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Al grido “Blocchiamo Tutto” centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi nelle strade in più di 80 città italiane contro lo sterminio dei palestinesi a Gaza e contro l’economia di guerra
Lunedì 22 settembre si è svolto uno sciopero generale lanciato dall’USB cui hanno aderito i sindacati di base Adl Cobas, Cobas, Cub e Sgb. Questa iniziativa ha coinvolto proletari dei porti, dei trasporti, della sanità, della logistica, delle più diverse aziende pubbliche e private, perfino lavoratori a partita iva e, naturalmente, una massa notevole di giovani studenti, di universitari e di insegnanti – già protagonisti di manifestazioni pro-Palestina nei mesi scorsi – tanto da far parlare i vari media di un totale di centinaia di migliaia di partecipanti scesi in strada in più di 80 città italiane.
“Blocchiamo Tutto” è stata la parola d’ordine dei portuali di Genova che si sono rifiutati (in verità fin dal 2019) di caricare nelle navi armi e munizioni provenienti dagli Stati Uniti, dal Nord Europa e dall’Italia stessa verso Israele, ma anche verso la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti. L’esempio di Genova è stato seguito dai portuali di Ravenna, Livorno, Salerno, La Spezia e Trieste. Nel giugno scorso, ad esempio, a Ravenna, due container, pieni di munizioni trasportati via camion dall’Austria, sono stati imbarcati su una nave diretta in Israele senza alcuna autorizzazione ufficiale, col rischio per la vita dei portuali che non erano informati del carico pericoloso; la stessa cosa stava per succedere a Marsiglia, ma i portuali francesi fecero sentire il loro peso bloccando un carico di munizioni nella nave “Contship Era”, destinato a Israele e che doveva poi fare tappa a Genova e a Salerno prima di raggiungere il porto di Haifa.
Queste iniziative, di segno chiaramente proletario, dimostrano che i proletari sono contro la guerra, e tanto più contro lo sterminio della popolazione civile di Gaza. Il loro obiettivo è fare pressione sul governo centrale perché prenda a sua volta iniziative contro la guerra e contro lo sterminio di popolazioni inermi. Ma il governo Meloni, come i governi precedenti, continua ad andare dritto per la sua strada che è quella di salvare e difendere il business, mantenere buoni rapporti con qualsiasi altro governo – non importa se ha le mani sporche di sangue innocente – pur di difendere e incrementare i propri interessi economici e politici. Inevitabilmente, in assenza di organizzazioni sindacali di classe che guiderebbero le iniziative di lotta proletarie con obiettivi, mezzi e metodi molto più incisivi a danno degli affari delle industrie belliche e delle coperture politiche e amministrative che esse riescono sempre ad avere in tutti i passaggi necessari a finalizzare i propri profitti, queste iniziative sono destinate ad incidere solo in modo molto superficiale, pur testimoniando una spinta spontanea da parte dei proletari a mobilitarsi contro una guerra che sta mostrando tutti i suoi orrori contro un’intera popolazione inerme; una spinta che, in realtà, viene sistematicamente poi incanalata sul terreno della più rispettosa democrazia da parte di tutte le organizzazioni sindacali attuali, e naturalmente da parte di tutti i partiti cosiddetti “di sinistra” che stanno ancora prendendosi gioco delle masse elettorali ricantando il logoro e illusorio ritornello dei “due popoli, due Stati”, cosa che in ottant’anni dalla costituzione del solo Stato di Israele nessuna potenza mondiale ha mai davvero voluto e permesso nonostante le dichiarazioni ufficiali!
