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Gilroy (California), El Paso (Texas), Dayton (Ohio)

America bianca: stragi che diventano la normalità

 

 

Trentatre morti in 7 giorni: dopo la strage al Festival del cibo in California, quella al centro commerciale Wallmart in Texas e quella nel night club dell’Ohio. Non importa il luogo, l’importante è che vi sia parecchia gente, inerme, che si dedichi alle faccende quotidiane o che si diverta: i killer, armati fino ai denti con armi da guerra, improvvisamente piombano su di essa e sparano. I morti e i feriti sono un trofeo, magari annunciato attraverso i social media o giustificato con proclami anti-immigrati.

Il clima generale in cui si compiono queste stragi assume, ogni volta, l’aspetto del clima di guerra nel quale il killer del momento si eleva a «giustiziere» per conto della razza bianca, per conto di un’America che non si difende abbastanza dall’«invasione ispanica», dai «negri» o dai «musulmani», che non protegge come dovrebbe i privilegi della razza bianca; e quando queste giustificazioni per così dire ideali e ritenute nobili, vengono meno, scatta la rivalsa per torti subiti sul posto di lavoro, in famiglia, nel giro dei conoscenti o delle amicizie.

L’FBI ha chiamato queste stragi atti di «terrorismo interno», del tutto imprevedibili e quindi non preventivabili, per distinguerle dal quel «terrorismo islamico» che invece, negli anni, è stato individuato con una caratterizzazione politico-etnico-religiosa piuttosto definita, perciò – anche se imprevedibile riguardo al modus operandi e al momento dell’azione – preventivabile, se non altro nell’ambito di persone sospettate o sospettabili di far parte di organizzazioni terroristiche, dormienti o meno. Che poi l’FBI, la CIA o qualsiasi altra agenzia di sicurezza nazionale, riescano ad evitare che gli attentati dei terroristi islamici all’interno dei confini americani o all’esterno... è ancora da dimostrare, visto l’11 settembre 2001...

Ma questo cosiddetto «terrorismo interno», che in genere viene messo in atto da una sola persona o al massimo un paio, che radici ha? Su che cosa si basa e come si sviluppa?

Il suprematista bianco per eccellenza, mister Trump, diventato presidente, insiste fin dalla sua campagna elettorale, e tanto più dalla Casa Bianca (già, chissà come mai l’han chiamata «Bianca»...), sulla necessità di alzare uno smisurato muro lungo il confine col Messico per impedire, appunto, l’invasione ispanica, individuando facilmente, dopo l’islamico, un altro nemico contro cui agire. E c’è chi lo ha preso sul serio... come Patrick Crusius che da Allen, città vicino a Dallas, città in cui abitava, il 4 agosto è partito per El Paso, a nove ore di auto, per andare a sparare alla Wallmart con un Ak47, il famoso Kalashnikov; uccidendo 20 persone, tra cui 7 messicani, ferendone altre decine, prima che i poliziotti intervenuti riescano a  bloccarlo. El Paso è città di confine col Messico, quindi, per il killer di Allen, il teatro giusto per dimostrare che l’invasione ispanica va fermata sparando...

Una settimana prima, il 29 luglio, in una delle più note manifestazioni californiane dedicate al cibo, il Gilroy Garlic Festival di San Jose, festival che attira solitamente tra le 60 e le 80 mila persone, un uomo con giubbotto antiproiettile e pantaloni militari, entrato all’interno dell’area in cui si teneva la manifestazione, ha iniziato a sparare, sembra in tutte le direzioni, facendo 4 morti e più di una decina di feriti; pare che ci fosse anche un secondo sparatore. E due giorni prima, il 27 luglio, a New York si era verificata un’altra sparatoria in una festa di quartiere a Brooklin: un paio di uomini avevano aperto il fuoco facendo 1 morto e 11 feriti.

Poche ore dopo la strage di El Paso, i media danno notizia di un’altra strage (ormai le chiamano mass shooting, sparatorie di massa), questa volta a Dayton, in Ohio, con 9 morti e non meno di 26 feriti. Come negli altri casi, la strage avviene nel giro di pochi minuti, con fucili a ripetizione. L’aggressore, poco più che ventenne, anche lui con un giubbotto antiproiettile, pare fosse stato respinto all’ingresso di uno dei tanti locali della movida di Dayton; ha fatto in tempo a compiere la strage prima che la polizia lo uccidesse (1).

