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Le lotte degli studenti in Canada

 

 

Il 13 febbraio di quest’anno, è scoppiato uno sciopero generale illimitato degli studenti nel Québéc contro il rincaro delle tasse scolastiche decretato dal governo liberale (di destra) di Jean Charest. Il rincaro progettato è di 1625$ su 5 anni, ciò che rappresenta un aumento straordinario di più dell’80% per tasse che sono attualmente di 2168$ per anno, senza contare le spese afferenti che aumentano costantemente e che rappresentano un trucco per alzare il costo dell’educazione scolastica. L’intenzione confessata è di raggiungere la media canadese che si situa intorno ai 4000$ per anno.

Al momento, il Québéc ha le tasse scolastiche più basse in America del Nord. Un aumento di 500$ su 5 anni era già stato adottato nel 2007 come primo passo verso la deregolamentazione delle spese scolastiche. A metà aprile, il movimento di sciopero raggruppava più di 200 mila studenti in tutto il Québéc, di cui più di 170.000 in sciopero generale illimitato, delle università e dei CEGEP (collegi di studi generali e professionali, un livello d’insegnamento intermedio fra la scuola secondaria e l’università).

Il rincaro di cui stiamo parlando è stato deciso dal governo Charest nel suo piano finanziario del 2010 che è stato caratterizzato da numerose misure brutali allo scopo di distruggere progressivamente i vantaggi sociali di cui godono i proletari e il popolino lavoratore, fra cui il noto tiket sanitario annuo di 200$ pro capite senza tener conto del reddito, mentre il sistema sanitario pubblico québécois cade in rovina.

Il ministro delle Finanze, Raymond Bachand, dichiarava che si rendeva necessariauna “rivoluzione culturale” per far comprendere ai lavoratori québécois che i servizi pubblici hanno un costo, e quindi devono essere privatizzati progressivamente per aumentare il tasso di profitto della borghesia. Si dovrebbe piuttosto parlare, in questo caso, di una controrivoluzione culturale! Malgrado i propositi del ministro Bachand i servizi pubblici non sono mai stati “gratuiti”, ma sono stati finanziati dalle imposte e dalle tasse il cui peso principale ricade proprio sulla classe operaia.

Il movimento di protesta degli studenti si è rapidamente sviluppato a partire dal 13 febbraio, giorno in cui vi sono state manifestazioni sempre più numerose che, in qualche caso, sono sfociate in scontri con le forze di polizia. Il 7 marzo ha avuto luogo la manifestazione più dura in cui uno studente, Francis Grenier, ha perduto praticamente l’uso di un occhio. La collera degli studenti e di tutti coloro che li sostengono è allora aumentata di livello e il movimento studentesco ne è stato galvanizzato. La domenica 18 marzo una manifestazione delle famiglie radunava più di 30.000 persone a Montréal e migliaia d’altre a Québéc e Sherbrooke.

Il 22 marzo una manifestazione nazionale si è tenuta a Montréal con più di 200 mila partecipanti, ed è stata una delle più grosse manifestazioni politiche della storia del Québéc e dello stesso Canada! Il governo Charest fa orecchie da mercante alle rivendicazioni degli studenti e  mette in circolazione una propaganda demagogica e profondamente disonesta sugli studenti accusati di non voler dare il loro “giusto contributo” per salvare il sistema di educazione e il risanamento delle finanze pubbliche. Provenendo da un governo macchiato da molti scandali e che non esita a donare milioni di dollari alle banche e ad altre grandi imprese, imponendo peraltro misure drastiche di austerità alla classe operaia, è semplicemente rivoltante!

Naturalmente, come il movimento si è esteso, la repressione poliziesca è diventata sempre più brutale, caratterizzata da numerosi arresti, sostenuta oltretutto da una martellante propaganda dei media borghesi sugli studenti “viziati, irresponsabili e vandali”.

