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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                        


 

Referendum sull’Europa:

I proletari britannici non hanno alcun “pro” o “contro” da sostenere!

 

 

La campagna elettorale per il referendum sul restare o uscire della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha preso nelle ultime settimane un’agitazione sempre più aspra (una deputata laburista che faceva campagna per restare nell’UE è stata assassinata per mano di un militante di estrema destra), mentre in precedenza essa incontrava una certa indifferenza, soprattutto fra i proletari e gli strati laboriosi della popolazione. I partigiani della Brexit (uscita dall’UE), oltre al loro argomento tradizionale della difesa della sovranità britannica, hanno sempre più messo in primo piano nella loro propaganda la “minaccia” che rappresenterebbe il flusso dei lavoratori immigrati europei ed extra-europei nel paese, fomentando i sentimenti nazionalisti e sciovinisti; da parte loro, i partigiani della permanenza nella UE si sono sforzati di drammatizzare i rischi di crisi economica che rappresenterebbe l’uscita dall’UE.

I recenti sondaggi che prevedevano una maggioranza di elettori per la Brexit hanno d’altra parte provocato non solo una caduta della sterlina, ma anche una cadute delle borse, e non solo europee, preoccupate delle conseguenze di un tale avvenimento sull’economia mondiale già in pieno rallentamento. La Gran Bretagna, in effetti, è una delle principali economie europee, e le inevitabili perturbazioni economiche che rappresenterebbe la sua uscita dall’UE non sarebbero per nulla trascurabili, perlomeno nell’immediato. E’ perciò che le organizzazioni internazionali come l’FMI o l’OCSE hanno messo sull’avviso contro questa eventualità, facendo eco ai discorsi allarmisti del primo ministro Cameron o della Banca d’Inghilterra (la Banca Centrale del Regno Unito).

Sapendo che la maggior parte del commercio britannico si fa con l’Unione Europea (a seconda dei mesi, dal 38 al 48% delle esportazioni, e dal 47 al 55% delle importazioni, secondo le statistiche doganali ufficiali), si capisce che i settori capitalisti più importanti del paese, sia le grandi imprese che la City londinese – vero centro finanziario d’Europa – siano partigiani della permanenza nell’Unione Europea; l’80% dei membri della Confederation of British Industry, che raggruppa le più grandi imprese, sono di questo avviso. Durante la sua visita ufficiale in Gran Bretagna nell’aprile scorso, il presidente Obama ha esortato i britannici a restare nell’UE; egli esprimeva in questo modo gli interessi di numerose aziende americane che si sono trapiantate nel paese per poter avere un accesso più comodo al mercato europeo (un mercato di più di 500 milioni di abitanti), godendo di un ambiente linguistico, legale e sociale, più simile a quello del loro paese d’origine. Queste aziende patirebbero inevitabilmente della cancellazione del libero accesso a questo mercato.

Tuttavia, il fatto che importanti forze politiche borghesi (compresi dei ministri del governo Cameron attuale!) si siano dichiarate favorevoli alla Brexit, si spiega col fatto che certi settori capitalisti ne avrebbero vantaggio; è soprattutto il caso delle piccole e medie aziende che lavorano per il mercato locale (o quello del Commonwealth, ossia di quel che resta dell’antico impero coloniale), e che vedono nei regolamenti europei un danno per i loro affari: press’a poco la metà dei padroni di queste piccole e medie imprese si dichiarano partigiani della Brexit.

Si può trovare un’espressione di questa divisione fra i borghesi britannici nel fatto che la Camera di Commercio britannica ha dichiarato la sua neutralità sulla questione (dopo che il suo presidente, che ha dovuto per questa ragione dimettersi, si era dichiarato partigiano della Brexit in un discorso tenuto durante una riunione in cui Cameron era andato a patrocinare la permanenza nell’UE!). Negli ambienti partigiani dell’uscita dalla UE, certuni stimano che l’avvenire del capitalismo britannico si gioca con più chances sui mercati non-europei, asiatici o altro, stante in calo, da una quindicina d’anni, la proporzione degli scambi commerciali realizzati con l’UE; mentre altri pensano che liberandosi degli obblighi del “mercato unico” europeo permetterebbe di accrescere la competitività delle merci made in Great Britain in rapporto a quelle europee...

 

Uscire o restare nell’Unione Europea: una falsa alternativa per i proletari britannici

 

Il primo ministro Cameron aveva senza alcun dubbio deciso di tenere il referendum per ragioni politiche espressamente interne; ma aveva anche utilizzato la minaccia di chiamare al voto per la Brexit al fine di ottenere delle concessioni dagli altri Stati europei (e questo rende ben poco credibile le sue affermazioni sulle conseguenze catastrofiche di una uscita dall’UE). Come si sa, ha ottenuto soddisfazione sulla possibilità di non accordare, prima di un certo numero di anni, gli assegni sociali ai lavoratori venuti dall’Europa, ossia di fare di questa parte di proletari che vivono nel paese una manodopera a buon mercato, supersfruttabile dal capitalismo britannico. Gli assegni sociali non sono per nulla un regalo accordato dai borghesi ai proletari, ma quel che si chiama “salario indiretto”, altrimenti detto la parte di salario che non è direttamente versato ai lavoratori: diminuire questa parte di salario significa abbattere il salario reale pagato dai capitalisti ai loro dipendenti. Dopo aver accordato questo ai borghesi britannici – senza troppe difficoltà! – i dirigenti europei hanno riconfermato... lo statuto speciale della Gran Bretgna nella UE; ottenuto dai governi precedenti, lo statuto speciale si traduce nel fatto che il paese non faccia parte della zona euro e nemmeno dello “spazio Schengen” (che permette la libera circolazione delle persone), e che la Gran Bretagna benefici di esenzioni dalle regole europee in determinati campi cruciali, come quello della finanza. Che fossero laburisti o conservatori, i govenri successivi hanno sempre saputo difendere efficacemente gli interessi particolari del capitalismo britannico di fronte ai loro proletari come di fronte ai loro partners-concorrenti europei! E sarà così anche domani, quel che risulti dal referendum...

