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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

 La rivolta delle masse disoccupate e affamate, dalla Tunisia e Algeria, si estende all’Albania, e si scontrano con la repressione poliziesca.

Le masse proletarie possono avere una prospettiva solo nella lotta di classe e contro ogni illusione democratica!

 

A Tirana, ieri 21 gennaio, il gravissimo disagio sociale, che con la crisi capitalistica ha gettato nella disoccupazione e nella miseria più di 1 milione di albanesi (su 3,2 milioni di abitanti), si è espresso attraverso una manifestazione che, iniziata con una protesta pacifica contro il malgoverno di Berisha chiedendone le dimissioni, si è sviluppata in violenti scontri con la polizia schierata in assetto antisommossa a difesa del palazzo del governo. Alla fine degli scontri, i giornali danno notizia di 3 morti uccisi da colpi di pistola sparati a bruciapelo, più di 60 feriti alcuni dei quali gravissimi, e una tensione altissima che nei prossimi giorni può nuovamente trasformarsi in violenti assalti ai simboli del potere.

La crisi capitalistica che ha colpito i maggiori paesi del mondo in questi ultimi tre anni, ha colpito i paesi più deboli con maggior violenza rispetto alla quale solo il pugno di ferro di regimi borghesi autoritari ha potuto mantenere “l’ordine” e il “controllo sociale”. Contro la dilagante disoccupazione e la crescente miseria di masse sempre più vaste, le fazioni borghesi al potere in Tunisia come in Albania, in Algeria come in Marocco, in Libia o in Egitto come nei paesi della ex Jugoslavia, non trovano di meglio che schiacciare ancor di più le masse proletarie e contadine in condizioni di incerta sopravvivenza. Come succede sempre, in assenza della lotta di classe del proletariato, le masse reagiscono ai drammatici effetti della crisi economica a “scoppio ritardato” e con rozza violenza individuando però, con spontanea immediatezza, la causa del loro disagio nel potere corrotto dei propri governanti.

In Albania, la presenza dell’imprenditoria italiana è massiccia; l’Italia è infatti prima per numero di imprese installatesi, dai grandi marchi della distribuzione, dell’energia, dell’edilizia, delle infrastrutture, dell’alimentare e dell’estrazione e stoccaggio dei minerali ad un miriade di piccole e medie imprese dell’edilizia e costruzioni, dell’agro-alimentare, del tessile-calzature, della meccanica, del legno, dei servizi; e non mancano ovviamente nel banche. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania: esporta per quasi 1 miliardo di euro (40% dell’import albanese) e importa per circa 700 milioni di euro. Insomma, per l’Italia, l’Albania rappresenta una seconda Romania, un bacino di manodopera a basso costo alle porte di casa, e una vera piattaforma balcanica strategicamente piazzata nel Corridoio 8 (rete ferroviaria e autostradale di collegamento tra Europa  e Mar Nero) e  del business energetico e commerciale del futuro prossimo. E’ evidente l’interesse dell’imperialismo italiano verso l’Albania come è evidente che uno sconvolgimento sociale nel Paese delle Aquile avrebbe effetti deleteri non solo per il debole capitalismo d’Albania ma anche per il capitalismo italiano. Il sostegno da parte dei governi italiani, di destra e di sinistra, ai corrotti governi albanesi (“socialista” alla Nano o “democratico” alla Berisha) è sempre stato giustificato propagandisticamente dall’impianto di una difficile “democrazia” in un paese (ma falsamente) ex “socialista”; in realtà sono sempre stati molto presenti interessi imperialistici ben precisi da parte di Roma.

La rivolta delle masse contadine povere e proletarie albanesi contro il governo Berisha è stata presentata dai media di tutto il mondo come una manifestazione di protesta pacifica organizzata dall’opposizione socialista ma, alla fine, degenerata nei violenti scontri perché la polizia impediva ai manifestanti di avvicinarsi al palazzo del governo; in realtà, l’opposizione socialista, che accusa Berisha di brogli nelle elezioni del 2009, sta cavalcando la rabbia delle massi albanesi per tornare a governare il paese con gli stesso obiettivi di Berisha… ma con un po’ di corruzione in meno… Tutte le frazioni borghesi sono interessate a continuare a sfruttare le masse proletarie e ad appoggiare ogni interesse capitalistico nazionale e, soprattutto, straniero, che dà loro modo di accumulare profitti e privilegi sulle spalle dei proletari e dei contadini poveri. Il “cambio della guardia” a gran voce richiesto dai democratici “di sinistra” non è che un falso problema: non diminuirà l’oppressione capitalistica sulle masse albanesi, e non sparirà la repressione poliziesca di fronte alla sollevazione delle masse che rivendicano condizioni di vita meno intollerabili, se al governo ci saranno nuovamente i “socialisti” di Edi Rama al posto dei “democratici” di Berisha.

