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La Grenfell Tower è andata completamente a fuoco

La speculazione edilizia ringrazia

 

 

Londra. Nella notte del 14 giugno scorso, poco prima dell’una di notte, nel grattacielo di 24 piani Grenfell Tower, scoppia un incendio che in pochi minuti, ad una velocità terrificante, avvolge tutto l’edificio. Le vittime accertate a due giorni di distanza sono 43, i feriti 69, i dispersi 78, 65 le persone tratte in salvo dai vigili del fuoco interventi rapidamente. Ma i dispersi vengono in realtà dati per morti, vista la velocità con cui l’incendio si è propagato in tutto l’edifico, perciò il numeri dei morti supererà i 100.

Il grattacielo, alto più di 67 metri, con 120 appartamenti e 600 persone che vi abitavano, era in realtà una “casa popolare”, uno di quei numerosissimi alveari umani che caratterizzano le città del capitalismo. Era situato in una zona composta principalmente di case popolari, nel quartiere di North Kensington, ma attorniato da edifici molto più moderni ed esteticamente più belli e ricchi. E’ stato considerato un edificio anomalo per la zona, per la sua estetica (non a caso è definito di stile brutalista) (1) – ma soprattutto per il fatto di essere appunto “popolare”, quindi abitato da famiglie a basso reddito – come d’altra parte tutti gli edifici di edilizia sovvenzionata.

Non c’è voluto molto per capire che l’incendio e, soprattutto, la velocità di irradiazione in verticale sull’intero grattacielo sono dovuti in particolare ai lavori di ristrutturazione recentemente fatti in ottemperanza alle disposizioni di rendere l’edificio esteticamente più gradevole, lavori per i quali sono stati utilizzati però materiali altamente infiammabili! La Grenfell Tower doveva essere “riqualificata”, bisognava “migliorarne l’aspetto esteriore”: dietro la “scelta” di aumentare il numero delle unità abitative, diminuire le uscite di sicurezza, utilizzare materiale scadente e poco sicuro –  scrive l’huffingtonpost.it (2) – stava l’ideologia egemone (il neoliberismo) che ha determinato il come e il quando dello sviluppo spaziale e demografico della City londinese dagli anni Settanta in poi.

Siamo in pieno periodo del cosiddetto neoliberismo, che per campioni aveva Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti. Si trattava di quella “strategia” politica che aveva per obiettivo dichiarato un ridimensionamento del ruolo economico del settore pubblico, e quindi dello Stato (sintetizzata nel famoso “Rolling back the frontiers of the State”, ossia far arretrare i confini dello Stato), e che voleva semplicemente dire che lo Stato doveva promuovere al massimo possibile la privatizzazione di tutti quei settori economici nei quali, in particolare dopo la fine della seconda guerra mondiale, aveva investito enormi capitali per far riprendere lo sviluppo industriale e capitalistico del paese, ma che costituivano fonti di profitto molto vantaggiose per i capitali privati, soprattutto sopo la grande crisi mondiale del 1973-75, periodo in cui la pubblica amministrazione – per far tornare i conti in ogni città e in ogni dipartimento – si rivolgeva obbligatoriamente ai capitali privati ai quali doveva forzatamente dare in contropartita vantaggi consistenti, e il settore dell’edilizia col suo seguito di speculatori era tra i più privilegiati. Rimanendo nella città di Londra, uno degli esempi di gigantesca speculazione edilizia è costituto dai Docklands, che, sotto il governo della Thatcher, sono stati bonificati; questa vasta zona portuale è stata rasa al suolo per costruire grattacieli di vetro e acciaio della City: le vecchie fabbriche sono state sostituite da scintillanti uffici della finanza globale, vero simbolo del cambiamento caratteristico dell’imperialismo capitalistico che dall’economia reale, materiale, muta in economia finanziaria.

In virtù di questa politica, all’impresa privata è stata data tutta una serie di facilitazioni e, in particolare, la gestione dell’edilizia pubblica: all’insegna del minimo costo e del massimo profitto!

La Grenfell Tower non è il solo grattacielo di edilizia popolare. A Londra ce ne sono a decine, molti dei quali sono stati “ristrutturati” esternamente con gli stessi materiali infiammabili che hanno bruciato in pochi minuti la Grenfell Tower. Basta un cortocircuito in un appartamento – come è successo al tassista etiope che abitava al quarto piano della Grenfell Tower – per scatenare un rogo impressionante. In questo modo, il capitale ha ottenuto due risultati: gli abitanti della Grenfell Tower, quelli che non sono bruciati vivi, sono stati forzatamente sloggiati, e il loro destino sarà segnato da una lunga precarietà che li accompagnerà probabilmente per il resto della vita – come succede ai terremotati di casa nostra – e al posto del grattacielo popolare sarà innalzato un altro edificio della speculazione edilizia e finanziaria!

