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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Ancora elezioni, ancora parole vuote, inganni dolciastri, promesse di giustizia sociale e di buon governo che non verranno mai mantenute!

I proletari, per difendere i propri interessi di classe, devono uscire dall’intontimento paralizzante di una democrazia putrefatta e riconquistare il terreno della lotta di classe contro ogni appello interclassista a collaborare con la borghesia, che è il principale nemico di classe!

 

 

Proletari!

 

Per l’ennesima volta siete chiamati a sostenere un apparato parlamentar-burocratico attraverso elezioni politiche e regionali che non hanno altro scopo che ribadire una colossale presa in giro: che vinca la coalizione di centro-destra o di centro-sinistra, che vinca il movimento 5 stelle o che non vinca nessuno e vi chiamino prima o poi a votare nuovamente, nulla sostanzialmente cambierà per voi! I poteri politici, economici, finanziari e militari nazionali, pur lottando gli uni contro gli altri per accaparrarsi una fetta di potere più grande e intascare quote di profitto più consistenti, sono in realtà legati tra di loro da un unico grande interesse di classe che li spinge a difendere il modo di produzione capitalistico grazie al quale traggono i loro privilegi e i loro profitti; che li spinge a difendere, tutti insieme, uno Stato e una società costruiti sullo sfruttamento del lavoro salariato, sullo sfruttamento sempre più intensivo del proletariato.

Le differenze che separano un partito dall’altro riguardano soltanto i metodi e i programmi con i quali ognuno vuole garantire al capitalismo italiano le stesse cose: una più alta produttività, una più forte capacità concorrenziale rispetto ai capitalismi delle altre nazioni, un maggior peso a livello europeo e internazionale del capitalismo italiano, una più efficace governabilità e una più controllata e ordinata vita sociale.

C’è chi grida ad una “invasione straniera” di cui sarebbero protagoniste le centinaia di migliaia di immigrati che negli ultimi anni vengono catapultati sulle nostre coste dalla miseria, dalla fame e dalle guerre che l’Italia, paese supercivilizzato e superavanzato, insieme alla numerosa banda di briganti imperialisti, ha contribuito da più di centocinquant’anni a seminare in giro per il mondo, nelle sue avventure colonialiste e nelle sue operazioni militari e imperialiste a fianco delle altre potenze capitaliste che dominano il mondo. C’è chi grida all’identità nazionale che si starebbe perdendo a favore di un europeismo da comparse nel quale primeggiano altre nazioni che “si fanno rispettare” a scapito nostro. C’è chi grida alla necessità di affrontare le conseguenze di una lunga crisi economica e finanziaria che ha messo in ginocchio il “nostro” paese, come molti altri paesi, con uno sforzo comune, con l’aiuto di tutti per uscire dalla crisi e si appella al fatto che “ognuno faccia la sua parte” per l’interesse “comune”, per il più nobile e alto interesse del Paese con la p maiuscola. C’è chi chiama a raccolta le forze del lavoro perché i primi segni della “ripresa economica” siano anche il segnale per rivendicare migliori condizioni salariali e di vita, ma senza lottare con vigore e determinazione di classe perché il Paese e la sua economia nazionale hanno bisogno non di “scontro” ma di “collaborazione” e di un “comune sentire”. C’è chi si lancia contro i movimenti che rappresenterebbero la cosiddetta “antipolitica” per salvare la “politica onesta” dalla corruzione, dall’evasione fiscale, dal malaffare e dall’economia criminale. E tutti, chi più chi meno, buttano nella mischia elettorale qualsiasi personaggio, importa poco se corrotto, indagato o indagabile, oggetto di favori o soggetto di controfavori, purché garantisca un certo numero di voti, perché l’importante è mettere le mani nei posti dai quali è possibile gestire denaro pubblico o è possibile condizionare quella gestione.

Le elezioni del prossimo 4 marzo sono una delle tante brutte copie delle elezioni dei decenni scorsi. I partiti parlano sempre meno di programmi e di obiettivi, e sempre più di generiche intenzioni. Ci sono i partiti che si lanciano sul tema della sicurezza e quelli che si lanciano sul tema delle cose concrete fatte o da fare; i partiti che parlano di sostegno alle imprese e al lavoro e quelli che parlano di lavoro e di imprese, quelli che difendono la costituzione e quelli che giurano sul vangelo, quelli che portano la mano al cuore giurando fedeltà alla patria e quelli che la fedeltà alla patria la giurano col saluto romano; e ci sono quelli che alzano il grido “potere al popolo”, dopo aver alzato in anni trascorsi il grido di “potere operaio” e di aver osato magari parlare di “rivoluzione” e di “comunismo”.

