Back

Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

Sulla strage di Oslo e di Utoya

La democrazia borghese non può risolvere la degenerazione della società capitalistica in cui ha libero sfogo qualsiasi tipo di violenza, delle polizie e degli eserciti, della criminalità, della follia individuale.

La strage è un prodotto tipico delle società divise in classi antagonistiche, e nel capitalismo trova la sua maggiore efferatezza.

 

 

Con lucido cinismo e cieca violenza, un borghese benestante di 32 anni, tale Anders Behring Breivik, ex iscritto al conservatore Partito del progresso e simpatizzante dell’estremismo di destra, armato di tutto punto e animato da un fanatico odio verso coloro che anche solo pallidamente ricordano un lontano richiamo al marxismo e coloro che riteneva essere i colpevoli di aprire troppo le porte della Norvegia al multiculturalismo, alla libertà religiosa e ad una mielosa convivenza pacifica, rompe nel pomeriggio del 22 luglio, a suon di bombe e fucilate, la pace sociale e il “vivere civile” di un paese che si è sempre considerato al di sopra della violenza sociale che caratterizza la quasi totalità dei paesi del mondo. L’attentato davanti al palazzo del governo, a Oslo, con un’auto imbottita di esplosivo, e la strage nell’isola di Utoya con cui ha voluto colpire, all’improvviso e indisturbato, i giovani laburisti là radunati per il loro solito campo estivo, hanno fatto 76 morti e molti feriti. Le cronache parlano di una grande lentezza nell’intervento della polizia norvegese, pur avvisata via cellulare dai giovani dall’isola Utoya che cercavano di ripararsi dai colpi dell’attentatore, e se non fosse stato per il pronto intervento da parte di pescatori presenti nei dintorni che riuscirono a imbarcare i giovani che si tuffano in acqua, i morti sarebbero stati certamente molti di più.

In un primo momento, secondo le notizie diffuse dalle tv e dalla stampa, si sarebbe trattato  di attentati del  terrorismo islamico, ma già il giorno dopo le autorità di polizia negavano questa pista avendo arrestato l’attentatore norvegese. Naturalmente ciò non ha impedito ai portavoce della destra non solo estrema, ad esempio in Italia e in Francia, di cogliere l’occasione per insistere sulla propaganda anti-immigrati e anti-multiculturalista e sulle misure di ulteriore repressione nei confronti dell’immigrazione; come non ha impedito loro, una volta che si è scoperto che non si trattava di “terroristi islamici” ma di un biondo norvegese, di trovare ogni giustificazione ad un atto sì “riprovevole”, ma generato da legittime aspirazioni di difesa dell’integrità etnica, culturale e religiosa messe in discussione da una troppo ampia liberalizzazione e apertura verso gli “stranieri”.

La riposta che i governanti norvegesi hanno dato a questa strage è stata quella che il mondo borghese si attendeva: “democrazia, apertura e trasparenza” (1), queste le “armi” con cui la Norvegia risponderà “al peggiore attacco della sua storia dalla seconda guerra mondiale” (parole del delegato del governo di Oslo, Gjermuns Saether, pronunciate all’apertura della riunione dell’assemblea delle Nazioni Unite il 25 luglio dedicata alla gioventù). La “superiorità” della convivenza democratica, quindi, viene ribadita come miglior risposta a questo come ad ogni altro evento che tenti di affossare lo svolgimento pacifico della vita sociale nel paese dei fiordi, nel quale tutti, padroni e operai, sfruttatori e sfruttati, autoctoni e immigrati, atei e timorati di dio possono vivere lontano dalle guerre, dalle stragi nei posti di lavoro, dalle carestie, dalle sofferenze e dall’abbrutimento che colpiscono miliardi di uomini in tutto il mondo...

