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Ancora elezioni, ancora gigantesche fregature per i proletari!

 

 

Ormai non passa anno che in Italia non vi sia una tornata elettorale, politica o amministrativa. Quest’anno, in febbraio, si terranno le elezioni politiche e, in contemporanea, le elezioni in alcune regioni.

Le elezioni politiche per rinnovare il parlamento e per la formazione di un nuovo governo; le elezioni regionali, in Lombardia e in Lazio – due tra le più importanti regioni italiane -  per rinnovare i rispettivi consigli regionali caduti sotto una serie continua di indagini giudiziarie per corruzione.

Il governo Monti, nominato dal presidente delle repubblica in seguito all’azzoppamento del governo Berlusconi e con l’intento di portare la legislatura al suo termine istituzionale senza dover ricorrere ad elezioni anticipate, è esso stesso inciampato sui pali di sostegno forniti da PdL, PD e UDC – partiti che insieme formavano la maggioranza parlamentare. Il governo Monti aveva anche il compito sostanzialmente di “rimettere in ordine” il bilancio dello Stato e ridare allo Stato italiano una credibilità internazionale indispensabile per ottenere fiducia – e quindi prestiti e investimenti – dai grandi istituti finanziari mondiali. Rimettere ordine nei conti dello Stato, per il governo borghese e soprattutto in tempi di crisi economica, significa principalmente tagliare i costi dello Stato ed aumentare le tasse. I tagli adottati sul pubblico impiego, sulla sanità, sulle pensioni, sull’erogazione dei tanto amati ammortizzatori sociali, sono stati quel segnale che i grandi istituti finanziari europei e mondiali attendevano: credibilità internazionale accordata! Nel frattempo sono aumentati i disoccupati soprattutto nelle fasce giovanili, sono aumentati i precari, il lavoro nero e clandestino, e sono diminuiti drasticamente i salari, le pensioni e tutti gli ammortizzatori sociali quali mobilità, cassa integrazione, sussidio di disoccupazione, assegni familiari, assegni di sostegno ecc. I giovani non trovano lavoro, i licenziati quarantenni o cinquantenni non trovano altra collocazione lavorativa nonostante siano esperti e qualificati, le donne vengono sistematicamente  escluse dai processi lavorativi. Nello stesso tempo, aumentando enormemente la pressione sociale, e approfittando ancor più del periodo di crisi economica, la borghesia padronale intensifica ogni azione che produce concorrenza fra i proletari provvedendo sia direttamente nelle proprie aziende sia attraverso lo Stato e le cosiddette riforme, a ulteriore dimostrazione che lo Stato non solo non è mai al di sopra delle classi ma è sempre più asservito al capitale.

Governo Berlusconi ieri, governo Prodi l’altro ieri, governo Monti oggi, governo Bersani domani?

Sostanzialmente per i proletari e le proletarie nulla cambierà in meglio, perché ogni governo borghese risponde, più o meno bene, alle supreme esigenze del capitalismo. E non importa se un Bersani si vuol far riconoscere più europeista e più “attento” al mondo del lavoro di un Berlusconi e di un Monti, o se un Monti si vuole imporre sul terreno politico con la pretesa di ottenere anche qui la stessa performance ottenuta presso i grandi poteri finanziari internazionali: il futuro per i proletari sarà comunque di lacrime e sangue!

Possono dunque le elezioni odierne ottenere un risultato più interessante per i proletari di quelle del 2008 o del 2006 o di qualsiasi altra precedente? NO!

