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AL LAVORO COME IN GUERRA !

Anche a Molfetta si muore di lavoro

La continua strage di lavoratori si può fermare solo con la lotta di classe ad esclusiva difesa delle condizioni proletarie di lavoro, di vita e di salario!

 

Non bastavano i 7 proletari bruciati alla ThyssenKrupp di Torino, i due operai che pulivano la stiva di una nave a Porto Marghera, i due operai romeni travolti dalla ghisa fusa in una Fonderia di Camposampiero, un operaio travolto dal crollo di un muro a Diano Marina, un altro che controllava una cisterna di letame nel bergamasco, per citare gli episodi di cui hanno parlato tutti i giornali. Più di 1000 morti sul lavoro nel 2007, più di 1200 nel 2006; ogni giorno vengono assassinati sul lavoro tre-quattro operai! E la strage continua! Dall’inizio del 2008 i morti sul lavoro accertati sono 180!!!, ma ne sono stimati molti di più.

A Molfetta, il 3 marzo, alla Truck Center, dove puliscono le autocisterne, muoiono in 5, uno dopo l’altro, 4 operai e il titolare della ditta.  Stavano pulendo un’autocisterna che trasportava zolfo per un’azienda chimica della zona. Michele Tasca, di vent’anni, Guglielmo Mangano, 44 anni, Biagio Sciancalepore, 24 anni, Luigi Farinosa di 37, e il titolare, Vincenzo Altomare, 64 anni. Un altro operaio, Cosimo Ventrella, di 57 anni, ricoverato in ospedale, coinvolto anch’esso nel tragico incidente, grida il suo dolore: «Dovevo e volevo morire anch’io, insieme con i miei amici, i miei colleghi, durante il mio lavoro che era tutto quello che avevo. Ora tutto il tempo che mi resta lo passerò con la loro immagine accatastati là in fondo alla cisterna. Uno sopra l’altro, tutti morti!».

NO! Non si deve morire di lavoro! Non è una colpa essersi salvati, anche se per pura combinazione!

Si deve invece ricominciare a lottare perché la strage di lavoratori finisca!

Hanno dato la colpa ai fumi di zolfo mescolati con altre sostanze detergenti utilizzate per la pulizia della cisterna, e al fatto che gli operai si sono calati nella cisterna «senza rispettare le norme di sicurezza». Ma dov’erano le maschere antigas? E le scarpe tecniche da lavoro? Non ce n’era la minima traccia! Come il primo operaio, sportosi sulla botola della cisterna per controllare il lavoro fatto, si è sentito mancare ed è caduto dentro, gli altri compagni di lavoro, nel tentativo di tirarlo fuori subito, si sono calati dentro uno dopo l’altro, ma le esalazioni letali non li hanno risparmiati. Erano senza alcuna protezione, e nell’estremo tentativo di aiutare chi era già caduto, ci hanno lasciato la pelle!

Oggi, 5 marzo, la triplice sindacale tricolore ha indetto 2 ore di sciopero generale in tutta la Puglia «per esprimere lo sdegno di tutti i lavoratori pugliesi e sollecitare il Governo all’emanazione urgente del Testo Unico per la sicurezza sui posti di lavoro, evitando che la fine prematura della Legislatura faccia decadere i termini della delega» (“Liberazione”, 4.3.08). I bonzi sindacali non perdono il vizio: lo sciopero operaio viene indetto «per sollecitare» le istituzioni, in questo caso il Governo, affinché emanino l’ennesima leggina, che naturalmente non verrà applicata come non sono state applicate finora tutte le leggi inerenti la sicurezza sul lavoro. Gli infortuni e i morti da lavoro sono lì a dimostrarlo tragicamente!

Gli operai devono rendersi conto che dalle istituzioni, dalle associazioni padronali e dai sindacati collaborazionisti non arriveranno mai le risposte necessarie alla salvaguardia della vita dei lavoratori; arrivano solo dei pallidi palliativi quando le tragiche morti sul lavoro destano grande impressione nella popolazione. Sono decenni che i proletari vengono sacrificati alla produttività crescente, alla competitività delle merci prodotte, al costo del lavoro che per i capitalisti è sempre troppo alto, ai profitti che per i capitalisti sono sempre troppo bassi!

Se mai le istituzioni, a partire dal Governo centrale per finire alle amministrazioni locali più piccole, faranno rispettare leggi e norme che loro stessi emanano e sottoscrivono per tacitare le proteste e le pressioni della stragrande maggioranza della popolazione (sulla sicurezza del lavoro come sulla prevenzione degli infortuni, sui diritti dei migranti come sull’aborto, la sanità, la spazzatura, la disoccupazione ecc.), sarà soltanto sotto la potente e dura pressione che la lotta proletaria di classe eserciterà su di loro.

