1914-2024 : A centodieci anni dalla prima guerra imperialista mondiale

Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario non sono cambiate, semmai sono ancor più intransigenti nella lotta contro la democrazia borghese, contro il nazionalismo e contro ogni forma di opportunismo, vera intossicazione letale del proletariato

( Quaderni de “il comunista”, N° 1, Agosto 2024 )

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Appendice :

Comunismo e guerra

(articolo di A. Bordiga)

 

 

In questo articolo, pubblicato ne Il Lavoratore, organo del PCd’I, n. 5223, Trieste, 13 gennaio 1923, Bordiga entra nel merito della questione, trattata da Bucharin nel suo discorso al IV congresso dell’I.C., della guerra tra lo Stato proletario e gli Stati borghesi che lo attaccano. E vi entra polemizzando contro i cosiddetti “Résistants” francesi che accusavano Bucharin, per la sua ipotesi di “alleanza” con gli Stati borghesi che combattono altri Stati borghesi che attaccano la Russia rivoluzionaria, di aver stravolto i principi fondamentali dell’I.C.

Bordiga afferma che le accuse dei resistenti francesi sono del tutto ridicole e che, oltretutto, vengono lanciate da coloro «che puzzano a mille miglia del social-sciovinismo del 1914».

Ed ora ecco l’articolo di Amadeo Bordiga:

 

Le decisioni del IV Congresso dell’Internazionale Comunista sulla questione francese hanno sollevato la viva opposizione di quegli elementi di destra del Partito Comunista di Francia, presi di mira dalle misure deliberate dal Congresso. Questi elementi, detti oggi in Francia i «Résistants» (1) per affinità coi «dissidents» del Congresso di Tours che formano il Partito Socialista, hanno aperto una campagna contro l’Internazionale sulla quale specula ampiamente tutta la stampa anticomunista francese.

L’Humanité ha riprodotto il manifesto dei «Résistants» intercalando ad esso una esauriente risposta polemica che confuta le molte asserzioni tendenziose sulla portata e il significato delle decisioni del IV Congresso. Il dibattito, specie nel momento politico tanto delicato che attraversiamo, presenta un interesse grandissimo. Intendiamo lumeggiare un punto di esso che ci pare particolarmente degno di rilievo.

Col sistema comune a tutti i denigratori del Comunismo e dell’Internazionale di Mosca, i «Résistants» accennano come se facessero rivelazioni su di un dietroscena misterioso al programma di Bucharin (2), la cui accettazione è stata rinviata al V Congresso, e al discorso da Bucharin stesso pronunziato nel presentarlo, per la parte che concerne l’attitudine dei partiti comunisti in caso di guerra.

Gli opportunisti francesi vogliono far credere che su questo delicato argomento in quel programma vi siano delle direttive nuove e imprevedibili, sulle quali si è sospesa la discussione salvo, come essi affermano a vanvera, a demandare all’Esecutivo allargato la loro adozione anche prima del IV [refuso, in realtà si tratta del V, NdR] Congresso. Queste direttive consisterebbero nella possibilità che i comunisti appoggino in caso di guerra uno Stato capitalistico...

Il discorso di Bucharin non è affatto un documento misterioso e la stampa comunista lo ha già pubblicato (3), come lo pubblicherà ulteriormente anche nel testo stenografico. Bucharin non era incaricato né pretendeva di esporre cose nuove e proposte di modifica di vedute e di indirizzi politici. Si trattava, nel programma, di codificare in modo esatto le basi ben note del pensiero comunista quali sono fornite dalla nostra dottrina e dalle risoluzioni dei congressi internazionali, si trattava cioè di ordinare e raccogliere in un documento politico un materiale già elaborato nella coscienza e nell’esperienza del movimento comunista mondiale. Le affermazioni di Bucharin hanno potuto stupire solo gente che, come i destro-centristi francesi, deve ancora capire che cosa è il Comunismo, e che lo andrà comprendendo nella misura in cui sarà convinta di anticomunismo inguaribile.

