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La teoria marxista della moneta

(Rapporto alla Riunione Generale di partito a Marsiglia, dicembre 1968)

 

 

( Opuscolo A4, 29 pagine, Prezzo: 4 €, 8 FS) - pdf

 

 


 

Prefazione

 

 

Il tema che qui pubblichiamo è stato svolto durante la riunione generale di partito che fu tenuta il 30-31 dicembre del 1967 a Marsiglia nella sede locale, alla presenza di una nutrita rappresentanza delle sezioni soprattutto italiane e francesi. La teoria marxista della moneta, tema cruciale dell’economia marxista, assunse importanza attuale poiché si stava attraversando in quel periodo una crisi monetaria internazionale di notevoli dimensioni.

Come la grandissima parte dei temi trattati nelle riunioni generali, essi venivano  poi  pubblicati nella stampa di partito in resoconti estesi. Così La teoria marxista della moneta fu pubblicato nei numeri 5, 6, 7, 8, 10, 12, 14, 15 e 16 del 1968 de “il programma comunista” e, successivamente, in un resoconto ancor più completo, nei nn. 43-44 e 45 del 1969 della rivista teorica di partito “programme communiste”.

Facciamo precedere la ripubblicazione del testo relativo a questo tema dal breve resoconto riassuntivo pubblicato nel nr. 1 del 1968 di “programma comunista”  (Prima cronaca della riunione generale di Marsiglia)  grazie al quale si inquadra più precisamente e fin dall’inizio l’argomento in questione.

“Il sistema monetario internazionale è ammalato e l’ottimismo d’obbligo dei medici ufficiali non basta più a eliminare dai ‘bollettini sanitari’ una nota di sorda angoscia. Già la sterlina ha fatto parziale bancarotta e, se il dollaro spera ancora nella medicina da cavallo del ‘piano Johnson’, gli speculatori, come i topi che lasciano una nave in pericolo, si sono precipitati sull’oro. Economist ed ‘esperti’ sono accorsi a proporre il loro rimedio, il loro ‘piano’ e il gergo finanziario invade le colonne dei giornali. In attesa che la crisi mondiale si incarichi di insegnare agli ‘esperti’ e ai loro padroni borghesi in qual misura l’anarchia del modo di produzione capitalistico sia ‘pianificabile’, era utile rimettere a testa in su il mondo della finanza capitalistica, esponendo la teoria marxista della moneta: utile, prima di tutto, per illustrare la cecità  teorica della scienza borghese, eternamente condannata a scambiare l’effetto per la causa, l’apparenza per il fenomeno (non considera essa i capitalisti come dei ‘datori di lavoro’, mentre la loro funzione sociale è di appropriarsi il lavoro altrui?); utile, in secondo luogo, per mettere in evidenza il carattere unitario, anche in questo campo,  della dottrina marxista; utile, infine, per  mostrare come solo questo utensile scientifico permetta di cogliere nel loro complesso concatenamento i diversi rapporti caratteristici del modo di produzione capitalistico e, superando di mille cubiti ‘l’obiettività scientifica’ del freddo contabile, di scoprirne le contraddizioni interne, di capirne la dinamica e, quindi, di formulare il programma della rivoluzione sociale che abbatterà definitivamente il vitello d’oro capitalista eretto sul piedistallo del lavoro salariato.

Seguendo il piano del Capitale, il rapporto è partito dallo studio della moneta e delle sue funzioni nella circolazione semplice delle merci, per giungere fino alle forme monetarie più elaborate, cioè alla moneta di credito. L’economia capitalistica, infatti, si apparenta ad alcune forme di produzione anteriori nella misura in cui è fondata sulla proprietà privata e quindi produce merci, non oggetti che possiedano semplicemente un valore d’uso: economia mercantile, il capitalismo è perciò stesso, e necessariamente, un’economia monetaria. Tuttavia, la moneta, questo rapporto di produzione ereditato dal passato, il capitalismo non solo lo generalizza, ma lo elabora completamente, lo incorpora alla sua dinamica; ed ecco l’era del credito, che si forgia i suoi propri strumenti monetari. Ma, come nota Marx, ‘l’economia detta di credito non è essa stessa che una forma dell’economia monetaria... Nella produzione capitalistica sviluppata, l’economia monetaria non appare più che come base dell’economia di credito’.