Da anni le tornate elettorali sono state sempre più simili a vere e proprie campagne pubblicitarie attraverso le quali ogni partito cerca di piazzare la propria merce presso il mercato dei voti. Gli stessi sondaggi rivelano la necessità da parte dei vari partiti di adottare meccanismi rispondenti a criteri di marketing, come le grandi aziende usano fare normalmente tutte le volte che devono rovesciare nel mercato i loro nuovi o rinnovati prodotti. Se negli anni Cinquanta o Sessanta resisteva ancora l’abitudine da parte dei partiti di rifarsi ad un contenuto ideologico e fare campagne elettorali puntando sulle differenze “ideologiche” spiegando in qualche modo i propri programmi politici, da qualche decennio si è passati rapidamente ad imbonire le masse attraverso slogan semplici ma impattanti (tipo: ...che più bianco non si può), personaggi televisivi, sensazionalismi e gossip di ogni genere. La democrazia, da presunto nobile e puro ideale in grado di risvegliare nei governanti come nei governati i più alti sentimenti e i più buoni propositi, si dimostra sempre più una veste sdrucita che non riesce più a coprire l’oscena mercificazione dei corpi come degli spiriti.

Noi della Sinistra comunista, dalla lunga tradizione rivoluzionaria, non abbiamo mai smesso di portare la nostra battaglia contro la società borghese della merce, del denaro, della proprietà privata, della concorrenza, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, su tutti i piani, anche su quello che la stessa classe borghese a suo tempo rivoluzionaria faceva discendere dal suo più grande ideale democratico: la sovranità popolare rappresentata, attraverso il suffragio universale, dagli eletti al parlamento. Astensionisti per convinzione politica basata sul bilancio storico della democrazia borghese, abbiamo comunque accettato disciplinatamente, nel 1920, le indicazioni dell’Internazionale Comunista sostenute da Lenin circa la tattica del “parlamentarismo rivoluzionario” perché voluta dalla maggioranza dell’IC e perché condizionata espressamente dal principio programmatico antidemocratico, inciso a fuoco nelle tesi generali dell’IC, dell’abbattimento dello Stato borghese e di tutti i suoi istituti, primo fra tutti il parlamento, attraverso la rivoluzione proletaria per sostituirvi la dittatura di classe del proletariato, con il suo Stato e i suoi istituti indirizzati a trasformare l’intera società da società divisa in classi in società di specie in cui le classi non esistono più.

Il nostro astensionismo rivoluzionario, battuto al congresso dell’Internazionale Comunista del 1920, ha avuto, dalla storia stessa delle lotte di classe e dalla storia del movimento comunista internazionale, una drammatica conferma: la tattica del parlamentarismo “rivoluzionario”, applicata in particolare nei paesi capitalistici avanzati e di lunga tradizione democratica, si è trasformata nel giro di pochi anni nella tattica parlamentare tout court, dunque in un potente vettore dell’opportunismo riformista che, con tanta energia, era stato combattuto da Lenin, Luxemburg, Bordiga, nel decennio precedente.

Che il parlamento non sia più il luogo dove vengono prese le decisioni politiche ed economiche che riguardano l’intera collettività sociale è cosa risaputa dal marxismo fin dal suo primo apparire. Oggi, la stessa borghesia dominante di ogni paese dimostra che le decisioni politiche ed economiche che contano, e che condizionano i governi di tutti i paesi, le prendono i grandi monopoli e i grandi istituti finanziari mondiali: i governi e i parlamenti sono chiamati, in sostanza, a trovare la forma politica, istituzionale, burocratica e amministrativa per applicare in ciascun paese quelle decisioni. E l’esempio non lo dà solo la Grecia, strangolata proprio dai cosiddetti “poteri forti internazionali”, ma gli stessi Stati Uniti d’America come dimostrano le difficoltà di Obama nel far passare una leggera “riforma sanitaria” o una normativa restrittiva per il possesso di armi. La differenza tra i due paesi? E’ negli Stati Uniti d’America che hanno sede molti di quei “poteri forti” da cui dipende l’economia capitalistica mondiale.

