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L’8 marzo è proletario e comunista!

 

 

L’8 marzo, come il 1° maggio, è una data in cui, internazionalmente, il movimento socialista e poi comunista, chiamava i proletari di tutti i paesi a lottare contro lo sfruttamento e l’oppressione che il capitalismo esercita sulle classi lavoratrici attraverso i suoi molteplici agenti: i padroni, lo Stato, i detentori di grandi proprietà e di grandi capitali, e tutta la schiera interminabile di difensori della conservazione sociale grazie alla quale ottengono privilegi economici, politici e sociali.

La lotta di classe, la lotta che unisce i proletari di ogni settore economico, di ogni nazione, di ogni razza, di ogni età, di ogni sesso: è questa lotta che trovava nel 1° maggio e nell’8 marzo i suoi appuntamenti a livello internazionale, attraverso la quale la classe operaia del mondo ribadiva la propria volontà di combattere non solo in difesa delle proprie condizioni di esistenza, per migliorarle o perlomeno per arginare efficacemente il loro peggioramento, ma soprattutto nella prospettiva dell’emancipazione del proletariato tutto – proletari e proletarie – dall’oppressione borghese.

Il dominio borghese sulla società si esercita non soltanto attraverso il monopolio dei mezzi di produzione, ma anche, e soprattutto, attraverso il monopolio della forza politica e militare concentrata nello Stato che, attraverso le sue leggi, le sue istituzioni politiche, sociali e militari, controlla e difende gli interessi generali della classe dominante borghese. Perché ha bisogno di difendere questi interessi? Perché nella storia delle lotte tra le classi, la classe produttrice per eccellenza, la classe operaia, ha dimostrato di poter superare le divisioni e la concorrenza, che ne frammenta e indebolisce la forza, unendosi non solo nella lotta di classe di difesa, ma anche nella lotta di classe di offesa, nella lotta rivoluzionaria. La classe dominante borghese teme, fin dal 1848, che la classe proletaria insorga contro il suo potere, ed ha ragioni storiche molto solide per temerla: la Comune di Parigi del 1871, prima, la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 e i diversi tentativi rivoluzionari successivi in Europa e in Cina, poi, hanno fatto vacillare i poteri borghesi non solo in un paese, ma in tutto il mondo. E così, le classi borghesi hanno imparato a dominare utilizzando più strumenti: non solo quelli dell’aperta violenza e repressione contro le organizzazioni classiste del proletariato e contro i suoi partiti di classe, ma anche quelli della corruzione democratica e della collaborazione interclassista.

Una volta sconfitto il potere proletario e comunista in Russia e ad imporre, sulla base di questa vittoria, il dominio controrivoluzionario in tutti i paesi, le classi borghesi sono passate ad impossessarsi di tutto ciò che distingueva il movimento di classe proletario e nel quale il proletariato internazionale si riconosceva come classe a sé stante, come classe antagonista per eccellenza alle classi dominanti esistenti, come classe non più piegata alle esigenze del capitale ma portatrice dell’unica prospettiva storica rivoluzionaria dell’epoca moderna, quella della sua emancipazione dal lavoro salariato, dunque dalla società del capitale che sull’obbligo delle classi non possidenti al lavoro salariato basa il suo vero dominio sociale; dunque, come classe per sé e non più semplicemente classe per il capitale!

La dittatura di classe, che per il proletariato è apertamente antiborghese e anticapitalistica e che caratterizza da sempre uno dei passaggi storici dell’emancipazione rivoluzionaria del proletariato, come metodo di governo che la classe proletaria ha messo in pratica con la Comune di Parigi e con la Rivoluzione russa, è stato fatto proprio dalla borghesia che, dopo essere riuscita – con l’apporto decisivo delle forze opportuniste – a sconfiggere il proletariato rivoluzionario, ha scoperto la dittatura fascista, aperta dittatura della classe dominante non più mascherata dai veli della democrazia, con il suo partito unico, con la distruzione delle organizzazioni sindacali e politiche proletarie, e con una politica apertamente di collaborazione tra le classi. Anche la borghesia ha imparato dalla storia delle lotte fra le classi, ed ha imparato che, per mantenere il potere politico nelle proprie mani, è molto più producente adottare tutte le misure e le varianti riformistiche che la democrazia, l’elettoralismo e il parlamentarismo consentono, piuttosto che adottare sistematicamente e solo la repressione. Di più, ha imparato che mescolando i due metodi di governo, quello pacifico-legalitario-democratico con quello blindato-repressivo-apertamente dittatoriale, a seconda dei rapporti di forza tra la classe proletaria e la classe borghese, il potere politico borghese ha più possibilità di sopravvivere allontanando nel tempo lo scontro di classe decisivo. Perlomeno, fino a quando il proletariato non riuscirà a scrollarsi di dosso le tremende pratiche e abitudini democratiche che ne paralizzano sistematicamente i movimenti tesi all’indipendenza di classe e alla difesa esclusiva dei suoi interessi di classe.