L’esposto quindi ha cercato costantemente di mettere in evidenza che la comprensione dei meccanismi del credito capitalistico (il credito, come la moneta, ha preceduto il capitalismo sotto la forma dell’usura, che del resto si ritrova nell’economia moderna; quanto al credito capitalista, esso riveste la forma di prestito di un capitale-danaro) suppone la conoscenza, da un lato, della moneta e del suo ruolo e, dall’altro, dei rapporti di produzione capitalistici e delle loro contraddizioni. E’, quindi, volutamente, in piena conoscenza di causa, che Marx affronta lo studio della moneta sotto la sua forma più semplice all’inizio del I libro del Capitale, riservandosi di trattare del credito moderno solo nel III libro. La moneta di credito può ‘smaterializzarsi’ fin che si vuole (come ogni moneta, del resto: la moneta di rame, poi il biglietto a corso forzoso, non hanno già sostituito la moneta d’oro o d’argento nella circolazione semplice delle merci?); non resta perciò meno una moneta, soggetta alle stesse leggi della moneta d’oro sonante e traballante.

E’ vero che il sistema bancario, centralizzando e unificando all’estremo il capitale-denaro di tutta la società sotto forma di capitale finanziario, sembra sopprimere mediante il credito tutte le limitazioni monetarie che intralciavano lo sviluppo della produzione. Accelerando la circolazione del capitale, e di conseguenza la produzione delle merci, esso dà ai capitalisti, nei periodi di prosperità, l’inebriante illusione di una ‘libertà’ meravigliosa. Ma, se così prepara, beninteso al modo capitalistico, l’effettiva socializzazione dei mezzi di produzione che sarà l’opera del socialismo, esso resta impotente a superare la contraddizione fra il carattere sociale della produzione e l’appropriazione privata dei suoi prodotti. Non è la sfera finanziaria che regge tutto, come s’immagina il banchiere, ma sono la produzione e la circolazione del capitale che si riflettono in quel mondo d’ombre che è la Banca.

Una ‘cattiva’ politica monetaria, nota Marx, può scatenare una crisi finanziaria che avrà i suoi effetti sulla produzione e sulla circolazione. Ma non è vero il reciproco: la migliore delle politiche monetarie non può nulla contro la crisi del modo di produzione capitalista; il mondo della finanza può solo rispecchiare, in maniera specifica, la crisi generale dell’economia. Dalla fine della II guerra mondiale, la borghesia internazionale, istruita dall’esperienza del primo dopoguerra, e forte di una pace sociale duratura grazie alla collaborazione dei partiti ‘comunisti’ ufficiali spinta (lo si voglia o no) dalla dinamica dell’imperialismo - economia mondiale - ha messo in piedi un sistema monetario internazionale che realizza una solidarietà crescente delle monete nazionali, un’unificazione del capitale finanziario su scala mondiale (unificazione al modo capitalistico, che non esclude, anzi implica la concorrenza). Nel 1848, chiudendo il suo Discorso sul libero scambio, Marx esclamava: ‘Insomma, il sistema della libertà di commercio affretta la rivoluzione sociale. E’ solo in questo senso rivoluzionario, signori, che io voto a favore del libero scambio’.

Allo stesso modo noi consideriamo oggi il perfezionamento e, soprattutto, l’internazionalizzazione del sistema monetario. Signori capitalisti, fate dunque del Fondo Monetario Internazionale una banca mondiale, come da diverse bande vi si suggerisce; e la crisi inevitabile della vostra società dilagherà a velocità fulminea per tutti i canali del capitale finanziario internazionale!”.

 

Partito comunista internazionale (il comunista) - febbraio 2014 - www.pcint.org

 


 

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