Le elezioni, e quindi il parlamento in cui vanno a depositare il loro privilegiato deretano gli eletti “dal popolo”, si riconfermano essere un gigantesco inganno, in particolare per il proletariato che è l’unica classe sociale che storicamente possiede una teoria e una prospettiva rivoluzionaria, totalmente antagoniste ai fini della classe borghese dominante: contro la conservazione sociale borghese e il prolungamento nel tempo del modo di produzione capitalistico, il proletariato non ha parlamenti, voti, opinioni, culture da opporre; possiede la forza del numero e rappresenta la forza produttiva dal cui esclusivo sfruttamento il capitale trae il suo profitto, perciò il proletariato possiede una prospettiva storica che nessun’altra classe sociale ha: la trasformazione della società divisa in classi in società senza classi, in comunismo.

Il percorso storico del proletariato per la sua emancipazione dal capitalismo è tremendamente accidentato, ed uno degli ostacoli maggiori è costituito dalle illusioni che la democrazia borghese somministra a piene mani: l’illusione che il proprio numero possa contare nella società solo se viene espresso attraverso la scheda elettorale; l’illusione che il miglioramento delle condizioni sociali di vita e di lavoro possa avvenire solo conciliando gli interessi proletari con gli interessi borghesi; l’illusione che il benessere collettivo e la vita pacifica siano raggiungibili solo gradualmente, passo passo, sacrificio dopo sacrificio, mantenendo alto il senso della famiglia e della patria; l’illusione che ognuno deve pensare prima di tutto a se stesso ed esercitare i diritti sanciti dalla legge inchinandosi ad essa. Ma la realtà vera, la realtà di classe, soprattutto nei periodi di crisi come quello che stiamo attraversando, lacera sempre più il velo con cui la classe borghese nasconde il suo vero dominio: il potere borghese è dittatoriale, è dittatura di classe con cui impone con la forza del potere economico e con la forza delle armi i suoi interessi, e non c’è scheda elettorale che possa frenare la sempre più veloce circolazione dei capitali, la sempre più avida accumulazione di profitti, la sempre più inesorabile corsa ad uno sviluppo capitalistico forsennato e anarchico indirizzato storicamente a scontrarsi con crisi economiche sempre più ampie e profonde fino alla crisi di guerra guerreggiata.

Il proletariato non ha alcun interesse in comune con la borghesia: è antagonista in tutto. Oggi, intossicato com’è da decenni dall’inganno democratico e dall’individualismo, costretto ad una concorrenza tra schiavi salariati che lottano tra loro per un tozzo di pane nella vasta arena del mercato mondiale, non si accorge di possedere una forza sociale di cui la borghesia ha timore, non solo perché nello scontro di lotta essa può perdere quote dei propri profitti a favore del proletariato che lotta in difesa dei suoi interessi immediati, ma, soprattutto, perché la lotta proletaria di difesa è destinata prima o poi a trascrescere in lotta di classe e, quindi, rivoluzionaria. Questo salto di qualità avviene solo in un caso, quando il proletariato in lotta incontra il partito politico di classe, il partito comunista rivoluzionario, l’unico organismo collettivo che possiede la coscienza di classe del proletariato, la coscienza dei suoi compiti e fini storici.

Questo partito era il Partito bolscevico di Lenin, il Partito comunista tedesco di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, era l’Internazionale Comunista del 1919-1920, era il Partito comunista d’Italia del 1921. Una linea storica continua lega questi partiti al Manifesto del partito comunista del 1848 di Marx ed Engels, e li collega al Partito comunista internazionale oggi rappresentato da un pugno di militanti comunisti rivoluzionari come un pugno di militanti comunisti è stato sempre il nucleo che formava l’embrione di quei partiti.

Non ci spaventa il fatto di essere un pugno di militanti: il partito storico, ossia la teoria del comunismo, è il più alto risultato storico del secolo XIX, l’unico che abbia letto le società umane nella loro successione storica e non solo fino al capitalismo, ma oltre il capitalismo, fino al comunimo integrale. Il marxismo, dunque, ossia il materialismo storico e dialettico e il socialismo scientifico, è un risultato storico che appartiene al proletariato inteso come unica classe rivoluzionaria della società moderna: nessuno lo può cancellare perché affonda le sue radici nel mondo reale e non nel mondo delle idee, nel mondo fisico della lotta fra le classi e dello sviluppo delle forze produttive.

