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L’economia capitalista lucra sistematicamente sulle sciagure: nel terremoto in Emilia-Romagna vi è l’ennesima dimostrazione di una prevenzione inesistente e di un intervento d’emergenza come premessa alla ripresa di ogni attività generatrice di profitto!

 

 

Che l’Italia sia un paese sottoposto a rischio sismico costante è ormai un ritornello che i ricercatori dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia ripetono ad ogni terremoto. Le loro mappe, le loro ricerche, la loro attività di monitoraggio costante, visto che non vengono mai utilizzate per realizzare un piano di prevenzione complessivo inerente non solo ai metodi antisismici di costruzione delle case e dei fabbricati, ma anche agli interventi sempre più urgenti per arginare e rimediare il dissesto idrogeologico cui è sottoposto tutto il territorio, servono solo a riempire documentazioni statistiche che vengono prese in esame quando i danni, magari con morti, causati dalle prime serie scosse telluriche (ma vale lo stesso per le alluvioni, le piogge torrenziali, la desertificazione ecc.) costituiscono oggetto di servizi giornalistici.

Dopo parecchi giorni dalle prime scosse del 20 maggio, in alcuni giornali appaiono articoli in cui si evidenzia che era del tutto sbagliato credere che la pianura padana fosse praticamente immune dal rischio sismico.

“Sopra è una pianura soffice, riempita dai sedimenti del Po e levigata dal passaggio millenario del fiume. Ma basta andare una manciata di chilometri in profondità per trovare una delle strutture geologiche più aggrovigliate che la Terra conosca. Un domino di faglie che si dividono e si ricongiungono. Un incastro di frammenti di roccia dura che si accavallano e cambiano continuamente pendenza. Siamo su un ‘fronte di guerra’, a sud del quale preme la grande zolla dell'Africa, con l'Europa che a nord oppone tutta la sua resistenza. In mezzo, stretta come in una tenaglia, c'è la Pianura Padana. Tanto placida sopra, quanto tormentata sotto.

La pressione dell'Africa sull'Europa è diretta verso nord-nordest e fa corrugare la roccia degli Appennini contro la Pianura Padana, come quando spingiamo un tappeto verso una parete. ‘La linea di faglia corre tra est e ovest in maniera irregolare, suddivisa in tanti pezzetti e pezzettini’ - spiega un dirigente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. ‘Come in un domino, la rottura di un frammento può innescare una tensione nel frammento che si trova accanto. Sarà sufficiente questa tensione a scatenare un'altra scossa, e quando? Questo non lo sappiamo mai in anticipo. Quel che possiamo dire è che un fenomeno sismico su una faglia a volte innesca sulla faglia vicina un conto alla rovescia che può durare giorni, anni, magari millenni. Prima o poi però l'orologio arriva all'ora zero’. (...) L’ora zero per la Pianura Padana è scattata già due volte - il 20 e il 29 maggio - con due serie di scosse che hanno ripetutamente superato la magnitudo 5”. (la Repubblica 30.5).

Ad ogni terremoto emergono fatti incontestabili: i morti, i feriti e i danni economici diretti e indiretti avrebbero potuto non esistere o essere molto limitati SE – sulla base dell’esperienza ormai più che centenaria – gli edifici fossero stati messi in sicurezza, SE le norme antisismiche fossero state interamente e sempre applicate, SE non fossero autorizzate o tollerate costruzioni in zone particolarmente rischiose, SE i miliardi che si spendono per riparare i danni, assistere le persone colpite dall’evento e riavviare le attività economiche delle zone interessate si spendessero per i piani di prevenzione, SE gli amministratori pubblici non fossero corrotti, SE i controlli  sul rispetto delle normative fossero eseguiti sistematicamente, SE... e mille altri SE!

Ad ogni terremoto vengono alla luce speculazioni, inadempienze, disattenzioni, corruzioni, forzature di ogni genere, tutto sempre all’insegna di un unico grande mito: fare soldi, far profitto con meno costi possibili. I capannoni che si sono sbriciolati a Cavezzo, a San Felice sul Panaro, a Medolla, a San Giacomo Roncole, a Mirandola, la gran parte dei quali costruiti di recente e che, in alcuni casi, dopo le forti scosse del 20 maggio, avevano ottenuto l’agibilità facendo rientrare gli operai al lavoro (morti sotto le loro macerie a causa delle scosse del 29 maggio), sono lì a denunciare l’attitudine di questa società e dei rappresentanti del potere economico e politico: in cima alle loro preoccupazioni c’è sempre il profitto capitalistico, e mai il benessere e la vita degli esseri umani. Si dirà: ma sono crollate case d’abitazione, chiese, mura e torri di castelli che hanno centinaia d’anni, dunque l’evento va classificato come una fatalità, colta anche da papa Ratzinger come occasione di propaganda, durante il bagno di folla cercato nella giornata mondiale delle famiglie del 2 giugno a Milano, attraverso il gesto di devolvere 500.000 euro dalle “donazioni per la sua beneficienza personale” raccolte in questo suo tour. Per la borghesia, come per la chiesa, alla “fatalità” si risponde con la... beneficienza, in modo che tutto resti come prima, che nulla di ciò che costituisce le fondamenta di questa società – capitale, merci, profitto, sfruttamento del lavoro salariato – venga messo in discussione!

