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Immigrati in rivolta a Lampedusa: scappati dalla fame e dalla miseria, ammassati come bestie in lager mimetizzati da centri di primo soccorso e messi a pane e acqua, non vogliono essere rimpatriati e chiedono di spostarsi liberamente in Italia e negli altri paesi d’Europa i cui governi decantano continuamente la libertà, la democrazia, il vivere civile!

 

 

Martedì 20 settembre 2011, al Centro di Primo Soccorso di Lampedusa, dove stati ammassati nelle  ultime settimane fino a 1300 immigrati, perlopiù tunisini, sopravvissuti alla traversata del Canale di Sicilia su mezzi di fortuna, verso le 17.30 scoppia un incendio che in poco tempo di diffonde a tutti e tre gli edifici del centro. Un denso fumo nero si allarga rapidamente dal centro di Contrada Imbriacola verso l’abitato dell’isola mettendo in allarme abitanti, vigili del fuoco e forze dell’ordine. Dal centro fuggono più di 800 immigrati cercando un modo per allontanarsi dall’isola; vengono inseguiti, fermati, malmenati dalla polizia; alcuni passano la notte in un distributore di benzina minacciando di far scoppiare delle bombole di gas sottratte ad un ristorante vicino e, per la prima volta, appaiono anche gruppi di isolani armati di bastoni che vanno a caccia di immigrati per sfogare su di loro la rabbia per una situazione diventata insostenibile anche per gli isolani.

Lampedusa come attività economica principale ha il turismo che però, con le vicende legate al flusso di migliaia di immigrati che dalle coste del Nord Africa fuggono verso l’Europa, è diminuito drasticamente in questi anni avvicinandosi allo zero. La sua collocazione geografica l’ha eletta ad uno dei punti d’approdo più facili da raggiungere dalle carrette del mare che partono dalle coste tunisine e libiche, con cui migliaia di tunisini e di somali, eritrei, nigeriani e di altri paesi vengono rovesciati, quando non annegano in mare, sugli scogli di Lampedusa.

3 anni e mezzo fa, il 18 febbraio 2009, il “Corriere della sera” titolava la sua apertura: Lampedusa, scontri tra migranti e polizia. Un incendio devasta il Cie”. Che cosa è cambiato a tre anni e mezzo di distanza? Il governo Berlusconi-Bossi-Maroni ha trasformato Lampedusa in un lager per immigrati, in una discarica di disperati che fuggono dalla fame, dalla miseria, dalla guerra, dalle persecuzioni alla ricerca di asilo, di un  lavoro, di sopravvivere. La politica dell’immigrazione della civilissima e democratica repubblica italiana consiste nel trattare gli immigrati non come esseri umani ma da massa informe di indesiderati clandestini verso cui disinteressarsi completamente delle ragioni materiali del loro arrivo e da cui prima di tutto “difendersi”. Tutti ricordano le grida d’allarme dei nostri governanti circa il pericolo di invasione di centinaia di migliaia di clandestini di fronte al quale il governo Berlusconi-Bossi-Maroni attivarono accordi con il dittatori Ben Alì e Gheddafi perché fermassero il flusso migratorio verso l’Italia e perché accettassero il rimpatrio immediato nel caso barconi di clandestini giungessero sulle coste siciliane. Ebbene, la legge sull’immigrazione clandestina fortemente voluta dal ministro dell’interno leghista Maroni, passa in parlamento con l’ennesimo voto di fiducia e dà giustificazione giuridica alla trasformazione dei Centri di Permanenza Temporanea per gli immigrati richiedenti asilo o permessi di soggiorno in Centri di Identificazione ed Espulsione, cioè in centri di detenzione nei quali gli immigrati possono essere rinchiusi per 18 mesi contro i 6 mesi di prima! Lampedusa, oltretutto, è un’isola, è nel Sud dell’Italia, e per la mentalità leghista è ovvio che i “clandestini” che provengono dall’Africa vengano ammassati in una “discarica” lontana dalla verde, rigogliosa e razzista Padania.

I migranti tunisini, per non rimanere isolati e rinchiusi nella prigione-Lampedusa, dove sono costretti a vivere in condizioni bestiali, chiedono di non essere rimpatriati e di essere trasferiti in altri centri; le loro richieste, in realtà, non sono mai state ascoltate, ed ecco che la disperazione ha portato alcuni di loro a dar fuoco ad un edificio del centro anche a costo di rimanere intossicati o bruciati, pur di costringere “le autorità” a portarli via dall’isola. Ma alla disperazione dei migranti si è aggiunta la rabbia dei lampedusani verso i quali, dopo gli scontri del febbraio del 2009, il governo Berlusconi aveva promesso che avrebbe risolto il problema ridando all’isola la possibilità di riprendere le sue attività turistiche. Il disegno vero del governo, però, era quello di trasformare Lampedusa da porto d’attracco per le imbarcazioni colme di migranti in aeroporto di partenza per gli aerei colmi di migranti da rimpatriare, contando sul fatto che l’attuale governo tunisino e il governo libico degli insorti di Bengasi avevano confermato gli accordi riguardo l’emigrazione presi in precedenza dal governo italiano coi governi-amici di Ben Alì e di Gheddafi.