Le manifestazioni di strada pro-Palestina, soprattutto di studenti, che sono avvenute in questi due anni esprimevano un disagio profondo rispetto ad un conflitto che ha visto per l’ennesima volta organizzazioni guerrigliere palestinesi scontrarsi con l’esercito israeliano che per attitudine congenita ha sempre avuto l’obiettivo di trattare tutta la popolazione palestinese come dei “terroristi” o come dei “fiancheggiatori del terrorismo antisemita”. Attitudine che non è cambiata dopo l’attacco sferrato dai miliziani di Hamas il 7 ottobre 2023 contro i kibbutz confinanti con Gaza, provocando più di 1200 morti e sequestrando più di 200 ostaggi portati a Gaza come “merce di scambio” con i palestinesi detenuti da anni nelle carceri di Israele. Anzi, quell’attacco di Hamas, apparso come un’enorme sorpresa per le Forze di difesa israeliane (l’Idf) che non si aspettavano un attacco così vasto e organizzato, ebbe immediatamente il sapore di un’occasione che Israele ha colto al volo visto che già dall’8 ottobre successivo era in grado di muovere le sue forze armate verso Gaza con l’intento non solo di colpire duramente i miliziani di Hamas e di riportare a casa gli ostaggi, ma di sottoporre l’intera popolazione di Gaza ad una repressione mai vista prima. Era ben presto evidente – e pianpiano il governo di Netanyhau lo ha svelato – che l’obiettivo dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza non era solo quello di riportare a casa gli ostaggi e di decimare i miliziani di Hamas, ma quello di decimare l’intera popolazione della Striscia di Gaza per annetterla ad Israele, cancellando ogni anche lontana ambizione ad uno Stato palestinese indipendente.
Resta il fatto che l’orrore della guerra scatenata contro una popolazione inerme – radendo al suolo tutto ciò che assomiglia a un riparo, bombardando sistematicamente le masse sfollate e vaganti da nord a sud e da sud a nord, massacrando donne e bambini senza pietà, distruggendo ospedali, scuole, case, devastando campi e affamando cinicamente un’intera popolazione – è entrato via tv in tutte le case, come nemmeno con la guerra in Ucraina è successo. E, mentre le testate di mezzo mondo mandavano in prima pagina e in diretta tv le foto delle distruzioni e degli orrori a Gaza, montava la rabbia sia per l’inerzia dei governi di fronte a questo sterminio, sia per l’impotenza delle manifestazioni di protesta che spesso assomigliavano a delle processioni, anche se venivano osteggiate dalle forze di polizia. Alcuni governi, come quello francese e poi quelli spagnolo, inglese, australiano ed altri ancora, hanno rilanciato la grande parola del “riconoscimento dello Stato di Palestina”, naturalmente senza aver mai fatto e senza mai fare alcunché di concreto che potesse servire a farlo nascere – ad esempio bloccando le iniziative sistematicamente contrarie di Israele con cui invece gli affari viaggiavano e viaggiano tuttora a gonfie vele!
Lo sciopero e le varie manifestazioni hanno preso l’avvio dal porto di Livorno, per proseguire con il blocco alle università di Roma, Torino, Bologna, Brescia; alle 9 del mattino di lunedì 22, è iniziato un blocco imponente al porto di Salerno e poi sono seguiti i cortei a Bologna, il blocco del porto a Genova, un corteo composto da migliaia di partecipanti, molti dei quali giovanissimi, a Firenze che si è diretto verso la sede locale della Leonardo, e poi il grande corteo a Milano con oltre 10mila partecipanti, sotto una pioggia battente, mentre a Bologna la manifestazione si andava ingrossando per giungere a più di 50mila partecipanti. A Pisa, migliaia di persone raggiungevano la superstrada Firenze-Pisa-Livorno bloccandola, a Marghera i portuali bloccavano il porto, a Roma 20mila partecipanti giungevano alla stazione Termini bloccandola, mentre a Torino, passate ormai le 13:00, il corteo invadeva i binari alla stazione di Porta Nuova. A Milano, la manifestazione, dopo aver attraversato una buona parte delle strade del centro giungeva, intorno alle 13:00, al piazzale della Stazione centrale; il proposito era di entrare in stazione, occupare i binari e bloccare i treni in partenza e in arrivo; ma la polizia, schierata a difesa della sacra proprietà privata delle