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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

 

No alle schede elettorali! Si alla lotta di classe!

 

 

Proletari, compagni!

 

La classe borghese, la classe padronale, sostenuta dalle istituzioni e dai partiti parlamentari hanno fissata un’ennesima scadenza elettorale per il prossimo 9 aprile: le elezioni politiche; e un’altra ancora, per la fine di maggio, per le amministrative.

Vi chiamano alle urne come in un gioco virtuale nel quale le regole sono sempre dettate dai grandi interessi economici e politici delle lobby capitalistiche. Per i capitalisti è molto relativo che vinca la destra o la sinistra, il centro-destra o il centro-sinistra, come d’altra parte hanno dichiarato apertamente alla Confindustria. Per loro l’importante è che il nuovo governo sia affidabile in termini di stabilità sociale, di spinta alla crescita economica, di influenza e di controllo sulle classi lavoratrici. I cinque anni del governo Berlusconi appena trascorsi vengono considerati dalla grande maggioranza degli industriali come un quinquennio sprecato, nel quale la “crescita economica” dell’Italia è ferma allo zero – mentre gli altri paesi d’Europa hanno avuto risultati migliori – e nel quale solo la piccola parte di capitalisti legata a doppio filo alla lobby del miliardario Berlusconi ha ottenuto effettivamente vantaggi e profitti considerevoli. Perciò, ossia per interessi economici di fondo, hanno voltato le spalle a Berlusconi e guardano con simpatia verso Prodi e Fassino.

Normalmente i capitalisti non si pongono problemi di “giustizia sociale”, di “ripartizione delle risorse” più “equilibrata”: ognuno guarda i propri interessi specifici, sapendo che per difenderli ha bisogno di far parte di una rete di interessi nella quale trovare solidarietà, utile nei momenti di crisi. Quando i capitalisti, e i loro portavoce politici, parlano di equilibrio sociale significa che sono a caccia di un consenso sociale che considerano ancora indispensabile per governare e per un controllo delle masse proletarie che temono di perdere. Come nel mercato dei prodotti e del denaro, così nel mercato della politica borghese, le alleanze non sono mai eterne ma sono sottoposte alla dura legge della concorrenza. E la concorrenza del centro-sinistra verso il centro-destra si fa sempre più acuta.

Ma quando mai i proletari hanno avuto dalla concorrenza fra borghesi effettivi vantaggi? MAI! Che si tratti del piano economico, di quello finanziario o di quello politico. In realtà, la concorrenza fra capitalisti produce concorrenza fra proletari, tendendo a peggiorare le condizioni di vita e di lavoro operaie proprio grazie alla pressione borghese – fatta dai padroni, dai politici, dalle istituzioni – sull’intera classe lavoratrice.

Il precariato è enormemente aumentato, la disoccupazione reale non diminuisce, il tenore di vita delle masse proletarie tende ad abbassarsi sempre più, il costo della vita tende invece a salire. Il malessere sociale colpisce in particolare le giovani generazioni che sono più esposte al precariato e alla disoccupazione. In Italia, i movimenti dei disoccupati del napoletano, da anni in lotta per un posto di lavoro e per un salario decente, rappresentano la punta dell’iceberg. In Francia, gli attuali movimenti dei giovani contro la legge che stabilisce la possibilità di licenziamento senza “giusta causa” – liberando perciò completamente le mani al padronato – rappresentano forme di sana ribellione ad una pressione capitalistica che si fa sempre più pesante.