Da parte delle “autorità”, le solite promesse di “inchiesta” e di perseguire “i responsabili” di tale tragedia, ovviamente, hanno accompagnato immediatamente l’evento catastrofico; ma sono le stesse “autorità” che hanno da decenni perseguito gli interessi del profitto capitalistico e che hanno dato tutte le autorizzazioni ai lavori di ristrutturazione che sono stati alla base dell’incendio della Grenfell Tower! Le stesse autorità che si piegano agli enormi interessi dei grandi gruppi finanziari che determinano le “scelte” anche delle sedicenti “riqualificazioni” dei quartieri e degli edifici che non rispondono più alle esigenze sempre più voraci e antropofaghe del capitalismo.

Nella società borghese, che si fonda sullo sfruttamento del lavoro salariato grazie al quale sfruttamento la classe dominante estorce dalla produzione sociale il plusvalore che trasforma poi in profitto e rendita, non sarà mai possibile un’organizzazione economica e, quindi, sociale, “a misura d’uomo”; la misura è il profitto capitalistico, ed è inseguendo spasmodicamente questo profitto che, in termini di consumo di spazio – spazio terrestre, spazio marino, spazio aereo – il capitalismo è necessariamente verticalista (i grattacieli delle città trovano i propri simili in mare, con le grandi navi da crociera e i  grandi portacontainer, e in cielo con i mastodonti con apertura alare di quasi 100 m.), come necessariamente rincorre la velocità ed il gigantismo.

Lo sviluppo delle città, trasformate in veri e propri giganteschi alveari umani, attorniate e collegate tra di loro da strade, superstrade, autostrade, è la dimostrazione di un consumo irrazionale e dannoso del suolo, che sottrae sempre più terra all’agricoltura a favore di una disastrosa urbanizzazione e costringe gli esseri umani ad ammassarsi in ambiti sempre meno accoglienti, meno igienici e meno naturali. Tutto quanto riduce all’uomo lo spazio – lo spazio di vita, in tutti i sensi – è capitalismo! (3). E questo avviene non solo nelle case d’abitazione dove i proletari sono costretti ad ammassarsi date le loro condizioni economiche, giungendo ad un sovraffolamento permanente; avviene anche intorno alle case di abitazione circondate da depositi di rifiuti e da sorgenti inquinanti di ogni tipo, ed anche nei luoghi di lavoro dove la forza lavoro proletaria viene direttamente sfruttata, in locali ristretti e malsani (come denunciava già Marx nel Capitale, Libro III).

Il capitalismo, l’abbiamo sostenuto e dimostrato milioni di volte, è la società dello spreco, se vista dal punto di vista delle esigenze di vita degli esseri umani: l’iperfollia produttiva e la concorrenza di mercato sempre più sfrenata portano inevitabilmente al gigantismo anche dello spreco; basti pensare all’enorme produzione di prodotti del tutto inutili e dannosi alla vita e alla salute umana. Ma anche il capitalismo ha un suo concetto dello “spreco”: far lavorare i proletari in ambienti sani, igienici, gradevoli, sicuri e per un tempo giornaliero molto limitato – ad esempio una o due ore al giorno – per il capitalista è un enorme spreco; dunque, il suo “risparmio” consiste nell’aumentare al massimo possibile la produttività del lavoro salariato e nel non investire capitali per rendere umane le condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie, ma investirli per aumentare i suoi profitti, per affrontare e battere la concorrenza, per difendere le proprie quote di mercato e per difendere il sistema capitalistico in generale con forze politiche, sociali, religiose e armate. Così come le fabbriche e il lavoro nelle aziende erano e sono rimaste delle galere, dove ai proletari sono imposte condizioni di lavoro spessissimo disumane, anche nelle abitazioni, soprattutto ad edilizia “popolare”, le condizioni di sicurezza, di igiene e di salubrità degli edifici sono in genere molto deficitarie e causa, come per la Grenfell Tower, di tragedie annunciate.

Quante volte i residenti di questi edifici hanno denunciato il pericolo per la loro vita rappresentato dalla sistematica mancanza di manutenzione, se non addirittura – come nel caso della Grenfell Tower – ai materiali utilizzati per la loro costruzione o per la loro “riqualificazione”. Ed ogni volta, i “responsabili”, i “padroni”, le “autorità” non davano alcun seguito alle denunce... se non quando si materializzava l’occasione per fare ulteriore profitto o quando avveniva, come è avvenuta, la tragedia! Ed anche nel caso dell’intervento riqualificatore, l’intervento si è dimostrato assassino!

