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Gli affari del fuoco, mentre gonfiano le tasche dei capitalisti, sterminano sistematicamente vite umane

 

 

Come ogni estate, anche quest’anno in Grecia, approfittando del famoso meltemi – quel vento di tipo monsonico che soffia da Nord/Nord-Nordovest sul mare Egeo, delizia dei velisti – la lunga mano degli speculatori si è allungata nuovamente nelle zone turistiche nell’Attica, in particolare nei paesi a 30/40 km da Atene, e nel Peloponneso, mandandole a fuoco.

Ad oggi, 28 luglio, si contano 88 morti, in gran parte carbonizzati e perciò difficilmente identificabili, e più di cento dispersi. Ma queste tragedie sono una costante e sono tutte imputabili ad incendi dolosi, ad una prevenzione praticamente inesistente e ad uno sfruttamento del suolo – leggi, per dirla con una sola parola, cementificazione selvaggia – che risponde ad una sola regola: il massimo profitto nel tempo più breve possibile!

Ogni Stato borghese è dotato di leggi di ogni tipo: di regolamentazione, di prevenzione, di anticorruzione, di anti-abusivismo, di salvaguradia dell’ambiente, di protezione civile e di qualsiasi altro tema che le molteplici e diverse emergenze (leggi disastri, sciagure, deforestazioni, catastrofi) pongono oggettivamente e costantemente ai governanti. Ma ogni Stato borghese risponde non tanto alle sue stessi leggi, quanto alla legge non scritta del profitto capitalistico, alla legge del capitale più forte e di coloro che lo detengono, difendendo in questo modo non i diritti tanto declamati nelle costituzioni democratiche e nelle loro leggi, ma il diritto e la libertà del capitale di investirsi dove più velocemente può valorizzarsi, produrre profitto, guadagnare di più, più rapidamente e più massicciamente. Gli stessi “uomini di legge” borghesi sono costretti però, di tanto in tanto – e con tutti ritardi che ogni potere capitalistico di fatto impone – a denunciare situazioni di incuria, di dolo, di corruzione, di abusi, di crimine che stanno a monte di ogni tragedia; si tratti di incendi, di alluvioni, di smottamenti, frane e crolli, le loro cause portano sistematicamente a responsabilità legate alla spasmodica corsa al profitto nella quale si calpestano non solo le leggi, i diritti e il vivere civile ma soprattutto vite umane e, con esse, l’ambiente in cui si dovrebbe vivere e non morire.

Le cronache degli incendi in Grecia evidenziano che là dove i giorni di fuoco hanno devastato boschi, case e vite umane – in particolare a Mati, Maratona, Rafina, Pentelis, Kineta, a qualche decina di km da Atene – si riscontra un’alta percentuale di abusivismo edilizio. Mati, soprattutto, che da “buen retiro” della borghesia ateniese e simbolo della “movida ateniese” è diventato simbolo dell’abusivismo edilizio, fenomeno molto diffuso in tutta la Grecia. Le statistiche del ministero delle Infrastrutture greco dicono che nelle zone colpite dagli incendi c’erano ben 1.218 edifici abusivi (case, ville, palazzine, condomini esclusivi), cioè quasi il 50% degli edifici presenti. La stessa area, delimitata dal triangolo Maratona-Mati-Pentelis, che avrebbe dovuto, secondo il piano urbanistico generale del 1992, essere protetta, perché di carattere forestale, per l’80% del suo territorio, non solo è stata riempita di case di villeggiatura, una appiccicata all’altra, ma vi sono state ritagliate stradine molto strette per accedere al mare, con passaggi tombati col cemento, e alle ville e ai condomini esclusivi sono stati aggiunti parcheggi sotterranei, giardini, piscine. Lo capirebbe anche un bambino che in situazioni di emergenza, in tutta quest’area, le vie di fuga sono praticamente bloccate (1).

Non c’è dubbio, dicevamo, che gli incendi – sono stati ben 47 i roghi solo nell’area di Mati – siano di natura dolosa; ed è certo che nel piano criminale di mettere a fuoco intere zone era previsto che si approfittasse del periodo in cui spira forte il vento meltemi, come in questi giorni di fine luglio, che, come caratteristica, ha non solo di raggiungere rapidamente i 50km/h ed oltre, ma di esssere costante per un periodo prolungato. Questo è un vento che, proveniente dall’Anatolia, tende in generale a mitigare la gran calura estiva in tutto il Mediterraneo orientale, arrivando fino all’Egitto, ma, dato il suo carattere monsonico, in presenza di incendi riesce a dar loro un’impressionante velocità di propagazione. Come mai sono stati appiccati anche nella “zona-bene” della marina ateniese? E’ sempre la spasmodica corsa al profitto, e la concorrenza tra capitalisti che tentano di sfruttare qualsiasi occasione per trarre profitto – se si distrugge, poi si ricostruisce con maggior profitto da speculazione – alla base di ogni tragedia di questo tipo.

