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Ucraina: l’intossicazione nazionalista non impedisce ai minatori di scioperare contro la guerra. Un primo passo sul lungo cammino della ripresa di classe! 

 

 

La guerra in Ucraina, come più di vent’anni fa nella ex-Jugoslavia, è la risposta borghese alla crisi economica che strangola i paesi e ai contrasti che vedono affrontarsi nuovamente gli imperialismi americano ed europei soprattutto con l’imperialismo russo sulla lunga cerniera costituita dai paesi dell’Europa dell’Est.

I nazionalismi esacerbati con cui, in Ucraina, le diverse fazioni borghesi si combattono – ucraini filorussi che invocano il “diritto all’autodeterminazione” e ucraini filo-occidentali che inneggiano alla difesa dell’unità dello Stato nazionale – sono armi ideologiche utilizzate dalle classi dominanti per mobilitare le masse popolari, e soprattutto proletarie, a difesa esclusivamente di interessi nazionali e regionali che nulla hanno a che vedere con gli interessi proletari i quali, oltre al sistematico sfruttamento come forza lavoro da cui estorcere plusvalore, e quindi profitto capitalistico, vengono trasformati in carne da cannone sia sui fronti bellici avversi che nelle città bombardate.

Gli interessi borghesi affondano le proprie radici nel modo di produzione capitalistico che si basa sullo sfruttamento intensivo ed estensivo della forza lavoro proletaria; regolato dalla proprietà privata e dall’appropriazione privata della produzione di merci, il sistema capitalistico non è in grado di funzionare se non attraverso una concorrenza che diventa sempre più feroce e spietata nella misura in cui il capitalismo, sviluppandosi, accresce i fattori di contrasto e di crisi sia all’interno del proprio mercato nazionale sia nel mercato internazionale. Questo sviluppo non procede in modo gradualmente progressivo, ma a strappi sempre più violenti; strappi che si ripercuotono inevitabilmente a livello politico allargando o diminuendo le distanze e gli attriti che le aziende e, soprattutto, i gruppi economicamente e finanziariamente più forti, si fanno sistematicamente; attriti che il capitalismo non ha alcuna possibilità di regolamentare e risolvere pacificamente e che, in ogni nazione, la classe dominante borghese affida al proprio Stato il cui potere e la cui forza armata sono utilizzati essenzialmente a difesa degli interessi nazionali, perciò borghesi. Le crisi economiche non aggrediscono solo l’economia e, quindi, i rapporti di produzione fra capitalisti e proletari, ma le loro conseguenze si diffondono su tutti i piani: politico, diplomatico, di relazioni nazionali e internazionali, militare. I soci di un tempo si trasformano in concorrenti, gli alleati in nemici, la difesa degli interessi  dei gruppi economici più importanti diventa la difesa degli interessi “nazionali”, la “patria” appare con maggiore evidenza come il simbolo ideale degli interessi nazionali che le classi dominanti borghesi hanno sempre preteso identificare come interessi di tutto il popolo, aldilà di ogni distinzione di classe, mentre non sono altro che interessi della classe borghese dominante e, in particolare, delle frazioni borghesi più forti che condizionano pesantemente la politica di ogni Stato, asservendola a proprio favore. Nell’epoca dell’imperialismo, quindi della cosiddetta “globalizzazione”, in cui al capitalismo interessa in un modo o nell’altro qualsiasi angolo della terra, ciò che succede in un paese è destinato a non rimanere limitato a quel paese, tanto più se si tratta di un paese inserito nelle zone di forti contrasti interimperialistici.

Perciò, il contrasto politico, e poi armato, che in Ucraina è esploso in questi ultimi anni, tra fazioni borghesi e piccoloborghesi di origine russa, la cui popolazione, minoritaria nel paese, si è stabilita soprattutto in Crimea e nelle regioni dell’est Ucraina, sobillate, foraggiate e armate dalla Russia, e il governo ucraino con sede a Kiev, con l’invio del proprio esercito, a “difesa” dell’unità nazionale, è un contrasto che riporta direttamente ad interessi economici e politici che sconfinano inevitabilmente nei due territori economici e politici che insistono inevitabilmente sull’Ucraina: la Russia, alla quale era federata fino al 1991, e l’Europa occidentale rappresentata nell’ultimo periodo dalla UE.