La Norvegia, il paese delle fiabe, della polizia disarmata, dei premi Nobel, del liberalismo e della tolleranza, degli ammortizzatori sociali più all’avanguardia – dal 1993 è in vigore, ad esempio, la legge detta pappapermisjon che consente, quando nasce un bambino, ad entrambi i genitori un congedo di 15 giorni e un periodo di permesso di 46 settimane da suddividere tra di loro – è  componente non marginale di quel “paradiso scandinavo” che spesso è stato indicato come un modello per le democrazie europee e del mondo. Questi attentati, però, hanno rotto l’incantesimo aprendo una lacerazione che il paese non conosceva dal tempo della seconda guerra mondiale.

La Norvegia conta meno di 5 milioni di abitanti ma può contare su risorse economiche e finanziarie notevoli tanto da classificarlo come uno dei pochi paesi che non ha debito estero: è il principale produttore di petrolio dell’Europa occidentale, e terzo esportatore mondiale dopo Arabia Saudita e Russia. Il petrolio, in effetti, per la Norvegia rappresenta il 52% delle esportazioni e il 25% del PIL; il paese è anche grande esportatore di gas naturale e grande produttore di energia idroelettrica, ha risorse minerarie importanti come zinco, pirite, titanio, rame, ferro e carbone; nell’economia norvegese ha importanza rilevante la pesca (merluzzo e salmone sono esportati in tutto il mondo), e l’industria del legno, la siderurgia, la metallurgia e la chimica. E’ grazie a tutta questa ricchezza che la borghesia norvegese può permettersi di alleviare lo sfruttamento del proprio proletariato, e del proletariato immigrato (concentrato solo ad Oslo per il 30%), con una serie notevole di ammortizzatori sociali coi quali si è “garantita” il lungo periodo di pace sociale dalla fine della seconda guerra mondiale.

Per quanto la Norvegia voglia farsi passare per un paese dove le contraddizioni si superano grazie ad un popolo talmente incivilito da considerare la pace sociale e l’interesse comune come le cose più importanti, è un paese che non si è tenuto mai lontano dalle guerre imperialiste: durante la prima guerra mondiale la sua “neutralità” le consentiva di parteciparvi non con le forze armate ma con la fornitura di viveri alla Gran Bretagna; fu neutrale anche nella seconda guerra mondiale, ma, attaccata e invasa dalla Germania, governo e re fuggiti a Londra, al loro posto si insediò il governo di Quisling che fu deposto solo alla fine della guerra. Subito dopo la Norvegia partecipò come paese fondatore alla costituzione della Nato, e in quanto tale ha partecipato alle diverse spedizioni militari della Nato nel mondo, naturalmente “in difesa della democrazia”, come in Iraq, in Afghanistan, in Libia!  

Di contro, le fortissime contraddizioni che stanno terremotando, in forma particolarmente acuta nell’ultimo trentennio, non solo paesi lontani dall’Europa occidentale, ma aree molto vicine    (l’Est europeo dopo il crollo dell’Urss, i Balcani, il Medio Oriente e il Nord Africa), fanno sentire le loro conseguenze anche nel “paradiso scandinavo” dove l’odio per lo straniero, soprattutto se proletario immigrato, monta combinandosi con l’idea che per salvare il benessere raggiunto sia necessario essere molto più intransigenti e decisi nel rigettare la politica buonista del Welfare state per tutti, che è il cavallo di battaglia della socialdemocrazia. In Svezia nel 1986 il primo ministro Olof Palme viene freddato in strada, stessa cosa nel 2003 col ministro degli esteri Anna Lindh; nel 2007 e nel 2008, in Finlandia, vi sono state da parte di studenti due sparatorie che fecero 8 morti la prima volta e 10 la seconda; nessun assassinio, nessuna strage sono stati attuati per mano islamica o “straniera”. I paesi del benessere, della pace sociale e del tranquillo scorrere della vita quotidiana, che già negli anni Sessanta e Settanta conobbero una incidenza impressionante di suicidi rispetto agli altri paesi considerati più turbolenti e contraddittori, come non sono mai stati del tutto al riparo dalle conseguenze materiali delle crisi economiche e sociali che hanno scosso e che stanno scuotendo il mondo, così non sono più al riparo nemmeno da fatti di violenza che sembravano non doverli mai nemmeno sfiorare.

