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Venezia. Il fenomeno dell’acqua alta non fa che svelare, una volta di più, che il capitalismo è l’economia della sciagura!

 

 

ACQUA ALTA A VENEZIA, FENOMENO SEMPRE PIÙ FREQUENTE

 

L’alta marea, che a Venezia chiamano acqua alta (aqua granda, in dialetto), è fenomeno più che normale non solo per la città, ma per tutta la costa che dà sulla laguna e cha va da Chioggia al Cavallino, vicino a Iesolo. Quel che è stato straordinario, stavolta, non è solo il picco raggiunto a Venezia – 187 centimetri – ma il fatto che in sette giorni, da martedì 12 a lunedì 18 novembre, la soglia dei 140 centimetri è stata superata per ben sette volte.

Una città come Venezia, costruita sull’acqua in terreni un tempo paludosi e bonificati, rubando terra alla laguna, è da 1600 anni che fa i conti con le maree e con i fenomeni periodici di acqua alta. Le cronache storiche hanno registrato il fenomeno dell’acqua alta a Venezia fin dal 589 d.C., che talvolta sommergeva completamente le isole della laguna; nell’agosto del 1410 “perirono molte barche, e di quelli che venivano dalla fiera di Mestre e altri luoghi s’annegarono quasi mille persone. Caddero molti camini, il campanile di S. Fosca con rovina di molte case e quello del Corpus Domini con gran parte della chiesa”; nel novembre del 1550 “il mare si alzò ad una altissima altezza”, nel 1574 “L’acqua sale più che nel 1550. Il Lido di Chioggia si rompe in cinque punti”; nel dicembre del 1600 “Le barche percorrevano piazza S. Marco e le strade”, e nel 1727 “L’acque arrivarono agli scalini dell’Altar maggior di S. Antonio”. La prima notizia con riferimento numerico è del 1848: “l’acqua raggiunse i 140 cm”, e nel 1867: “L’acqua arriva a 153 cm” e da questo momento in poi tutti i fenomeni significativi sono riportati con precisione e hanno permesso di classificare i diversi fenomeni in marea “normale” quando l’acqua alta non supera gli 80 cm sul livello del mare di riferimento, marea “sostenuta”, a +110 cm (col 15% della città invasa dall’acqua), in marea “molto sostenuta”, a +130 cm (col 40% della città invasa dall’acqua), in marea “eccezionale”, a +140 cm (col 54% del centro storico allagato). Nel caso di Piazza San Marco, che è uno dei punti più bassi della città, quando la marea è a 140 cm si registrano 60 cm di acqua alta (1).

Insomma, superati i 140 cm di acqua alta, i fenomeni sono al di sopra dell’eccezionalità (non hanno ancora deciso che termine usare...). Va notato che i  casi di alta marea sopra i 110 cm, soprattutto nei decenni dal 1950 in poi, sono andati via via aumentando: 13, tra il 1950 e il 1959; 31, tra il 1960 e il 1969 e nel decennio seguente; 26, tra il 1980 e il 1989; 44, tra il 1990 e il 1999; 52, tra il 2000 e il 2009; 56, tra il 2010 e il 18 novembre 2019 (2). Questo aumento lo si deve certamente al fatto che il livello medio del mare, la cui oscillazione è presente in tutti gli oceani, si sta alzando a causa della combinazione di diversi fenomeni: pressione atmosferica, presenza del vento di scirocco sull’Adriatico, in particolare quando soffia a più di 100 km/ora, scioglimento dei ghiacci alle calotte polari e soprattutto dell’Artico, sprofondamento del suolo dovuto a cause naturali e all’attività dell’uomo (cioè della subsidenza, dell’emungimento – come  dicono gli “esperti” – di acqua e gas dal sottosuolo, incrementato notevolmente nei periodi di elevata attività industriale, immaginiamoci se ci fosse stata anche estrazione di petrolio dai fondali marini). Un tempo, le storiche inondazioni di Venezia e di tutto il litorale lagunare erano dovute all’acqua dei fiumi che sfociavano in laguna e non trovavano sbocco in mare, o allo scontro tra acqua di terra e acqua di mare, con conseguente esaltazione del fenomeno. Poi, nei secoli scorsi e durante il dominio della Repubblica marinara di Venezia, gli sbocchi dei fiumi furono deviati dalla laguna e così il pericolo delle inondazioni veniva soprattutto dal mare. Ma il sistema delle barene, delle velme e dei ghebi (3), fino all’epoca della prima guerra mondiale, riusciva ancora a ridurre gli effetti più pericolosi delle alte maree per Venezia e la costa lagunare.