Lotta di classe che deve tener conto soltanto ed esclusivamente degli interessi dei lavoratori, sul piano del salario come sulla sicurezza sul lavoro, contro la nocività e l’intensificazione dei ritmi di lavoro, contro l’aumento della giornata lavorativa e la diminuzione del potere d’acquisto del salario, contro ogni sopruso che le aziende attraverso i loro titolari, dirigenti e quadri somministrano sistematicamente ai propri lavoratori salariati. I proletari, non importa a quale categoria o settore appartengano, sono accomunati dalle stesse condizioni di sudditanza alle esigenze delle aziende, alle esigenze dei loro profitti, alle esigenze del mercato. Il mercato appare come il dittatore, il dominatore della vita di ogni essere umano, l’entità impersonale e impalpabile che, alla stregua di una divinità, detta legge di vita e di morte. Ma la lunga mano della dittatura del mercato è rappresentata dalla classe dei capitalisti i quali non fanno altro che adeguarsi alla legge della concorrenza: si vince la concorrenza solo con la competitività delle proprie merci, dei propri servizi, e la competitività la si ottiene, soprattutto, spremendo i lavoratori salariati al massimo della loro potenzialità lavorativa, fino al loro ultimo respiro, fino alla morte! Questa è la realtà della vita e della morte nella società dominata dal capitalismo. La legge del capitale non è una legge naturale, è imposta con la violenza, con la dittatura economica e politica dell’unica classe che trae tutti i benefici dalla società presente, la classe dei capitalisti, la classe borghese.

I proletari possono cambiare il senso di marcia del capitalismo, della legge del mercato: lottando come classe sociale, unendosi, per incominciare, a difesa della propria esistenza e della propria vita, a difesa di condizioni di lavoro e di vita quotidiana con i mezzi della lotta di classe, mezzi che non tengono conto delle compatibilità di mercato, che non tengono conto della conciliazione degli interessi tra padroni e operai, che non tengono conto del buono o cattivo «andamento» dell’azienda nella quale vengono sfruttati fino alla morte. I capitalisti sono abituati da lungo tempo a unire le loro forze tutte le volte che si tratta di affrontare la «questione operaia»; si muovono in generale come un sol uomo e contano sul fatto che i proletari non solo sono in stato di inferiorità sociale perché obbligati a lavorare sotto padrone se non vogliono morire di fame, ma sono costantemente messi gli uni contro gli altri in una «lotta di concorrenza fra di loro», lotta di concorrenza alla quale non si oppongono tutti quei sindacati operai che della collaborazione, della conciliazione, della partecipazione e del continuo negoziato hanno fatto il perno della loro attività e della loro esistenza. Quando la lotta operaia, sprigionatasi da condizioni di lavoro insopportabili, esplode e rompe la pace sociale e i metodi della collaborazione e della conciliazione usati dai sindacati tricolore, rappresenta un serio pericolo non solo per il padrone della fabbrica coinvolta da quella lotta, ma per tutti i padroni che, infatti, uniscono le loro forze per spegnere quel possibile incendio sociale. E’ successo con i 35 giorni di sciopero ad oltranza alla Fiat nel 1980, e succede di fronte a qualsiasi lotta operaia che rompe gli schemi imposti dal collaborazionismo sindacale e politico. Resta il fatto che l’unica cosa che fa davvero paura al padronato è la lotta operaia che rompe gli schemi del collaborazionismo interclassista, che rompe la pace sociale e che mette in cima ai propri obiettivi la difesa tenace delle condizioni di lavoro e di vita proletarie utilizzando mezzi di lotta classisti (sciopero senza preavviso, ad oltranza, unificante tendenzialmente tutti i proletari, diretto con i mezzi della lotta e non del dialogo).

Quando un operaio subisce un infortunio, o quando muore, è tutta la classe operaia che subisce l’infortunio o la morte. Tutti i proletari si devono sentire colpiti, perché in realtà sono colpi assestati dai capitalisti ai proletari in quanto proletari, in quanto lavoratori salariati, sfruttati fino all’osso per estorcere loro quel pluslavoro che il capitalismo trasforma in plusvalore e in profitto capitalistico.  I padroni cominceranno a temere per la loro «disattenzione» sulle misure di sicurezza sul lavoro solo quando gli operai alzeranno la testa e uniti affronteranno lo sfruttamento capitalistico, incominciando anche solo a reagire con la lotta immediata, il più possibile estesa, davanti ad un infortunio e tanto più davanti ad un assassinio sul lavoro. Soltanto con la lotta di classe i padroni si metteranno in regola; temono forse di venire sanzionati da ulteriori e più pesanti leggi? Abbiamo visto in tutti questi decenni che cosa se ne sono fatti di leggi che vengono applicate forse al 10%: basta pensare a quel che succede nelle centinaia di migliaia di cantieri edili, e nelle centinaia di migliaia di piccole e medie aziende!

Il diritto a lavorare in sicurezza o è sostenuto con la forza della lotta classista, o è carta straccia!

 

Partito comunista internazionale (il comunista) - 5 marzo 2008

www.pcint.org

 

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