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Terremoto, tsunami, esplosioni nelle centrali nucleari: continua il dramma giapponese

 

 

Alla grande scossa del 10 marzo, sono susseguite altre numerose scosse che spesso vengono definite “di assestamento” ma che, soprattutto quando superano i 4 gradi della scala Richter come è successo in questi giorni, assomigliano molto più ad ulteriori terremoti mettendo ancor più in difficoltà l’intervento dei soccorsi iniziati subito dopo le prime devastazioni. Alla catastrofe dovuta al terremoto e allo tsunami si aggiunge una possibile catastrofe nucleare. La centrale di Fukushima ha 6 reattori, è quella più colpita e dove si sono verificate già quattro esplosioni; l’estrema difficoltà nell’intervenire per raffreddare i reattori ha, di converso, alimentato la fuoriuscita di vapori radioattivi che contengono iodio e cesio 137 e che il vento ha in parte spinto verso sud, quindi verso Tokyo, e in parte verso l’oceano. Non più tardi di oggi, 15 marzo, l’Unione Europea per bocca del suo presidente ha dichiarato che in Giappone c’è il pericolo di un’apocalisse! Le autorità giapponesi hanno continuato a non svelare la vera situazione di pericolo nel tentativo di non diffondere il panico, e non c’è media al mondo che non continui a mettere in risalto la “compostezza” e la “dignità” dei giapponesi nell’affrontare il dramma già successo e il probabile dramma nucleare che si sta prospettando; ma sono sempre più numerose le dichiarazioni ufficiali delle capitali d’America e d’Europa nelle quali si denuncia che la situazione nel nord-est del Giappone che vede al centro il problema della centrale nucleare di Fukushima è fuori controllo!. E’ un fatto: a Tokyo, tra lunedì 14 e martedì 15 marzo sono spariti dai supermercati i generi di prima necessità, cibo, pane, acqua, latte; la città di 16 milioni di abitanti che, durante il giorno, raddoppiano per via dei pendolari che la raggiungo dai dintorni per lavoro, si sta svuotando: tutti cercano di scappare verso sud.  E’ sempre più evidente che una popolazione, pur educata per decenni ad avere fiducia nella tecnologia e nell’autorità ufficiale, orgogliosa di aver raggiunto livelli di “sicurezza sismica” tra i più alti al mondo, e abituata a convivere con i terremoti e le loro conseguenze, oggi, è in preda ad una paura ancor più paralizzatane di quella già provata per il terremoto e lo tsunami: la paura dell’apocalisse nucleare che ha già vissuto nel 1945 ad Hiroshima e Nagasaki e che si ripresenta con tutta la sua tremenda attualità.

La “compostezza” e la “dignità” dei giapponesi di fronte alla tragedia già avvenuta, e per la quale non si riuscirà mai a contare tutti i morti sommersi sotto tonnellate di fango e detriti portati dallo tsunami, sta lasciando il posto ad una fatalistica rassegnazione. Ed è esattamente questo atteggiamento fatalistico che le classi dominanti borghesi hanno tutto l’interesse ad alimentare e ad esaltare: l’atteggiamento delle vittime sacrificali predestinate e offerte al dio profitto. Al dio profitto, per cui il capitalismo impone l’oscena costruzione di grattacieli e di città dove ammassare una grande maggioranza di uomini in mastodontici formicai in cui, oltre ad una vita di sfruttamento schiavizzante per ingrassare una manciata di miliardari e per far alzare l’indice delle borse di tutto il mondo, la si costringe a sopravvivere immersa nell’inquinamento più vasto che l’attività umana potesse immaginare, dall’acqua alla terra all’aria. Al dio profitto, che indirizza ogni  ricerca scientifica verso soluzioni utili alla sopravvivenza umana e ad una sua migliore condizione di vita soltanto come il risultato secondario,  come effetto collaterale di una attività che sempre, in ogni caso e inesorabilmente ha per scopo il guadagno capitalistico, appunto il profitto! Si costruiscono centrali atomiche per produrre quantità di energia elettrica necessaria a mantenere in funzione enormi quantità di attività inutili e dannose per la vita sociale dell’uomo su questo pianeta, ma utilissime e necessarie a produrre e riprodurre capitale, e quindi profitto capitalistico, tenendo conto solo in seconda o terza istanza del rischio che può correre la vita di chi vi lavora e di chi vive nel raggio d’azione del possibile rischio, per non parlare del problema delle scorie radioattive che non si sa che fine fanno. Il capitalismo non sceglie razionalmente di far morire centinaia di migliaia e milioni di vite umane; il rischio è insito nel suo stesso modo di produzione e nel sistema economico eretto su di esso, è quindi un fatto oggettivo, che avviene non per la “cattiveria” dei capitalisti ma a causa di un sistema di produzione e distribuzione basato sulla divisione sociale in classi che porta inevitabilmente alla sciagura (si tratti di alluvioni, incendi, crolli, incidenti aerei, navali, ferroviari, stradali, o degli effetti di fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche, i terremoti, i maremoti, la siccità ecc.). E questa è la ragione storica, oggettiva, per la quale il capitalismo va distrutto e sostituito con un sistema economico e sociale del tutto diverso.

