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Solidarietà con la lotta dei proletari del Libano!

Contro le trappole ​​dell'interclassismo e dell'«unione popolare»!

 

 

Da una decina di giorni tutte le regioni del Libano sono scosse da manifestazioni, scioperi e blocchi stradali.

Il tutto è stato innescato dalla rabbia scoppiata spontaneamente contro le misure di austerità annunciate dal governo il 17 ottobre: nuove tasse sulla benzina, sul tabacco, aumento dell'IVA ecc. e anche tasse sulla messaggistica WhatsApp gratuita, molto utilizzata e non solo dai giovani. Ma quest'ultima tassa è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso: i media hanno riportato dichiarazioni di manifestanti di Beirut che affermavano: «non siamo qui per WhatsApp, ma per tutto: per la benzina, per il pane, per il cibo, per tutto. Stiamo manifestando per avere elettricità, acqua, lavoro, istruzione ecc.». Giovedì 17 ottobre, i manifestanti, per lo più giovani, si erano radunati a migliaia nella Piazza dei Martiri della capitale gridando «il popolo vuole rovesciare il regime», «vogliamo la rivoluzione»; sono stati assaltati negozi, le arterie principali della città sono state bloccate da barricare, incendi di pneumatici e di spazzatura.

Nei giorni successivi i disordini si sono estesi a tutto il paese: a Tripoli, Tiro, a Nabatieh, nella piana della Bekaa, da sud a nord, vi sono state manifestazioni di massa e blocchi stradali come a Beirut. In un paese che conta solo 6 milioni di abitanti, il 20 ottobre si è stimato un numero di manifestanti di oltre un milione! Per la prima volta dopo moltissimo tempo in questo paese diviso da rivalità religiose, le manifestazioni hanno riunito partecipanti appartenenti a tutte le comunità con slogan che chiedevano l’allontanamento dell'intera classe politica: «tutti significa tutti quanti!» «noi siamo il popolo, unito contro lo Stato!».

A differenza del grande movimento di protesta del 2015 durante la "crisi dell’immondizia", che era stato saldamente guidato da correnti piccoloborghesi, le forze vive dell'attuale movimento spontaneo si trovano tra i proletari, i disoccupati e i lavoratori precari – cosa che spiega la radicalità delle forme di protesta, che rompono apertamente con la legalità.

In un primo momento le autorità hanno fatto ricorso alla repressione della polizia, dell'esercito e della milizia, che ha fatto ufficialmente 6 morti, affermando classicamente che i disordini erano stati causati da elementi infiltrati pagati da potenze straniere; successivamente hanno cercato di calmare la situazione attraverso le affermazioni del primo ministro Harriri, ritirando le tasse preannunciate e con promesse demagogiche sulla riduzione dello stipendio e dei privilegi dei ministri e degli alti funzionari: provenendo da un multimiliardario, queste affermazioni non potevano che suscitare l'ira dei manifestanti (1)!

Il capo del potente movimento religioso degli Hezbollah, che di solito gode di un'influenza determinante sugli abitanti sciiti dei quartieri popolari di Beirut e nel sud, e la cui milizia si è scontrata venerdì 25 a Beirut contro i manifestanti, lo stesso giorno ha chiesto, come la maggior parte dei partiti politici, la fine del movimento; ha inoltre agitato lo spettro di una nuova guerra civile e il rischio del "caos" che sarebbe seguito all’allontanamento del governo. Ma è notevole che Hezbollah sia stato abbandonato da almeno una parte dei suoi sostenitori negli ambienti proletari: questa volta, la necessità di reagire per difendersi dall'attacco borghese è stato, almeno momentaneamente, più forte dei legami religiosi e comunitari che li paralizzano legandoli a questo partito reazionario.

L'attuale governo, formato all'inizio dell'anno dopo lunghi negoziati, è in effetti un governo di coalizione di tutti i principali partiti libanesi: tutti sono quindi responsabili delle misure di austerità antiproletarie. La situazione economica del Libano è catastrofica con un pesante debito (il terzo al mondo dopo la Grecia e il Giappone), un deficit della bilancia dei pagamenti del 30% (il peggiore dopo il Mozambico), un deficit di bilancio di quasi il 10%. Nell'aprile dello scorso anno, una conferenza internazionale chiamata "CEDRE" patrocinata da Parigi, che ha riunito decine di paesi oltre a organizzazioni internazionali come il FMI, ha promesso di spendere 10 miliardi di dollari in 4 anni per risistemare le finanze del paese, come contropartita delle misure di austerità. Per gli sponsor imperialisti, come per la borghesia libanese di qualsiasi confessione, sono i proletari che devono pagare per riportare in buona salute il capitalismo libanese!

