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La “marcha negra” dei minatori spagnoli

In scena la parodia della lotta di classe

 

 

Martedì 11 luglio circa duecento minatori provenienti dalle diverse regioni spagnole dove ancora sono penosamente funzionanti le miniere di carbone, giungevano a Madrid dopo aver marciato per varie settimane. Nella capitale sono state accolte da decine di migliaia di persone che paralizzarono, letteralmente, tutta la zona Ovest della città. Il giorno dopo, che doveva essere il culime della “Marcha Negra”, la manifestazione terminava nei disordini davanti al Ministero dell’Industria e intorfno alla zona dello stadio Santiago Bernabeu in seguito agli attacchi della polizia contro i manifestanti che, a loro volta, risposero attaccando gli agenti antisommossa. Nella serata dello stesso giorno vi furono altri disordini, con arresti, nel centro di Madrid durante una manifestazione in solidarietà con i minatori.

 

Da mesi i bacini minerari della Spagna, specialmente quelli asturiani, vivono un conflitto provocato dal rifiuto del governo Rajoy di tener fede al precedente patto minerario che manteneva le sovvenzioni al carbone nazionale, sostegno imprescindibile perché le imprese di estrazione del carbone possano continuare ad operare, dato che questa attività esiste unicamente perché lo Stato la mantiene a fronte dell’inesistente redditività della sua produzione (l’ha mantenuta, ma in modo sempre più limitato dagli anni Ottanta, precisamente per evitare il conflitto sociale che sarebbe esploso se le miniere fossero state chiuse totalmente). I lavoratori delle miniere, in sciopero indefinito da prima dell’estate, hanno messo in pratica metodi di sabotaggio continuo nelle strade delle regioni interessate, si sono scontrati con la Guardia Civil e la Polizia Nazionale con grande determinazione ed hanno ottenuto la mobilitazione di intere cittadine delle zone minerarie in solidarietà con la loro lotta. Da parte loro, le imprese estrattrici del carbone appoggiano tacitamente la lotta dei minatori perché, in caso di vittoria, riceverebbero nuovi importanti aiuti per continuare a produrre carbone spagnolo. Ma, mentre i proletari, e non solo quelli direttamente interessati nella produzione mineraria, lottano per mantenre le loro condizioni di esistenza impiegando mezzi e metodi del tutto rispettosi della legalità borghese, i borghesi incoraggiano un fronte unito per raggiungere un obiettivo  che fanno passare per “comune”.

Il conflitto minerario in Spagna si svolge in una situazione senza uscita da decenni. Un carbone per nulla redditizio è sovvenzionato dallo Stato al solo scopo di mantenere la pace sociale in regioni storicamente molto agitate, dove la lotta proletaria ha dato alcuni esempi tra i più generosi di spinta rivoluzionaria nel secolo passato. Questi aiuti, che di fatto non hanno garantito il perdurare delle miniere, ma solo la loro sparizione “non traumatica” mentre si spingevano altre attività nella regione (le principali attività economiche che stanno dominando nei moribondi bacini minerari asturiani negli ultimi decenni sono state l’alberghiero... e la cocaina), contribuirono a formare una specie di oasi nella generale precarizzazione del panorama lavorativo spagnolo, attraverso il rafforzamento del sindacalismo collaborazionista e l’opportunismo politico (PCE, PSOE...) che hanno sempre gestito le regalie statali in cambio del mantenimento della tensione sociale nell’alveo di agitazioni innocue per il capitalismo nazionale mentre si avvicinava inesorabile la futura fine dell’attività mineraria.

La crisi capitalista che colpisce la Spagna ha accelerato la fine della produzione mineraria, almeno per quella parte che sopravvive solo grazie agli aiuti statali. Non c’è denaro nelle casse pubbliche e non vi è altro rimedio che tagliare i fili che univano questa attività alla sua sopravvivenza. Il prezzo da pagare è il rincrudimento del conflitto sociale nelle zone interessate. I proletari della regione sono scesi in strada con forza considerevole, trascinando dietro di sè altri gruppi di lavoratori (professori precari, lavoratori dei trasporti, metalmeccanici ecc.), attaccando direttamente il profitto capitalista con blocchi stradali e col blocco della produzione estrattiva. In numerose occasioni le Forze di Sicurezza dello Stato, che negli ultimi tempi si erano allenate a rompere le teste degli studenti piuttosto che a scontri reali, sono rimaste scottate nel loro intento di rompere le mobilitazioni operaie. Sta di fatto, però, che la borghesia, quando i proletari lottano in difesa delle loro condizioni di esistenza, può contare su dei potenti alleati proprio nelle file proletarie. I grandi (e piccoli) sindacati collaborazionisti che controllano i bacini minerari (Asturie, ad esempio, è una regione con la più alta sindacalizzazione fra tutte le regioni spagnole, e costituisce un bastione importante tanto per la UGT e le sue succursali locali SOMA e FIA come per le CC.OO), lavorano per legare le rivendicazioni dei lavoratori delle miniere ad una specie di “bene comune” regionale o nazionale nel quale includere, per primi, i capitalisti padroni delle miniere e gli imprenditori locali. In accordo con questi, i proletari dovrebbero lottare non per il loro salario o, almeno, per il loro posto di lavoro, ma per la difesa dell’industria mineraria, per le sovvenzioni statali alle imprese e per la vitalità industriale della regione. Insomma, dovrebbero lottare per essere sfruttati, per lo stesso sfruttamento che li fa morire a decine o centinaia di metri sotto terra o che li getta nella miseria e nella fame. Le forze dell’opportunismo politico e sindacale, in ispecie in queste regioni ad alta concentrazione proletaria nell’industria dove è effettivamente potente, cercano sempre la solidarietà fra le classi, la sottommissione degli interessi proletari al bene comune, alla patria, alle esigenze dell’economia...