 

MANI CAPITALISTE SULLA CITTÀ: SI DISTRUGGONO I DELICATI EQUILIBRI DELLA LAGUNA PER ARRAFFARE PROFITTI 

 

In seguito, lo sviluppo del capitalismo italiano, prima sotto il fascismo e poi sotto la democrazia postfascista, non ha avuto evidentemente alcuna propensione a conservare quel sistema di controllo delle maree nella laguna di Venezia. Gli interessi capitalistici che puntavano su questa città premevano per realizzare l’accesso alla città con un sistema di porti e di siti industriali che inevitabilmente doveva sconvolgere completamente il delicatissimo equilibrio dell’intero bacino lagunare. La modifica del canale di navigazione per giungere dal mare aperto a San Marco, e incrementare così il turismo; l’interramento delle barene e delle valli di pesca di fronte a Marghera per costruire il famoso, e inquinantissimo, sito industriale; il canale artificiale dei petroli per raggiungere Porto Marghera e il suo Petrolchimico; l’isola artificiale del Tronchetto per ospitare un vasto parcheggio di automobili e pullman turistici; la costruzione dell’aeroporto Marco Polo, con darsena, per i collegamenti con il centro storico di Venezia attraverso il canale Tessera; ecco, queste “grandi opere” (da cui si ricavavano e si ricavano ingenti profitti) sono tra le cause antropiche dell’aumento dei fenomeni di maree eccezionali e dei danni che questi fenomeni comportano.

Per far transitare i grattacieli del mare, le gigantesche navi da crociera davanti a San Marco, bisognava scavare un canale di navigazione molto profondo, modificando la laguna come fosse mare aperto; la stessa cosa è stata fatta per il Canale cosiddetto dei Petroli (che oggi, chiuso il Petrolchimico, serve per i portacontainer cinesi), e così le tre bocche di porto sono state scavate, in un primo tratto fino a 17 metri e nell’ulteriore tratto fino a 12 metri di profondità, per 200 metri e oltre di larghezza. Nello stesso tempo c’è stato l’aumento vertiginoso delle barche a motore non solo per il trasporto pubblico (i famosi vaporetti), ma per qualsiasi tipo di trasporto, commerciale e turistico, cosa che ha aumentato costantemente il modo ondoso interno ai canali della città, mentre il moto ondoso nella parte di mare che incontra il bacino lagunare ormai assomiglia sempre più a quello del mare aperto con onde alte due metri, come se Venezia fosse... Genova, solo che Genova non è costruita sull’acqua come Venezia.

Venezia è una città turistica di livello mondiale. Nel 2017 i turisti che vi hanno soggiornato sono stati 9,5 milioni, e le presenze (quindi compresi i turisti “mordi e fuggi”) 37 milioni. Nel 2018 c’è stato un aumento del 4% circa. Venezia non è più uno dei centri manufatturieri più importanti d’Europa, come nel Settecento e nell’Ottocento, ma è diventata sempre più, grazie alla sua particolarissima conformazione urbanistica di città sull’acqua e alla concentrazione di opere artistiche di ogni tipo e, spesso, uniche al mondo, una città-museo, una specie di Pompei moderna, una città da visitare, non da abitare. L’industria del turismo, di fronte allo spopolamento di Venezia dovuto soprattutto ai costi proibitivi delle case e della stessa vita quotidiana in città, ha modificato completamente il presente e il futuro di questa città e, soprattutto, rincorrendo costantemente il maggior profitto possibile, tende a seppellire il sapere e la conoscenza accumulata nel passato di una particolare arte: permettere all’attività umana di stabilire un rapporto proficuo e di simbiosi con un territorio particolarmente ostico come quello lagunare.

