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Due treni paseggeri si scontrano nella tratta Bari-Barletta:

23 morti accertati, 50 feriti di cui alcuni molto gravi.

Sua Maestà il Profitto Capitalistico pretende sempre sacrifici umani!

 

 

Martedì 12 luglio, poco dopo le 11 del mattino, due treni passeggeri, ciacuno composto da 4 carrozze, si scontrano nella tratta a binario unico Corato-Andria. Il treno in partenza da Corato alle 10,48 e il treno in partenza da Andria alle 10,58 dovevano incontrarsi nella stazione di Andria, lasciando quindi “libero” il tratto di binario unico che da Corato va a Barletta e che, in senso contrario, da Andria va a Ruvo di Puglia: si sono invece trovati sullo stesso binario a metà percorso, lanciati a 100-110 km orari, senza alcuna possibilità da parte dei macchinisti di frenare in tempo. A quel punto lo scontro era inevitabile: la maggior parte delle carrozze, scontrandosi, si sono distrutte a vicenda.

I morti accertati finora sono 23 e i feriti una cinquantina, di cui alcuni molto gravi, perciò il conto finale potrebbe essere più tragico di quanto già non lo sia.

Non è un “incidente” raro, ma l’ultimo di una serie drammatica di incidenti; e, come la stragrande maggioranza degli incidenti ferroviari avvenuti nell’era dell’alta tecnologia e dell’alta velocità, è dovuto ai sistematici risparmi sulle misure di sicurezza!

Nella tratta Bari-Barletta (molto utilizzata dal pendolarismo di lavoratori e studenti, e molto trafficata perché raggiunge direttamente l’aeroporto di Bari-Palese) transitano giornalmente 200 treni; una quantità notevole se si pensa che sulla tratta nazionale Bologna-Verona, dove avvenne nel gennaio 2005 il disastro ferroviario di Crevalcore, di treni, tra passeggeri e merci, ne transitano giornalmente 80. Ma quel che caratterizza questa tratta ferroviaria, data in concessione ad una compagnia privata (la Ferrotramviaria spa) – sono 6.000 i km di rete ferroviaria in Italia dati in concessione a compagnie private o parapubbliche – è il fatto che non è sottoposta all’obbligo di investire in sistemi di sicurezza di ultima o penultima generazione come invece succede alla Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale) che, su tutte le proprie linee gestite direttamente ha inserito dei dispositivi (come  SCMT – sistema controllo marcia treno – o SCC – sistema di supporto alla condotta) che, praticamente, impediscono ai macchinisti di superare i limiti di velocità previsti e bloccano il treno se il conduttore, per distrazione, non si accorge del semaforo rosso. Non che questi sistemi tecnologici possano dare la certezza che non avverrà mai alcun incidente ferroviario – e infatti gli incidenti come quello della freccia rossa a Piacenza  e altri successi nelle tratte gestite direttamente da Rfi lo dimostrano – ma contribuiscono sicuramente a limitarli. Sta di fatto che nella tratta a binario unico Bari-Barletta il sistema di comunicazione tra le stazioni è ancora quello antico, chiamato un tempo “blocco telegrafico” e ora “blocco telefonico”, cioè un sistema che era in uso nell’Ottocento! Guarda caso è il sistema di comunicazione più economico che ci sia! Il sistema usato in Puglia, dunque, è vecchio di oltre cent’anni: siamo al “via libera telefonico”; cioè, come scrive il “Corriere della sera” del 13/7, “Capostazione, macchinista e capotreno si sentono al telefono per avere il semaforo verde e proseguire. L’errore umano è sempre possibile”. Certo l’errore umano, come in ogni attività, è sempre possibile... ma se è il sistema del profitto capitalistico a dettare le regole, ad imporre o meno determinati “standard”, l’eventuale errore umano viene inevitabilmente enormemente amplificato!

In realtà l’uso arretrato di sistemi di comunicazione e la mancanza di sistemi automatici di “subentro alla guida” del treno, non riguarda solo la Puglia; ad esempio, nella tecnologicamente avanzata Lombardia, la linea Asso-Seveso e quella Iseo-Edolo, anch’esse molto utilizzate dai lavoratori pendolari e dagli studenti, sono nella stessa situazione della Bari-Barletta: il rischio di strage ferroviaria è dunque sempre presente!

Secondo le ultime statistiche, a detta del presidente dell’Osservatorio Nazionale liberalizzazioni Infrastrutture e Trasporti, Dario Balotta (1): “La richiesta di traffico passeggeri negli ultimi 20 anni si è concentrata sulle linee a corta distanza, mentre in Italia si è investito soprattutto sull’alta velocità, abbandonando di fatto le linee secondarie, che sono spesso a binario unico”. Gli investimenti vanno dove il capitale costante mette in movimento più capitale variabile, più tempo di lavoro estorto dai lavoratori salariati; vanno dove il business è più corposo e veloce, ad esempio l’alta velocità che, in Italia, unico paese europeo, ha ben due gestori in concorrenza l’uno con l’altro: Trenitalia e Italo. Le linee secondarie sono poi le linee più utilizzate dai lavoratori, e vengono trattate alla stessa stregua: con il minimo di misure di sicurezza possibili, perché la spasmodica ricerca di profitto passa anche attraverso lo sfruttamento di infrastrutture obsolete (come succede per le strade e le autostrade, per i ponti e i moli dei porti e per le più diverse attrezzature).  

