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Portogallo: il proletariato schiacciato fra la crisi capitalistica e la complice azione dell’opportunismo politico e sindacale

 

 

La crisi capitalistica che sconvolge il mondo ha in tutti i paesi conseguenze gravissime per i proletari, che vedono deteriorarsi rapidamente le loro condizioni di esistenza a causa delle esigenze della borghesia e dei suoi affari che, più che mai, richiedono una mano d’opera al costo più basso possibile, fino ad arrivare al livello della più cruda sopravvivenza.  Ed ecco quindi che, non solo la riduzione dei salari generalizzata nelle aziende di tutti i settori, ma anche i licenziamenti in massa, i tagli ai servizi sociali più essenziali, l’aumento dei prezzi dei servizi di base (acqua, elettricità ecc.) e l’aumento delle tasse, delineano ovunque un quadro fosco. Ma nei paesi in cui, già da prima, le condizioni di vita non erano particolarmente buone, o erano decisamente cattive rispetto ai paesi vicini, la situazione per i proletari si fa sempre più terribile man mano che il tempo passa e che le esigenze della borghesia nazionale e internazionale si fanno più dure e difficili da soddisfare.

È il caso del Portogallo, una delle economie più precarie della zona euro che storicamente è sempre stata al traino delle potenze imperialiste della regione e che è rimasta relativamente ai margini del forte processo di sviluppo economico evidente in tutto il mondo, ma soprattutto, dal 1996, nei paesi in cui tradizionalmente quello sviluppo era stato debole. Il Portogallo è stato pesantemente colpito dall’attuale crisi economica, come inesorabilmente dimostrano gli indicatori macroeconomici. La sua economia è diminuita dell’1,3% nel 2011 (mentre il livello del prodotto nazionale lordo era già molto basso dopo due anni di crisi) e, secondo le previsioni ufficiali, diminuirà ulteriormente dello 0,6% nel 2012 (ma la caduta sarà certamente più grave). Secondo le previsioni della stessa Banca del Portogallo, l’inflazione quest’anno sarà del 2,8% contro l’1,4% dello scorso anno. La crisi colpisce duramente questo paese la cui struttura produttiva è caratterizzata da una forte predominanza del settore dei servizi, concentrato essenzialmente a Lisbona e nell’isola di Madera, mentre il resto del paese vive di una produzione agricola in declino e di un gracile settore industriale.

Al di là degli indicatori macroeconomici mediante i quali la borghesia intende dimostrare la necessità di pesanti sacrifici per sostenere l’economia nazionale, le statistiche mostrano chiaramente come il proletariato portoghese è colpito dalla crisi: il tasso di disoccupazione, che nel 2008, alle soglie dell’attuale crisi, toccava l’8% della popolazione attiva (che è di circa 5,5 milioni di lavoratori), è fortemente aumentato e supera il 13%. Per quanto riguarda le misure governative per rianimare l’economia – ovvero l’offensiva antioperaia scatenata in questo paese come in tutti gli altri –, le più importanti sono state indubbiamente quelle riguardanti la durata legale della giornata di lavoro che potrà essere aumentata di mezz’ora (misura che si aggiunge all’aumento del numero dei giorni lavorativi annui), la soppressione dei premi nel pubblico impiego, l’aumento delle imposte indirette, a cominciare dall’IVA.

Di fronte a una situazione che impone oggettivamente alla classe operaia di lottare per difendersi, il principale sindacato, la CGTP, ha indetto uno sciopero generale per il 25 novembre, il secondo in 15 anni (il primo si era svolto solo pochi mesi prima). Ma, esattamente come i suoi compari sindacali dei paesi vicini, che appartengono anch’essi alla funesta famiglia unita dai legami del tradimento della classe operaia, la CGTP ha dimostrato che, sotto la direzione del sindacalismo opportunista e giallo, gli scioperi non sono un mezzo di lotta proletario, ma una semplice valvola di sfogo per evitare che i proletari imbocchino la lotta di classe. Uno sciopero generale limitato a una sola giornata e con un preavviso di un mese (sufficiente a far sì che la borghesia vi si prepari e faccia in modo che lo sciopero non ostacoli i suoi affari), e che ha, come solo obiettivo, il negoziare sulle misure di austerità adottate dal governo, non può avere, in effetti, alcun altro scopo reale se non quello di far scendere la pressione proletaria accumulata da tempo perché non arrivi al punto di rottura della pace sociale. 

È questa pressione che si è concretizzata nell’arco della giornata in manifestazioni di collera proletaria che hanno rischiato di turbare il “diritto democratico alla protesta” attraverso il quale la CGTP intendeva annientare la lotta proletaria: i picchetti nel settore della nettezza urbana che si sono scontrati con la polizia per imporre lo sciopero, gli attacchi notturni contro alcune sedi di banche e, soprattutto, gli scontri con la polizia alla fine delle manifestazioni convocate dai sindacati e dal “movimento degli indignati” (va segnalato che questi scontri sono particolarmente significativi per un paese ritenuto fra i più pacifici dai tempi della cosiddetta “rivoluzione dei garofani” degli anni Settanta). Tutto questo mostra l’aumento della rabbia operaia provocata dal continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro: il proletariato è inevitabilmente spinto allo scontro diretto con i suoi nemici, nonostante gli sforzi del sindacalismo collaborazionista di sbarrargli la strada della lotta. La CGTP non esita ad attaccare i proletari che istintivamente tendono ad andare in questa direzione, come ha fatto in realtà denunciando i proletari che avevano affrontato la polizia, sotto il pretesto che bisogna essere pacifici e ordinati per poter negoziare con la borghesia.

