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L’antisemitismo è parte dell’ideologia borghese

 

 

S’è fatto grande chiasso, nel corso degli ultimi due mesi, intorno alle pretese di antisemitismo mosse contro chiunque si sia levato a sostenere il grido del popolo palestinese trucidato (annotiamo, per esempio, che le vittime, ormai oltre le diecimila, sono composte da più di quattromila bambini, che dubitiamo fortemente possano essere tutti famigerati terroristi). Il nostro Partito, nella continuità storica e coerenza che lo contraddistingue, si trova costretto ad evidenziare la natura essenzialmente borghese di questi attacchi ideologici, evidenziando poi, nella pratica, come il movimento reale della Storia sia schierato indipendentemente da tali accuse. La nostra posizione sulla Palestina è infatti risaputa, ed è stata ribadita nell’ultimo numero de Il Comunista nell’articolo «Alcuni punti fermi sulla “questione palestinese”»: il rifiuto del compromesso borghese di uno “stato palestinese nazionale” (e nazionalista, democratico, capitalista etc. etc.) e l’appello, storicamente lanciato già nel 1848 dai nostri maestri ai proletari, affinché questi si uniscano in tutto il mondo in una lotta su base anzitutto classista. Da queste posizioni non è possibile desumere alcuna forma di antisemitismo, come di qualsiasi altra forma di razzismo.

L’accusa di antisemitismo è, in realtà, radicata nel tempo. Fin dalla pubblicazione del testo di Partito «Auschwitz, ovvero il grande alibi» gli ideologi della borghesia e dello stalinismo fintamente proletario ci accusano di negare le dirette responsabilità del nazifascismo nell’olocausto. Noi abbiamo sempre ribadito il seguente: «Rifiutandosi di vedere nel capitalismo stesso la causa delle crisi e dei cataclismi che sconvolgono periodicamente il mondo, gli ideologi borghesi e riformisti hanno sempre preteso di spiegarli con la malvagità degli uni o degli altri.» (1). Anche in questo caso, tra i missili lanciati con il supporto di Hezbollah e dell’Iran dai reazionari di Hamas e le bombe scagliate dall’esercito sionista su ospedali, scuole e case in modo indiscriminato, i democratici di ogni nazione vogliono vedere non la responsabilità del capitalismo come sistema sociale, come modo di produzione, ma semplicemente la malvagità di questo o di quell’altro gruppo, etnico o politico che sia. Il fallimento dell’ideologia democratica nel riconoscere i responsabili, in questo caso, dimostra anche come l’accusa di antisemitismo possa essere usata come arma strumentale contro le posizioni che sfidano l’ordine costituito. Come infatti l’ideologia democratica (che noi aborriamo) sfodera ad ogni piè sospinto l’arma mistica dell’antifascismo per illudere che la soluzione dei problemi sociali sia la sconfitta di un altrettanto borghese fascismo, così la stessa usa lo schermo del cordoglio per lo sterminio degli ebrei (poco importa, a quanto pare, che lo stesso «mondo democratico» non abbia fatto nulla, ai tempi della seconda guerra mondiale, ben sapendo cosa stesse accadendo) per impedire la manifestazione delle posizioni classiste intorno alla faccenda Palestinese.

Abbiamo dirette prove di come un vuoto antifascismo dell’opinione pubblica possa essere usato come arma di repressione. Leggiamo infatti sul quotidiano il Manifesto che il governo federale tedesco, di fronte alle imponenti manifestazioni a sostegno del popolo palestinese, ha risposto in primo luogo con i manganelli, in secondo luogo vietando non solo qualsiasi assembramento, ma anche di presentarsi nelle scuole con la tradizionale kefiah. Il gruppo giornalistico Bild avrebbe cominciato a pubblicare, tra l’altro, liste di presunti amici di Hamas (2). Impedita è qualsiasi manifestazione di dissenso nei confronti di un massacro sistematico di civili come quello che sta avvenendo a Gaza, proprio con la scusa dell’antifascismo: si giunge, per i democratici, ad un cortocircuito fatale. Nel nome della democrazia, si trovano costretti a reprimere il dissenso. Tutto questo può sembrare contraddittorio solo nei termini in cui si crede che la democrazia sia sostanzialmente differente dal fascismo per la sua natura di classe, cosa che invece noi neghiamo decisamente. Come abbiamo avuto modo di dire in altra sede: «6. Noi neghiamo che la «democrazia» e il «fascismo» corrispondano a tipi di società differenti, legati a modi differenti di vita e di attività sociale. Noi affermiamo che sono soltanto due forme diverse dello Stato borghese, assicurando l’una come l’altra, la dominazione del capitale e il suo funzionamento, ma in condizioni differenti.» (3) Ciò che importa alla borghesia è il mantenimento del dominio di classe, non dei diritti e delle libertà.