Ebbene, da decenni, la propaganda borghese che inneggia alla libertà, all’eguagliaza, alla fratellanza, ha dimostrato di falsare completamente la realtà dell’antagonismo di classe che caratterizza la società capitalistica; ma ha avuto il potere – soprattutto nei paesi capitalistici avanzati, dove ha potuto distribuire alle masse un po’ di “garanzie” economiche chiamate ammortizzatori sociali – di illudere le grandi masse proletarie che lo Stato e le sue leggi, considerati al di sopra delle classi e della lotta fra di esse, possono essere utilizzati per avvicinarle ad una effettiva libertà, ad una effettiva uguaglianza, ad una effettiva fratellanza senza cambiare la struttura economica capitalistica della società. Chiamare perciò i proletari a difendere, con la propria lotta e il proprio peso sociale, interessi “comuni” tra borghesi e proletari, fa parte di quella politica di collaborazione fra le classi che risulta vantaggiosa però soltanto per le classi borghesi. E la dimostrazione sta davanti agli occhi di tutti: le crisi economiche, che ciclicamente gettano l’economia capitalistica nel baratro, aumentando le masse di disoccupati, di emarginati, di precari, di poveri e di migranti che fuggono dalla fame e dalle guerre, parlano da sole perché quelle che ne escono incolumi, e più ricche, sono le minoranze capitalistiche che attraverso le banche, le multinazionali, le società finanziarie e i trust e gli Stati che sono loro assoggettati, salvano il sistema capitalistico generale e quindi anche se stesse. Interessi comuni? Nemmeno fra borghesi esistono davvero interessi comuni, visto che si fanno la concorrenza più spietata su qualsiasi mercato e la guerra più atroce per accaparrarsi una fetta di mercato in più. La volta in cui si alleano davvero tutti a difesa di “interessi comuni” è quando si trovano di fronte alla rivoluzione proletaria vittoriosa: allora il loro interesse comune è di abbatterla soprattutto perché non costituisca un esempio per tutti i proletari degli altri paesi del fatto che il potere borghese può essere vinto!

La società borghese poggia sull’antagonismo di classe fra borghesi e proletari; la lotta di classe, in verità, storicamente l’ha iniziata la borghesia contro la popolazione contadina spogliata di tutte le sue proprietà e resa appunto, senza riserve, proletaria! I proletari non hanno fatto altro che prendere atto della loro situazione di schiavi salariati e difendersi dalla pressione che la borghesia dominante esercitava, e continua ad esercitare, sulle loro condizioni di vita e di lavoro. Schiavi gli uomini proletari, e schiave le donne proletarie, insieme ai bambini proletari: la famiglia proletaria intera è stata resa schiava del lavoro salariato che per molto tempo ha riguardato i maschi, e poi, ha iniziato a riguardare i bambini e le donne proletarie perché rappresentavano forza lavoro più malleabile, più debole e da mettere in concorrenza con gli stessi proletari maschi.

I proletari, maschi, femmine e i loro figli, hanno interessi comuni? Sì, perchè subiscono tutti la stessa legge dell’oppressione salariale. E la loro unica possibilità di difesa efficace risiede nell’unirsi, nella solidarietà di classe perché una delle forze straordinarie che ha in mano la classe borghese consiste nel mettere in concorrenza i proletari fra loro, proletari e proletarie, proletari giovani contro proletari più aziani, proletari di un paese contro proletari degli altri paesi, proletari neri contro bianchi, gialli o olivastri, proletari di un credo religioso contro proletari di altri credi religiosi, proletari di un’etnia contro quelli di altre etnie.

I borghesi vivono di concorrenza, si organizzano in vista della concorrenza, per affrontarla con più forza; i proletari di concorrenza muoiono, si distruggono a vicenda, si annientano fra di loro aumentando nello stesso tempo la forza delle borghesie e il loro potere di schiavisti.

Ecco perché le donne proletarie, che in realtà subiscono una doppia oppressione in questa società: quella salariale e quella domestica; se da un lato hanno un motivo in più per solidarizzare con i proletari maschi in un’unica lotta contro la borghesia, dall’altro partono da una debolezza sociale più pesante nella quale la struttura sociale capitalistica le costringe. Hanno più bisogno di lottare contro la concorrenza che la società borghese alimenta tra i sessi e, quindi, hanno più bisogno di solidarietà di classe da parte dei proletari maschi i quali non potranno mai lottare veramente ed efficacemente contro l’oppressione salariale e per l’emancipazione dal lavoro salariato se non in stretta comunanza con le donne proletarie.

