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Operai immigrati che protestano in cima alle gru a Brescia o alle torri a Milano

I proletari immigrati lottano per essere riconosciuti lavoratori alla pari dei  proletari italiani, ma la debole solidarietà messa in campo facilita la repressione borghese ad agire indisturbata

 

Dopo 17 giorni passati in cima ad una gru in un cantiere nel centro di Brescia, sferzati da vento, pioggia, freddo, 4 proletari immigrati sono stati convinti dalla Curia e dai sindacalisti della Cisl e della Cgil a interrompere la loro protesta.

Brescia, secondo le statistiche ufficiali, è la provincia italiana con la presenza più consistente di proletari immigrati. Qui abbonda il lavoro nero, dunque lo sfruttamento a man bassa di lavoratori immigrati resi più deboli di quanto non siano già in partenza date le loro condizioni di fame e di miseria da cui provengono, proprio in virtù di leggi assassine che hanno trasformato una condizione sociale – la clandestinità -  un reato. E se abbonda il lavoro nero, abbonda l’evasione fiscale di imprenditori senza scrupoli che, mentre sostengono ogni sorta di pregiudizio contro “lo straniero”, non hanno nessun problema “di coscienza” a sfruttare bestialmente la condizione di clandestinità di molti proletari immigrati.

La protesta che i lavoratori immigrati hanno messo in atto salendo a 35 metri d’altezza in cima ad una gru a Brescia, dove hanno resistito 17 giorni e 16 notti, aveva l’obiettivo di lottare contro quella che essi stessi hanno definito la “sanatoria truffa”. In sostanza, con l’ultima sanatoria verso gli immigrati varata dal governo, si è data la possibilità di “regolarizzare” la propria presenza sul territorio italiano solo alle badanti e alle colf, escludendo quindi tutti gli altri lavoratori. Questa vigliacca discriminazione ha di fatto rigettato nella “clandestinità” migliaia e migliaia di proletari immigrati costretti a rinnovare il permesso di soggiorno o che avevano perso recentemente il lavoro. Sanatoria truffa, perché da un lato si impedisce per legge la regolarizzazione dei lavoratori immigrati in generale e quindi anche per coloro che sono in Italia da anni e, dall’altro, perché attraverso la documentazione già avviata per la regolarizzazione moltissimi immigrati si sono trovati – dopo aver sborsato centinaia di euro – nella condizioni di “autodenunciarsi” come “irregolari” e quindi passibili di espulsione; cosa che è avvenuta ormai sistematicamente e che ha colpito anche alcuni proletari che sostenevano la protesta di Brescia. Tra i tanti, “il manifesto” del 19 11.2010 dà notizia di Mohammed, di origine egiziana e conosciuto a Brescia da molti come Mimmo, che è stato fermato ed espulso in Egitto perché nel 2008 è stato fermato e condannato per il reato di “clandestinità” a causa della quale condanna la sua domanda di sanatoria (faceva il saldatore e lavorava in nero) è stata respinta.

La lotta dei proletari immigrati a Brescia ha trovato della solidarietà, purtroppo molto limitata, soprattutto da parte di giovani, dei centri sociali e di altri proletari immigrati. Ci sono stati scontri con la polizia durante alcune manifestazioni, in quanto la polizia impediva ai sostenitori di avvicinarsi alla gru e di presidiare il luogo a difesa della protesta e per un soccorso immediato in caso di bisogno. Ci sono stati giorni in cui la polizia ha impedito che i lavoratori sulla gru venissero forniti di cibo e di coperte, ma la determinazione nel lottare per la propria vita li ha fatti resistere per molto tempo. Essi hanno lottato non solo per se stessi ma perché a tutti i lavoratori immigrati venga riconosciuto il diritto alla regolarizzazione, e hanno continuato a propagandare la necessità di lottare, portando il proprio esempio, perché senza lotta, senza rendere visibile e conosciuta il più possibile la condizione di schiavi in cui sono costretti, non è possibile conquistare nemmeno un minimo risultato e, in particolare, la difesa della dignità di lavoratori!

Essi hanno rischiato consapevolmente l’arresto e l’espulsione dall’Italia, ma non si sono tirati indietro! Essi hanno continuato a denunciare la loro situazione che è la situazione di decine di migliaia di proletari immigrati, e a sollecitare la solidarietà da parte dei lavoratori italiani dimostrando che con la loro lotta, con la loro emersione dal lavoro nero e dalla “clandestinità” portavano un contributo prezioso alla lotta contro la concorrenza fra proletari. I 4 proletari che sono alla fine scesi dalla gru hanno ottenuto, almeno a parole, la garanzia di un permesso di soggiorno. E’ un risultato; ma hanno voluto  dichiarare subito che non smetteranno di lottare ancora perché a tutti i lavoratori immigrati venga riconosciuto il diritto a vivere e a lavorare in Italia senza essere costretti alla clandestinità.