Nella società capitalistica ogni attività lavorativa è resa merce, e sottostà alle leggi del mercato che non sono riducibili alla banale legge “della domanda e dell’offerta”, bensì alla legge della più spietata concorrenza per cui il lavoro non è parte armoniosa della vita umana, ma le è contro, le si contrappone sia direttamente che indirettamente, sia a livello individuale che, soprattutto, sociale. Il capitalismo non ha alcuna soluzione che capovolga questo rapporto, che renda il lavoro umano utile, oltre che necessario, alla vita umana. La soluzione sta nella distruzione del capitalismo, del suo modo di produzione e della sua organizzazione sociale che, anche quando è in crisi, rigenera continuamente i fattori di contraddizione e di contrasto sociale della società divisa in classi antagoniste.

E’ oltremodo demagogico che le stesse autorità e lo stesso governo che hanno varato, sostenuto, protetto e applicato la politica “neoliberista”, di fronte ai morti della Grenfell Tower chiamino il popolo londinese a stringersi intorno ai sopravvissuti e a solidarizzare sia con loro che con il governo perchè queste tragedie... non succedano più!!! Succederanno ancora, anche se non immediatamente, a Londra o in qualche altra città, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, in uno dei paesi europei o in India, in Cina, in Giappone o in Sud America, perché le leggi dello sviluppo capitalistico sono le stesse in tutto il mondo e, dal punto di vista delle tragedie che colpiscono soprattutto i proletari, non c’è confine statale che tenga!

Non è cambiando i materiali plastici altamente infiammabili utilizzati nel rivestimento esterno della Grenfell Tower, e che verranno probabilmente sostituiti in tutti gli altri grattacieli popolari dove sono stati allo stesso scopo estetico utilizzati, che l’insicurezza di vita per le masse proletarie magicamente svanirà. Se non saranno quei materiali la causa di simili tragedie, saranno altri materiali per i quali la legge del risparmio capitalistico sulla struttura, sui materiali da costruzione, sulla composizione del cemento o su qualsiasi altro manufatto, impone agli speculatori immobiliari, alle banche che forniscono i capitali, di garantire i profitti che quegli investimenti richiedono, costassero – come sono sempre costati – decine o centinaia di vite umane!

I capitalisti considerano i proletari una fonte preziosa di profitto alla sola condizione di sfruttarne la forza lavoro al fine di estorcerne il massimo plusvalore possibile. Noi marxisti lo chiamiamo plusvalore, perché è esattamente la quota di valore del lavoro salariato applicato alla produzione che corrisponde al tempo di lavoro non pagato al proletario: è da questo tempo di lavoro non pagato che il capitalista estrae il suo guadagno, il suo profitto, poiché tutti gli altri costi di produzione legati alle materiale prime, ai macchinari, ai trasporti, al magazzinaggio ecc., una volta definiti non cambiano e, in quota-parte, si riversano sul prodotto finale; e perciò tutto questo è chiamato capitale costante o, se volete, costi fissi. Solo il salario è un costo variabile; è un costo che dipende dal numero dei lavoratori impiegati in quella determinata produzione, dalla produttività reale ottenuta dal loro impiego, e dal fatto che tende ad essere continuamente deprezzato (aldilà del suo valore nominale) poiché è legato al costo medio dei generi di prima necessità che servono al mantenimento e alla riproduzione della forza lavoro giorno dopo giorno. Ma la sua variabilità, in effetti, più il capitalismo è sviluppato e più il prezzo dei prodotti sul mercato si abbassa, dirigendosi verso il basso provoca un reale abbattimento del costo giornaliero di mantenimento e riproduzione della forza lavoro; rimanendo inviarate le ore giornaliere lavorate, le ore che corrispondono effettivamente al valore del costo della vita per la riproduzione della forza lavoro giorno per giorno tendenzialmente diminuiscono, mentre aumentano le ore di lavoro non pagato. Il guadagno del capitalista non solo è assicurato da questo meccanismo, ma tende ad aumentare in quanto aumenta la quota di plusvalore che estorce ad ogni singolo lavoratore.