 Dall’implosione della vecchia URSS in avanti, tutte le zone di confine tra la Russia e i paesi dell’Europa occidentale, tra la Russia e i paesi del Caucaso e dell’Asia centrale, sono diventate territorio di conquista da parte degli imperialismi più forti, a cominciare dagli Stati Uniti per continuare con la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia: territorio di conquista dal punto di vista economico, finanziario, politico e militare; e non va dimenticato che, aldilà della perdita da  parte di Mosca dei vecchi paesi-satelliti, la Russia ha sempre mantenuto la sua vecchia ambizione imperialistica di influenza a livello mondiale e non ha mai smesso di tentare la riconquista anche solo parziale dei territori confinanti. La vecchia URSS, uscita vincitrice dal secondo macello imperialistico mondiale, era riuscita a costituire intorno a sé una serie di paesi-satelliti che funzionavano da territorio-cuscinetto rispetto agli imperialismi europei occidentali e, contemporaneamente, da economie piegate militarmente alle esigenze del capitalismo di Mosca. Paesi-satelliti nei quali, per le conseguenze della guerra a livello economico e sociale, il proletariato avrebbe potuto costituire un serio pericolo per i poteri borghesi, soprattuto se si fosse mobilitato nelle forme para-insurrezionali come a Berlino nel 1953.  Mosca, infatti, era impegnata a mantenere l’equilibrio del nuovo ordine mondiale in condominio con l’imperialismo americano, ma, nello stesso tempo, ad assicurarsi la difesa dei propri interessi mondiali e dei propri confini sia sul versante euro-occidentale che sul versante asiatico fino all’estremo Oriente. La Russia, dopo il 1991, costretta a ritirarsi in confini ben più ristretti anche della vecchia Russia zarista, non ha però perso le sue aspirazioni imperialistiche; è stata sempre  pronta ad approfittare delle debolezze dei paesi resisi indipendenti da allora e di una congiuntura internazionale che vede gli Stati Uniti, in particolare, e gli altri imperialismi europei, in difficoltà su molte zone del mondo, a cominciare dal Vicino e Medio Oriente e dall’Africa del Nord  e sub-Sahariana.

L’Ucraina, da diversi anni in grande difficoltà economica e finanziaria, indebitata fortemente sia con il FMI (per alcune decine di miliardi di dollari) che con la Russia (per il gas, soprattutto), nel tentativo di ottenere accordi vantaggiosi con la UE e nell’avvicinamento ad un’eventuale collaborazione militare con la Nato, si inimica la Russia che non ci pensa due volte ad accelerare, sebbene indirettamente, il processo di annessione della Crimea – già Repubblica autonoma nello stato ucraino – per la quale, grazie ad un un trattato d’amicizia con l’Ucraina firmato nel 1997, si era impegnata a non avanzare alcuna pretesa di annessione (ennesima dimostrazione di quanto valgano i trattati d’amicizia fra Stati capitalitici). Inutile dire che l’interesse da parte russa verso la Crimea è soprattutto quello di salvaguardare la sua base navale di Sebastoli nel Mar Nero e di avere un controllo più diretto dei confini con la Turchia (alleata Nato), oltre a quelli con l’Ucraina stessa e per avere più libertà di movimento della propria flotta verso i Dardanelli e, quindi, il Mediterraneo. Il sostegno russo delle milizie ucraine separatiste filorusse nelle regioni orientali – la parte più industrializzata e mineraria del paese – aldilà di ogni dichiarazione ufficiale, interessa Mosca sia dal punto di vista economico che politico e militare. Sarà molto difficile per l’Ucraina, e per gli stessi imperialismi europei e nordamericano, riportare la situazione nei precedenti confini “nazionali” ucraini: il contrasto che ha dato origine alla guerra partigiana dei separatisti filorussi sarà difficilmente sanato in un periodo breve, date le condizioni generali dei rapporti interimperialistici odierni, se non, in un primo tempo, con una accettazione almeno parziale dell’annessione alla Russia della Crimea accompagnata, se non dall’annessione, da una larghissima autonomia della regione del Donbass che comprende la Repubblica di Donets’k e l’altra regione industriale e mineraria, la Repubblica di Lugansk, verso le quali esercitare un’influenza determinante.

