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Polonia

Contro la reazione clericale e i vicoli ciechi femministi

Aborto libero e gratuito per tutte! Difesa della donna proletaria!

 

 

Dal 27 gennaio il governo polacco ha praticamente vietato l'aborto nel paese, emettendo una sentenza della Corte costituzionale in tal senso. Questo tribunale ha stabilito che l’interruzione volontaria della gravidanza in caso di grave malformazione del feto è “incompatibile” con la Costituzione. Questa decisione peggiora – in modo molto simbolico – la situazione dell’aborto nel paese. Da quasi trent’anni l’aborto è quasi illegale e ogni anno in Polonia vengono eseguiti meno di 2.000 aborti legali (la stragrande maggioranza sono casi di feti malformati) mentre si stima che più di 200.000, ogni anno, siano eseguiti illegalmente o effettuati all’estero.

La Polonia è oggi lo Stato che ha la legislazione anti-aborto più repressiva in Europa, mentre aveva legalizzato l’aborto nel 1956, quasi vent’anni prima della Francia (1975) o dell’Italia (1978). Tuttavia, se il divieto di aborto è profondamente reazionario, la legalizzazione – nonostante le conseguenze indubbiamente positive – non lo è stata di meno.

 

NELLA POLONIA “POPOLARE” LA LEGALIZZAZIONE DELL'ABORTO RISPONDEVA AD UN OBIETTIVO BORGHESE

 

Ci è voluto quasi un decennio prima che la Repubblica popolare di Polonia, guidata dai falsi comunisti del Partito Operaio Unificato Polacco (POUP o PZPR in polacco) legalizzasse l’aborto nel 1956. La scelta di mantenere il divieto di aborto e poi di revocarlo non è stata fatta sulla base di principi di classe. Inizialmente, i governanti polacchi volevano aumentare rapidamente la loro popolazione al fine di ridurre il calo demografico causato dalla seconda guerra mondiale, ma anche di popolare i territori annessi in Occidente da cui la popolazione tedesca era fuggita o era stata espulsa (1).

Nel 1956 l’aborto fu legalizzato perché ampiamente praticato: «il numero dei casi stimato è di almeno 300.000. Nessuna preoccupazione teorica o dottrinale ha ispirato il legislatore. Il punto di partenza era una situazione di fatto». Nei quattro anni successivi la legge fu poco e mal applicata a causa della resistenza della Chiesa cattolica, ma anche di una parte di medici che non volevano perdere la «gallina dalle uova d’oro» rappresentata dagli aborti clandestini lautamente pagati!

Nel 1960, una nuova legge rese l’aborto realmente accessibile a tutte. L’obiettivo era di limitare gli aborti clandestini e le relative conseguenze sulla salute e sulla vita delle pazienti. Ma era anche puramente borghese - la “ragione di Stato”: limitare la popolazione per far fronte alla sovrappopolazione rurale e alla disoccupazione nascosta, limitare la crescita demografica per limitare la spesa per le strutture (costruzione di scuole, asili nido ecc.) (1). In realtà, la legalizzazione dell’aborto non intendeva difendere la donna proletaria, ma garantire lo sviluppo capitalistico della Polonia e mantenere l’ordine sociale (rimuovendo un divieto ampiamente violato). Le ambiguità sulla legalizzazione dell’aborto si ritrovano nei rapporti che il potere «socialista» ha saputo intrattenere con la Chiesa cattolica.

 

DAL CONDOMINIO POUP/CHIESA CHE DURA DA 40 ANNI...

 

Gli stalinisti del POUP non hanno combattuto la Chiesa per frenare la reazione clericale, ma per ottenere il controllo su di essa.