Già nel 2007, nella torrida estate greca, ci sono state decine di incendi e per un prolungato periodo – ben 12 giorni d’agosto – a causa dei quali si contarono 77 vittime, tra l’Attica, il Peloponneso e l’isola Eubea; andarono in fumo boschi, terreni agricoli, case e villette, come in questa estate.Gli incendi colpirono in particolare le zone turistiche: Pentelis, Rachi Dioniso, Ntrafi e poi le “tre perle” del Peloponneso: Laconia, Mani e Tripoli, e poi Lagonissi, Achaia, Patrasso, Ritsona, Kefalovriso, e in tanti altri luoghi fin su, a nord, a Delfi.

La Grecia, ogni estate, da 30 anni, si trasforma nella terra del fuoco: “bruciano boschi su terraferma e isole, che poi dopo 6 mesi vengono per magia tramutati in resort e bed and breakfast” (2). In effetti, nell’economia greca il turismo ha un peso rilevante; rappresenta il 22,6% del PIL e, in termini di occupazione, secondo le statische ufficiali, rappresenta il 23,6% del totale. A fronte di 10 milioni e 800 mila abitanti, la Grecia è invasa, per le vacanze estive di ogni anno, da quasi 25 milioni di turisti (ultimo dato del 2016) che corrispondono ad un valore di entrate di 14.618 mln $ Usa (estate 2016). Perciò le speculazioni insistono in particolare in questo settore, e gli incendi sono parte integrante dell’economia turistica del paese.

Il capitalismo penetra, con la sua legge del profitto, in qualsiasi settore, in qualsiasi anfratto economico; corrompe e degenera qualsiasi attività, pur di trovare la via per valorizzarsi. Non ha sentimenti, non ha comprensione, non ha compassione ed utilizza per i suoi fini ogni mezzo: distrugge per costruire, costruisce per distruggere e ricostruire in una spirale senza sosta. I milioni di morti nelle guerre di rapina che il capitalismo scatena in ogni parte del mondo testimoniano che la società che si basa sul modo di produzione capitalistico, sull’economia mercantile, sulla legge di profitto, sullo sfruttamento del lavoro salariato, sulla proprietà privata e sull’appropriazione privata delle ricchezze prodotte in ogni paese, è una società senza futuro, una società che cannibalizza se stessa e che può essere fermata e, questa volta sì, completamente rivoluzionata, solo da una lotta che non si fermi a bloccare e a spegnere gli incendi o ad arginare la furia dei fiumi, dei mari o dei terremoti, ma a spezzare un potere politico eretto sul cannibalismo capitalistico, sulla conservazione di un sistema economico che non è solo disumano, ma è divoratore di energie vitali dell’uomo e della natura. Questa lotta è la lotta rivoluzionaria i cui compiti storici sono assunti dalla classe dei senza riserve, dei senza patria, dei proletari, della classe alla quale la società del capitale, dopo averla creata e diffusa in tutto il pianeta, nega non solo un futuro, ma anche lo stesso presente riducendola a carne da cannone nelle sue guerre, dopo averla massacrata di fatica nelle galere del lavoro e averla ridotta a pura merce da gettare quando non se la compra più nessuno.

L’incendio che noi, comunisti rivoluzionari, auspichiamo e per il quale dedichiamo tutte le nostre forze, è il futuro incendio rivoluzionario. Sarà una lotta durissima, perché i bistrattati vigili del fuoco di oggi, che subiscono tagli di organico, abbattimento dei salari e dotati di attrezzature spesso inservibili, e che sempre più spesso devono rischiare la propria vita per rimediare ai disastri provocati dagli interessi borghesi, saranno sostituti da ben più efficienti e cinici pompieri politici e sociali che tenteranno in tutti i modi, dal più raffinato opportunismo al più spregevole collaborazionismo con le classi dominanti, di limitare e spegnere l’incendio sociale che muoverà – come già nel 1848, nel 1871, nel 1917 – le masse proletarie di tutto il mondo.

La colpa, sempre più evidente, di ogni tragedia economica e sociale non va cercata nelle conseguenze ultime, ma nelle cause: e la causa è tutta nel modo di produzione capitalistico che, aldilà dei limiti della legalità o dei varchi all’illegalità, non può essere riformato, non può essere controllato a tal punto di eliminare le sue contraddizioni congenite. Possono cambiare governi, parlamenti, magistrature, costituzioni, leggi, ma fino a quando esisterà il modo di produzione capitalistico è la legge del capitale che domina sulla società e che accumula, insieme ai profitti, montagne di cadaveri. Con lo sviluppo del capitalismo, come afferma il Manifesto di Marx ed Engels, “viene tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili”! 

 


 

(1) Vedi il fatto quotidiano, 27.7.2018.

(2) Vedi il fatto quotidiano, 25.7.2018.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

29 luglio 2018

www.pcint.org

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