Questi ultimi, tuttavia, sanno già cosa significhi la ripresa economica e la ricostruzione dopo la guerra civile, dove miliardi di dollari sono stati investiti, per la maggiore prosperità dei borghesi. Il Libano è uno dei paesi al mondo in cui le diseguaglianze sono più forti (quasi allo stesso livello del Sudafrica e del Brasile). Durante questo periodo, i poveri sono diventati più poveri mentre i ricchi sono diventati più ricchi. Per non stare a fornire cifre, è sufficiente affermare che, secondo la rivista americana Forbes, i miliardari libanesi detengono il 20% del reddito nazionale, contro il "solo" 10% negli Stati Uniti o il 5% in Francia.

Invece, le masse proletarie sono colpite da frequenti interruzioni della corrente elettrica (i borghesi hanno i loro gruppi elettrogeni domestici), mancanza di trasporti pubblici e carenza della maggior parte dei servizi pubblici che costituiscono un mezzo di arricchimento per le varie mafie politiche (come la raccolta dei rifiuti, la distribuzione dell’acqua potabile, la scuola ecc.), bassi salari, alta disoccupazione (non ci sono statistiche affidabili, ma il Presidente della Repubblica l’aveva stimata intorno al 46%, mentre il dato ufficiale è del 25%), un’inflazione stimata a oltre il 6% per il 2018 (molto maggiore nel caso degli alloggi)...

Inoltre, il Libano ospita, in condizioni spesso spaventose, più di un milione di rifugiati siriani che, per sopravvivere, sono costretti ad accettare qualsiasi tipo lavoro nero per qualsiasi salario, mentre sono bersaglio di razzismo, alimentato dalle autorità, e a volte soggetti a veri e propri pogrom.

 

Rivoluzione d'ottobre?

Non è quindi difficile trovare le ragioni dell'attuale esplosione e capire che i proletari non sono i soli ad essere colpiti: una buona parte delle classi medio-basse è minacciata di proletarizzazione; ciò spiega perché partecipano al movimento in corso; ma esse portano con sé le illusioni e i pregiudizi che corrispondono alla loro natura di classe: illusioni democratiche che si concretizzano nella rivendicazione di elezioni anticipate, sogno dell’eliminazione dall'intera classe politica che lascerebbe intatta la struttura economico-sociale capitalista, nazionalismo che può in qualsiasi momento rivolgersi contro i soliti capri espiatori: i rifugiati siriani o palestinesi ecc.

Contro i diversivi inevitabilmente alimentati dalle masse piccoloborghesi, il proletariato del Libano non può contare sulla propria organizzazione: i partiti e i sindacati che pretendono di rappresentarlo hanno solo una prospettiva strettamente riformista e democratica. Anche se la FENASOL (Unione nazionale dei sindacati dei lavoratori) ha convocato uno sciopero generale per il 20 ottobre "contro il piano economico del potere", le richieste avanzate sono estremamente vaghe. In effetti il ​​PC libanese, così come i sindacati, chiede le dimissioni del governo e le elezioni anticipate, la revisione della Costituzione in vista della "deconfessionalizzazione" delle istituzioni pubbliche, in breve un rattoppo del capitalismo.

Al di fuori di una prospettiva di classe, gli slogan ripetuti su una "Rivoluzione d'ottobre" non possono avere alcun senso; non possono che generare confusione. Per combattere e sconfiggere il capitalismo e non limitarsi a sbarazzarsi di uno strato corrotto, il proletariato dovrà impegnarsi a fondo in una lotta di classe rivoluzionaria il cui obiettivo è la distruzione dello Stato borghese e l'instaurazione, sulle sue rovine, del proprio potere dittatoriale. Questo richiede, prima di tutto, la sua organizzazione in partito in stretto collegamento con i proletari degli altri paesi: i proletari del Libano non hanno di fronte a sé solo i loro borghesi, ma anche gli Stati imperialisti e gli Stati borghesi della regione che da sempre si inseriscono continuamente negli "affari interni" del Libano: la rivoluzione in Libano può essere considerata solo nel quadro della rivoluzione proletaria internazionale. Anche se questa prospettiva non può essere immediata, la potente lotta dei proletari e delle masse libanesi sfruttate può contribuire ad avvicinarla servendo da esempio ai proletari di altri paesi. Nel frattempo, i proletari del Libano hanno bisogno della solidarietà dei proletari di altri paesi, a partire da quelli dei paesi imperialisti.

 

Solidarietà con la lotta dei proletari del Libano!

Per la ricostituzione del partito di classe internazionale!

Per la rivoluzione proletaria internazionale!

 


 

(1) Harriri è stato al centro di uno scandalo alcuni mesi fa, quando si è venuto a sapere che aveva fatto un regalo di oltre 10 milioni di dollari a una delle sue amanti...

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

19 ottobre 2019

www.pcint.org

 

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