La società borghese ha tutto l’interesse di inoculare nei maschi in generale, e nei maschi proletari in particolare, l’idea che nella società conta il sesso cui si appartiene e non la classe; perché la “lotta tra i sessi”, aldilà del maschilismo congenito che accompagna tutte le società divise in classi, e la società capitalistica in particolare, è esattamente il contrario della lotta tra le classi: la lotta tra i sessi non metterà mai in discussione la struttura economica della società capitalistica e, quindi, non metterà mai in discussione il potere politico, ideologico, culturale della società attuale, come invece solo la lotta di classe può fare. Trascinare le donne, e le donne proletarie in particolare, sul terreno della lotta tra i sessi è la logica conseguenza dell’attitudine della società borghese a dare in pasto alle masse proletarie falsi obiettivi, al fine di indirizzare le loro energie nei meandri delle leggi e dei “diritti” che, una volta scritti, si possono tranquillamente calpestare e non applicare, per lo meno in tutti quei casi in cui l’impianto ideologico borghese deve essere difeso per poter esercitare l’oppressione sociale necessaria a dividere i proletari e metterli gli uni contro gli altri.

Illudersi che la democrazia borghese possa, prima o poi, “risolvere” il grande tema dell’uguaglianza tra uomini e donne, quando non è risolta la contraddizione principale che sta alla base di tutti i problemi insoluti in questa società, e cioè l’antagonismo tra capitale e lavoro salariato, è deleterio non solo per le masse proletarie di entrambi i sessi, ma è deleterio sul piano stesso della lotta perché lo Stato borghese riconosca e conceda, per legge, gli stessi diritti alle donne. In una società divisa in classi, inevitabilmente una parte della popolazione femminile è collocata nelle classi borghesi, ne fa parte integrante, partecipa allo sfruttamento del proletariato sia maschile che femminile, partecipa al fatto di scaricare sul proletariato, sia maschile che femminile, gli effetti della crisi economica e sociale di cui soffre periodicamente la società capitalistica. In questo senso la manager, la banchiera, la capitana d’industria, la ministra, la capo di Stato, la dirigente in un’azienda o nell’amministrazione pubblica o nelle forze militari, non svolge un compito diverso dal manager, dal banchiere ecc. ecc.: svolge per conto del capitale, della società capitalistica, e quindi della classe borghese capitalistica, il ruolo di organizzatore, controllore e guardiano del sistema e dell’ordine costituito, ruolo per il quale riceve privilegi, vantaggi, denaro, ricchezza.

L’uguaglianza tra donne e uomini, dal punto di vista della libertà di seguire le proprie inclinazioni, la propria attitudine e i propri “sogni”, sarà possibile soltanto in una società in cui non esista alcuna oppressione, alcun antagonismo tra classi, alcuna lotta di concorrenza; in una società in cui il progresso tecnologico, le innovazioni e le scoperte scientifiche potranno liberare il genere umano da ogni costrizione rendendo la necessità di lavorare un’attività di pochissime ore al giorno, un’attività armonica, gioiosa, piacevole oltre che utile e comunitaria, lasciando ad ognuno molto tempo giornaliero da dedicare a se stesso, alla vita sociale, a qualsiasi attitudine o all’ozio, perché l’organizzazione sociale della produzione, della distribuzione e dei più diversi servizi prevederà il contributo di tutti e tutti potranno accedervi liberamente. Stiamo parlando della luna? Di un altro pianeta? Stiamo parlando, in verità, della società comunista di domani, della società di specie che oggi sembra un sogno irrealizzabile, una fantasia che non si avvererà mai, ma che è nel corso stesso della storia materiale della società umana e del suo contraddittorio e tempestoso sviluppo. Se fosse davvero un sogno irrealizzabile, la società borghese non dedicherebbe enormi risorse per mantenere in piedi apparati ideologici e istituzionali, propagandistici e culturali, atti a confondere e deviare le spinte di classe e rivoluzionarie che trasudano continuamente da tutti i pori di questa marcia società.

Le donne proletarie dovranno faticare inevitabilmente molto di più dei proletari maschi per conquistare il terreno della lotta di classe; non vogliamo dire che arriveranno su questo terreno dopo i proletari maschi, ma che, dovendo lottare contro due oppressioni che si sommano quasi esclusivamente sulle loro spalle, su cui la pressione ideologica della classe dominante borghese è molto più pesante, esse dovranno fare uno sforzo notevole per conquistare il terreno della lotta di classe; ma, una volta conquistato, esse daranno un apporto essenziale ed indispensabile alla lotta del proletariato contro tutti coloro che dall’oppressione capitalistica traggono dei vantaggi. Saranno più determinate, più tenaci e trasformeranno la loro caratteristica naturale di essere l’elemento decisivo per la riproduzione della specie da elemento di debolezza, come è nella società borghese, ad elemento di forza.