ferrovie, chiusi i cancelli di ferro dei passaggi di accesso alla stazione, ha impedito con la forza ai manifestanti di proseguire nel loro intento, bloccandoli a malmenandoli anche sulle scale della metropolitana che portano alla stazione; con altrettanta forza, un gruppo numeroso di manifestanti ha tentato di bucare lo schieramento di polizia mentre alcune migliaia di manifestanti stazionavano nel piazzale antistante; ne sono nati scontri violenti e alla fine la cronaca parla di 60 poliziotti tra contusi e feriti e una decina di manifestanti arrestati. Sono stati oltre 40mila in corteo a Napoli a bloccare la stazione ferroviaria e ad entrare anche nel porto e successivamente a Bagnoli mentre il presidente Mattarella inaugurava l’anno scolastico. Nel pomeriggio le manifestazioni proseguivano un po’ dappertutto: scontri a Bologna con i manifestanti che bloccavano l’autostrada, a Milano dove i manifestanti continuavano ad assediare la stazione centrale, mentre a Roma non meno di 100mila persone manifestavano passando da Scalo San Lorenzo per giungere alla tangenziale Est; a Bologna scontri in via Stalingrado vicino alla fiera Cersaie che avrebbe dovuto iniziare oggi, e ancora a Milano in via Vittor Pisani di fronte alla stazione centrale dove la polizia tentava di prendere alle spalle quel che rimaneva del corteo. Passate ormai le 16:00, a Marghera la polizia interveniva ancora per impedire al corteo di entrare nel porto, mentre a Catania i manifestanti, nonostante le cariche della polizia, riuscivano a bloccare il porto, e a Palermo ben 30mila persone manifestavano con blocchi stradali impedendo l’accesso al porto; a Torino veniva bloccato l’accesso all’autostrada Torino-Savona mentre a Bologna decine di migliaia di manifestanti diretti verso la Bolognina venivano bloccate dalla polizia che fermava 8 persone, 3 manifestanti finivano all’ospedale in seguito alle cariche e in duemila si dirigevano verso la questura reclamando la liberazione dei fermati. Intanto a Roma, un enorme corteo entrava all’università La Sapienza e occupava la Facoltà di Lettere chiedendo la sospensione di ogni accordo con Israele. Alle 19:00 le manifestazioni continuavano in molte città: a Brescia, a Torino, a Genova, a Bergamo e ancora a Milano, mentre a Bologna erano almeno in 4mila in zona questura a chiedere il rilascio dei fermati (di cui almeno 4 saranno processati per direttissima). Passate le 20:00 a Brescia, in piazza della Repubblica, si rinnovavano gli scontri con la polizia che impediva al corteo, formato soprattutto da giovani, di raggiungere la stazione ferroviaria tentativo poi abbandonato per chiudere la giornata di manifestazione, ma dandosi appuntamento per il prossimo sabato 27 settembre.
Abbiamo voluto riportare un po’ di notizie ricavate dai media e, in particolare, da Radio Onda d’Urto di Brescia, per documentare una partecipazione alle manifestazioni di protesta e allo sciopero che da anni non si verificava.
Il malcontento generale provocato da anni di lavoro precario, faticoso, malpagato, da incertezze sul futuro, da un impoverimento sempre più generalizzato a fronte di un aumento costante dei profitti capitalistici, oggi ancor più di ieri per via del business delle armi, a fronte di un taglio costante degli ammortizzatori sociali e un aumento, ben nascosto, delle tasse sui salari e del costo della vita, doveva trovare una via di sfogo, un modo per farsi notare e per lanciare al potere costituito che, a prendere la scena, è la rabbia per una situazione generale intollerabile. Il fatto che le manifestazioni di giovani, studenti, famiglie, abbiano rafforzato la presenza in piazza dei lavoratori in sciopero è un segno di un’intolleranza generalizzata che potrebbe dar vita ad una nuova stagione di proteste come già negli anni Settanta del secolo scorso. Oggi sono i sindacati di base a rappresentare le organizzazioni sindacali verso cui gli strati proletari più combattivi si rivolgono per avere più forza nelle proprie azioni di sciopero, mentre i sindacati tradizionali riescono ancora, grazie al loro pervicace collaborazionismo con la classe dominante borghese, a svolgere il loro sporco lavoro di divisione e di paralisi delle lotte operaie.