La cosiddetta “Marcha Negra” è un esempio lampante di come si combina, sopra l’immagine della dura lotta che i proletari asturiani, del Leon e castigliani stanno attuando, questa politica di conciliazione interclassista con lo scopo di rompere la vera forza di questa lotta operaia, che consiste nei mezzi e nei metodi classisti che vengono in essa impiegati. La forza dei minatori risiedeva e risiede durante questo conflitto (come nei conflitti precedenti, ad esempio negli anni Ottanta), nella sua capacità di attaccare il profitto capitalista direttamente, attraverso lo sciopero e il sabotaggio. Per questo hanno raccolto la solidarietà di tanti altri settori proletari delle zone interessate e per questo la stessa solidarietà, basata sull’unità di classe che risalta nella lotta quando questa è realmente classista, ha rafforzato la stessa lotta dei lavoratori delle miniere.

Quando gli agenti del sindacalismo collaborazionista impongono una marcia mediatica a Madrid per manifestare di fronte al Ministero, strappano la lotta dalle coordinate nelle quali risulta effettiva ed efficace riducendola ad una manifestazione democratica, spettacolare e triste, che confida nella buona volontà di una borghesia che non permetta di distruggere l’economia locale (e con essa le sovvenzioni dei sindacati collaborazionisti). La “marcha negra”, diretta da coloro che per decenni hanno sacrificato i proletari della regione all’altare del profitto capitalistico, è stata un tentativo di convertire la lotta operaia in un teatro nel quale si rappresentava la parodia della lotta di classe. Minatori come vedettes che non sono proletari ma “eroi”, comuni di destra e di sinistra che li appoggiano, scorie intellettuali e artistiche che cantano le loro lodi... tutto il contrario delle lezioni che il proletariato deve trarre dal conflitto che si vive nei bacini minerari e che, con queste scene si pretende di liquidare.

I proletari dei bacini minerari, tanto quanto coloro che li accolsero a Madrid e nel resto delle città in cui si è manifestato ed è passata la loro marcia, dovranno scontrarsi, in breve tempo, con l’alternativa di lottare in difesa delle proprie condizioni di esistenza o di subire nelle proprie carni la durezza delle conseguenze della crisi capitalista. Le riforme e gli aggiustamenti degli ultimi giorni lo mostrano con evidenza lampante. Però, per lottare i proletari dovranno rompere con la nauseabonda tradizione democratica che intossica ancora la loro classe. Dovranno liberarsi delle illusioni interclassiste che portano a fantasticare un’uscita dalla crisi grazie ad un “patto” tra operai e padroni, dovranno respingere le idee di conciliazione sociale, ma soprattutto dovranno riconquistare i mezzi e i metodi propri della lotta di classe, quelli che danneggiano realmente il profitto capitalista e che pongono i capitalisti nella situazione di cedere anche se transitoriamente, ma che sono istruttivi per continuare la lotta e difenderne l’organizzazione e l’impostazione classista. Lo sciopero indefinito, senza preavviso né garanzie di servizio minimo, i picchetti per imporlo e difenderlo, la costituzione di organismi proletari perché la lotta duri nel tempo, sono le lezioni che tutti i proletari devono tirare perché la generosità e l’audacia con cui i minatori hanno affrontato la lotta e le strade di Madrid non siano nuovamente gettate nel dimenticatoio.

 

Per la difesa intransigente delle condizioni di esistenza del proletariato!

Per la lotta proletaria con mezzi e metodi classist!

Per la rottura con gli agenti della borghesia in seno al proletariato!  

Per la ripresa della lotta di classe!

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

13 luglio 2012

www.pcint.org

 

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