La spiegazione che ne danno i media e i politici borghesi è sempre di una insulsa banalità: si tratterebbe di gesti folli da parte di individui colpiti da devianze maturate nella solitudine del loro fanatismo, sono casi da psichiatria criminale. I governanti norvegesi di centrosinistra “coraggiosamente” prospettano di somministrare al proprio paese un rafforzamento del livello di democrazia già raggiunto: “Non ci toglieranno il nostro modo di vivere”, ha affermato il primo ministro laburista Jens Stoltenberg, nello stesso giorno in cui si è consumata la strage! (2).

Ma le cause di fatti del genere sono ben più profonde e complesse e sono  inerenti alla violenza che la stessa società dominata dal capitale sprigiona in ogni suo atto, in ogni sua espressione fisica e ideale.

In ogni paese capitalista, gli uomini sono costretti all’iperfollia produttiva, alla gigantesca e generale privazione dai rapporti umani e sociali della naturale solidarietà di specie, al più agghiacciante cinismo e disprezzo per ogni forma di vita esistente, compresa quella umana, da cui il capitale succhia insaziabile sudore e sangue per conservare e perpetuare un modo di produzione e un dominio di classe volti esclusivamente al profitto capitalistico e che perciò non ha più nulla da dare alla specie umana e al suo mondo naturale se non distruzione e morte. Si dirà che la Norvegia, alla pari degli altri paesi scandinavi, che è un paese che non conosce i gravi conflitti o tensioni sociali o livelli di sfruttamento schiavizzante come molti paesi dell’Africa  e dell’Oriente, che è un paese che non conosce il livello di abbrutimento di molti altri paesi e che è caratterizzato dall’assenza di violenza sociale che invece molti altri paesi avanzati conoscono, a partire dagli Stati Uniti. Per questo motivo la Norvegia è legittimata a proporsi come modello di civiltà. Ma la civiltà di questo modello è la civiltà del capitalismo, la civiltà del profitto capitalistico, la stessa civiltà che bombarda la Striscia di Gaza o le città della protesta in Siria, che lascia morir di fame milioni di esseri umani nel Corno d’Africa e che schiavizza milioni e milioni di proletari in ogni paese del mondo al solo scopo di estorcere plusvalore, e quindi profitto capitalistico. In Norvegia, è figlia della stessa “civiltà” la spessa patina con cui una democrazia borghese ricca, in grado di utilizzare abbondanti quote di profitto per corrompere il proprio proletariato – quote di profitto dovute allo sfruttamento del “proprio” proletariato e del proletariato mondiale, in virtù dell’alleanza imperialista di cui fa parte – al fine di ottenere una pace sociale sufficientemente stabile finora da aver consolidato il luogo comune del “paese delle fiabe”, copre la realtà dello sfruttamento del lavoro salariato che “in patria” è meno brutale e umiliante di quanto non sia nei paesi che la Norvegia va a “democratizzare” con la Nato.

Il fatto è che la crisi capitalistica mondiale da tempo sta colpendo le sicurezze anche dei capitalismi scandinavi i quali, presto o tardi, saranno spinti a tagliare sul Welfare state, a ridurre gli ammortizzatori sociali che finora hanno garantito pace e consenso sociali; saranno spinti a misure più restrittive rispetto alle masse proletarie immigrate, così utilmente sfruttate finora col il guanto di velluto ma in futuro destinate ad essere colpite col pugno di ferro come succede in tutti i paesi, egualmente civilizzati e democratici, dell’Europa continentale.

I proletari si devono attendere prima o poi un cambio di rotta: oggi ancora i governanti blaterano di democrazia, di tolleranza, di apertura, di pace sociale e di condivisione dei valori della libertà e dell’uguaglianza dei diritti, ma viene il momento in cui la classe dominante borghese non può più avere scrupoli e passa a distruggere il velo di democrazia e il castello di “garanzie” che non potrà più permettersi. Lacrime e sangue sono già all’ordine del giorno per i proletari in Grecia, culla della civiltà classica europea e mondiale; lacrime e sangue saranno all’ordine del giorno anche per i proletari dei paradisi scandinavi.

