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Mobilitazione del 20 dicembre in Argentina:

Né Milei, né il peronismo, né i sindacati collaborazionisti, né la farsa parlamentare!

L’unica via è la lotta di classe!

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Il prossimo 20 dicembre le principali organizzazioni politiche e sindacali della sinistra argentina hanno indetto una grande manifestazione nella Plaza de Mayo della capitale Buenos Aires, per protestare contro l’approvazione del primo pacchetto di misure del cosiddetto « piano motosega » del neoeletto governo Milei, Caputo e Bullrich. La mobilitazione, che integra sia le diverse correnti sindacali nazionali, raggruppate attorno alla CGT, sia le più grandi assemblee di piqueteros e i partiti che compongono la coalizione del Fronte di Sinistra (PTS, Partido Obrero ecc.), mira a paralizzare la città per tutto il giorno e a mostrare la capacità dell’opposizione parlamentare e del mondo sindacale di opporsi sia ai provvedimenti appena approvati sia a quelli che, senza dubbio, arriveranno nell’immediato futuro.

La vittoria elettorale di Milei è stata presentata, all’interno e all’esterno del Paese, come la vittoria di una corrente di destra anti-establishment, come se una forza sotterranea di malcontento plebeo, anti-sinistra e anti-statalista fosse improvvisamente emersa per « mettere ordine » nel paese e riportare l’Argentina nella posizione di prima categoria nella gerarchia mondiale che, secondo Milei, occupava una volta. A tal fine, e dal momento in cui l’attuale presidente è stato deputato dell’opposizione al governo di Alberto Fernández, è stato lanciato un programma di drastiche riforme economiche volte a controllare l’inflazione, la dollarizzazione del paese e, perfino, la soppressione della Banca Centrale, il tutto avvolto in slogan violenti contro « la casta », il peronismo e anche i sindacati e la sinistra in generale.

Ma in realtà il governo Milei non ha assolutamente nulla di nuovo. Non può nemmeno essere considerato « il governo Milei », perché non è altro che un raggruppamento dietro la bandiera di questo personaggio istrionico, della vecchia destra capeggiata da Macri e soci. In pratica, le misure economiche adottate con questa prima legge omnibus, che tocca sia la questione monetaria che quella fiscale, non hanno assolutamente nulla di eterodosso: dove si svolgeva una lotta all’inflazione che « non toccasse il popolo » (la frase è di Milei stesso), esistevano in realtà misure di svalutazione salariale causate dalla svalutazione del peso; dove le tasse dovevano essere abbassate, sono state aumentate per facilitare il compito ai grandi esportatori; dove i vantaggi della « casta » stavano per finire, c’è stata una parziale nazionalizzazione del debito societario privato. E tutto ciò si accompagna all’eliminazione dei sussidi, come quello dei trasporti nella Grande Buenos Aires, o alla loro riduzione a causa dell’inflazione.

Nessuna delle misure adottate può sorprendere o essere intesa come una rottura nel comportamento tipico della borghesia e dei suoi dirigenti politici nei paesi che necessitano di aggiustamento economico. L’unica differenza, e questo è qualcosa da sottolineare, è la forza con cui si intende attuare le riforme. Tutto il gioco democratico, lo spettacolo creato attorno alla figura di Milei ecc., puntano ad ottenere il sostegno (almeno temporaneo) delle classi piccolo-borghesi che saranno colpite dalle misure e alle quali è diretta la sua retorica del risparmio, del sacrificio ecc. Con ciò, con la mobilitazione di tipo populista che mira a coinvolgere le classi medie impoverite dalla crisi degli ultimi anni, l’obiettivo è quello di bloccare il proletariato, facendolo affondare nella marea montante della mobilitazione nazionalista per evitare qualsiasi tipo di risposta. Questa è la vera forza della democrazia, del rispetto dell’interesse supremo della patria e dello stesso gioco elettorale che funge da leva per mobilitare gli strati sociali più apertamente reazionari al fine di imporre quelli che in definitiva sono gli interessi dell’alta borghesia finanziaria e della oligarchia agraria del paese. Milei farà ciò che Macri voleva e non ha potuto fare, e lo farà nel modo più rapido e violento possibile perché la sua unica risorsa è sfruttare la forza della mobilitazione democratica che ha realizzato intorno a lui.