Le forze dell’opportunismo hanno giocato il loro ruolo anche sul terreno politico. I principali partiti “operai” presenti in parlamento si sforzano di dirottare la nascente tensione sociale verso obiettivi totalmente assimilabili dal gioco democratico nazionale.

E, infatti, il Blocco di Sinistra, un insieme di piccoli gruppi unitisi per ragioni elettorali, nella risoluzione finale della sua Assemblea nazionale tenutasi dopo le elezioni del 5 giugno scorso affermava che per “fronteggiare il ricatto del fallimento sui salari e sulle pensioni”lo si può fare “solo impegnandosi in modo risoluto in una politica di revisione e rinegoziazione del debito”; in altre parole, l’obiettivo della lotta dei proletari portoghesi deve essere quello di un compromesso con la cosiddetta “troika” (il gruppo di esperti incaricati di gestire l’intervento in Portogallo per conto del FMI, della BCE e dell’Unione Europea) allo scopo di diminuire il peso del debito pubblico (cioè del debito nazionale), cosa ottenibile grazie alla pressione sul Partito Socialista affinché non si allinei con la destra governativa (come dire, grazie all’azione parlamentare comune con il PS che, quando era al governo, ha approvato l’intervento europeo). L’azione parlamentare è il terreno privilegiato dell’opportunismo che cerca, in questo modo – ed è il suo ruolo specifico –, di incatenare il proletariato alle regole del gioco democratico che la borghesia usa per far passare, in modo non autoritario, ma volontario, democraticamente, le misure antioperaie per “far uscire il paese dalla crisi”.

Da parte sua, il Partito Comunista Portoghese, in un documento del 20 novembre 2011 in cui pretende cinicamente di commemorare la nascita dell’Internazionale Comunista e la propria nascita proletaria e rivoluzionaria, si profonde in una serie di dichiarazioni d’intenti che dimostrano, ancora una volta, una sola cosa: di essere il perfetto alleato della borghesia in seno alle masse proletarie per mantenere l’ordine sociale e dirottare il malcontento verso il nazionalismo e il compromesso: “Esistono soluzioni alternative. Con una politica patriottica (sottolineato da noi) che abbia come obiettivi lo sviluppo economico, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e degli strati popolari, la difesa e la promozione dell’interesse pubblico e dei diritti dei cittadini, l’appoggio effettivo alle microimprese, alle piccole e medie imprese e alla difesa e all’affermazione della sovranità, un Portogallo giusto, sovrano e con un futuro” (È possibile per il Portogallo un nuovo cammino di speranza?, intervento di Jeronimo Sousa, segretario generale del PCP).

Questo significa semplicemente, secondo il PCP, che il proletariato portoghese non ha altra soluzione che, in comune con la borghesia nazionale, la difesa della patria contro l’intervento straniero, rinunciando ai suoi interessi indipendenti di classe (e ovviamente ai suoi metodi e mezzi di lotta classista: neppure una volta si trovano nel testo le parole sciopero, picchetti ecc.) nella speranza che, immolandosi al rilancio della produzione nazionale, la voracità del capitale portoghese affamato di plusvalore venga saziata.

E’ un’altra strada quella che il proletariato deve imboccare: se vuole difendere con successo i suoi interessi di classe di fronte al nazionalismo e alla politica di collaborazione fra le classi, il proletariato portoghese, come i suoi fratelli europei, a cominciare dai suoi vicini spagnoli, non ha altra soluzione che rompere con la direzione opportunista dei sindacati gialli che portano la lotta sulla via della sconfitta premeditata, e imporre le sue armi di classe che sono le uniche efficaci: lo sciopero senza preavviso e ad oltranza, i picchetti per fermare la produzione, la difesa delle manifestazioni contro le aggressioni della polizia ecc.

Ma dovrà spingersi ancora più in là, mettere in piedi organizzazioni classiste, indipendenti dagli interessi della borghesia nazionale e internazionale, che garantiscano la continuità nel tempo della sua lotta di resistenza e la solidarietà dei proletari di tutti i settori produttivi, occupati o disoccupati, immigrati o indigeni, uomini e donne, giovani e vecchi; organizzazioni che, all’inizio del XX secolo,  il fiero proletariato portoghese possedeva e i cui elementi più coerenti formarono il Partito Comunista del Portogallo, sezione dell’Internazionale Comunista, e il suo giornale Avanti! sul quale vennero pubblicate le grandi pagine della lotta di classe nella penisola.

E, nella prospettiva più generale e futura, dovrà riapparire  il partito comunista internazionale e internazionalista come espressione suprema della coerenza della lotta di classe proletaria nel programma, nella politica e nella tattica rivoluzionarie, lottando per l’abolizione del mondo del lavoro salariato e della proprietà privata, per la rivoluzione comunista mondiale, la dittatura del proletariato e la trasformazione socialista della società.

 

Per la ripresa della lotta di classe proletaria in Portogallo, in Europa e in tutto il pianeta!

Per la difesa intransigente degli interessi di classe del proletariato!

Per la lotta con mezzi e metodi di classe, indipendente dagli interessi dell’economia nazionale!

Per il Partito comunista mondiale!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

21 novembre 2011

www.pcint.org

 

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