Le masse proletarie e popolari attendevano che il governo di Roma prendesse qualche iniziativa seria e concreta per dimostrare di non essere complice dello sterminio dei palestinesi di Gaza; non mancava naturalmente la voce del papa Leone XIV con le sue litanie su una pace che, sia in Ucraina che a Gaza, invece di avvicinarsi si allontana sempre più. Ma le ultime decisioni in sede europea di correre al riarmo col pretesto di una possibile “invasione” da parte della Russia e di piegarsi alla richiesta della potente America di aumentare al 5% del proprio PIL il contributo in armi che ogni membro della Nato è ormai tenuto a rispettare, diffondendo un clima da guerra imminente, hanno strappato una parte del proletariato da una specie di sonnolenza drogata e dalla sensazione ben reale dell’impotenza dei dibattiti parlamentari e delle liti verbali e televisive tra governanti e opposizione, spingendola a scendere in strada a manifestare la propria insofferenza, la propria insoddisfazione e la propria umanità che, governanti e oppositori parlamentari, da cinici parolai quali sono, dimostrano di usare a beneficio esclusivo dei propri privilegi di ceto politico: con la scusa di essere in un paese civile e democratico, qualsiasi iniziativa, qualsiasi attività, qualsiasi proposito viene incanalato nei meandri della politica parlamentare come se questa potesse risolvere i problemi sociali che invece dipendono direttamente dall’economia capitalistica, dal suo funzionamento e dagli interessi che tutto il ceto politico intende preservare nonostante masse sempre più vaste precipitino nella povertà e nell’indigenza. Il parlamento non è più soltanto un mulino di parole, come dicevano un tempo Lenin e Trotsky, è diventato uno strumento di difesa esclusiva dei privilegi del ceto politico parlamentare, ingannevolmente presentato come l’unico luogo nel quale è possibile, grazie alle diverse maggioranze elettorali, mantenere o cambiare le “decisioni politiche” che in esso vengono prese. La realtà è che tutte le decisioni più importanti per la vita sociale vengono prese al di fuori delle aule parlamentari, nelle segrete stanze in cui i rappresentanti dei poteri economici, sociali, politici, culturali, religiosi confabulano, prendono accordi, stringono patti e alleanze, si scambiano favori, irrigidiscono alcune posizioni e ne ammorbidiscono altre. Ed è certo che, tra tutte le decisioni che vengono prese, una su tutte riguarda il controllo sociale, il controllo delle masse proletarie. Un saggio di questa realtà l’abbiamo avuto nel periodo del Covid-19, un ulteriore saggio lo abbiamo ora con il pericolo incombente di una guerra che potrebbe riguardare anche l’Italia. Il proletariato è l’unica classe sociale che ha una forza potenzialmente enorme nelle proprie mani: fermando la produzione, i trasporti, i collegamenti, il commercio e i servizi pubblici, compresa l’istruzione e la sanità, e non per un’ora o per qualche ora, in modo “articolato”, a fine turno, ora in una fabbrica ora in un’altra, ma in modo più generale, ad oltranza, senza preavviso, organizzandosi per resistere nel tempo e per ottenere la solidarietà dei proletari dei diversi comparti economici, la sua azione di classe può effettivamente incidere sulla situazione e sulla politica del governo. Il capitale vive e prospera sullo sfruttamento giornaliero delle masse proletarie, sul loro sfruttamento intensivo e, soprattutto, sulla concorrenza tra operai; il capitale vive e prospera sulla collaborazione di classe per la quale sindacati e partiti “operai” vengono reclutati a suon di prebende e privilegi economici e sociali. E questo è il più grande ostacolo che i proletari trovano sulla propria strada di emancipazione dall’essere considerati e trattati come una merce che, quando è usurata o non serve al business, viene semplicemente gettata via diventando inutile spazzatura difficilmente riciclabile.
Scioperare contro il riarmo e contro la guerra è un atto politico di grande rilevanza, ed è certo che i promotori di questo sciopero intendevano distinguersi dalle solite e impotenti manifestazioni-processione, elevando lo sciopero a simbolo di una contrarietà diffusa non solo di fronte a condizioni di vita e di lavoro intollerabili, ma anche della solidarietà con un popolo condannato allo sterminio da parte di uno Stato, come quello di Israele, che gode normalmente della fiducia e del sostegno di tutte le democrazie occidentali, a partire dagli Stati Uniti per finire ovviamente anche all’Italia.
Ma uno sciopero politico di tale portata, se non poggia su una effettiva ripresa della lotta di classe del proletariato, ossia su una lotta non episodica, che metta al centro rivendicazioni di difesa esclusiva degli interessi di classe proletari – fuori quindi dai giochi parlamentari, sia a livello nazionale che a livello regionale o comunale, e contro ogni collaborazione interclassista – è condannato, nella migliore ipotesi, a rimanere un’azione simbolica che nei fatti non sposta assolutamente nulla. La forza della classe dominante borghese non è data soltanto dal fatto di essere proprietaria di tutti i mezzi di produzione e, soprattutto, dell’intera ricchezza nazionale prodotta, escludendo i proletari da qualsiasi risorsa che non sia quella delle loro braccia, ma è data anche dall’impossibilità della classe proletaria di riconoscersi come classe a sé stante, del tutto antagonista ad ogni altra classe sociale e in particolare della classe borghese capitalistica, attraverso la politica della collaborazione interclassista. Questa politica svilisce gli interessi specifici del proletariato annegandoli negli interessi borghesi e capitalistici che inevitabilmente assumono la caratteristica dell’interesse “superiore”, nazionale, che di fatto sono esclusivamente interesse dell’economia capitalistica, cioè borghese. I proletari, perché la loro lotta abbia un senso positivo rispetto ai loro interessi di classe, devono sganciarsi dai lacci e lacciuoli che li legano all’economia aziendale, all’economia nazionale, ad una patria che tutto protegge meno la vita dei proletari e sempre pronta ad imporre loro sacrifici per aumentare la competitività delle merci nazionali e per battere la concorrenza straniera fino a imporre loro il sacrificio della vita che, dalle morti, dalle invalidità e dalle malattie contratte sul lavoro, giunge alla morte e ai massacri nelle guerre borghesi e imperialiste.