I proletari si devono preparare al tempo in cui la classe dominante borghese mostrerà il suo vero volto di cinica e feroce aguzzina delle classi lavoratrici perché la concorrenza capitalistica mondiale non darà alternative: o soccombere di fronte alle potenze più aggressive, o trasformarsi in potenza aggressiva in primis nei confronti del proletariato di casa!. Quando si rende necessario, la classe dominante borghese licenzia i suoi servitori socialdemocratici e i riformisti delle varie parrocchie – anche se per molto tempo hanno contribuito in modo determinante a mantenere il proletariato nell’inganno democratico utilizzando uno pseudo-marxismo svuotato della sua sostanza rivoluzionaria e riempito di poltiglia interclassista – e si affida all’Hitler del momento perché se ne disfi e centralizzi dittatorialmente e apertamente tutto il potere in poche mani; è già successo, e più di una volta.

I proletari si devono preparare ad un avvenire completamente diverso da quello propagandato dalla classe dominante borghese e dai suoi governanti: l’avvenire non è nella pace sociale, non è in una democrazia allargata, “diretta” o “vera” che dir si voglia, ma è nella lotta di classe. La borghesia, per ingannare meglio il proletariato, riduce la lotta tra le classi in lotta di concorrenza tra individui, come del resto succede tra borghesi capitalisti. La lotta di classe della borghesia è una lotta che ha per scopo la sopraffazione e la schiavizzazione delle classi lavoratrici, che sono la maggioranza assoluta della popolazione in ogni paese; la concorrenza fra borghesi si gioca sulle quote di plusvalore che ogni capitalista estorce agli operai, sottraendola ai capitalisti concorrenti in un mercato mondiale che inesorabilmente acutizza gli antagonismi di classe svelando oggettivamente l’internazionalizzazione delle condizioni proletarie di schiavitù salariale. La lotta di classe del proletariato, invece, è la lotta della stragrande maggioranza della popolazione di ogni paese che ha per scopo la resistenza e la distruzione della dominazione borghese che lo ha ridotto nella moderna schiavitù del lavoro salariato. La violenza esercitata dalla classe borghese al potere non è che l’aspetto politico, e militare, della violenza che il modo di produzione capitalistico esercita sul lavoro salariato, quindi sul proletariato di ogni paese.

La violenza statale con cui polizie ed eserciti reprimono e uccidono i proletari che manifestano e scioperano per condizioni di vita e di lavoro meno intollerabili, si prolunga anche nella violenza individuale di attentatori che si sentono investiti della stessa missione della polizia e dell’esercito e che si sostituiscono ad essi: la difesa dell’ordine costituito, la difesa dell’integrità della nazione, della razza, delle tradizioni culturali e di civiltà. La follia del biondo norvegese che ha fatto esplodere un’auto a Oslo e ha sparato su ragazzi inermi e indifesi facendone strage, è la stessa follia del potere borghese che bastona, incarcera, reprime, getta nella miseria e nella fame, uccide, distrugge e annienta masse proletarie e diseredate in mezzo mondo gridando: “Viva la democrazia!”, “Viva la civiltà!”. Nell’attentato e nella strage di Oslo e Utoya l’attentatore non si è rivolto contro gli immigrati musulmani, portatori di tradizioni culturali ritenute pericolose per un paese “civile” come la Norvegia, ma contro i suoi stessi connazionali che rappresentavano, ai suoi occhi, coloro che hanno aperto troppo le porte all’islamismo, al meticciato, allo “straniero”, connazionali che non avevano più “diritto di vivere” perché avevano tradito l’integrità della nazione. “Atroce ma necessaria”, ha detto Breivik della sua operazione; ma è lo stesso concetto che sta alla base delle giustificazioni dei bombardamenti dei civili da parte della Nato ieri nei Balcani, e in Somalia, e poi in Iraq, in Afghanistan, in Libia. Se per Breivik c’era da salvare l’integrità della nazione da contaminazioni pericolose, per i paesi della Nato c’era  e c’è da salvare la democrazia dal “terrorismo”!