Le alte grida che da ogni parte politica, culturale, religiosa, vengono lanciate ogni volta che l’aqua granda mette in ginocchio Venezia, dipendono prima di tutto dalla preoccupazione di salvare Venezia come fonte di guadagno, proprio grazie a quella sua particolare conformazione, alla sua storia e alla sua bellezza artistica. Se ieri ci guadagnavano in particolare i grandi complessi industriali di Porto Marghera, oggi ci guadagnano soprattutto le grandi lobby alberghiere, le lobby dei B&B, delle compagnie aeree, delle crociere. E non importa se per attirare decine di milioni di turisti che la visitano ha significato distruggere il delicato equilibrio lagunare; non importa se scavare profondi canali per il passaggio delle grandi navi da crociera e delle petroliere e portacontainer ha significato aprire agli effetti erosivi e disastrosi del mare aperto una città lagunare che non è stata progettata e costruita per far fronte a quegli effetti; non importa se l’aumento sconsiderato della circolazione di imbarcazioni a motore provoca un’erosione continua delle fondamenta dei palazzi affacciati sui canali; l’importante è mantenere alta la potenzialità di profitto che da quella città, unica al mondo, è possibile trarre. Per quanti anni? Il più a lungo possibile, naturalmente, e quando Venezia sprofonderà nella sua laguna, il motivo di attrazione turistica cambierà, magari organizzeranno escursioni sottomarine, e sarà sempre il profitto capitalistico a dettare le regole!

 

I RIMEDI AI DANNI CAUSATI? PEXO EL TACÒN DEL BUSO!

 

Per fronteggiare le inondazioni periodiche, i fenomeni di alta marea che devastano con sempre maggior frequenza la città, a protezione dei disastri che queste inondazioni provocano, hanno inventato il MOSE, cioè hanno inventato un “sistema di protezione” che da trent’anni è ancora da completare e da sperimentare sul campo, ma che in compenso è stato fonte di tangenti, corruzione e di triplicazione dei costi preventivati nel progetto originario. Una “grande opera” per la quale sono stati spesi finora più di 5 miliardi e mezzo di euro e che, secondo la grande maggioranza degli esperti ingegneri idraulici e studiosi della laguna veneta, invece di contribuire a ridurre sensibilmente i danni causati dalle alte maree, li peggiorerà. Il MOSE non funzionerà, è anche il parere, ribadito nel 2017, dell’ex Magistrato delle Acque, Paolucci; secondo lui i problemi sono strutturali perché causati dai materiali e dalle vernici utilizzati per la sua costruzione: materiali scadenti come l’acciaio non inossidabile usato per costruire le cerniere che sono il cuore dell’intero sistema di sollevamento delle paratoie, esponendole a sicura corrosione elettrochimica dell’ambiente marino e quindi a cedimento strutturale delle paratoie stesse; quanto alle vernici, anch’esse sono state analizzate riscontrando che la protezione offerta dalla vernice non sia totale né duratura, causa le abrasioni prodotte da sabbia e detriti (4). Senza protezione adeguata la corrosione avanza, è evidente, tanto più che le paratoie montate sui cassoni sono sott’acqua da 5 anni. Meno male che il complicato manufatto è stato progettato e costruito con una dichiarata certezza di funzionalità per... 100 anni. Non può non venire in mente lo stesso discorso fatto da Autostrade per il Ponte Morandi di Genova, costruito tra il 1963 e il 1967, dichiarando che il ponte poteva durare senza problemi per 100 anni, quando, già dopo trent’anni, dovettero intervenire con una manutenzione strutturale agli stralli e il 14 agosto 2018, visto che quella manutenzione straordinaria non aveva risolto il problema strutturale iniziale, il ponte è definitivamente crollato facendo 43 morti, 9 feriti, 255 famiglie sfollate! E che dire del nuovo Ponte sul Polcevera al posto del Morandi, progettato dal famoso Renzo Piano che ha dichiarato che il suo ponte d’acciaio durerà mille anni? (5).

A proposito di costi del Mose: oltre ai 5 miliardi e mezzo di euro spesi finora, vanno sommati i miliardi necessari all’“extra-Mose” per “la ricostruzione e la manutenzione di spiagge, barene e velme, gli isolotti della laguna” che nel 2011 venivano calcolati in 11 miliardi di euro (6). La più “grande opera” degli ultimi trent’anni (visto che il faraonico Ponte sullo stretto di Messina non è stato costruito, sebbene abbia comportato uno spreco di soldi solo per i progetti, la costituzione della società ecc.), in verità, è stata progettata per funzionare soltanto qualche volta all’anno, durante il periodo ottobre-marzo in cui si verificano normalmente le alte maree. Ammesso che si porti a compimento l’opera entro il 2021, come il Consorzio Venezia Nuova ha dichiarato (nel 2011, il suo direttore generale Mazzacurati si augurava che l’opera potesse essere completata entro il 2015!), e che il governo centrale trovi le centinaia di milioni che ancora servono per completarla e iniziare soltanto a testarla per davvero, sta di fatto che nessun progettista, ingegnere e costruttore è stato ed è in grado di rispondere ad una semplice domanda: “Fra cent’anni cosa succederà, bisognerà rifare tutto? Chi toglierà questi blocchi enormi dalla Laguna?”. La risposta data dall’allora direttore del cantiere di Malamocco (una delle bocche di porto interessate dal Mose) al giornalista che gliela fece è stata questa: “Boh, fra cent’anni chi lo sa... Lei ci sarà? Io no” (7). E questo è lo spirito caratteristico del borghese capitalista: ci si occupa del presente, distruggendo e ricostruendo ovviamente sempre in termini di profitto capitalistico, e al futuro ci dovrà pensare qualcun altro...