Ciò non ha impedito che le manifestazioni studentesche si moltiplicassero e amplificassero già dal mese di aprile, anche con manifestazioni notturne che hanno debuttato alla fine di questo mese per denunciare l’intransigenza e la malafede del governo. La polizia di Montréal ha tentato invano di impedirle decretandole “illegali”, ma senza successo. Manifestazioni simili si sono svolte a Québéc, sede dell’Assemblea Nazionale, una specie di parlamento del Québéc. Di fronte all’ostinata resistenza  degli studenti e dei loro sostenitori, il governo ha emesso la legge 78 che obbliga ogni manifestazione con più di 50 persone a fornire il suo itinerario almeno 8 ore prima se non si vuole che venga considerata illegale. Le forze di polizia hanno il mandato di arrestare i manifestanti che rifiutano di disperdersi. Multe esorbitanti sono previste per ogni organizzazione, specialmente studentesca, che rifiuti di conformarsi alla legge; e così vi sono stati massicci arresti in ottemperanza a questa legge, ad esempio a Montréal.

Ma la determinazione dei manifestanti, che inglobavano ben più che studenti, compresi militanti sindacali e di gruppi popolari, non si è indebolita e la polizia, pur dichiarando le manifestazioni illegali, ha lasciato che i manifestanti continuassero a marciare sera dopo sera. Il 22 maggio, una gigantesca manifestazione, che radunava più di 300mila persone secondo gli organizzatori, ha infranto la legge 78 cambiando itinerario strada facendo, senza preavvertire le forze di polizia che, in realtà, furono incapaci di mettere un termine al raduno e di procedere a massicci arresti. A fine giugno, benché il governo avesse chiuso le università per 3 mesi, decine di migliaia di persone manifestavano ancora a Montréal e a Québéc.

 

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I giornalisti hanno ravvisato un rinnovato nazionalismo québécois nel movimento studentesco. Questo rigurgito di nazionalismo è molto relativo, ma non vi è nulla di stupefacente che  l’avversario diretto si situi a Montréal e non a Toronto: storicamente la lotta per l’accesso all’istruzione è sempre stata parte integrante della lotta del nazionalismo québécois, soprattutto all’epoca della “Rivoluzione Tranquilla” negli anni ’60. Lo sviluppo del capitalismo québécois ha avuto come conseguenza, esattamente come negli altri paesi capitalisti sviluppati in piena crescita nello stesso periodo, un aumento del numero degli studenti per rispondere al bisogno di salariati e tecnici altamente qualificati così come di un inquadramento del proletariato ai diversi livelli. Nel 1966 l’ONU faceva appello agli Stati membri affinché assicurassero il libero accesso di tutti all’insegnamento superiore e preconizzava l’instaurazione dell’insegnamento gratuito (1); la tanto vantata “democratizzazione” dell’insegnamento superiore (democratizzazione del tutto relativa, perchè i figli degli operai hanno sempre conosciuto le più grandi difficoltà per accedervi), per mezzo di sovvenzioni, del sistema delle borse di studio ecc., era una necessità per il capitalismo che attraversava una periodo di espansione continua.

La forte crescita degli accessi all’insegnamento superiore e universitario e la spinta del nazionalismo québécois sono stati due aspetti legati all’aumentata potenza della frazione québécoise del capitalismo canadese e ai suoi sforzi per conquistare un posto più importante nel quadro dello Stato canadese (o per prendere la via dell’indipendenza se questo non fosse stato possibile). D’altro canto, nel Québéc, come dappertutto, lo sviluppo dell’insegnamento, per alcuni elementi provenienti dal proletariato, era diventato, grazie a questa “democratizzazione”, un mezzo per scappare dalla loro condizione sociale e accedere alla piccola borghesia: era la via principale del famoso “ascensore sociale” che funzionava davvero in quel periodo. Per quel che concerne la piccola borghesia, era una mezzo privilegiato per assicurare ai propri figli il mantenimento nelle condizioni sociali di questa classe.

La borghesia québécoise, sia attraverso il Partito Québécois nazionalista che attraverso il Partito Liberale federalista, ha bloccato le spese scolastiche a livello universitario per molti anni, dal 1994 al 2007. Tuttavia, la situazione attuale di crisi economica internazionale impone ai governi borghesi di ogni paese di dare un giro di vite allo scopo di mantenere o restaurare i tassi di profitto del capitalismo, non solo attraverso un incrudimento dello sfruttamento diretto del proletariato tagliando le spese sociali, ma anche sbarazzandosi di strati piccoloborghesi poco produttivi o parassitari.