Ma quello che è addirittura umoristico è che i signori resistenti mostrano di scandalizzarsi delle eresie di Bucharin, affermando che esse significano, colla dichiarazione che la questione della difesa nazionale è una questione di opportunità, la “negazione di uno dei principi fondamentali dell’Internazionale Comunista”. Indipendentemente da quello che è il vero pensiero di Bucharin e dei comunisti, tutto ciò fa ridere perché si sa benissimo come quegli elementi zoppicanti del Partito francese che le decisioni, tutt’altro che troppo severe per essi, del recente Congresso di Mosca hanno messo in subbuglio, sono quegli stessi che puzzano a mille miglia del social-sciovinismo del 1914. Ancora una volta gli opportunisti cercano di coprire il loro gioco atteggiandosi a difensori dei puri principi. In Italia ne sappiamo qualche cosa di questo metodo.

Vediamo un po’ di stabilire quello che Bucharin ha affermato o, molto più semplicemente, quello che un comunista deve pensare in materia di guerra e difesa nazionale, attenendoci al lato più ovvio di un simile problema.

Nel 1914 quei cari amici e parenti dei resistenti francesi di oggi, che ovunque in nome del Socialismo inneggiarono all’unione sacra e alla guerra, fabbricarono un principio, che pretendevano di inserire nel pensiero socialista: quello della difesa nazionale! Quando la nazione a cui si appartiene è minacciata, aggredita, invasa, dagli eserciti stranieri, i proletari socialisti, messa da parte la lotta di classe ed i propositi rivoluzionari di rovesciare il regime, devono dare allo Stato anche capitalistico il loro consenso per la difesa del territorio nazionale.

Fin d’allora i socialisti sul serio, comunisti sulla linea che va da Marx e Lenin, dalla dottrina del Manifesto dei comunisti a quella di Mosca, fecero la critica di questo preteso principio, che non era che la maschera di un tradimento, e che fu propugnato da quanti, da allora in poi, sono senz’altro rimasti nel campo dei nemici del proletariato. Non ripeteremo tutta questa critica, il cui fondamento elementare consisteva nell’osservare che ogni popolo e ogni Stato avevano la possibilità e il diritto di considerarsi, anche se non invasi, aggrediti, e, anche se non aggrediti, esposti alla minaccia dell’invasione dal fatto stesso dello scoppiare della guerra.

Il principio della difesa nazionale veniva ad uccidere senz’altro ogni possibilità d’azione del proletariato internazionale contro la guerra capitalistica, ed infatti fu con gli stessi argomenti invocato da una parte e dall’altra del fronte: e chi può negare che come una rivolta dei soldati francesi o anche una forma meno spinta di sabotaggio del sovversivismo francese poteva condurre il nemico a Parigi, così poteva per una analoga azione tentata in Germania, un’ora dopo che la fatale dichiarazione di guerra era partita, verificarsi un successo degli eserciti dell’Intesa? Il principio della difesa nazionale e il principio della guerra tra i proletariati, e la sua applicazione, uccide ogni possibilità di arrestare con un’azione della classe lavoratrice le minacce di guerra, di provocare la guerra rivoluzionaria contro il capitalismo.

La posizione teoretica del socialismo marxista dinanzi a questo problema è dunque la negazione del principio della difesa nazionale, ossia la negazione del dovere e della necessità pregiudiziali in cui i lavoratori e i partiti della loro classe si troverebbero di aiutare la causa militare del loro paese.

L’Internazionale comunista è stata ed è sul terreno della negazione teorica e pratica di un tale principio e di tutto il ciarpame di retorica patriottica col quale lo si circonda dai rinnegati della lotta di classe. Questa posizione non è stata e non potrà essere mai abbandonata da Bucharin o da alcuno di noi, e non potrà che essere riconfermata in tutti i testi dell’Internazionale.

Adunque fin qui l’esame del problema ci fornisce una prima conclusione negativa nella demolizione del sofismo della difesa nazionale. Ma per giungere alle indicazioni positive circa il compito dei partiti comunisti in caso di guerra non basta capovolgere formalmente i termini della negazione stabilita, per dire senz’altro: il compito dei lavoratori comunisti è la lotta contro il proprio Stato, quando questo è impegnato in una guerra. I resistenti francesi, e i loro compari di altri paesi, probabilmente hanno attribuito all’Internazionale quello che chiamano «uno dei suoi principi fondamentali» con questo metodo che può constatare errato chiunque abbia un minimo di buon senso logico, anche se non sono le regole colle quali in matematica elementare si cavano dai teoremi i loro inversi e i loro contrari.