I proletari non hanno alcuna ragione per piangere i morti borghesi, ma hanno mille ragioni per lottare in nome dei propri morti, dei proletari che muoiono nelle miniere, che vengono straziati nei macchinari da ritmi lavorativi insopportabili e da misure di sicurezza inesistenti, che cadono dai ponteggi nei cantieri edili, che muoiono asfissiati nei barconi presi per sfuggire alle guerre borghesi di rapina o nelle cisterne nelle operazioni di pulizia, che vengono trucidati e bombardati da poliziotti e soldati al servizio del potere borghese o che si consumano nella morte lenta dovuta alla miseria, alla fame, alle malattie.

La lotta di classe è l’unica lotta con la quale i proletari possono finalmente alzarsi in piedi e guardare in faccia il nemico di classe per combatterlo con la stessa violenza, con la stessa organizzazione, con la stessa determinazione che la borghesia applica a sua difesa. Non vi sono alternative alla violenza di classe, è la stessa borghesia ad insegnarlo ogni giorno; non vi sono soluzioni intermedie, negoziali, pacifiche, democraticamente condivisibili, perché ogni volta che la borghesia teme di perdere guadagno e potere è pronta a gettare alle ortiche la sua democrazia, il suo parlamento, il suo pacifismo e il suo umanitarismo per passare direttamente alla repressione più dura, alla militarizzazione della società, al tallone di ferro!

Il proletariato è storicamente investito da un compito che oggi può apparire utopistico, lontano anni luce e impossibile da realizzare: emanciparsi dal lavoro salariato, ossia emanciparsi dal capitalismo. Attraverso le sue lotte di classe, il proletariato ha storicamente espresso questo grande obiettivo nella teoria del comunismo rivoluzionario, ossia della società senza classi, senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, teoria che permea il partito politico di classe, indispensabile guida del proletariato perché la lotta di classe si sviluppi fino allo sbocco storico finale: la rivoluzione e l’instaurazione della dittatura proletaria attraverso la quale vincere i tentativi di restaurazione borghese e avviare la trasformazione sociale. L’emancipazione del proletariato dal capitalismo non è un’utopia, ma una necessità storica materialisticamente dimostrata; è la stessa borghesia che lo conferma: ogni volta che la crisi economica della società borghese bussa alle porte, il potere borghese preme ancor più sul proletariato precipitandolo in condizioni di vita e di lavoro peggiori, nella miseria, nella disoccupazione, nella fame e quando i contrasti interstatali si fanno più acuti, gli Stati borghesi sono spinti a farsi la guerra, e la borghesia sacrifica milioni di vite proletarie al solo scopo di salvare se stessa, i suoi privilegi, i suoi profitti. Che ha da guadagnarci il proletariato a “condividere” gli interessi economici, sociali e politici della borghesia che è sempre pronta a mandarlo “democraticamente” al macello?