Se è vero quel che gli stessi economisti borghesi prevedono, e cioè che il periodo di crisi economica capitalistica, che attanaglia la maggioranza dei grandi paesi industrializzati, non è destinato ad essere superato rapidamente, questo spinge una parte della borghesia a “cambiare cavallo”, per poter più efficacemente portare dalla propria parte la maggioranza del “popolo”, ma soprattutto la maggioranza del proletariato. Perché? Ma perché al proletariato nel suo insieme saranno chiesti, e imposti, nuovi sacrifici a beneficio della ripresa economica, e quindi dei profitti capitalistici. Non è per caso che la Cgil, al suo recente congresso, per bocca del suo leader Epifani, abbia sottoscritto una cambiale con il centro-sinistra guidato da Prodi! Vi è, di base, l’accordo che il nuovo governo tornerà a concertare con i sindacati tricolore le politiche sociali, concertazione cui i sindacati tricolore sono particolarmente attaccati perché facilita lo svolgimento del loro ruolo di pompieri delle lotte operaie, di gestori delle relazioni industriali, di gestori delle crisi aziendali, di selezionatori della manodopera, ruolo che col governo Berlusconi di centro-destra si stava riducendo di molto.

 

Proletari, compagni!

 

Il centro-destra, mentre elargisce a mani aperte ottimismo economico e risultati miracolosi delle proprie riforme, agita lo spettro del terrorismo islamico, della violenza dei centri sociali, della ”emergenza democratica”; ossia, ricorre, come al solito, ai temi della “sicurezza” e dell’ordine pubblico che sarebbero sottoposti a dura prova da qualche centinaio di black bloc e dai loro vandalismi. E chiede il voto per continuare a “riformare” il paese e per “proteggere” la gente comune dalla violenza di qualche facinoroso.

Il centro-sinistra, mentre insiste nelle critiche alle riforme e all’attività del governo Berlusconi, nascondendo il fatto che alcune riforme, come il famigerato pacchetto Treu, sono farina del suo sacco, agita lo spettro della recessione e del fascismo latente nei propositi e nelle file della destra. E chiede il voto per rimettere l’economia nazionale al ritmo dei profitti che i capitalisti si aspettano e per tornare a quelle forme di negoziato e di concertazione delle quali la sinistra parlamentare ex-Pci è specialista.

Ma i proletari che cosa ci ricavano?

Ci ricavano maggiore precarietà del lavoro, e quindi della vita. Ci ricavano un costante abbattimento del potere d’acquisto dei propri salari; ci ricavano una maggiore concorrenza fra proletari, della stessa nazionalità e di nazionalità diverse, e una costante frammentazione della classe attraverso la quale il padronato è facilitato nel ricatto del posto di lavoro, del tempo di lavoro e del salario. Ci sarà qualche punto di tasse in meno da pagare? Può darsi, ma non ripianerà mai il diminuito potere d’acquisto dei salari degli ultimi trent’anni. Ci sarà un bonus per i figli? Può darsi, ma sarà un’inezia a confronto delle spese alimentari, sanitarie, di vestiario, di istruzione necessarie per crescere i figli. I ricchi pagheranno qualche tassa che oggi non pagano? Può darsi, ma navigando nei milioni e nei miliardi non si faranno mancare nulla lo stesso.

Il capitale, aumentando la concorrenza sia in “patria” che nel mercato mondiale, ha bisogno di una manodopera salariata sempre più FLESSIBILE, sempre più SFRUTTABILE a seconda delle esigenze imposte dalla concorrenza nel mercato. La flessibilità  di cui parlano padroni, politici e sindacalisti, si traduce inevitabilmente in precarietà del lavoro e in insicurezza della vita quotidiana. A questa legge non possono sfuggire né i capitalisti di destra né i capitalisti di sinistra: entrambi sono interessati a far sì che i profitti del capitale siano certi, e la difesa della certezza dei profitti comporta l’incertezza del lavoro e del salario per masse più o meno estese di lavoratori a seconda della situazione generale dal punto di vista economico.