La conclusione è chiara: i partigiani della Brexit come quelli della permanenza nell’UE non sono divisi che sul modo migliore di difendere gli interessi borghesi. I proletari della Gran Bretagna non devono sostenere né gli uni né gli altri, perché sono tutti egualmente nemici di classe. Contro i difensori della sovranità britannica che sarebbe minacciata dall’Unione Europea, come contro i partigiani della permanenza in questa alleanza di Stati borghesi che è l’Unione europea per preservare il capitalismo nazionale, il solo campo per il quale i proletari devono prendere parte è quello dell’indipendenza di classe e dell’unione internazionale dei proletari.

Ma non è questo che dicono ai proletari i gruppi cosiddetti “rivoluzionari” esistenti nel paese: essi chiamano, al contrario, praticamente tutti a mobilitarsi in favore di uno o dell’altro dei due campi borghesi!

I gruppi che sono maggiormente a rimorchio del Labour Party fanno campagna come questi ultimi e gli apparati sindacali per un voto a favore della permanenza nell’UE; è il caso dei trotskisti di “Socialist Action” e di quelli di “Socialist Resistance”, giustificando questa loro posizione in nome della lotta contro il razzismo: E sì, certo, votare per la Fortezza Europa che è responsabile della morte di migliaia di proletari immigrati che cercano di traversare il Mediterraneo sarebbe proprio votare contro il razzismo!

Tuttavia, la gran parte dei gruppi e dei partiti di “estrema sinistra” sono per la Brexit, sia apertamente in nome della sovranità del paese, come i “marxisti-leninisti” di Communist Party of Britain, sia perché affermano che la UE è la principale forza capitalista che minaccia i proletari e che la Brexit indebolirebbe il Partito Conservatore: è quel che pretendono il Socialist Workers Party (principale partito di estrema-sinistra), il Socialist Party o gli spartacisti della International Communist League.

Per questi contorsionisti dell’una o dell’altra sponda, partecipare al referendum e sostenere delle forze borghesi sarebbe un’abile manovra in favore dei proletari! Essi dimostrano, in questo modo, di essere completamente estranei alla causa proletaria: sostenere un campo borghese e chiamare a partecipare alla mistificazione elettorale significa in effetti opporsi alle posizioni di classe che sono indispensabili per la lotta proletaria. La loro posizione su questa questione del referendum europeo è la dimostrazione della natura antiproletaria di questi diversi gruppi sedicenti socialisti o comunisti.

Esiste in Gran Bretagna qualche gruppo che si appella al “boicottaggio” del referendum, come il “Communist Party of Great Britain” (uno dei frammenti ultra-riformisti del vecchio Partito Comunista), o il gruppo trotskista “Socialist Equality Party” (membro di un “Comitato Internazioanle della IV Internazionale”, più conosciuto per il suo sito internet wsws.org). Ma tutto questo non è sufficiente, tuttavia, a definire una posizione autenticamente di classe, nelle loro dichiarazioni si appellano ad opporsi al nazionalismo britannico, certo, ma non chiamano mai ad opporsi allo Stato britannico! Oltre all’opposizione all’Ue e al nazionalismo britannico, il SEP avanza le parole d’ordine della “Unità dei lavoratori britannici e europei”, e degli “Stati Uniti socialisti d’Europa”, mentre il CPGB lancia il suo augurio per una “Europa Unita”, “anche se questo arriva sotto il capitalismo”!

Una parte importante di proletari presenti in Europa e in Gran Bretagna sono di origine non europea; i proletari africani, arabi, turchi, pakistani, indiani ecc. rappresentano una frazione assai significativa della classe operaia d’Europa e costituiscono un legame vivente che li lega ai proletari di questi paesi. Il proletariato d’Europa è di fatto in parte extra-europeo ed ogni orientamento politico che delle frontiere borghesi dell’Europa fa il suo quadro di riferimento, di fatto rifiuta una parte del proletariato e restringe la sua natura internazionale.

Il primo nemico dei proletari della Gran Bretagna, quale sia la loro razza o la loro nazionalità, è la “loro propria borghesia”, ben ancorata nella tradizione dello sfruttamento e del saccheggio imperialista, ed è il suo Stato, nella sua solidità storicamente senza eguali in Europa e nel mondo.

I soli alleati sui quali essi potranno contare nella lotta contro questo nemico molto coriaceo e molto esperto, sono proprio i proletari degli altri paesi europei e non europei che da ogni parte vengono presentati come una minaccia. Rigettare la propaganda borghese, liberarsi delle illusioni verso i benefici della democrazia borghese, rifiutare ogni falsa alternativa che presentano loro i capitalisti con l’aiuto dei loro lacché di sinistra e di estrema sinistra: tutto questo è una necessità elementare per dirigersi verso la riconquista dell’indipendenza di classe di cui essi, nella storia, sono stati i primi a dare l’esempio prima di essere soggiogati dalla potenza del loro capitalismo lanciato alla conquista del mercato mondiale.

Impegnandosi su questa via, i proletari della Gran Bretagna dovranno intraprendere di nuovo la lotta incominciata in altri tempi dai loro gloriosi predecessori per la costituzione del partito e delle organizzazioni di classe ferocemente antiborghesi, facendo rivivere la vecchia ma sempre attuale parola d’ordine: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

18 giugno 2016

www.pcint.org

 

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