I proletari albanesi che, a causa della crisi dei regimi precedenti hanno già dovuto subire la tragedia dell’emigrazione forzata con le drammatiche carrette del mare negli anni Novanta, si ritrovano di fronte alla stessa situazione di difficile sopravvivenza di allora. Ma, per non farsi schiacciare da uno sfruttamento inevitabilmente più acuto e da una dilagante miseria, essi dovranno affrontare il proprio futuro prossimo con meno illusioni democratiche e con più forza di classe. Essi dovranno organizzarsi in associazioni economiche immediate classiste, fuori e contro ogni dipendenza da apparati borghesi e di conciliazione fra le classi; e dovranno imboccare la strada della lotta di classe verso la propria emancipazione dal giogo del capitale, sulla cui strada troveranno il partito di classe che ha il compito di portare la lotta di classe fino alle ultime conseguenze, fino alla rivoluzione anticapitalistica.

La violenta rabbia con la quale oggi stanno esprimendo le proprie drammatiche condizioni di vita e di lavoro, rabbia che i falsi socialisti di oggi tentano di sfruttare a beneficio della propria carriera politica e di governo e che i democratici di destra, nelle elezioni del 2009, hanno tentato di non far esplodere promettendo 160mila posti di lavoro e aumenti dei salari e delle pensioni – mai visti! – morirà in uno sfogo temporaneo senza portare alcun cambiamento sostanziale se rimarrà prigioniera delle illusioni democratiche; potrebbe invece essere il segnale di una rottura sociale con tutto lo schieramento borghese, di destra, di sinistra o di centro, se sull’onda di questa e di altre rivolte che inevitabilmente si ripresenteranno in Albania come nel nord Africa o nei paesi balcanici, il proletari prendessero in mano direttamente la propria lotta organizzandola a difesa dei propri esclusi interessi di classe!

La lotta di classe è la sola efficace risposta che i proletari possono dare sia all’esigenza di difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro, sia per contrastare efficacemente la pressione e la repressione borghese! Il falso socialismo di Enver Hoxha durato fino agli anni Ottanta ha reso inviso alle masse proletarie non solo il termine di socialismo o di comunismo, ma lo stesso concetto di classe proletaria distinta antagonisticamente da ogni altra classe sociale, nobilitando invece concetti come “democrazia”, “popolo”, “elezioni” e, di fatto, seppellendo ogni aspirazione di emancipazione proletaria dallo sfruttamento capitalistico reso, in questo modo, normale ed eterno. Ma la realtà economica profonda della società borghese, con le sue crisi cicliche nelle quali il proletariato viene gettato sempre più in condizioni di vita peggiorate, e le violente reazioni delle masse proletarie a queste condizioni sono lì a dimostrare che il tormento del lavoro salariato, della disoccupazione e della miseria crescente può essere affrontato con forza solo se la classe proletaria si sottrae alle illusioni democratiche e imbocca la strada della lotta di classe: alla violenza economica, sociale, politica e poliziesca della borghesia, i proletari, se vogliono uscire dalla situazione di impotenza e di completa sudditanza agli interessi dei capitalisti, devono rispondere con determinazione e forza rispondendo con i metodi e i mezzi della lotta di classe, rompendo non solo episodicamente la pace sociale ma una volta per tutte con le pratiche e le politiche della conciliazione fra le classi. La polizia, e talvolta l’esercito, spara contro i manifestanti perché ha il compito di difendere esclusivamente gli interessi della classe borghese al potere e, spesso, come succede in Tunisia e in Albania, per difendere gli interessi di clan borghesi corrotti e voraci che succhiano il sangue dei lavoratori fino all’ultima goccia. La repressione poliziesca dimostra che la borghesia non concilia mai i suoi interessi!

I proletari albanesi, come i proletari tunisini, algerini o egiziani, e come i proletari di tutti i paesi della periferia dell’imperialismo, con le loro rivolte di piazza stanno lanciando un grido d’aiuto che nessun governo borghese “democratico” darà e potrà dare, tanto è distante e contrario l’interesse borghese da quello proletario. Questo grido d’aiuto può essere raccolto solo dai proletari dei paesi ricchi, dei paesi imperialisti che aggiungono all’oppressione capitalistica della borghesia nazionale di quei paesi anche la propria pressione, aggiungendo forza allo strangolamento delle masse proletarie albanesi, tunisine, romene, bulgare, egiziane e di tutti i paesi dominati dalle potenze imperialistiche.

I proletari italiani, se non vogliono essere complici del bestiale sfruttamento imposto ai proletari albanesi che oggi si ribellano contro la disoccupazione e la fame come ieri si sono ribellati i proletari in Tunisia e in  Algeria, e come domani si ribelleranno i proletari di un qualsiasi altro paese al quale l’imperialismo di casa nostra somministra dosi massicce di schiavitù salariale, devono essi stessi reagire e lottare contro il capitalismo di casa propria, solidarizzando con le lotte dei proletari albanesi, doppiamente sfruttati dal capitalismo nazionale albanese e dal capitalismo imperialista italiano. Solo così i proletari italiani, lottando per i propri interessi immediati e di classe in casa propria contro la propria classe dominante borghese, possono dimostrare ai fratelli di classe dei paesi in cui l’imperialismo di casa ha affondato i propri artigli di essere solidali con loro e di non partecipare col proprio silenzio e con la propria collaborazione al loro ignobile sfruttamento!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

22 gennaio 2011

www.pcint.org

 

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