Un fenomeno naturale come il terremoto, che mostra all’uomo l’impressionante forza della natura, non è controllabile dall’uomo il quale però, imparando a conoscere la natura e le sue leggi, può entrare in rapporto armonico con la natura in modo da organizzare la propria vita sociale e le proprie attività produttive al fine di subire le minori conseguenze dannose possibili. Ma questo rapporto armonico non può prescindere dal fatto che l’uomo debba ristabilire un legame organico con la natura – e lo potrà fare solo in una società che mette al centro della sua complessa attività la soddisfazione dei bisogni di vita dell’uomo in quanto parte integrante della natura, quindi solo in una società che non si caratterizza per la lotta fra classi antagoniste – perché, fino a quando quel legame organico non sarà ristabilito, la società umana continuerà ad impedirsi di conoscere veramente le leggi che governano i fenomeni naturali e il loro corso storico e come “difendersi” efficacemente da essi. L’uomo, nel progresso tecnico della sua attività lavorativa, ha scoperto come ricavare energia dal vento, dal calore del fuoco e dalla forza del movimento dell’acqua; poi ha scoperto come ricavarla dal sole e dall’atomo; a dimostrazione che l’attività umana associata sviluppa conoscenza e che la conoscenza sviluppa tecniche progressive, evolute e rivoluzionarie. Ma la condizione materiale e sociale in cui queste scoperte vengono applicate e indirizzate non è neutra, non è indifferente: la scienza è un’attività umana e dipende dalle condizioni sociali in cui questa attività si esprime e si sviluppa. Se l’attività umana si basa su un modo di produzione che ha per scopo non lo sviluppo della vita sociale umana, dalla soddisfazione della vita materiale degli uomini alla conoscenza della vita degli uomini e della natura, ma lo sviluppo del capitale, del mercato, del profitto capitalistico, ossia di cose che richiedono l’assoggettamento della grandissima parte degli esseri umani nella condizione di macchine produttive di capitale – o nella condizione di prolungamento delle macchine di produzione capitalistica – il rapporto organico con la natura, l’integrazione armoniosa della vita sociale umana con la vita della natura è impossibile. La conoscenza, la scienza, sono attività umane che prendono slancio e fanno fare all’uomo un effettivo passo avanti nella storia solo nei grandi svolti storici, nelle grandi rivoluzioni che distruggono i vincoli e le barriere artificiali che le società esistenti opponevano al movimento storico delle forze produttive, e aprono una successiva fase di progresso generale. L’ultimo ostacolo che il movimento storico delle forze produttive si trova di fronte è costituito dal capitalismo, dal modo di produzione che ha semplificato l’antagonismo sociale tra due grandi classi, borghesia e proletariato, universalizzandolo e, quindi, diffondendo in tutto il mondo una società con la stessa base economica in soli duecento anni. Nello stesso tempo, ha elevato all’ennesima potenza, insieme alla potenza produttiva che solo l’industria poteva ottenere, anche i rischi provocati dall’organizzazione produttiva suddivisa per aziende e dalla corsa spasmodica al profitto capitalistico in una lotta di concorrenza senza scrupoli. Come fermare questa spasmodica corsa alla generale degenerazione della vita sociale? Con la lotta di classe del proletariato portata fino in fondo, fino alla rivoluzione anticapitalistica, lotta che inevitabilmente, nel periodo in cui la temperatura sociale delle lotte del proletariato si combina con il punto di fusione delle contraddizioni sociali che nel capitalismo conducono sempre alla guerra guerreggiata, si scatenerà contro il fronte borghese con la forza inesorabile di un tsunami sociale.

Si dirà: che c’entra tutto questo con le esplosioni dei reattori di Fukushima?

Per quanto siano state utilizzate le tecniche più avanzate per la costruzione di una centrale atomica come questa, resta il fatto che i capitali investiti dovevano essere ripagati con profitti adeguati, perciò la loro stessa costruzione è stata, fin dall’inizio del progetto, condizionata da questa finalità che fa sì che il suo utilizzo non solo viene appositamente ipotizzata per una durata lunghissima (in 40 anni di incidenti se ne possono verificare anche più d’uno) ma addirittura se ne prevedeva il prolungamento di altre 10 anni (come per molte altre centrali dello stesso tipo non solo in Giappone, ma anche in Germania, in Spagna, in America ecc.) per poter ricaricare profitti ulteriori grazie ad un ammortamento dei costi già abbondantemente superato. Se poi si pensa al fatto che un impianto che, al minimo incidente, comporta alti rischi di contaminazione incontrollata – come di fatto è avvenuto più e più volte, e i casi più noti riguardano le centrali di Three Mile Island, nel 1979, e di Chernobyl, 1986, dove gli incidenti hanno colpito un solo reattore – si capisce che, di fronte all’esplosione di 4 reattori come nel caso della centrale di Fukushima, gli stessi borghesi parlino di apocalisse. Ma l’apocalisse che noi prevediamo non è certo quella di una ecatombe di vittime sacrificate al dio nucleare, vittime che vanno ad aggiungersi, in una ciclica maledetta riproposizione, ai milioni di morti a causa delle sciagure provocate dal capitalismo. L’apocalisse che noi sogniamo come comunisti rivoluzionari è quella della società del capitale nel suo insieme, provocata dalla contaminazione della lotta di classe e rivoluzionaria che, spaventando a morte le classi borghesi dominanti, avvolgerà i paesi di tutto il mondo!

  

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

15 marzo 2011

www.pcint.org

 

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