Per chi non chiude gli occhi, è evidente l’obiettivo della legge sul reato di clandestinità: è prima di tutto un favore a tutti gli imprenditori che sfruttano a loro piacimento i lavoratori immigrati contando non solo sul loro bisogno economico quotidiano di sopravvivenza, ma soprattutto sul fatto che sarà più facile piegarli a qualsiasi condizione pur di guadagnare qualche soldo; è, in secondo luogo, un mezzo per discriminare all’origine i lavoratori dividendoli e mettendoli gli uni contro gli altri e non solo immigrati contro italiani, ma immigrati irregolari contro immigrati regolari; in terzo luogo, è un modo per tenere a bada gli stessi proletari italiani minacciati dal ricatto classico di essere sostituiti da lavoratori che al padrone “costano meno e fanno meno storie”. Sono motivi più che sufficienti perché i proletari italiani abbiano interesse a solidarizzare con la lotta dei proletari immigrati, ma questo raramente succede, e nel caso di Brescia, come nel caso di Castel Volturno, di Rosarno e di mille altri luoghi, è successo solo in piccolissima parte e nel silenzio più totale delle organizzazioni sindacali che non hanno mobilitato nessuno in sostegno della lotta dei proletari immigrati.

Questi proletari lavorano a migliaia sfruttati dai padroni italiani, e solo per aver messo piede in questa terra sono considerati “delinquenti” cioè “clandestini” (da quando il governo borghese ha istituito appunto il “reato” di clandestinità). Il tentativo dei proletari immigrati saliti sulla gru a Brescia, come quelli saliti sulla torre a Milano, è quello di attirare l’attenzione degli altri proletari, e soprattutto dei proletari italiani, verso il loro diritto ad essere considerati al pari di tutti i lavoratori. Essi sanno molto bene che lo scopo delle leggi di contenimento degli immigrati e soprattutto sul reato di clandestinità sono leggi che non difendono la cosiddetta stabilità economica e sociale italiana, e tanto meno il cosiddetto ordine sociale: sono leggi che acutizzano la divisione tra proletari, che aumentano la pressione della concorrenza tra proletari e che, intimidendo i proletari immigrati, hanno lo scopo di intimidire indirettamente anche i proletari italiani per non far sì che solidarizzino con i loro veri fratelli di classe!

I proletari immigrati che sono scesi dalla gru a Brescia dopo 17 giorni di lotta di resistenza a dure condizioni hanno indicato ai proletari italiani che la condizione proletaria sotto il dominio del capitale accomuna tutti i lavoratori salariati, non solo perché appunto sono salariati, e quindi la loro vita dipende da un salario, ma anche perché possono essere colpiti in vari modi ma contemporaneamente: chi con il pretesto della “clandestinità”, inventata appositamente per schiacciare ancor più nell’emarginazione consistenti strati proletari, chi con la emarginazione nel lavoro precario, nell’insicurezza più totale del lavoro e perciò della vita. La risposta spontanea dei proletari in un paese che si considera civile e democratico è quella di rivendicare il diritto al lavoro, il diritto alla casa, alla riunione della famiglia, ad una vita dignitosa. Ma questo diritto, sebbene vergato con tutti i crismi che la legislazione borghese prevede nella costituzione repubblicana, nella realtà dei fatti è carta straccia: o viene rivendicato e sostenuto con la lotta che la classe proletaria scatena contro il vero nemico sociale – che non sono gli immigrati, ma i borghesi – e che pone come sua caratteristica inconfondibile il rifiuto di immergere i propri interessi immediati di sopravvivenza con gli interessi di sopravvivenza delle aziende e, quindi, dei capitalisti,  oppure, per quante lotte, per quanti giorni e notti passati in cima a una gru, a un tetto o a una torre, quel diritto tanto rivendicato verrà sistematicamente calpestato da leggi molto più forti e decisive in questa società che sono quelle che si riferiscono alla legge del profitto capitalistico, alla legge della difesa di un sistema sociale che è fondato sullo sfruttamento sempre più bestiale di masse sempre più vaste di proletari, di senza riserve!