Come è successo in tutti i casi precedenti - ultimo quello dell’Aquila - passato il momento di gravi emozioni e di grande attenzione, i terremotati, specie se proletari o contadini, vengono dimenticati e abbandonati alla loro sorte individuale; così accadrà anche per questo terremoto nel Modenese-Ferrarese-Mantovano. Dato il peso economico della zona i terremotati emiliani possono sperare di non passare nel dimenticatoio velocemente come invece è successo a molti altri malcapitati.

Resta il fatto che ai morti e agli invalidi provocati quotidianamente dagli incidenti sul lavoro – le statistiche parlano di almeno tre morti al giorno! – si aggiungono i morti e gli invalidi provocati dai terremoti, dalle frane, dalle alluvioni, dai crolli di palazzine o scuole costruite col massimo risparmio nei materiali, dagli incidenti stradali, ferroviari, navali o aerei provocati il più delle volte dalla velocità con cui tutto deve girare in questa società votata esclusivamente al profitto capitalistico. Il tempo è denaro, è un detto borghese, ma sintetizza bene la dipendenza di qualsiasi altro aspetto della vita sociale dal denaro, dal capitale!

Il capitalismo è l’economia della sciagura: i capitalisti fanno soldi grazie allo sfruttamento del lavoro salariato di milioni di proletari obbligati, se vogliono sopravvivere, a  farsi sfruttare per tutta la vita; ma guadagnano ancor di più ad ogni catastrofe, ad ogni tragedia, ad ogni disgrazia perché l’emergenza, richiedendo interventi rapidi e senza troppi ostacoli burocratici o amministrativi, è fonte di superprofitti. Il tempo è denaro! Il capitalismo, nella sua iperfollia produttiva, richiede velocità di circolazione, di merci e di capitali, e quale miglior occasione di velocità di circolazione capitalistica se non l’emergenza? Più catastrofi, più emergenza, più sovrapprofitti! In un mercato intasato di merci e di capitali, quindi in crisi di sovrapproduzione, cosa c’è di meglio di una guerra che distrugga il sovrapprodotto e liberi spazio alla nuova produzione? Cosa c’è di meglio di un bel terremoto (le ricordate le risate che si facevano gli imprenditori, intercettati casualmente, subito dopo il terremoto dell’Aquila?) per ridare fiato ai capitali in cerca di investimento profittevole? Sì perché se qualche imprenditore, piccolo o grande, può uscire rovinato dal terremoto, altri invece sono pronti ad approfittarne pienamente.

E’ dunque contro il capitale, contro la società eretta a difesa del capitale come sistema economico, e contro la classe dominante borghese che ne rappresenta cinicamente e violentemente l’interesse e la conservazione, che va indirizzata l’energia sociale delle forze produttive, dei lavoratori salariati, di coloro che non posseggono nulla di più che la loro forza lavoro, di coloro che hanno la possibilità di vivere alla sola condizione di farsi sfruttare da un qualsiasi padrone e che in un batter d’occhio, perdendo il lavoro, rischiano di perdere la vita, quando non la perdono mentre stanno lavorando!

La forza di classe dei proletari è la sola in grado di fermare la tragica spirale di morte del modo di produzione capitalistico che nel suo vorace e spietato sviluppo travolge ogni aspetto della vita umana riducendola ad una macchina per produrre profitto. I proletari non hanno alcun interesse in comune con i padroni che ne succhiano sudore e sangue col solo proposito di difendere la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’appropriazione privata dei prodotti, ricavando dallo sfruttamento del lavoro salariato il massimo di profitto anche nelle situazioni di pericolo di vita, passando - come in qualche caso nel modenese dopo le prime scosse del 20 maggio - a minacciare il licenziamento se gli operai non riprendevano immediatamente il lavoro!

Il proletario è obbligato a lavorare sotto padrone se vuole sopravvivere in questa società, ma ha un terreno sul quale può resistere alle pressioni padronali: è il terreno della riorganizzazione della difesa economica di classe, e della lotta di classe attraverso la quale collegare la lotta di sopravvivenza in questa società alla lotta per chiudere definitivamente con questa società e con le sue devastanti contraddizioni, aprendo il cammino ad una società senza classi, senza merci, senza capitali, senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ad una società che metterà al centro delle sue preoccupazioni la prevenzione contro ogni sorta di rischio, alla società di specie, al comunismo!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

3 giugno 2012

www.pcint.org

 

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