Come in tutti i casi precedenti, anche rispetto a questo “incidente” le diverse autorità cercano di individuare “la causa” del disastro e, soprattutto, il o i colpevoli e, non abbiamo dubbi, l’errore “umano” – il capostazione, e di quale stazione, di Andria o di Corato? Il macchinista del treno A o quello del treno B? – ha la maggiore possibilità di vincere nella oscena gara tra le cause del disastro.

La notizia di questa tragedia è rimbalzata perfino nelle maggiori testate internazionali: il New York Times, il Guardian, Le Figaro, El Pais, il Telegraph, il Mirror, la Suddeutsche Zeitung, addirittura Al Jazeera. E allora si capisce come mai il premier italiano Renzi si sia fiondato sul luogo del disastro dove era importante “farsi vedere” annunciando il solito ritornello che tutti i politicanti sono pronti a recitare in occasioni di questo genere: “non lasceremo la Puglia e i pugliesi da soli...” aggiungendo accoratamente “provo dolore per queste vite spezzate, ma anche tanta rabbia...”, lasciando poi al suo ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Del Rio, l’annuncio fatidico: “L’Italia ha diritto di conoscere la verità: non ci fermeremo”...

I capitalisti non ragionano con il cuore ma col portafoglio; i politicanti ragionano con la convenienza e con la demagogia. Quale verità potranno mai far emergere da tragedie come questa, se non la verità che fa comodo al potere borghese, ossia quella che non metterà mai in discussione il sistema economico e sociale capitalistico, quella che scoverà il colpevole addossandogli il peso di 23 morti e 50 feriti!

La disperazione dei familiari che non hanno più visto arrivare alle stazioni di Andria e di Corato i congiunti o gli amici, e che dovranno attraversare la tremenda esperienza di riconoscere i cadaveri dei propri cari, è soltanto attenuata dalla vicinanza dimostrata da tutti coloro che hanno immediatamente risposto alla richiesta di sangue per i necessari interventi sui feriti. Ma quella disperazione, come in tutti i disastri passati, sulle strade ferrate o asfaltate, nei terremoti o nei crolli, nelle alluvioni, nelle frane o negli “incidenti” di fabbrica, potrà trovare una risposta solo nella rinascita della lotta di classe, perché il vero colpevole, di tutte queste tragedie – per non parlare dei morti annegati nel Mediterraneo o sotto i bombardamenti di guerre scatenate solo per interessi capitalistici – è il sistema economico e sociale capitalistico i cui rappresentanti economici, sociali e politici, una volta asciugate le lacrime – una volta passato “il tempo per piangere” come deliziosamente ha voluto ricordare il premier Renzi – continueranno ad essere gli strumenti dello sfruttamento su cui si basa l’intero sistema capitalistico: lo sfruttamento del lavoro salariato!

La lotta di classe, la lotta dei proletari, dei senza riserve, dei nullatenenti, martoriati e intossicati nelle fabbriche-galere, abbandonati ad un destino crudele dopo essere stati spremuti per una vita dai capitalisti, vessati dalle banche e dai proprietari di casa, trattati peggio delle bestie nei treni pendolari; la lotta di classe, che i proletari prima o poi saranno costretti a fare perché non sopporteranno più le condizioni di sfruttamento, le vessazioni e le angherie di capitalisti e burocrati che vivono sulle loro spalle, è la via da imboccare sia per difendersi dagli effetti del sistema capitalistico (e i disastri ferroviari fanno parte di questi effetti) sia, un domani, raggiunto il livello di maturazione sociale che solo la lotta di classe, e la solidarietà nella lotta, possono dare, per contrattaccare rivoltandosi contro ogni forma di oppressione, vincendo finalmente quei sentimenti di disperazione, di rinuncia accorata, di ripiegamento in un “dignitoso” silenzio, che servono soltanto a lavare le coscienze di sfruttatori e politicanti che continuano a vivere dello sfruttamento e dell’oppressione della stragrande maggioranza della popolazione.

Il “tempo per piangere” serve ai proletari per dare sfogo al proprio dolore, ma, per non diventare l’unico tempo a propria disposizione, deve servire per raccogliere le forze e lottare per vivere!

Troppe tragedie, troppi disastri, troppi morti dovuti alla civilissima società del capitale! La rinascita della classe proletaria come protagonista dei propri destini non sta nel continuare a dare fiducia al potere borghese, nel contare sulla ricerca della “sua verità”, non sta nel piegare la testa e la schiena, generazione dopo generazione, di fronte ad un potere che appare invincibile e non sta neppure nell’illusione di poter modificare attraverso qualche legge le condizioni di vita e di lavoro in questa società. Sta invece nel riprendere il filo storico della lotta proletaria di classe, riconoscendo un antagonismo sociale che nella realtà esiste da quando esiste il capitalismo, ma che la classe dominante borghese maschera bene sotto le vesti della democrazi e della collaborazione interclassista.

La classe proletaria non potrà mai avere gli stessi interessi della classe borghese, della classe che vive esclusivamente sfruttandola fino alla morte.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

13 luglio 2016

www.pcint.org

 

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