Il marxismo può essere dimenticato, falsato, revisionato a causa di un rapporto di forza sfavorevole alla rivoluzione, e quindi al prevalre storicamente temporaneo delle forze di conservazione sociale e dell’opportunismo: ma i fatti economici e sociali, lo sviluppo delle forze produttive e il contemporaneo sviluppo delle contraddizioni della società capitalistica non si cancellano, come non si può cancellare la lotta di classe fra proletariato e borghesia.

La stessa borghesia sa perfettamente che il proletariato possiede una forza potenzialmente rivoluzionaria in grado di disarcionarla dal potere e distruggerla come classe dominante prima di distruggere le basi economiche e sociali della divisione stessa in classi della società. Perciò la borghesia continuerà ad impegnare risorse e forze per mantenere il proletariato nelle condizioni di sudditanza non soltanto economica e sociale, ma anche politica e ideologica;  essa continuerà a rincoglionire le masse proletarie con l’elettoralismo, il parlamentarismo, l’individualismo, l’illusione di vincere al lotto o diventare “protagonista per un giorno”, l’illusione di poter emergere da condizioni di sfruttamento schiavistico grazie ad un voto, senza mai dimenticare di alimentare la sopraffazione degli uni sugli altri compensata dalla speranza e dal pentimento religiosi. Finché la lotta di classe non irromperà sulla scena sociale, tremenda e potente da far tremare i polsi al grande borghese come al borghese piccolo piccolo: allora la partita non sarà più sul piano elettorale e schedaiolo ma sul piano dello scontro sociale, violento e organizzato. Le elezioni, finché funzionano come deviatore principale della forza proletaria , sono come le medicine somministrate ciclicamente per rinnovare quella specie di anestesia sociale in cui il proletariato è caduto da decenni; la borghesia, dopo averlo chiamato a sacrificarsi per il bene dell’economica del profitto, lo chiamerà per irreggimentarlo per la sua guerra imperialista, e conta sul fatto che quell’anestesia sociale metta il proletariato nelle condizioni di non avere più la forza di ribellarsi e di rivoltarglisi contro.

Ma l’accumulazione inevitabile delle contraddizioni economiche e sociali prodotte dal capitalismo e dal suo irrefrenabile sviluppo, imporrà al potere borghese, ad un certo punto, l’abbandono anche delle forme democratiche più insignificanti, scoprendo in questo modo il vero dominio borghese dittatoriale di classe sulla società ormai sempre meno coperto dai veli della democrazia; le masse proletarie saranno quindi, per ragioni di sopravvivenza elementare, spinte sul terreno dello scontro di classe: la fisica polarizzazione delle forze sociali tenderà così a schierare le forze lavoratrici da un lato e le forze padronali e reazionarie dall’altro, ponendo la grande questione storica: rivoluzione o controrivoluzione, dittatura del proletariatio o dittatura borghese imperialista. In questa prospettiva storica i comunisti rivoluzionari non possono agire che secondo i dettami della teoria marxista e i bilanci dinamici dell’esperienza delle lotte di classe del passato; ed è sulla base di questi ultimi che la democrazia e l’elettoralismo sono stati definitivamente gettati alle ortiche.

Per noi, comunisti rivoluzionari, l’astensionismo elettorale e parlamentare è un tassello del mosaico che compone l’intera nostra preparazione rivoluzionaria: non si può essere rivoluzionari comunisti oggi, e tanto meno domani, se non si lavora coerentemente per la rivoluzione proletaria, soprattutto in tempi in cui la rivoluzione è ancora lontana. Il partito di classe lo si prepara di lunga mano affinché il proletariato, quando inizierà a marciare sul terreno dello scontro di classe, trovi il partito già esistente e attivo, temprato in una prassi politica coerente col programma e con i compiti della rivoluzione.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

14 gennaio 2013

www.pcint.org

 

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