Scartiamo la «regola» tratta dal principio della difesa nazionale, ma con questo non siamo arrivati ancora alla regola dell’«antidifesa». La soluzione positiva pratica del problema esige che si ricorra ad elementi più completi, e che si tenga conto dei rapporti delle forze storiche rappresentanti nella situazione dati dagli Stati in conflitto e dai partiti rivoluzionari proletari.

Dinanzi alla grande guerra del 1914, i comunisti russi di oggi, e modestamente anche noi comunisti italiani di oggi, presero subito la posizione positiva completa: è una guerra imperialista, è il conflitto tra due gruppi di Stati capitalisti, e nessuno di essi merita la solidarietà del proletariato. Quindi la lotta contro i fautori rinnegati della difesa nazionale francese o tedesca, italiana o austriaca, e lotta, condotta da Zimmerwald a Brest-Litovsk (4), per volgere la guerra degli Stati capitalisti nella guerra rivoluzionaria del proletariato. Quindi il disfattismo dei bolscevichi russi, impeccabile dal punto di vista teorico, una volta spazzato via dal pensiero socialista il principio della difesa della patria ed anche quello (sua parodia) del «dovere di non sabotare la guerra», è giustificato nella pratica dagli sviluppi reali che, dalla disfatta dell’esercito zarista, fecero uscire il trionfo della Rivoluzione in Russia.

Negato il principio della «difesa nazionale», il pensiero e il metodo rivoluzionario comunista vi contrappongono non il principio del disfattismo, ma quello dell’impiego delle forze reali politiche a determinare la guerra di classe e la rivoluzione proletaria. Il disfattismo dunque non è un principio, ma un mezzo, uno dei mezzi, coi quali si può far svolgere rivoluzionariamente la situazione creata dalla guerra. Mezzo che può non essere sempre utilmente applicabile, poniamo per la poca forza del partito proletario del dato paese, o perché ve ne sia uno migliore.

Quando noi ci poniamo il problema dinanzi a una possibile guerra nel 1923, cominciamo, come nel 1914, a spazzar via dalle nostre file chi voglia apportarvi il criterio della concordia nazionale e della difesa della patria (ed è per questo, signori resistenti francesi, che siamo felicissimi di esserci liberati di voi, oggi che... comincia a far caldo, e vanno anche in caldo les demi-vierges della politica, malgrado la verginità dei principi). Quindi guardiamo lo scenario del conflitto, e constatiamo che vi è qualche cosa di mutato. Tra i mezzi che non respingiamo per principio, come vi è il disfattismo e il sabotaggio della guerra, vi sono anche dei mezzi politici e storici atti sommamente al nostro fine, e che si chiamano armi, eserciti e Stati. Nella situazione storica di oggi vi è uno Stato proletario, un esercito proletario. Ecco l’elemento fondamentale della nostra valutazione. Se noi ci troveremo in presenza del conflitto militare tra gli Stati, non potremo trascurare questa considerazione veramente «fondamentale»: come si schiera nel conflitto lo Stato Russo? (5).

Quindi seguitando a negare il principio della difesa della patria, e chiamando alcuni partiti comunisti ad impiegare il mezzo del disfattismo senza esclusione di colpi, noi potremo benissimo indicare un’altra via ad altri partiti se lo Stato del loro paese si trovasse, poniamo, a fianco dello Stato proletario.

Si può escludere una tale possibilità storica? No, certamente. E si convinca, chi ha qualche dimestichezza col Socialismo, che non esiste nemmeno alcun principio che escluda la eventualità di un simile cammino dei fatti storici, e la legittimità per i partiti proletari di scegliere quell’azione che meglio può accelerarlo.

La politica dello Stato Proletario e dell’Internazionale rivoluzionaria si fonda sul principio di svolgere dalla situazione di crisi del mondo capitalistico la guerra e la vittoria rivoluzionaria di classe. Il fatto stesso che oggi sono in presenza Stati borghesi e Stati proletari dà la possibilità che date fasi della lotta si presentino come una guerra degli Stati. In questo caso tutte le forze rivoluzionarie saranno dalla parte dello Stato proletario. E potrà darsi che un Partito Comunista, e il suo Stato borghese, che esso tende programmaticamente a rovesciare, si trovino sulla stessa linea d’azione in una guerra a fianco dello Stato proletario: oggi la Russia.

