episodi di corruzione sempre più vistosi e alla scomparsa di quantità notevoli di armamenti e munizioni giunti in Ucraina e deviati nel mercato nero delle armi, è la continua carneficina dei suoi soldati, e la continua distruzione di villaggi e città con gli inevitabili sfollamenti di decine di migliaia di civili dalle zone di guerra guerreggiata a zone più lontane.

Ma da ogni cancelleria occidentale si continua a proclamare che la guerra non finirà presto, che sarà ancora lunga. In vista di ciò, l’Unione Europea ha recentemente deliberato ulteriori 50 miliardi di euro per i prossimi 4 anni a favore dell’Ucraina che, ovviamente, si sta indebitando in modo impressionante. E, per la restituzione di questi giganteschi debiti, la borghesia ucraina – che al governo ci sia ancora Zelensky o meno – non avrà alcun ritegno ad affondare i propri artigli nelle carni del suo proletariato.

 

4 febbraio 2024

 

 

Partito Comunista Internazionale

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