Dunque, progetti ispirati soprattutto al profitto e alla fama dei loro artefici, interventi di imprenditori e politicanti per assicurarsi il progetto che più li avvantaggerà, costi di costruzione ipotizzati ad un certo livello e sistematicamente superati di due, tre, dieci volte – tanto sono soldi pubblici –, materiali scadenti e comunque non conformi al progetto per lucrare anche su questi, manutenzione regolarmente disattesa, falsificazione dei rapporti di controllo, formazione di una rete di corruzione e di distribuzione di tangenti, coinvolgimento di magistrati e di alti rappresentanti delle forze dell’ordine: ad ogni sciagura che inesorabilmente si presenta, vengono a galla questi fatti, e più passa il tempo, più le sciagure sono frequenti, mentre i profitti capitalistici confermano sempre più di essere al centro di ogni situazione, sia nella fase di progettazione e costruzione, sia nella fase dell’intervento a tragedia avvenuta che nella fase di ricostruzione e di “rimedio”. E’ una spirale senza fine!

 

IL CAPITALISMO VA COLPITO ALLA SUA BASE ECONOMICA, INIZIANDO AD ABBATTERE LO STATO BORGHESE CHE NON È MAI STATO E MAI SARÀ AL DI SOPRA DELLE CLASSI

 

La giustizia borghese, di fronte ad ogni tragedia, è sempre alla ricerca dei colpevoli. Più è grande l’opera, più soldi vengono destinati all’opera, e più vasto è l’intreccio tra privilegi, interessi, favori, corruzione, sprechi, e la magistratura, per quanto burocraticamente rallentata, è costretta ad indagare qualche pesce grosso, se non altro per dimostrare che serve a qualcosa e per calmare la rabbia dei cittadini coinvolti in quelle sciagure. I colpevoli, quindi, possono essere di volta in volta più o meno numerosi, possono essere individuati fra ministri, capi politici, amministratori delegati delle aziende interessate, ingegneri e supertecnici che non hanno svolto il loro compito, faccendieri, malavitosi e manovalanza varia, ma il vero colpevole non viene mai realmente individuato. I veri colpevoli sono il modo di produzione capitalistico e il suo braccio politico, lo Stato borghese.

Ci sono poi i democratici e gli onesti, coloro che vogliono che le cose vengano fatte con rigore morale rispondendo all’interesse pubblico, e che le migliori intelligenze e i migliori esperti si mettano al servizio del “bene comune” e non di chi li paga; costoro si affidano alla “giustizia”, intesa come un ente super partes, che deve svolgere il suo compito con lo stesso rigore morale e applicando il motto sbandierato in ogni tribunale, “la legge è uguale per tutti”. C’è chi incolpa non solo i profittatori, ma l’avidità che li spinge, non importa a che prezzo per gli altri, ad arraffare più profitto possibile e nel più breve tempo possibile, e che immagina una società in cui tutte le diseguaglianze create siano eliminate. Il colpevole sarebbe quindi l’avidità degli uomini, come dice la chiesa? Il rimedio starebbe nel far scomparire l’avidità e far sì che il “bene comune” prevalga? E quale ente, o istituzione, dovrebbe farsi carico di questo compito? Lo Stato e tutte le sue istituzioni centrali e periferiche? I comuni, le regioni, o magari le associazioni di cittadini? La questione di fondo non è contrapporre la buona volontà di alcuni alla cattiva volontà di altri, l’onestà alla disonestà, la moderazione all’avidità; se la struttura sociale non cambia e resta quella capitalistica, questa economia della sciagura continuerà a fare le sue vittime, anzi, ad aumentarne il numero. La questione di fondo va riconosciuta nel dominio di classe della borghesia sull’intera società, un dominio di classe che può essere contrastato e vinto soltanto da un dominio di classe altrettanto forte, determinato, internazionale, che nella sua prospettiva storica non ha la valorizzazione del capitale con tutta le sue categorie (merce, denaro, mercato, profitto capitalistico, sfruttamento del lavoro salariato ecc.), ma la distruzione del modo di produzione capitalistico e l’instaurazione di un modo di produzione che al centro ha la vita sociale e le esigenze degli uomini e non la vita e le esigenze del capitale, un modo di produzione che potrà essere instaurato solo dopo aver distrutto il potere politico che difende il capitalismo, il potere politico borghese che si concentra in particolare nello Stato che non è mai al di sopra delle classi, non è mai neutrale, e questo vale per lo Stato borghese come per lo Stato proletario di domani.  