Questo sistema costituisce la struttura del modo di produzione capitalistico, ed è difeso dalla classe borghese dominante non solo attraverso la proprietà privata e, soprattutto, l’appropriazione privata dell’intero prodotto del lavoro sociale, ma anche attraverso il suo Stato. E’ un sistema che può subire delle modifiche in qualche suo aspetto marginale, può essere in qualche modo riformato in questa o in  quella parte, ma solo sotto la pressione della lotta del proletariato che, in ogni caso, pur ottenendo con lotte vigorose portate avanti nel tempo e in tutti i paesi capitalisti alcuni risultati – ad esempio la famosa legge delle 10 ore nell’Inghilterra di metà Ottocento, o la legge delle 8 ore in molti paesi capitalisti avanzati a metà Novecento – non ottiene questi risultati in modo definitivo. La lotta che la classe borghese conduce contro il proletariato è tale per cui, in determinate situazioni, riesce a rimangiarsi molte delle concessioni che gli sono state strappate dai proletari con la lotta.

Questo sistema contiene, come abbiamo visto nel caso degli edifici popolari, ma lo si può riscontrare in tutti gli ambiti dell’economia e della vita sociale, un meccanismo che è congenitamente perverso: il massimo profitto i capitalisti lo ottengono, da un lato, forzando sulle condizioni di lavoro e di vita dei proletari, peggiorandole rispetto a situazioni precedenti ed aumentando la concorrenza tra proletari grazie alla pressione delle masse disoccupate sulle masse occupate e alla pressione delle masse a basso o bassissimo costo rappresentate dalle folle di immigrati che fuggono dalla miseria, dalla fame, dalle persecuzioni e dalla guerra che devastano i loro paesi d’origine; dall’altro lato, risparmiando in modo consistente sui materiali utilizzati.

A tragedia appena successa, come alla Grenfell Tower, tutte le “autorità” si danno un gran daffare per tamponare la situazione e per monitorare altre situazioni di pericolo simili, come ci è stato annunciato da tutte le televisioni e i media internazionali. Passato un mese, un semestre o un anno, tutto andrà nel dimenticatoio: il capitale non si guarda indietro, copre e dimentica le proprie malefatte, e continua a cercare tutte le occasioni possibili per la propria valorizzazione, per aumentare la propria potenza e per mantenere intatto il suo modo di produzione da cui trae la sua vitalità. Solo che la vita di Sua Maestà il Capitale non è a “costo zero”, ma costa in morti, feriti, infortunati, disoccupati, emarginati, in ambiente inquinato, intossicato, invivibile e in disastri, sciagure e tragedie che appaiono come una fatalità permanente, ma che sono invece prodotti specifici della società capitalistica.

Può, da questa società così putrefatta e degenerata, nascere una società diversa, una società in cui lo spazio umano la vince sull’ammassamento e sulle restrizioni, in cui l’armonia tra vita umana, vita sociale e attività lavorativa sia la caratteristica specifica della società gettando l’antagonismo del capitalismo tra lavoro e vita umana nel dimenticatoio della storia? Può, da questa società, tutta indirizzata a soddisfare le esigenze del capitale e delle sue speculazioni, nascere una società che metta al centro le esigenze della vita umana, dell’essere umano come essere sociale, una società organizzata non solo razionalmente – e quindi senza sprechi di terra, di acqua, di aria, di prodotti, di uomini – ma capace di stabilire con la natura un rapporto armonioso e di innescare un ciclo storico di conoscenza scientifica tale da poterne avere se non il controllo completo, quel controllo grazie al quale mantenere nel tempo il rapporto armonioso tra esigenze umane e fatti naturali?

Da marxisti sappiamo che il capitalismo, dopo essere stato un movimento storico – da ogni punto di vista, economico, sociale e politico – di grande progresso rispetto alle società precedenti, è pur sempre una società divisa in classi che si basa principalmente su di una classe dominante, la borghesia, e una classe dominata, il proletariato. E come ogni società divisa in classi ha un suo tempo storico che si svolge in fasi, dalla fase rivoluzionaria alla fase riformista alla fase di conservazione e reazionaria, fase in cui siamo immersi da tempo. E’ la storia dello sviluppo delle società umane che ha definito, in virtù delle caratteristiche dello sviluppo economico delle diverse società, un percorso inevitabile; un percorso che risulta misterioso a tutte le teorie borghesi, intrise di pregiudizi, religiosi o meno che siano, ma che risulta invece ben chiaro al marxismo, ossia all’unica teoria scientifica che si occupa della società umana e del suo sviluppo. La lotta tra le classi principali di questa società, tra il proletariato e la borghesia, è la lotta decisiva perché per attuare il salto di qualità storico del passaggio dalle società divise in classi alla società senza classi, alla società comunista, è necessario abbattere il primo e decisivo ostacolo politico: il potere politico borghese, il suo Stato. Soltanto dopo aver abbattuto il potere borghese, e non in un solo paese, sarà possibile mettere mano, da parte del nuovo potere proletario, all’avvio della trasformazione economica della società; una trasformazione che non potrà avvenire che a livello internazionale e che potrà contare sulla classe proletaria che è materialisticamente internazionale e che ha lo stesso interesse storico in tutto il mondo.