La democrazia, questo ingrediente-base per qualsiasi minestra politica, li unisce tutti: tutti si rivolgono in effetti al popolo, a questa indifferenziata entità che in realtà nasconde classi ben distinte, interessi contrapposti, antagonismi che sfociano in lotte e guerre; ma la nazione, il popolo, come la patria e la società non sono che termini generici con i quali il vero potere economico e politico cela la propria dittatura di classe: tutti coloro che vogliono concorrere alle elezioni, che raggiungano o meno la percentuale minima per entrare al parlamento o per governare, condividono il sistema politico che conserva e rafforza il potere di classe borghese.

Conservare e rafforzare il potere di classe della borghesia, significa semplicemente conservare e rafforzare il potere capitalistico, dunque il sistema di sfruttamento del lavoro salariato e tutta la struttura economica che si basa sull’antagonismo tra capitale e lavoro salariato, sulle sue contraddizioni sempre più acute e sulle conseguenze drammatiche in termini di disoccupazione, di povertà, di affamamento che colpiscono strati sempre più ampi del proletariato e delle stesse classi medie rovinate sistematicamente dalle crisi capitalistiche.

 

Proletari!

 

La via d’uscita non è mai passata attraverso le elezioni, i dibattiti parlamentari e la democrazia; in verità non è mai passata nemmeno attraverso il totalitarismo politico di segno borghese, come il fascismo o il nazismo o il falso comunismo che prese il nome di stalinismo e dei suoi epigoni. La via d’uscita dalle contraddizioni della società capitalistica, dalle sue crisi e dalle conseguenze tragiche delle sue crisi, è stata già indicata dalla storia delle lotte di classe: è la lotta di classe del proletariato con la quale esso riconosce che il nemico di classe è la classe borghese e tutti i suoi alleati economici, politici e sociali; con la quale quindi accetta lo scontro di classe aperto a cui si organizza in modo indipendente indirizzando la propria lotta sotto la guida del suo partito politico di classe, il partito comunista rivoluzionario, per rovesciare il potere borghese ed instaurare il proprio potere di classe, la propria dittatura di classe, perché soltanto in questo modo è possibile trasformare completamente la società da una società in cui domina lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ad una società razionalmente organizzata e senza alcuna oppressione.

Oggi queste sembrano parole utopistiche, sembrano parole senza attinenza con la realtà. Ma sono le stesse parole che interpretavano la realtà dell’antagonismo di classe tra borghesia e proletariato nel 1848, nel 1871, nel 1917, nel 1927 e che risuonavano ancora, sebbene sommerse dal fragore della vittoria imperialista nella seconda guerra mondiale, in mille episodi di lotta proletaria in Italia, in Francia, in Gran Bretagna, in Polonia, in Russia, in Brasile, in Argentina, in Spagna e in molti altri paesi. Certo, l’espansione capitalistica che ha caratterizzato tutti i decenni dal 1945 in poi, nonostante le cicliche crisi economiche e pur in presenza di una serie interminabile di guerre locali che ancora sconvolgono, il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Asia centrale e che preparano un ulteriore scontro tra potenze imperialiste in una terza guerra mondiale, è riuscita finora a tener lontano le masse proletarie dalla loro lotta di classe: intrappolate nelle illusioni e negli inganni della democrazia, dei suoi metodi e delle sue pratiche devianti, le masse proletarie, soprattuto dei paesi imperialisti, sono ancora prigioniere delle “garanzie” sociali rappresentate dagli ammortizzatori sociali, o di quello che ne resta dopo i continui tagli delle varie politiche governative di “lacrime e sangue”, e sono tuttora fortemente indebolite da decenni di collaborazionismo con le proprie classi dominanti. Ma la via d’uscita non è cambiata, e saranno le più acute contraddizioni sociali e le tragedie della guerra imperialista che scuoteranno le masse proletarie e che daranno loro la forza di reagire non più sul terreno del negoziato e della collaborazione patriottica, ma della guerra di classe.

La via democratica alla pace, al benessere, al progresso porta in realtà alle devastazioni di guerra, alla barbarie, alla miseria e alla fame per milioni di proletari: non dà alcun futuro, se non di miseria e di morte. Il futuro sta dalla parte della lotta di classe proletaria, in ogni paese del mondo, ed ogni proletariato è naturale che inizi la propria lotta di classe nel proprio paese!  

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

26 febbraio 2018

www.pcint.org

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