Il proletariato non arriverà di colpo, all’improvviso a rompere con la collaborazione di classe e lottare soltanto per se stesso. Ci arriverà iniziando a strappare e lacerare ora in un luogo ora in un altro quel maledetto legame; ci arriverà con qualche spinta avanzata per poi fermarsi e indietreggiare e poi, in tempi successivi, riprendere la lotta con mezzi e metodi classisti, accumulando esperienza e organizzando le proprie forze finalmente sul terreno esclusivamente di classe. Ci vorranno ancora tempo, tentativi, sconfitte, delusioni, ma perché gli interessi di classe proletari si impongano presso il proletariato stesso bisogna che la crisi economica e sociale in cui va inevitabilmente incontro il capitalismo scuota alle fondamenta l’edificio economico e sociale su cui è costruito il potere politico della borghesia. Allora anche le iniziative umanitarie, come quella della Global Sumud Flotilla, o di Emergency o di Medici senza frontiere, prenderanno un senso completamente diverso perché invece di invocare pietà alle classi borghesi che dirigono Stati assassini, bellicisti e oppressori – consolidando in questo modo, pur non volendolo, il potere borghese assassino, bellicista e oppressore – si metteranno al servizio della lotta di classe proletaria e della sua rivoluzione che per obiettivo principale hanno la distruzione dello Stato borghese in quanto tale – democratico o autoritario, dittatoriale o fascista che sia – per sostituirlo con un organismo statale esclusivamente proletario che per obiettivo principale ha sia di trasformare l’economia mercantile e capitalistica in economia sociale, sia di espandere la rivoluzione antiborghese e anticapitalistica a tutti i paesi del mondo.
Oggi questi obiettivi appaiono illusori, utopistici, irrealizzabili, perciò chi vuole fare qualcosa già oggi per aiutare gli affamati, i derelitti, gli oppressi, i sopravvissuti a guerre e devastazioni, sembra che non abbia alternative se non quella della forza di volontà individuale nel dare una mano, nel portare soccorso alle popolazioni sfortunate... e così ci si mette a posto la coscienza individuale nella speranza che quella “sfortuna” non capiti a chi al momento non ne soffre. L’essere umano è un animale sociale, perciò la tendenza a soccorrere chi è in difficoltà fa parte di questa socialità umanitaria. Ma è l’unico che – da quando esistono le società divise in classi – uccide il proprio simile non per esigenza di sopravvivenza, ma per puro interesse materiale, di supremazia, di potere, di difesa della proprietà privata e dei propri affari. Soltanto una società senza classi, cioè il comunismo marxista, sarà la società in cui l’essere umano tornerà ad essere soltanto un animale sociale, come nel comunismo primitivo, dotato in più di un’esperienza e una capacità lavorativa e produttiva maturata nelle società divise in classi, ma che da queste stesse società, e soprattutto dalla società capitalistica, è stata sistematicamente ostacolata e deviata a fini privati e individuali.
La strada che il proletariato dovrà percorrere è irta di difficoltà, trappole, ostacoli, illusioni, sconfitte, delusioni, ma anche di esperienze esaltanti e rinfrancanti; è, d’altra parte, segnata dalla stessa storia dell’umanità: l’animale sociale vincerà sull’animale sanguinario e individualista. La lotta sarà durissima, la più dura che mai la società umana abbia conosciuto finora, ma sarà la lotta che chiuderà la lunga era della preistoria umana e aprirà la vera storia dell’umanità.
23 settembre 2025
Partito Comunista Internazionale
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