I due principali partiti della sinistra riformista québécoise, Québéc Solidaire e il nuovo partito indipendentista Option National, hanno assicurato agli studenti il loro appoggio ed hanno anche preso posizione a favore della gratuità scolare dalle scuole materne all’università, rivendicazione avanzata dall’ASSE (Association pour une Solidarité Syndicale Etudiante), sindacato studentesco che dimostra una certa combattività e che è in gran partel’istigatore dell’attuale movimento di sciopero.

Ma che valore hanno le promesse dei partiti riformisti che vogliono soprattutto posizionarsi in rapporto ad eventuali elezioni anticipate?

Le misure attuali non sono certo dovute alla particolare cattiveria del governo Charest; esse si iscrivono nella tendenza globale del capitalismo che affronta una crisi generale di sovrapproduzione che impone ai governi borghesi, di destra o di sinistra, di prendere misure d’austerità antiproletarie e antisociali sempre più acute, allo scopo di trovare una soluzione almeno temporanea alle difficoltà economiche. E’, d’altra parte, egualmente vano cercare di negoziare con il governo nuovi mezzi di finanziamento, come fanno altri sindacati studenteschi: oggi vi sono troppi studenti e costano troppo in rapporto alle esigenze del capitalismo nel Québéc.

 

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L’importanza, la durata della lotta degli studenti e l’eco favorevole che incontra presso una parte considerevole della popolazione, a dispetto dell’ostilità dei media, dimostrano che siamo in presenza di qualche cosa di ben più ampio che una semplice e corporativa lotta studentesca. Le decine o centinaia di migliaia di persone – piccoli borghesi e proletari – che si mobilitano nelle manifestazioni non lo fanno solo per amore della democrazia e per sostenere gli studenti, ma perché si sentono essi stessi minacciati dall’offensiva capitalista e perché temono isitintivamente di subire la loro stessa sorte: sfruttamento accresciuto, proletarizzazione, repressione. L’offensiva capitalista minaccia di precipitare gli strati piccoloborghesi (o gli aspiranti alla piccola borghesia) nel proletariato, suscitando la loro rivolta sotto una forma o sotto un’altra. E’ inevitabile che questa rivolta avvenga all’inizio sotto un orientamento riformista, basato sull’aspirazione a tornare al periodo anteriore del capitalismo quando la forte crescita economica garantiva il loro status sociale privilegiato rispetto ai proletari, e basato sull’illusione di un capitalismo “umano”, “giusto”, "sociale” ecc.

Ma una parte, anche minima, degli studenti si rende conto senza dubbio che, con o senza un diploma, rischiano comunque di essere condannati a condividere la sorte dei proletari; i migliori elementi possono e devono rendersi conto che il loro vero avversario è, in definitiva, non un governo reazionario, ma il capitalismo stesso e le sue inflessibili leggi. Questi possono allora comprendere che, se vuole essere fruttuosa, la lotta deve superare l’aspirazione striminzita e senza speranza ad uno status sociale privilegiato, per inserirsi in una lotta ben più larga e ben più a lungo termine: la lotta di classe dei proletari contro il capitalismo.

Ma non è questo l'orientamento che difendono le organizzazioni studentesche, né i diversi gruppi di estrema sinistra.

La CLASSE, presentata generalmente come l’associazione studentesca più combattiva, agita una prospettiva che sembra più radicale di quella preconizzata dalle federazioni studentesche collegiali e universitarie (FECQ e FEUQ), ed è per questo che il governo voleva escluderla dai negoziati che si sono tenuti a metà maggio (essa vi ha finalmente partecipato e accettato il compromesso pressoché unanimemente rigettato dagli studenti scioperanti), ma in realtà questa prospettiva non esce dal quadro piccoloborghese democratico. La sua evocazione di uno “sciopero sociale”e il suo appello ai sindacati perché sostengano la lotta non può creare illusioni. Le organizzazioni sindacali sono state già, di fatto, chiamate in soccorso dal... governo, allo scopo che da servitori provati del capitalismo, esse consiglino gli studenti di fare dei compromessi, di rispettare la legalità e di rigettare le forme di lotta più efficaci.