Il centro-destra si dipinge come più liberalista, “meno Stato, più mercato” è il loro slogan. Il centro-sinistra si dipinge come più equilibrato, ossia “Stato + mercato”, chiedendo allo Stato un costante intervento equilibratore delle contraddizioni sociali. Entrambi, però, non sfuggono al fatto che lo Stato borghese sia il comitato d’affari dei capitalisti, cioè al fatto che gli interessi generali dei capitalisti (e non di alcune lobby contro altre) possono essere efficacemente difesi solo da una centralizzazione statale; e per la difesa degli interessi generali dei capitalisti vanno comprese anche le spese per alimentare e ottenere il consenso sociale, sia che si tratti di riforme e di interventi che vanno a tacitare qualche  richiesta degli imprenditori e della piccola borghesia, sia che si tratti di concedere degli aumenti di stipendio ai magistrati e ai parlamentari, sia che si tratti di accogliere, anche se solo parzialmente, le richieste di aumento nei contratti del pubblico impiego. Il debito pubblico è la voce più importante del bilancio dello Stato borghese, e il suo aumento è dovuto in genere alle spese che lo Stato borghese si accolla al posto dei singoli capitalisti. E’ anche per questo che lo Stato non ha mai soldi sufficienti, ad esempio, per elargire salari o sussidi di disoccupazione decorosi.

Che cosa cambierà se a Palazzo Chigi salirà personale di governo del centro-sinistra al posto di quello del centro-destra?  Non vi sarà più il magnate dell’impero televisivo a far passare leggi che lo proteggono dai processi giudiziari e che facilitano il suo arricchimento personale e quello dei suoi amici fidati, e ciò farà piacere ai capitalisti della Fiat – abituati un tempo ad essere loro i primi privilegiati – e a tanti altri capitalisti.

Ma questa “lotta” fra capitalisti riguarda i capitalisti e non i proletari!

I proletari hanno interesse a lottare contro tutti i capitalisti, che siano rappresentati da partiti di destra o da partiti di sinistra, perché l’obiettivo del capitalista è quello di torcere energie proletarie per spremere quanti più profitti possibili.

Perciò la scheda elettorale, con la quale una volta ogni tanto i proletari vengono chiamati ad esprimere le loro preferenze, visto che lo sbocco delle elezioni è il parlamento borghese – vero mulino di parole e basta – non può essere considerata un’arma in mano ai proletari per cambiare qualcosa di significativo nel paese. In realtà, se la si dovesse considerare un’arma, la scheda elettorale è un’arma antiproletaria, una specie di arma biologica che intossica di illusioni democratiche le masse del proletariato.

In tutti i decenni di democrazia borghese, di parlamenti e di elezioni, mai vi è stato un cambiamento significativo nelle condizioni di vita e di lavoro operaie per merito delle leggi votate in parlamento. Ciò vuol dire che il parlamento borghese è un falso obiettivo, è una finzione, è una menzogna elevata dalla borghesia a istituzione.

Il proletariato, storicamente, ha dimostrato di possedere un’arma molto efficace, e quest’arma è la lotta di classe, ossia quella lotta che mette al suo centro gli interessi esclusivi della classe proletaria. I proletari nel passato hanno lottato tendendo all’unificazione generale sia sul terreno degli interessi immediati, economici, sia sul terreno più generale, per la presa del potere politico, per la rivoluzione. E’ da quella lontana tradizione che i proletari di oggi e di domani devono ricavare gli esempi e le indicazioni per non soccombere alla pressione sempre più pesante e intollerabile del capitale e delle classi borghesi.

Lottare contro le illusioni e l’intossicazione provocate dalla democrazia, in principio e nella sua prassi, è uno dei compiti dei comunisti che mettono la coerenza con gli obiettivi della rivoluzione comunista al primo posto. Contribuire, anche sul terreno immediato, alla ripresa della lotta di classe del proletariato attraverso un nuovo associazionismo di classe, è anch’esso un compito che i comunisti considerano indispensabile. Ma la base di tutto è nelle mani dei proletari che si devono scrollare di dosso la cappa del riformismo, del collaborazionismo interclassista, riprendendo in mano direttamente le sorti della propria lotta anticapitalistica.

 

                             

Partito comunista internazionale

24 marzo 2006

www.pcint.org

 

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