Da quando il capitalismo si è imposto su qualsiasi economia passata, sono ormai decine di migliaia, se non centinaia di migliaia gli esempi di situazioni in cui il capitale ignora volutamente la prevenzione, ignora la manutenzione, ma è sempre alla ricerca di nuove costruzioni, e di ricostruzioni dopo ogni disastro non solo “naturale” ma provocato dall’attività capitalistica. Questa, da parte nostra, non è un’affermazione di oggi. Dopo la tragica alluvione del 1951, quando le acque del Po sommersero il vasto territorio del rovigotto, in un “filo del tempo” (8) scritto all’epoca, e che faceva parte della necessaria restaurazione della dottrina marxista dopo la devastante mistificazione del marxismo realizzata dallo stalinismo, si legge: “Il capitale è ormai reso inadatto alla funzione sociale di trasmettere il lavoro dell'attuale generazione alle future e di utilizzare per questa il lavoro delle passate. Esso non vuole appalti di manutenzione, ma giganteschi affari di costruzione: per renderli possibili, non bastando i cataclismi della natura, il capitale crea, per ineluttabile necessità, quelli umani”. Allora, finito il secondo macello imperialistico, la ricostruzione postbellica  era “l'affare del secolo”. Dagli anni Sessanta in poi, i giganteschi affari di costruzione si sono rivolti in particolare alle cosiddette “grandi opere”. Ai cataclismi della natura (terremoti, maremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, scioglimento dei ghiacci) si aggiungono sempre sistematicamente i cataclismi umani, i cataclismi creati dal capitale. Per fronteggiare adeguatamente i cataclismi naturali è necessario eliminare dalla faccia della terra i cataclismi del capitale, e questo lo può realizzare soltanto una rivoluzione politica e sociale, la rivoluzione proletaria e comunista.

 


 

(1) Vedi Le “acque alte” di P. Canestrelli, in www.insula.it>images>pdf>esource>quadernipdf

(2) Vedi https://web.archive.org/web/20150206225111/https://comune.venezia.it/flex/cm/page/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2970

(3) Barene, ghebi, velme: termini del dialetto veneto. Barene: sono terreni a forma di grande catino con bordi debolmente rialzati, in cui è presente una vegetazioni di piante perenni tipiche per la loro capacità di vivere in ambiente salino; vengono sommerse solo in caso di alte maree e funzionano da vaso di espansione limitando l’impatto delle maree sul livello dell’acqua e moderando il moto ondoso. Velme: sono porzioni di fondale lagunare poco profonde, normalmente sommerso, e differiscono dalle barene che sono sommerse solo durante le alte maree. Ghebi: sono canali minori che attraversano le barene e le velme della laguna veneta, mettendo in comunicazione le zone più interne alle vie d’acqua principali; contribuisocno a regolare l’apporto idrico sia durante le maree alte che basse, e a mitigare l’effetto erosivo delle maree entranti.

(4) Cfr. La Nuova Venezia, 8 febbraio 2017.

(5) Cfr. Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2018.

(6) Cfr. il fatto quotidiano, 5 maggio 2011. Risale a questa data l’unica notizia che i quotidiani hanno rivelato sui costi ulteriori del Mose.

(7) Ibidem.

(8) Cfr. Piena e rotta della civiltà borghese, pubblicato nell’allora giornale di partito “battaglia comunista”, n. 23, 5-19 dicembre 1951. Lo si trova nel nostro sito, www.pcint.org, nella sezione “Testi e tesi fondamentali” alla voce “Fili del tempo (1949-1955)”.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

20 novembre 2019

www.pcint.org

 

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