E’ assodato che le rivolte nei paesi del Nord Africa che hanno sconvolto i paesi arabi dall’inizio di quest’anno, e la guerra che le potenze imperialiste stanno conducendo in Libia in sostegno di un ricambio al potere con forze più controllabili e più disponibili rispetto a Gheddafi, hanno spinto le masse proletarie e proletarizzate della vasta area a cercare di non soccombere di fronte alla crisi economica che la caduta dei regimi precedenti non ha ovviamente risolto, e di  sopravvivere anche cercando lavoro negli altri paesi più ricchi, in Europa. Italia e Spagna sono destinazioni conosciute, visibili e raggiungibili e spesso considerate una prima tappa per raggiungere la Francia, la Germania, i paesi nordici. La spinta dei bisogni materiali di masse ridotte alla fame e alla miseria più nera è talmente forte che non ci sarà nessuna legge contro l’immigrazione “clandestina”, nessuna operazione di respingimento in mare, nessuna repressione della criminalità che organizza i “viaggi della speranza”, e spesso della morte certa, attraverso i deserti e i mari, che potrà fermare il flusso migratorio dai paesi più poveri verso i paesi più ricchi. Il capitalismo, nel suo sviluppo ineguale, avendo trasformato ogni prodotto del lavoro umano in merce e ridotto ogni rapporto tra gli uomini in rapporto tra denaro e merce, ha continuato ad accumulare ricchezza in una minoranza di  paesi dominanti e arretratezza e miseria nella maggioranza dei paesi del mondo, confermando la tesi marxista che la società capitalistica non riuscirà mai a risolvere le proprie contraddizioni: mai la merce sfamerà l’uomo!

La rivolta dei migranti tunisini a Lampedusa, e a Manduria o negli altri lager, come la rivolta dei migranti africani a Rosarno o a Castel Volturno, hanno alzato il velo della falsa solidarietà borghese che accoglie nelle proprie voraci fauci i migranti alla sola condizione che si autoschiavizzino sottoponendosi, senza  sollevare la testa, alle infinite angherie che le leggi borghesi prevedono per accettare o meno che un certo numero di braccia possa essere sfruttato ai limiti della pura sopravvivenza e alla condizione che le imprese capitalistiche, attraverso la mediazione dello Stato centrale che ne cura gli interessi, abbiano effettivamente bisogno in quel momento di forza lavoro a basso costo.

Con la forza di un torrente in piena, il flusso di proletari migranti dai paesi economicamente più arretrati va inevitabilmente a colpire le supposte certezze della vita sociale dei paesi europei e mettono gli stessi proletari europei di fronte al problema più duro che la classe dominante borghese possa porre durante la crisi del suo sistema economico. E cioè: continuare a collaborare politicamente e materialmente con i borghesi, accettando tutti i sacrifici che la classe dominante chiede e impone per tornare ad accumulare profitti, e quindi accettare la più spietata concorrenza tra proletari come una legge “naturale” del mercato del lavoro, oppure rompere con la collaborazione di classe, rompere con la concertazione politica e materiale che porta i borghesi a fare di tutto per riavviare la macchina produttiva (la famosa crescita economica) e rialzare così i profitti facendo pagare il prezzo più alto ai proletari indirizzandoli, anche grazie alle forze dell’opportunismo sindacale e politico, ad accettare i licenziamenti, i salari decurtati, le pensioni tagliate, la riduzione costante dei servizi sociali, rompere infine con la politica e la pratica degli “interessi comuni” di fronte ai quali mettere da parte ogni rivendicazione salariale, ogni richiesta di un posto di lavoro non precario, ogni miglioramento nelle condizioni di vita e di lavoro, mettere da parte tutto ciò che riguarda la difesa delle proprie condizioni di esistenza perché l’obiettivo più importante sarebbe quello di “uscire dalla crisi”, quello secondo cui “ogni componente della società deve fare la sua parte”, quello di “sacrificarsi oggi per un miglioramento futuro”.