Gli apparati sindacali esistenti sono degli organismi di collaborazione di classe, che, al più, negoziano rivendicazioni operaie con i padroni contenendo sempre le lotte in modo tale che non rimettano in causa la pace sociale, e che, peggio, sabotano apertamente queste lotte. Come potrebbero aiutare gli studenti ad infrangere la legge 78, quando si sono ben guardati di chiamare nel mese di maggio i ferrovieri in sciopero alla Canadian Pacific Railway a disobbedire al decreto adottato dal governo federale ordinante la ripresa del lavoro?

Come potrebbero organizzare un vero sostegno alla lotta degli studenti, quando essi non vogliono né possono organizzare il minimo sostegno reale alle lotte dei proletari? Tutto ciò che possono fare, nel migliore dei casi, è far votare delle mozioni di sostegno che non impegnano nessuno. Quanto allo “sciopero sociale”, sembra che si tratti di uno sciopero... interclassista in cui tutta la popolazione sarebbe chiamata a cessare la sua attività per difendere gli studenti e la democrazia (2).

Da parte loro, le organizzazioni della sinistra estrema sostengono le rivendicazioni generali degli studenti come il “diritto all’istruzione per tutti” e chiamano i lavoratori a sostenere la loro lotta. Così si torna a chiamare i lavoratori a lottare per delle prospettive e degli interessi che non sono i loro!

La lotta contro il mercanteggiamento dell’insegnamento è un’utopia piccoloborghese: sotto il capitalismo tutto l’insegnamento è interamente modellato e strettamente condizionato dalle leggi di questo modo di produzione; è impossibile, perciò, considerare un sistema di insegnamento che vi si sottragga. Non meno delle altre istituzioni statali o para-statali, la scuola e l’univesità non possono essere tranquillamente riformate per essere messe al servizio del “popolo” o degli sfruttati, contrariamente a ciò che vorrebbero far credere tutti i difensori del capitalismo. E’ per questo che la rivendicazione politica proletaria non è una riforma dell’istituzione scalastica e universitaria, la sua democratizzazione, l’accesso gratuito all’insegnamento superiore, la “non-mercantilizzazione” dell’insegnamento, ma la distruzione della scuola e dell’università borghesi, allo stesso titolo che le altre istituzioni dello Stato borghese per lasciare lo spazio, in una società senza classi, a nuove forme di insegnamento dei giovani e meno giovani che non sboccheranno più sulla formazione di specialisti socialmente privilegiati. Ben inteso, questo obiettivo passa dalla rivoluzione e dalla presa del potere da parte del proletariato.

Non vi è dubbio che i proletari non possono rimanere indifferenti di fronte alle difficoltà e alle lotte della piccola borghesia (o di aspiranti piccoli-borghesi come sono gli studenti); non vi è  alcun dubbio che bisogna opporsi a tutte le misure repressive prese dai poteri borghesi contro gli studenti – e non per ragioni umanitarie o democratiche, ma per i loro stretti interessi di classe, perché le stesse misure sono (e saranno) impiegate contro le loro lotte: la lotta contro la repressione borghese, contro le leggi “liberticide” fa parte della lotta proletaria elementare.

Più in generale, i proletari non possono restare indifferenti perché l’attacco subito dalla piccola borghesia fa parte dell’offensiva capitalista generale di cui  essi sono il bersaglio fondamentale. Se fosse necessario dimostrare l’interesse che essi hanno a far sì che questo attacco fallisca, sarà sufficiente leggere un editoriale del principale quotidiano borghese québécois, secondo il quale se il governo cedesse agli studenti: “non vi sarebbe più il modo di apportare qualunque riforma nel Québéc” (3), rimanendo inteso che, per “riforma”, i borghesi intendono misura antisociale e antioperaia. Ma questo non significa affatto che i proletari devono mobilitarsi ed entrare in lotta per difendere la posizione sociale degli strati piccoloborghesi, allorché essi conoscono già le più grandi difficoltà a mobilitarsi per la loro propria causa!