Le notizie che giungono sulle vicende e sui conflitti in atto in Ucraina, attraverso i media europei, sono notizie chiaramente tendenziose: demonizzano lo “zar” Putin e nascondono una buona parte della realtà. Ad esempio, che, soprattutto da parte “filorussa”, vi è l’utilizzo di mercenari perchè nelle regioni dell’Est la popolazione non sostiene per nulla la guerra pro-annessione alla Russia; mentre il governo di Kiev, da parte sua, deve fare i conti con ammutinamenti (1) e manifestazioni delle madri dei soldati che continuano ad opporsi alla guerra (2). E ciò che dal punto di vista proletario è altrettanto interessante, è il fatto che i minatori del Donbass, pur non potendo contare su sindacati di classe, e tanto meno su un partito proletario di classe, sono scesi in sciopero nel maggio e giugno scorsi contro la guerra e per l’aumento dei propri salari, come a Donetsk, a Krivoy Rog e in molte miniere del Donbass (3).

Aldilà delle motivazioni del tutto confuse, impregnate di un nazionalismo all’acqua di rose, per le quali i soldati si sono ammutinati e si sono rifiutati di partire per “il fronte”, e aldilà della mancanza di prospettive di classe anche nella stessa lotta immediata dei minatori, resta il fatto che da parte proletaria è stata espressa una certa rottura della solidarietà nazionale e della collaborazione interclassista. Di per sé questa rottura non ha generato e non genererà automaticamente un movimento di classe da parte del proletariato ucraino – non importa se di origine russa, ucraina, tatara o che altro – questo lo sappiamo bene, ma è un segnale che vale per i proletari in generale: ci si può opporre alla guerra borghese e non si deve aver paura di scioperare per i propri interessi immediati e, nello stesso tempo, contro la guerra; questa solidarietà tra proletari ha una sua forza e può pesare, almeno all’immediato, nelle decisioni che gli Stati in contrasto tra di loro devono prendere. E’, d’altra parte, un segnale anche per le classi borghesi che non possono usare a proprio completo piacimento le masse proletarie ed è in ragione anche di questo – ma non solo di questo, certo – che Russia, da un lato, e governo di Kiev dall’altro, hanno deciso di attenuare la reciproca pressione militare giungendo recentemente ad una forma di “cessate il fuoco” che permetta di “discutere” le rispettive “ragioni”.

Gli scioperi e gli ammutinamenti non sono stati tali da impedire il proseguimento dello scontro armato nelle regioni dell’Est dell’Ucraina; non ci si poteva aspettare tanto da un proletariato decapitato da decenni sia nelle organizzazioni sindacali classiste che nel partito politico di classe. Ma quel che non è avvenuto nella guerra nella ex-Jugoslavia, è accaduto in Ucraina. Una differenza di clima sociale non si può non rilevare.

Resta comunque il fatto che la stragrande maggioranza dei proletari sono ancora profondamente intossicati dal democratismo e dal nazionalismo. La cosiddetta “rivoluzione arancione”, che in Ucraina avrebbe voluto portare in una delle più importanti repubbliche ex-sovietiche il vento della democrazia, della libera e pacifica espressione degli interessi di ognuno e, soprattutto, della più accelerata privatizzazione delle aziende e della circolazione dei capitali, nel rispetto della cosiddetta piena sovranità nazionale, non è stata che l’ennesima illusione borghese: in epoca imperialista la sovranità nazionale si riduce ad una forma ideologica, pretesto per passare da “aggrediti” da parte di concorrenti più forti e per chiedere l’aiuto agli “alleati” del momento in propria difesa, mentre nei fatti economici e finanziari di fondo – cioè quelli che determinano le politiche dei governi – essa funziona come paravento e “ufficio di rappresentanza” dei grandi poteri, nazionale ed extranazionali.