Possono i proletari, che per decenni sono stati abituati a “lottare” nelle più oscene compatibilità degli interessi capitalistici mistificati per interessi comuni (“del paese”, “dell’economia nazionale”, per interessi alla “crescita economica”), spezzare la formidabile rete di protezione che i capitalisti e i collaborazionisti sindacali e politici al loro servizio hanno costruito intorno a loro rinchiudendoli in una specie di campo di concentramento in cui vivere diventa sempre più un caso fortunato? Possono i proletari, che per decenni sono stati intossicati dalla democrazia che illudeva di garantire un progresso sempre crescente, un benessere sempre più diffuso e la fine degli antagonismi sociali e dei conflitti di guerra, rompere la spessa coltre sotto la quale soffocano in una condizione di insicurezza totale, di negazione degli elementari bisogni di vita, di rischio continuo di precipitare nella miseria, nella fame, negli incidenti sul lavoro e nella morte?

Sì, i proletari, e soltanto i proletari possono sconvolgere l’ordine capitalistico, l’ordine di una società che incasella ogni uomo nella disperazione individuale e in una lotta persa in partenza poiché a ogni “diritto” di ogni singolo proletario, dichiarato e scritto, corrisponde l’obbligo forzato a sottomettersi alla legge ferrea del profitto capitalistico. Chi non lavora non mangia!, è una durissima realtà nella società borghese perché “lavorare” significa essere obbligati nella condizione di schiavo salariato. Ma sono proprio gli schiavi moderni, gli schiavi salariati che hanno in mano la soluzione di tutte le contraddizioni sociali che impediscono alla stragrande maggioranza degli esseri umani di vivere in modo armonioso e di lavorare con gioia; gli schiavi moderni, gli schiavi salariati hanno dalla loro una forza storica sconosciuta in qualsiasi altra società precedente: essere senza riserve, senza proprietà da difendere contro altre classi sfruttandone le energie vitali e, nello stesso tempo, essere la forza motrice della produzione materiale, della produzione che serve per la vita e la prosperità dell’intero genere umano. La lotta che i proletari immigrati hanno fatto sulla gru a Brescia, sulla torre a Milano, che hanno fatto a Rosarno e a Castel Volturno, la lotta che i proletari italiani, francesi, spagnoli, tedeschi, serbi e americani, cinesi e russi, palestinesi e brasiliani, fanno per non soccombere sotto la pressione dello sfruttamento capitalistico, è una lotta che si inserisce nel grande alveo della futura lotta di classe anticapitalistica, ma che per iniziare ad avere adeguata forza di resistenza contro la pressione dello sfruttamento capitalistico deve diventare espressione di organizzazioni proletarie di difesa classista che associano i proletari per loro stessi e soltanto per loro stessi, per difendere esclusivamente gli interessi immediati proletari. E’ su questa strada che si ottiene il risultato più importante per il futuro dell’emancipazione dal lavoro salariato: la solidarietà di classe, in cui nessuna barriera di categoria o di settore, di sesso o di nazione, di razza o di religione, di età o di posizione nel processo produttivo potrà sbarrare il cammino al movimento proletario di classe spinto allo scontro generale e decisivo contro tutte le forze di conservazione sociale che da più di centocinquant’anni opprimono il proletariato e le masse diseredate in tutti i paesi del mondo.

La solidarietà di classe è il risultato della lotta senza quartiere contro la concorrenza tra proletari, la lotta in cui i proletari si riconoscono componenti di un’unica classe internazionale in grado di ricongiungersi con una tradizione di lotta e di lotta rivoluzionaria che si è già radicata nella storia passata e che deve rigermogliare in una nuova stagione in cui il proletariato ridà senso storico all’emancipazione dal capitalismo. Su questa strada il proletariato, ritrovando se stesso come classe rivoluzionaria, ritrova il suo programma politico, il suo partito di classe, la sua guida sicura senza la quale nessun progresso storico è possibile. Allora, tutti i tentativi che oggi, in periodo ancora profondamente controrivoluzionario, piccoli gruppi di proletari fanno per liberarsi delle tremende catene ideologiche e pratiche che li legano al carro borghese e capitalista, avranno avuto un senso positivo e le sconfitte di oggi si potranno mutare in vittorie di domani. Uscire dal pantano, in cui la controrivoluzione ha gettato il proletariato di tutto il mondo e nel quale le forze dell’opportunismo democratico e pacifista lo mantengono, è una necessità obiettiva ma ha un prezzo: rompere con il collaborazionismo, rompere con l’ideologia e la pratica della democrazia, rompere con tutte le rivendicazioni che discendono dall’interesse comune del paese, rompere con i mezzi e i metodi della conciliazione fra le classi. Senza questa rottura sociale il proletariato è destinato, come è già successo più volte nel passato, a passare dell’essere sfruttato come bruta forza lavoro all’essere sfruttato come carne da cannone!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

21 Novembre 2010

www.pcint.org

 

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