La classe operaia argentina, una delle più numerose del continente e anche una delle più povere degli ultimi decenni, ha alle spalle una lunga storia di rivolte e mobilitazioni. Dal Cordobazo del 1969 alle rivolte del 2001, passando per la dura repressione subita per mano della dittatura militare. Ed è proprio perché la sua storia di lotta (negli ultimi decenni, ma anche in epoche passate, quando i quartieri operai di Buenos Aires vedevano crescere la forza di un vasto proletariato immigrato italiano e spagnolo) è lunga e intensa che le grandi correnti della borghesia di sinistra – tra cui principalmente il peronismo in tutte le sue forme, e il sindacalismo concertativo – si sono sviluppate e hanno guadagnato una grande influenza tra i proletari: sono stati la risorsa della borghesia nazionale per contenere, per quanto possibile, la lotta di classe.

Soprattutto dopo le rivolte del 2001, quando è apparso il movimento piquetero, che esprimeva la tendenza dei proletari più poveri, dei disoccupati e dei precari, a lottare con i propri mezzi contro i padroni e contro il loro Stato, è raddoppiata la pressione della sinistra borghese sui proletari. I governi peronisti della famiglia Kirchner (perlopiù una vera e propria struttura mafiosa) cavalcarono l’onda del « socialismo del XXI secolo » che veniva dal Venezuela e dalla Bolivia per cercare di mettere fuori combattimento la classe operaia e farle abbandonare la via della lotta classista . La crisi economica del 2008-2013, che ha colpito duramente un paese che sopravvive essenzialmente grazie all’esportazione di materie prime e prodotti agricoli, nonché i successivi squilibri nella struttura della domanda internazionale di prodotti come la soia, ecc., hanno dato luogo a una situazione economica strutturalmente impossibile da risolvere e per la quale sono state applicate ricette di ogni genere. Dalla stimolazione della domanda ai prestiti del FMI, nessuna formula ha funzionato e la conseguenza è un’inflazione dilagante e un aumento della miseria tra la classe proletaria che non ha precedenti negli ultimi anni.

Per questo il proletariato argentino deve concentrare la sua rabbia e il suo odio di classe sia sul governo Milei che sui partiti che lo hanno preceduto e sui sindacati su cui si sono appoggiati. Deve rompere con una tradizione che non riguarda la lotta, ma la collaborazione con la borghesia, e che lo ha portato in questa situazione. Deve bandire il mito della patria, dell’interesse superiore del paese, che costituisce la dottrina di tutti i sindacati e delle correnti sindacali maggioritarie e che impedisce il necessario e aperto scontro con la borghesia (con i padroni, con la vera casta politica e imprenditoriale ecc. ). Deve rompere anche con le correnti che sostengono il Parlamento come il luogo in cui si può fermare l’offensiva borghese, che sostengono che la lotta elettorale può ribaltare la situazione creata dagli ultimi governi: sono le urne che hanno creato tutta la forza di cui oggi dispone il nemico di classe e questo avverrà sempre perché il parlamento è l’organo per eccellenza della collaborazione tra le classi e quindi della sottomissione del proletariato alla borghesia.

La classe proletaria argentina ha davanti a sé un lungo cammino di sofferenza e di miseria. Se questo cammino la porta a liberarsi delle illusioni politiche e sindacali che la legano alla borghesia e ai suoi alleati, se la porta a riprendere la lotta di classe sia sul terreno immediato dello scontro economico, sia nel campo più ampio della lotta politica per i propri fini... e allora sia benvenuta la sfida che la borghesia le lancia oggi.

Se la classe borghese vuole la guerra, il proletariato deve rispondere con la guerra, ma con la guerra di classe, l’unica che può dargli una speranza di vittoria.

 

18 dicembre 2023

 

 

Partito Comunista Internazionale

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