 

Queste stragi non sono rare in America, e ad ogni episodio del genere si alzano grida di condanna contro la facilità di procurarsi armi anche da guerra, contro il razzismo, contro gli atti d’odio. Non c’è presidente americano che, di fronte a simili atti, non abbia dovuto fare la sua dichiarazione. E Trump non è da meno. Ma Trump ha una spiegazione a portata di mano: come già di fronte al massacro di Las Vegas del 4 ottobre 2017, si tratta sempre e comunque di «malati di mente» che mettono in opera atti di pura malvagità (2). E non si fa sfuggire l’occasione per ribadire uno slogan che non è altro che lo slogan dei grandi produttori di armi: Non sono le armi ad uccidere le persone, sono le persone che uccidono le persone!

Oh, certo, è un’ovvia verità, ed è ormai risaputo da sempre che gli Stati Uniti d’America sono il paese in cui vi è la più grande diffusione di armi rispetto alla popolazione, d’altra parte la stessa cosa la si potrebbe dire per le automobili, per le salsicce o per lo shampoo... Le armi sono merci che vanno vendute e, in un paese popoloso e potente come gli Stati Uniti, chi mai può acquistare armi, oltre allo Stato, ai corpi di polizia privata e alle organizzazioni criminali? I singoli cittadini, naturalmente. Più si liberalizza la vendita di ogni tipo di arma, più se ne vendono. Negli Usa il numero di armi è superiore a quello della popolazione: ne circolano oltre 350 milioni, su una popolazione di 327 milioni di abitanti. Per i costruttori di armi è un mercato troppo importante per permettere che venga ristretto; infatti la lobby delle armi ha un peso notevole nel congresso americano, soprattutto presso i repubblicani, e lo stesso Trump ha goduto dei suoi finanziamenti nella propria campagna elettorale. Perciò, per non toccare il business delle armi, le stragi di massa devono trovare altre cause. E così, ai malati di mente, Trump aggiunge l’influenza negativa dei video games e i pericoli di Internet e dei social media... In fondo, non ha del tutto torto il presidente: certamente la cultura della violenza, la cultura della supremazia legata all’uso delle armi è uno strumento propagandistico di notevole effetto, ma attecchisce in una società che è eretta sulla violenza, che si basa sulla sopraffazione. La società capitalista, che basa tutto sulla proprietà privata e sull’appropriazione privata dell’intera produzione sociale, non è che il brodo di coltura di ogni genere di violenza, da quella istituzionale, statale, esercitata dalle forze di polizia e dagli eserciti, a quella individuale, giustificata se esercitata in difesa della proprietà privata, ma compresa – e naturalmente condannata moralmente e per legge – se espressione di disagio o di follia personale.

Nessun borghese, ovviamente, ammetterà mai che la sua società si basa su un modo di produzione che genera violenza e oppressione; non sarebbe una società divisa in classi contrapposte se non fosse così. Quindi, dato che questa società si fonda su un modo di produzione che non ha alternative possibili, rimarrebbe da lavorare sulle leggi, sulle compensazioni tra il «diritto» e la «forza», sull’equilibrio tra interessi fondamentalmente contrastanti, sulla mediazione tra i poteri forti che dirigono la società e la popolazione. Insomma si tratterebbe di mediare tra il potere dittatoriale del capitale, e dei capitalisti, a difesa delle loro specifiche esigenze e le esigenze della maggioranza della popolazione che vive del salario che riceve in cambio dello sfruttamento della sua forza lavoro. Il problema, quindi, si sposta, dalla causa profonda e materiale della violenza che questa società sprigiona da ogni suo poro, alle persone, agli individui. Il problema diventa: chi usa le armi e contro chi le usa.