Ma queste accuse di antisemitismo nei confronti di chi, come noi, inorridisce per il massacro sono del tutto fuori luogo. Lo dimostrano i fatti, molto più che le parole. Se infatti tutti i manifestanti che hanno voluto mobilitarsi contro il massacro dei palestinesi (spesso con posizioni nazionaliste borghesi, ma talvolta con una parziale comprensione del problema sociale dell’imperialismo nel suo insieme) fossero in realtà mossi da una qualche forma criptica, segreta di antisemitismo, come può essere possibile ciò che è accaduto a Washington? Migliaia di ebrei si sono mobilitati, in risposta alla situazione palestinese, per manifestare il loro dissenso di fronte alle azioni criminali del sionismo, occupando il Congresso e venendo arrestati in trecento (4). A quanto pare, per l’ideologia democratico-borghese, questi debbono essere «ebrei antisemiti». L’assurdità delle pretese antifasciste si dimostra ancora una volta, ancor più che nelle nostre parole, che ribadiamo da decenni, nella realizzazione di queste. Uno dei rappresentanti della manifestazione ha del resto dichiarato «non lasceremo che il nostro timore dell’antisemitismo venga manipolato», inquadrando in modo decisivo come le campagne della borghesia contro il dissenso politico siano combattute, oltre che con arresti, persecuzioni ed omicidi, anche facendo scendere una cappa ideologica propriamente borghese nel tentativo generale di manipolare l’opinione pubblica.

La borghesia può continuare a sventolare i suoi stendardi maledetti (democrazia, antifascismo, legalità, collaborazionismo), illudendo chi, in questa fase storica, deve ancora comprendere in modo decisivo come stanno le cose. Noi, come Partito Comunista Internazionale, quindi antinazionalista, antidemocratico, classista e proletario, continueremo la nostra opera nello smascherare la natura borghese delle menzogne che la classe dei padroni prova a riversare, oggi come cinquant’anni fa, sul proletariato. Ed il proletariato, oppresso da due secoli e mezzo di dominio borghese e da cento anni di collaborazionismo di classe, oggi non si è ancora reso conto di come le calunnie dei propagandisti del capitalismo siano sollevate solamente per aumentare la sfiducia nelle proprie forze, nella solo lotta che lo porterà all’emancipazione, la lotta di classe. E quando la lotta di classe riprenderà in modo generale, il proletariato dimostrerà il suo valore non nella vuota sofistica della discussione democratica, ma nella concreta azione rivoluzionaria, nell’insurrezione generale, nella certezza dei suoi obiettivi storici.

Perché questo accada, rimane fondamentale il ruolo del Partito, della dittatura di classe, del marxismo rivoluzionario, che ha fornito e fornisce lezioni intramontabili alla classe operaia proprio per la conquista del suo potere. Naufragheranno così anche tutte le imposture che la borghesia ha composto per evitare il suo ribaltamento.

 


 

1) «Auschwitz, o il grande alibi», pubblicato nel nr. 11 del 1960 della nostra rivista teorica programme communiste, ripubblicato ne il comunista, n. 13, luglio 1988; disponibile in opuscolo nei Reprint «il comunista».

2) «A Berlino tira una brutta aria», il Manifesto, p. 4, 20 ottobre 2023.

3) «Ciò che noi neghiamo e ciò che noi affermiamo», il comunista, n. 52, novembre 1996; anche nel Reprint «Auschwitz: il grande alibi della democrazia».

4) «USA, ebrei pacifisti invadono il Congresso, arrestati in 300», il Manifesto, p. 5, 20 ottobre 2023.

 

26 novembre 2023

 

 

Partito Comunista Internazionale

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