Il proletariato norvegese farà molta difficoltà a liberarsi dalle illusioni che la socialdemocrazia gli ha inculcato in decenni di welfare state e di conciliazione sociale, e dovrà inevitabilmente subire ancora l’influenza devastante della politica collaborazionista che la borghesia dominante sovvenziona con i proventi dello sfruttamento del lavoro salariato dei proletari autoctoni come dei proletari immigrati e del proletariato degli altri paesi in cui i suoi capitali vengono investiti. Non ci si può illudere, perciò, che vicende come la strage di Utoya e l’attentato di Oslo possano fargli capire all’improvviso che, in ballo, è, in realtà, un cambiamento di politica che la classe dominante borghese è spinta a realizzare in vista di conseguenze della crisi del capitalismo mondiale molto più pesanti anche per la Norvegia; un cambiamento che porterà un inevitabile peggioramento nelle condizioni di vita e di lavoro proletarie, un restringimento delle “garanzie” sociali finora largamente a disposizione e inevitabili misure di sicurezza sociale e di controllo poliziesco, tanto più se il vorticoso sviluppo capitalistico dovuto all’industria petrolifera e delle risorse minerarie richiederà ulteriore forza lavoro immigrata. Oggi l’immigrazione proletaria è oggetto di preoccupazione dei partiti di estrema destra e, soprattutto, dell’estremismo di destra, ma domani, quando accennerà a lottare per difendere condizioni salariali e di vita migliori e almeno pari a quelle dei proletari autoctoni, sarà oggetto di discriminazione, di emarginazione, di repressione anche da parte dello Stato centrale, come in tutti i paesi borghesi civili che si rispettino. All’operato ufficiale e legale dello Stato borghese nel serrato controllo e nella repressione del proletariato, le forze della socialdemocrazia e del più vario opportunismo, come storicamente hanno sempre fatto, avranno dato e daranno un contributo essenziale nello svirilizzare le lotte proletarie indirizzandole alla sconfitta; allo stesso operato ufficiale e legale dello Stato borghese, in funzione antiproletaria, avranno contribuito e contribuiranno anche le frange di estrema destra che, attraverso i loro attentati come quelli odierni di Oslo e Utoya, intendono dare l’allarme al potere borghese centrale contro un pericolo – quello proletario, rivoluzionario e marxista – che non è mai stato debellato definitivamente e di cui vedono una possibile resurrezione oggi nell’accoglienza dei proletari immigrati da paesi investiti dai conflitti sociali più acuti e violenti. Come negli anni Venti del secolo scorso, alla nascita delle bande fasciste, gli operai si trovarono a dover combattere non solo contro l’opportunismo travestito sia da socialismo parlamentare e democratico sia da massimalismo parolaio e impotente, ma anche contro l’attacco violento e vigliacco dei fascisti, foraggiati da logge padronali e protetti dalle forze dello Stato borghese, così un domani i proletari potrebbero nuovamente trovarsi di fronte gli stessi nemici che, tra di loro, possono anche entrare in contrasto duro e violento (d’altra parte gli Stati borghesi, a difesa degli interessi nazionali, giungono a farsi la guerra senza tanti scrupoli), ma che di fronte al montare del movimento proletario di classe si alleano in un naturale fronte antiproletario.

 Il proletariato norvegese sarà costretto esso stesso a scendere in lotta per difendere il suo tenore di vita e condizioni di lavoro meno insopportabili e potrà trovare un alleato fidato solo nel proletariato immigrato che, spinto dalla pressione borghese ad accettare condizioni salariali e di lavoro peggiori dei proletari norvegesi, potrà combattere contro questa ricattatoria concorrenza fra proletari solo se troverà nei proletari norvegesi la stessa volontà di lotta, la comunanza di interessi di classe che si dimostreranno sempre più inconciliabili con quelli borghesi. La materiale corruzione che la borghesia norvegese ha attuato nei confronti del proprio proletariato attraverso la concessione di un tenore di vita più elevato che in altri paesi, è alla base della profonda influenza democratica sulle masse proletarie e non si debella facilmente; lo vediamo da decenni negli altri paesi europei che non possono vantarsi di essere paesi delle “fiabe”. Ma la strada per l’emancipazione proletaria dal capitalismo non può essere la stessa che porta alla conciliazione interclassista tra proletariato e borghesia: o i proletari lottano per se stessi come classe salariata contro la violenza economica e sociale borghese, oppure si negano qualsiasi lotta di resistenza alla pressione e alla repressione borghese trasformandosi, nei fatti, in complici della politica di aggressione capitalistica e imperialistica della propria borghesia nazionale permettendole qualsiasi manovra politica, qualsiasi misura sociale, qualsiasi spedizione militare, qualsiasi impresa imperialista ritenga necessaria alla salvaguardia dei propri profitti.

 


 

(1)      Vedi “Norvegia, polizia ignorò allarme strage”, http:// it. peacereporter.net

(2)      Cfr. l’articolo di A. Sofri, su “la Repubblica”, 23/7/2011.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

3 agosto 2011 

www.pcint.org

 

Top

Ritorno indice

Ritorno archivi