In tempo di pace, la polizia americana predilige, spesso, usarle contro i neri o contro gli emarginati; nelle guerre sparse nel mondo l’esercito le usa contro i migranti e contro le popolazioni civili. Ma, se la diffusione delle armi non è limitata alle forze dell’ordine o ai militari – i quali sono autorizzati dalla legge a farne uso – ma qualsiasi persona può comprarsi armi non solo per usi «sportivi» o di «difesa personale», ma anche da guerra, è certo che in una società dove la competizione e la sopraffazione toccano i livelli massimi, come è certamente la società capitalistica americana, l’uso delle armi prende sempre più il posto delle parole, seguendo il vecchio motto ripetuto fino allo sfinimento dalla stessa filmografia americana: prima sparo, poi chiedo.

Nella visione borghese, non solo ideologica, ma anche della vita quotidiana, il perno intorno al quale tutto deve girare è l’individuo, la cui sacralità è sancita dalle leggi e dalle costituzioni. La scala dei valori è sinteticamente questa: individuo, proprietà privata, denaro, comunità, società. Tutto deve servire a soddisfare le esigenze individuali e chi possiede più mezzi per soddisfarle ha il «diritto» di utilizzarli, pacifici o meno che siano, come ha il «diritto» di esprimere attraverso di essi la propria insoddisfazione, il proprio disagio o le proprie follie. Ma l’uomo è un essere sociale e la vita sociale è molto complessa perché non è fatta da tanti Robinson Crusoe che sopravvivono, soli, in tante piccole isole separate e che se la devono vedere solo con la natura, ma da miliardi di uomini che producono, consumano, si accoppiano, generano altri uomini, vivono e muoiono in un mondo sociale che tende ad aggregare e a disgregare costantemente, seguendo le determinazioni materiali che la società divisa in classi contrapposte genera senza chiedere il permesso a nessuno. Sono perciò le tensioni, sempre più acute, generate dagli interessi contrapposti tra le classi, che esprimono, in questa società, la violenza che contraddistingue tutti i rapporti sociali esistenti, violenza che aumenta con l’aumentare delle situazioni di crisi economica e sociale di fronte alle quali ognuno si sente solo contro il mondo. Il peso di questa solitudine, di questo disagio, di questa paura, diventa ad un certo punto insopportabile tanto da trovare in atti di violenza in famiglia, nei posti di lavoro, nella società o contro se stessi lo sfogo necessario. La società capitalistica, che vive di violenza e genera sistematicamente violenza, mentre condanna una parte non indifferente di esseri umani a sfogare le proprie insoddisfazioni e i propri disagi con atti di violenza contro altri esseri umani, o contro animali, contro l’ambiente in cui si vive o contro se stessi, nello stesso tempo fornisce e diffonde rimedi morali e culturali con l’obiettivo di compensare il disagio e la violenza attuale con il mito della civile convivenza, del superamento dell’odio attraverso la rinuncia allo sfogo materiale e violento delle proprie insoddisfazioni, dell’accettazione delle proprie condizioni di sfruttato e di emarginato rispetto dalle quali trovare, nelle proprie caratteristiche individuali, la via d’uscita o la silenziosa e individuale rassegnazione.

Di fatto, la società del capitale vuole che gli uomini che la formano si scannino tranquillamente tra di loro, nelle carneficine di guerra, nelle sparatorie di massa o nelle violenze domestiche e individuali: l’importante è che il capitale, nei rapporti pacifici o violenti, ne esca sempre vincitore e che l’uomo sia sempre più asservito al capitale.

Non ci sono leggi, non c’è democrazia, non ci sono rimedi morali, culturali, religiosi che possano offrire una via d’uscita alla società capitalistica. Il «diritto» che la borghesia ha imposto alla società lo ha imposto, dapprima, con la forza e la violenza rivoluzionaria, poi con la forza e la violenza della conservazione e infine con la forza e la violenza reazionaria e imperialista. Rivolgersi alla stessa borghesia perché modifichi il suo atteggiamento verso le classi subordinate al suo potere e dia a queste classi la possibilità di elevarsi dalla loro condizione di classi subordinate al livello della stessa borghesia è come chiedere ad una banca denaro in prestito senza offrire in cambio alcuna garanzia materiale. Solo con la forza, con una pressione sociale che soltanto la classe dei produttori, la classe dei lavoratori salariati – dal cui lavoro la borghesia estrae i propri guadagni –, è possibile innestare sullo svolgimento della vita sociale attuale uno svolgimento completamente opposto, che contrapponga alle esigenze della società del capitale le esigenze della società degli uomini. Il «diritto» borghese che la stessa borghesia calpesta con violenza tutte le volte che sono in ballo i suoi interessi di classe, sarà apertamente e violentemente abolito dalla classe dei lavoratori salariati, dapprima, con la forza e la violenza rivoluzionaria, e poi sostituito con il «diritto» della stragrande maggioranza della popolazione che non avrà altro scopo che orientare tutte le forze vive e positive della produzione e della società non verso la conservazione della società divisa in classi, ma verso il suo superamento completo e, quindi, la sepoltura definitiva del modo di produzione capitalistico che è l’indispensabile terreno di coltura del capitalismo e, quindi, della classe dominante borghese.