Rifarsi perciò alla sovranità nazionale, al diritto internazionale, ai trattati d’amicizia e d’alleanza, è alla fin fine un modo per intorbidire le acque e pescare secondo interessi non apertamente dichiarati ma imposti con la forza. I movimenti popolari che inneggiano alla pace, alla democrazia, al negoziato in cui i contendenti trovino accordi che soddisfino i reciproci interessi, alla lotta contro la corruzione e l’illegalità, e che, scimiottando gli “indignati” francesi, spagnoli, greci o italiani, si chiamano Euromaidan o simili, sono in realtà carrozzoni ideologici e politici lanciati contro l’eventuale risveglio di classe del proletariato. I proletari ucraini, proprio di fronte all’esasperazione della concorrenza capitalistica che si trasforma in uno scontro armato tra Stati o frazioni borghesi in fortissimo contrasto fra di loro, nello sciopero dei minatori del Donbass dimostrano materialmente che gli interessi proletari e gli interessi borghesi sono opposti gli uni agli altri, sono inesorabilmente antagonistici. Su questa via i proletari possono trovare l’indirizzo di classe con cui riconoscersi classe in grado di imporre con la propria forza, il proprio movimento, le proprie organizzazioni, uno scontro su un terreno completamente diverso, quello dello scontro aperto fra le classi: contro la guerra borghese, contro la guerra fra Stati, la guerra di classe.

Ma la guerra fra le classi non nasce in una notte. I proletari devono abituarsi a sentirsi classe opposta a tutte le altre classi della società, con interessi opposti oltre che molto più lungimiranti agli interessi borghesi; i proletari devono riconquistare fiducia nelle proprie forze non soltanto a livello episodico, ma con continuità nel tempo e nello spazio e per orttenere questo risultato devono riorganizzarsi sul terreno di classe, a livello immediato per cominciare, e a livello politico per il quale destinare le forze migliori poiché è nel partito politico di classe, il partito comunista rivoluzionario, che potrà trovare e riconoscere la sua unica e vera guida storica per la propria emancipazione dal capitalismo.

Combattere contro l’ubriacatura nazionalista, da un lato come dall’altro, per i proletari non sarà una “scelta” ideologica, ma il risultato di una lotta che inizia inevitabilmente sul terreno della sopravvivenza, sul terreno della difesa esclusiva degli interessi immediati proletari e della sua organizzazione. E’ su questo terreno che nasce la solidarietà di classe, quindi l’unione dei proletari in un’unica lotta contro le forze della conservazione borghese, della conservazione capitalistica. Non è tornando all’economia cosiddetta “pianificata”, o accelerando l’economia “di mercato”, che i proletari potranno trovare una soluzione accettabile e condivisibile delle proprie condizioni materiali di vita e di lavoro. Come nella vecchia URSS, così nella nuova democrazia o nella nuova repubblica popolare, l’economia è stata ed è capitalistica, il potere è della classe borghese dominante e, quindi, il nemico fondamentale non è cambiato, è sempre lo stesso: la borghesia dominante che rappresenta il capitale, con le sue aziende, le sue banche, i suoi trust, il suo Stato, il suo esercito e la sua polizia!

Al proletariato, in realtà, sotto qualsiasi cielo, in Ucraina o in Siria, in Europa o in Cina, in Russia o in America, la via da imboccare non ha alternative storiche: è la via della lotta a tutto orizzonte contro le forze di conservazione sociale, borghesi o piccoloborghesi che siano, inneggianti la democrazia o la sharia, il cristianesimo o il laicismo. Nella lotta per la sopravvivenza della classe sfruttata dal capitale, il proletariato troverà, come trovò nel passato glorioso delle rivoluzioni dal 1848 in poi, la propria strada di classe. La storia non ha fretta, anche se da troppi decenni i proletari di tutto il mondo soffrono indicibili tragedie al solo scopo di essere immolati al dio Capitale.

 


 

(1) http: // ndilo.com.ua/ news/u-viyisku-rozpochavsja-bunt.html, e http: //ukraineantifascistsolidarity.wordpress. com/ 2014/ 05/ 30/ beginning-of- rebellion-in-the-ukrainian-army/

(2) http:// ukraineantifascistsolidarity. wordpress.com/ 2014/ 06/ 02 /soldiers-relatives-protests-spreading-in-ukraine/  e anche http:// www. aitrus. info/ node/ 3875/  attraverso http: // libcom.org/ forums/news/protest-ukraine-02122013?page=11#comment-541714   

(3) http:// liva.com.ua/ miner-war.html, attraverso http:// ukraineantifascistsolidarity.wordpress.com/ 2014/ 05/ 30/ donetsk-miners- strike- against- war-eyewitness-account/, oltre a http:// www.marxist.com/donetsk-miner-strike.html

   

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

14 Settembre 2014

www.pcint.org

 

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