L’8 marzo ridiventerà la giornata mondiale della donna proletaria quando la lotta di classe avrà riportato i proletari di entrambi i sessi sullo stesso terreno di scontro con le classi borghesi e con tutti i difensori della conservazione sociale. Ridurlo ad una giornata in cui appellarsi alle istituzioni borghesi perché riconoscano “uguali diritti” tra uomini e donne, se non addirittura ad una giornata di “sciopero delle donne” in nome di questa falsa uguaglianza, fa parte di quelle reazioni tipiche degli strati piccoloborghesi che, rovinati dalle crisi economiche capitalistiche o spaventati dal precipitare nella rovina economica e sociale che li porterebbe a perdere la posizione sociale di parassiti della società, tentano di coinvolgere le masse proletarie – e in questo specifico caso, le masse proletarie femminili – in una lotta sociale che li vede in concorrenza con gli strati più alti della borghesia, che rappresentano il loro vero modello.

L’8 marzo è nato come la giornata internazionale in cui le donne proletarie – uscite dal buio delle mura domestiche e dalla condizione di schiave domestiche, e abbracciato l’impegno politico, da cui erano secolarmente escluse, ma che era finalmente apparso anche alla loro portata per il fatto stesso di essere anch’esse sfruttate nel lavoro salariato come i proletari maschi – hanno lanciato una doppia sfida alle classi borghesi dominanti: si aggiungevano, come proletarie, ai reparti della lotta contro il padronato e la classe dominante borghese, e accomunavano la loro forza sociale a quella dei proletari maschi in una unione di classe per combattere come un unico esercito in difesa delle loro condizioni di esistenza e per l’emancipazione della classe proletaria nel suo insieme dalla schiavitù salariale.

In questo senso l’8 marzo è stato e dovrà ridiventare proletario e comunista! Non è una “festa” né tanto meno una “festa della donna”: o è una giornata della lotta di classe internazionale nello spirito e nella pratica della solidarietà di classe che combatte contro ogni tipo di concorrenza fra proletari, o è una colossale presa in giro e uno spreco immane di energie sociali. Le organizzazioni politiche e sindacali che del collaborazionismo interclassista hanno fatto la loro dottrina e la loro pratica quotidiana, non potranno mai lottare, o guidare una lotta, per una effettiva emancipazione della donna. Solo sul terreno della lotta di classe, indipendente ed esclusivamente in difesa degli interessi di classe del proletariato, è possibile ritrovare una luce in fondo al tunnel in cui le borghesie e tutte le forze della conservazione borghese hanno condotto i proletari, e le donne proletarie in particolare.

Certo, si deve partire dalle rivendicazioni-base, come il fatto che le proletarie abbiano lo stesso trattamento economico dei proletari quando sono impiegate nelle stesse mansioni, e che abbiano una serie di agevolazioni inerenti alla maternità e all’accudimento dei figli senza essere ricattate con il licenziamento, come devono avere l’effettiva libertà di decidere se abortire o meno ed essere assolutamente risparmiate dai lavori particolarmente pesanti ecc. Ma tutte queste rivendicazioni, che spesso fanno già parte di diritti scritti, se non sono sostenute con la lotta di classe e se non viene imposta la loro applicazione con la lotta di classe, rimangono diritti scritti sulla sabbia, facilmente rimangiati dai padroni e dallo Stato. Nei rapporti tra proletariato e borghesia decide la forza non il diritto: è la borghesia stessa che lo dimostra ogni giorno. Perciò il proletariato, che non ha altri punti di forza da mettere in campo se non l’organizzazione indipendente di classe e la tenacia nel perseguire i suoi obiettivi di classe, ha la strada segnata: o continua a piegarsi alle esigenze del capitale, e quindi delle classi borghesi che vivono sullo sfruttamento sistematico della forza lavoro salariata, o si organizza in modo indipendente per lottare contro le classi borghesi utilizzando un’arma formidabile che è la solidarietà di classe, quindi la lotta contro la concorrenza tra proletari. Su questa strada, e soltanto su questa, i proletari e le proletarie possono trovare la forza di ribellarsi all’ordine capitalistico, incontrare il partito di classe che a quella forza dà metodi, mezzi e obiettivi di classe, e indirizzarsi verso la lotta rivoluzionaria per trasformare la società dell’oppressione e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la società in cui la donna proletaria è ancora più oppressa, in una società senza classi, senza mercato, senza concorrenza, senza oppressioni, senza guerre.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

8 marzo 2018

www.pcint.org

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