Fino a quando la classe dei lavoratori salariati, dei proletari, dei senza riserve, non tornerà a riconoscersi come classe distinta dalla borghesia, con propri obiettivi storici e rivoluzionari, del tutto opposti a quelli borghesi, e scenderà nuovamente sul terreno della lotta di classe organizzata, aperta e decisa, e guidata dal suo partito di classe rivoluzionario, continueranno le guerre, le stragi, le violenze, le oppressioni, le sopraffazioni e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Soltanto la lotta di classe proletaria ha, e avrà, la capacità di attirare sul terreno positivo e storico le forze sociali oppresse dal capitalismo e dalla violenza del regime borghese; solo il proletariato, organizzato in difesa dei propri interessi di classe e lanciato a combattere su ogni terreno contro la borghesia e le forze sociali di conservazione capitalistica, è in grado di trasformare le energie, anche individuali – succubi ancora dell’influenza borghese dovuta alla pressione e all’oppressione capitalistica, e dirette verso sfoghi ciechi, negativi e senza sbocchi –, in potente forza sociale indirizzata al rivoluzionamento dell’intera società, nel quale ogni individuo non si sentirà più abbandonato a se stesso e costretto a combattere da solo contro il mondo, ma si confonderà in un movimento storico positivo facendone parte integrante, con la possibilità di essere finalmente uomo che lotta per una società di uomini e non schiavo del capitale equiparato ad una qualsiasi merce utile soltanto se scambiata con denaro e gettata nella spazzatura quando non è più vendibile.

La lotta di classe del proletariato non è stata, non è e non sarà la panacea di tutti i mali della società attuale: è l’unica strada per combattere tutti i mali di questa società e che ha per sbocco finale, in una lotta durissima e senza tregua contro tutte le forze reazionarie e di conservazione borghese che non si daranno mai per vinte, il superamento completo del capitalismo e, quindi, della società divisa in classi antagoniste. Alla forza borghese si dovrà rispondere con la forza proletaria, all’organizzazione delle forze di conservazione borghese si dovrà rispondere con l’organizzazione delle forze proletarie e rivoluzionarie, all’odio che la borghesia esprime contro tutte le classi subordinate attraverso il razzismo, lo sfruttamento, l’emarginazione, la repressione e la guerra di rapina il proletariato non potrà non rispondere che con l’odio di classe verso tutto quel che la classe dominante borghese rappresenta; alla violenza reazionaria borghese si dovrà rispondere con la violenza proletaria e rivoluzionaria, una violenza che non sarà mai cieca, negativa, gratuita, senza sbocchi, ma necessaria a difendere le organizzazioni proletarie e la loro lotta rivoluzionaria.

In effetti «non sono le armi ad uccidere le persone», ma sono mezzi che si usano per uccidere chi si sritiene un nemico; lo fanno sistematicamente il potere statale e le sue forze dell’ordine, funzionando come esempio per tutti coloro che credono di doversi individualmente sostituire ad essi. Quando si parla di forze sociali, e di classi che lottano l’una contro l’altra per difendere il proprio potere (come la borghesia attualmente) o per conquistarlo (come un domani il proletariato), la violenza è inevitabilmente di classe, da una parte e dall’altra.

  


 

(1) Notizie da “ilfattoquotidiano.it” del 29/7, 4/8, 6/8 e di “quotidiano.net” del 4/8/2019.

(2) Cfr. Massacro a Las Vegas, presa di posizione del partito, su www.pcint.org, 4 ottobre 2017, e su “il comunista”, n. 151, dicembre 2017.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

6 agosto 2019

www.pcint.org

 

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