I proletari hanno già sperimentato sulla propria pelle che cosa significhi per loro la collaborazione di classe, la pace sociale, la condivisione dei valori della società borghese: significa rendere permanente la loro vita di schiavi del capitale, mettere la loro vita nelle mani delle aziende capitalistiche e delle esigenze di un mercato che non si fa controllare da nessuno – come le recenti crisi finanziarie dimostrano ampiamente – ma al quale i borghesi sacrificano milioni di vite proletarie allo scopo di salvare un sistema che ha messo al centro della società il profitto capitalistico e non i bisogni di vita della specie umana. Il lavoro sotto il capitalismo è un tormento, è una schiavitù perché tutto dipende dalla sua produttività e dal salario che gli operai riescono a strappare ai capitalisti; e quando il lavoro non c’è, il tormento si trasferisce nella sua affannosa ricerca. Finchè il capitalismo dura, per i proletari non ci saranno mai miglioramenti duraturi perché quand’anche questi miglioramenti vengono concessi lo sono solo di fronte a dure e vaste lotte operaie che se ne infischiano delle esigenze dell’economia aziendale o nazionale e pensano soltanto alle esigenze di vita operaie. Ma i miglioramenti di cui i proletari europei hanno potuto godere nei periodi di espansione capitalistica sono stati rimangiati poco a poco e sempre di più dai periodi in cui è stata la crisi economica a dettare legge e a spingere i capitalisti, sostenuti dallo Stato, a lottare contro i proletari per togliere loro la  parte più ampia possibile di “garanzie” e di ammortizzatori sociali concessi in precedenza, facilitando il più possibile la decurtazione dei salari, l’aumento della produttività e i licenziamenti. E’ così che una parte dei proletari dei paesi più ricchi è precipitata nelle condizioni di povertà assoluta, condizioni simili a quelle dalle quali cercano di sfuggire i proletari immigrati che si riversano nei paesi più ricchi.

L’arrivo dei proletari migranti se, da un lato, è utile ai capitalisti perché hanno a disposizione una massa di forza lavoro a basso costo e perché la mettono in concorrenza con i proletari autoctoni in modo da abbattere tutti i salari , dall’altro lato, è anche una formidabile risorsa per la lotta di classe avvenire come è già avvenuto negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, gli anni delle grandi migrazioni di italiani e irlandesi verso l’America del Nord.

I proletari migranti dai paesi più arretrati portano con sé una carica di lotta che può contagiare gli strati più bassi del proletariato europeo; e l’incendio della lotta proletaria può così diffondersi dalla massa dei migranti alla massa dei proletari autoctoni. E’ questo l’incendio di cui hanno davvero timore i borghesi; gli edifici incendiati a Lampedusa possono essere ricostruiti, come è già successo dopo l’incendio del 2009. L’incendio sociale, soprattutto della lotta di classe che vedrebbe i proletari uniti al di sopra delle categorie e delle nazionalità, al di sopra della legalità o della clandestinità, è ciò che la borghesia dominante farà di tutto per evitare, adottando le misure preventive più diverse pur di reprimerlo fin dal suo sorgere. Ma, come non riescono a fermare il movimento delle forze produttive nelle forme anguste dei suoi confini e delle sue leggi, così i borghesi non riescono a fermare la spontanea spinta alla lotta da parte delle masse proletarie che reagiscono a condizioni di esistenza intollerabili, e non riusciranno a soffocare l’incendio di classe che le contraddizioni, sempre più acute ed esplosive che il modo di produzione capitalistico accumula nel sottosuolo economico, farà scoppiare.

Allora i borghesi tremeranno non di fronte ad una massa di proletari disperati che affrontano le traversate in mare con mezzi di fortuna, ma di fronte ad una massa di proletari che avrà ritrovato la forza di riorganizzarsi sul terreno dell’antagonismo di classe, di lottare in difesa esclusiva dei propri interessi immediati e di prepararsi alla lotta più generale e politica contro l’intera classe dei capitalistici e il loro Stato, per rivoluzionare da cima a fondo l’intera società. Allora, il proletariato, che avrà sperimentato la propria forza sociale nelle lotte parziali e generali contro la classe dominante borghese, e che avrà al proprio fianco il partito di classe, organo indispensabile per guidarlo verso la rivoluzione, si alzerà possente di fronte alla borghesia accettando la sfida storica: o il combattimento o la morte, o la rivoluzione o la controrivoluzione!

Oggi, dopo decenni di intossicazione democratica e collaborazionista, i proletari si trovano di fronte al dilemma opposto: o la morte o il combattimento, o la controrivoluzione o la rivoluzione!

Il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario, lotta oggi perché i proletari si preparino alla ripresa della lotta di classe, unica via d’uscita non solo e non tanto dalla crisi economica attuale, quanto dal continuo cadere in crisi del capitalismo e dal continuo peggioramento delle condizioni di esistenza delle masse proletarie; questa preparazione, che si svolge inevitabilmente a partire dalle lotte parziali ma sul terreno dell’antagonismo di classe, non può essere proficua se i proletari non rompono drasticamente con la collaborazione di classe, se non rompono – come stanno facendo i proletari immigrati – con la pace sociale e la mesta sottomissione all’ordine costituito!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

24 settembre 2011 

www.pcint.org

 

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