Certo, tra una tragedia come quella della Grenfell Tower e la rivoluzione proletaria che avrà il compito di abbattere il potere politico borghese, ce ne passa... Ma la questione va vista con uno sguardo non borghese, non accidentale, non per episodi separati; la visione marxista è storica ed è mondiale, e non può non vedere tutti gli aspetti e le conseguenze di un unico modo di produzione, quello capitalistico, tenendo certamente conto del diverso grado di sviluppo economico, sociale e politico da paese a paese. Ma è indiscutibile che il meccanismo che guida le “scelte” dei capitalisti è fondamentalmente sempre lo stesso in tutti i paesi e va affrontato, e combattuto, con armi teoriche, politiche e pratiche in grado di non farsi spuntare in forza di particolarità nazionali, culturali, religiose, e tanto meno localiste. Soltanto quando i proletari cominceranno ad alzare lo sguardo al di sopra del meschino orizzonte individualista e piccolo borghese verso cui è stato educato a guardare; soltanto quando i proletari cominceranno a riconoscersi come fratelli di classe, come componenti di una classe che ha un compito storico da svolgere, e quindi cominceranno a lottare non solo per ottenere nell’immediato un freno ai peggioramenti continui che sono loro imposti ma anche qualche miglioramento; soltanto quando i proletari cominceranno a riconoscersi come forza sociale, capace di porsi allo stesso livello politico e pratico della classe dominante, e a riconoscere che la loro solidarietà di classe è la vera forza unificante in grado di battere la concorrenza fra di loro e di controbattere agli attacchi della classe dominante borghese; soltanto allora i proletari riusciranno a reagire alla vita grama che la borghesia li costringe a vivere e a vedere in ogni singola tragedia che li colpisce un unico modo di dominio della classe borghese, in tempo di pace come, e tanto più, in tempo di guerra.

Il terrorismo strisciante con cui il potere economico e politico borghese intimidisce e ricatta la classe proletaria in ogni paese, si palesa ogni giorno attraverso lo sfruttamento quotidiano della forza lavoro, attraverso le vessazioni della burocrazia e delle pubbliche amministrazioni, attraverso il razzismo concreto messo in atto dai borghesi ricchi nei confronti dei proletari e di una popolazione di poveri che col tempo aumenta sempre più composta da proletari che provengono da ogni parte del mondo. Agli incidenti e agli infortuni sui posti di lavoro, si sommano gli incidenti stradali, ferroviari, marittimi o aerei dovuti sempre a cause legate alla frenesia capitalistica di far profitto, e si sommano le tragedie non solo legate ai terremoti o agli tsunami, ma anche quelle di palazzi che vanno a fuoco. Per non parlare delle guerre di rapina che l’imperialismo capitalista scatena continuamente nelle diversi parti del pianeta e che, a loro volta, provocano migrazioni inenarrabili di masse diseredate vaganti da un paese all’altro cercando di sopravvivere.

E’ nella lotta di classe che il proletariato può trovare la risposta alla sua condizione di schiavo salariato, che sia schiavo in un paese sconvolto dalla guerra o nel paese imperialista dominante.

 


 

(1) Questo stile architettonico, il cui più noto rappresentante fu Le Corbusier, è chiamato in questo modo perché nella costruzione degli edifici si usa il cemento grezzo (béton brut); questo stile prevedeva l’uso di materiali grezzi e a buon mercato, “adatti” per l’edilizia popolare che, in quanto edilizia sovvenzionata dallo Stato, doveva costare il meno possibile.

(2) Cfr. http://www.huffingtonpost.it/ michele-grimaldi/ lincendio-della-grenfell-tower-e-gli-effetti-collaterali-del-ne_a_22488458/

(3) Vedi l’articolo Spazio contro cemento, della serie “Sul filo del tempo”, pubblicato nel n. 1 dell’8-24 gennaio 1953, di “il programma comunista”; questo articolo prende le mosse dal nuovo stile architettonico, il verticalismo, che un famoso architetto franco-svizzero, Le Corbusier, diffuse nel mondo.   

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

23 giugno 2017

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