Non vogliamo qui svolgere il lato concreto del problema, ma solo sgombrare il campo da equivoci di ordine dottrinale su di esso, e chiarire che non si è dinanzi a rinunzie o a mutamenti di indirizzo, ma a conclusioni logiche che ognuno può trarre dai principi genuini del Socialismo rivoluzionario. Nulla di tenebroso e misterioso si avvolge dunque nel discorso del compagno Bucharin, e non è certo dai resistenti francesi che egli può ricevere lezioni di fedeltà ai principi comunisti.

L’obiezione che i comunisti verreberro a trovarsi su di un piano d’azione comune collo Stato borghese, non significa nulla. Il fatto, non impossibile, ma che sarebbe accompagnato da molte complicazioni e darebbe luogo in ogni caso al più instabile equilibrio nella politica interna, che uno stato borghese sostenga la Russia in una guerra, e che il Partito Comunista sostenga la stessa causa bellica e militare, non cancellerebbe l’antitesi tra quello Stato ed il Partito rivoluzionario.

Il borghese, e peggio Kemal Pascià, ha potuto con l’appoggio della Russia proletaria, ed il plauso di noi comunisti internazionali, fregare l’imperialismo inglese in Oriente. Ciò non toglie che i comunisti turchi siano tanto in rapporto di... collaborazione di classe con Kemal, che questi li fa imprigionare e giustiziare. E verrà un giorno in cui la nostra soddisfazione si completerà con l’apprendere che i comunisti turchi avranno fregato Kemal. L’esercito rosso, pensiamo, non farà una dimostrazione militare per salvarlo... Positivamente il risultato non sarebbe certo accelerato se la nostra simpatia o la politica del partito turco tendessero a far vincere i greci e gli inglesi.

Non crediamo dunque che molti Stati borghesi siano pronti ad accettare come alleati i nostri valorosi compagni dell’Armata Rossa. Ma ci preme per ora di stabilire il buon diritto teoretico di Bucharin a dire: siamo contro il balordo principio della difesa nazionale, ma affermiamo che lo stabilire la tattica dei partiti comunisti in caso di guerra è una questione di “opportunità”. Il che, per chi sia meno sciocco di un «resistente», significa che questo problema si risolve con gli elementi della situazione, fuori del principio della difesa come fuori di un principio inesistente e inimmaginabile di antidifesa.

In realtà i fautori della menzogna della difesa nazionale diventano in tempo di pace i fautori della non meno idiota menzogna del pacifismo di principio, della negazione quacquera e sterile della guerra e della violenza. Ma i principi comunisti sono ben altra cosa da questa robaccia.

Noi siamo per la guerra rivoluzionaria. Si emozionino pure i fessi, ma si può scrivere senza fare nessuno strappo alla nostra ortodossia marxista che noi, meritevoli già dell’epiteto di «caporettisti», se il Governo italiano partisse in guerra contro gli Stati che avessero assalito la Russia... non faremmo nulla per impedirgli il successo. E guarderemo con fiducia nello svolgersi di una tale situazione spinosa fin che si vuole per i mille tentennamenti dell’opportunismo (quegli stessi che temeranno di aiutare la Rivoluzione nella situazione inversa) del permesso dei quali la storia ha sempre fatto a meno, ma chiara per un partito pronto ad assolvere tutti i suoi doveri verso la causa della Rivoluzione.

 


 

(1) Venivano definiti résistents i membri del Partito Comunista-Sezione Francese dell’Internazionale Comunista (PC-SFIC), capeggiati da Louis-Oscar Frossard che opposero resistenza alle decisioni nei confronti di questo partito adottate dal IV Congresso dell’IC (Mosca, novembre-dicembre 1922). Va ricordato che Frossard si era dimesso dal partito perché appartenente alla Massoneria e alla Lega dei diritti dell’uomo, appartenenze ovviamente incompatibili col Comintern.

(2) Nell’originale pubblicato ne Il Lavoratore di Trieste è scritto Bucarin.

(3) Il discorso di Bucharin, come ricordato sopra, è stato pubblicato nel Bulletin Communiste (organo del PC-S.F.I.C.), Anno quarto, n. 1, 4 gennaio 1923 [Feltrinelli Reprint, Milano 1967].

4) Nell’originale pubblicato ne Il Lavoratore di Trieste è scritto Brest-Litowsk. Questa località si trova in Bielorussia e oggi si chiama semplicemente Brest.

(5) E’ evidente che si tratti dello Stato proletario, dello Stato della dittatura proletaria guidato dal partito comunista rivoluzionario, com’era ancora, allora, lo Stato russo.

 

 

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