L’orientamento proletario non è di servire da ausiliario alle aspirazioni degli studenti, di sostenere le loro prospettive, dunque di portarsi sul loro terreno della riforma delle istituzioni dello Stato (o della difesa dei vecchi modi di funzionamento delle istituzioni) e dell’ordine sociale borghese; ma di chiamarli a metterrsi sul terreno proprio del proletariato che è quello della lotta di classe contro questo Stato borghese e contro il capitalismo: è contro il capitalismo che bisogna lottare! Non per una riforma democratica, ma per la rivoluzione comunista!

I riformisti sono già all’opera per canalizzare la “primavera araba” nella via inoffensiva delle elezioni e le trattative fra i partiti vanno avanti senza intralci. Ma nessun cambiamento elettorale potrà arrestare gli attacchi capitalisti, ma servirà soltanto a cercare di paralizzare coloro che vengono colpiti. La lotta degli studenti e l’eco che essa incontra sono il segno che le contraddizioni sociali si accumulano inesorabilmente; esse spingeranno presto o tardi i proletari ad  entrare essi stessi in lotta in maniera molto meno episodica e isolata di quel che non è stato fino adesso. Le opposizioni fra le classi, che in realtà non cessano mai sotto il capitalismo, vanno manifestandosi sempre più.

Per resistere ai capitalisti e al loro Stato, le manifestazioni pacifiche, gli orientamenti democratici, gli appelli all’opinione pubblica, devono lasciare spazio alla lotta di classe vera, opponendo le due classi fondamentali della società, la borghesia e il proletariato. E’ allora che si affermerà con urgenza sempre più pressante il bisogno del partito di classe, dotato di una prospettiva chiara e senza ambiguità, fondata sulla difesa degli interessi esclusivi del proletariato, per dirigere e centralizzare le lotte avendo come obiettivo ultimo di finirla con la dittatura del capitale e instaurare la dittatura del proletariato, prima tappa verso una società senza classi.

Se questa oggi appare una prospettiva difficile e lontana, essa è in realtà la sola realista, ed ogni altra prospettiva politica, come quella di un ritorno all’ “epoca dorata” dello Stato-provvidenza, non potrebbe che sboccare in un impasse e in uno scacco.

In questa era di crisi economica sempre più generalizzata del sistema capitalistico, non vi è più posto per delle riforme sociali che permettano di dare briciole ai lavoratori in cambio della pace sociale. La borghesia ci vuol far pagare la crisi del suo sistema, ma solo la lotta di classe ci permetterà di respingere i suoi attacchi, di cui il rincaro delle spese per l’istruzione nel Québéc non è che una delle componenti, prima di poter passare in seguito all’offensiva!

 


 

(1)   Citato in un articolo del gruppo trotskista International Group. Cf http:// www .internationalist.org / quebec studentstrike against capita11205.html

(2)   Si può leggere l’appello nel sito blocquonslahausse.com: “Noi non facciamo qui un appello ad un appoggio di facciata in cui qualche sindacalista redige un comunicato per reiterare un’ennesima volta il loro appello alla lotta studentesca. Noi desideriamo, al contrario, chiamare ad una convergenza dell’insieme della popolazione québécoise contro le politiche di tagli e di mercantilizzazione dei servizi sociali e dei nostri diritti collettivi. Solo una generalizzazione dello sciopero studentesco sui luoghi di lavoro potrà rendere questa convergenza effettiva. E’, dunque, un appello allo sciopero sociale che noi lanciamo all’insieme della popolazione” (Sottolineato da noi). Cfr. www. blocquonslahausse.com / vers_la_greve_generale / vers-la-greve-generale/vers-la-greve-sociale

(3) La Presse, 13/4/12. Con una tracotanza tutta borghese, l’editorialista qualifica lo sciopero studentesco di “marinare la scuola”! Cfr. http:// www. lapresse.ca / debats / editoriaux / andre-pratte / 201204 / 12 / 01.4514826-une-crise-artificielle.php

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

15 luglio 2012

www.pcint.org

 

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