Prima della proclamazione della Repubblica popolare, i nuovi leader hanno mostrato grande compiacenza nei confronti dell’influenza clericale, contrariamente alle leggende ereditate dalla Guerra Fredda: «Nell'immaginario collettivo polacco, la Polonia comunista è comunemente percepita come antireligiosa, e in lotta contro la Chiesa, l’istruzione scolastica come indottrinata e saturata dall'ideologia marxista-leninista. Eppure, nonostante la revoca del Concordato nel 1945, la Religione non è scomparsa dagli orari scolastici: inizialmente era limitata a un’ora alla settimana, poi è diventata facoltativa. Perché il governo polacco, prima dell’istituzione della Repubblica popolare polacca nel 1952, si proclama erede della Seconda Repubblica (1918-1939) e quindi riconosce la validità della Costituzione del 17 marzo 1921. Nell’articolo 120, questo atto normativo menziona l’obbligo di organizzare corsi di religione nelle scuole pubbliche, obbligo confermato dal Concordato del 1925 per un blocchetto di due lezioni a settimana» (2). Nell'aprile 1950, il governo ha cercato di concretizzare questa alleanza firmando un accordo che garantiva uno status privilegiato al cattolicesimo: «Gli articoli 10-19 riguardavano i diritti della Chiesa: educazione religiosa, libertà di stampa, di associazione, di culto, servizi religiosi nell'esercito, ruolo nelle carceri, ospedali, status di ordini e associazioni religiose, protocollo sulla Caritas trasformata, aiuti di Stato al clero e diritto al rinvio del servizio militare per i seminaristi» (3). Questo è stato facilmente constatabile nella pratica. Nel 1952 un giornalista francese raccontava delle «croci poste in tutte le classi e dell’usanza di pregare prima delle lezioni», «dell’insegnamento religioso […] seguito dal 90% degli alunni, perché ne erano dispensati solo i bambini i cui genitori ne facevano esplicita richiesta» e del fatto che «anche nelle poche scuole totalmente laiche […] dei preti vengono ad amministrare la Comunione pasquale» (4).

Dopo alcuni anni di conflitto con la gerarchia cattolica, il governo ha utilizzato la Chiesa come strumento antiproletario dopo le rivolte operaie del 1956: «L’obbligo di “insegnamento religioso nelle scuole” ripristinato per legge con decreto dell'8 dicembre 1956 , sulla base di un presunto volontariato, ha paralizzato i laici. Frutto di enormi pressioni clericali su “genitori e figli a cui poche famiglie avrebbero il coraggio di resistere”, questo provvedimento metteva in pericolo il personale docente: “gli insegnanti atei” erano “in varie località” vittime di “bullismo [...]. I genitori chiedevano il loro allontanamento e spesso passavano a vie di fatto”. Già nel gennaio 1957 si sono verificati numerosi casi di allontanamento e di “sospensione senza stipendio”. I figli dei miscredenti erano trattati, con la benedizione e l'incoraggiamento dei chierici, come paria, “soprattutto nelle campagne”: la massa degli allievi cattolici li ostracizzavano, ritenendo che avessero “qualcosa in comune con il Diavolo”; e dei bambini venivano picchiati “per sradicare il demone che li possedeva”. Il bilancio di questo terrorismo clericale – là dove il terrorismo anticlericale non c’era mai stato – è interminabile, come il quadro periodicamente fornito dai diplomatici francesi in questo curioso paese comunista dove la Chiesa dettava le sue leggi alla società civile. Le urla contro l’aborto, la laicità e i comunisti accertati o presunti incitavano i polacchi più arretrati passare alle vie di fatto: “abbiamo saputo, ad esempio, di contadine esaltate che cercavano di lapidare una ragazza sospettata di aver abortito, di campagne di lettere anonime contro un preside che si rifiutava di lasciar appendere un crocifisso nel suo istituto, e purtroppo anche di sacerdoti di campagna che dal loro pulpito condannavano al patibolo i miscredenti”. L'arroganza non conosceva limiti in una Chiesa più potente che mai» (3).

Gli attacchi contro la Chiesa non avevano lo scopo di limitare la presa del clericalismo, ma di metterla al servizio della Polonia “popolare”, allo stesso modo in cui il POUP usava spudoratamente lo sciovinismo polacco (5). Il conflitto tra il potere e la Chiesa è stato principalmente geopolitico, tra un governo integrato nel blocco russo e il Vaticano, convinto sostenitore del blocco statunitense.

La dittatura del POUP ha saputo usare la Chiesa e la Chiesa ha saputo usare il POUP perché condividevano lo stesso obiettivo di conservazione sociale e mantenimento dell’ordine borghese: «Non appena la protesta raggiunge un livello ritenuto minaccioso dalle autorità, l'apparato sospende innanzitutto gli attacchi alla Chiesa e comincia anche a soddisfarne le richieste più pressanti. Allo stesso tempo, chiede all’episcopato di essere realista e quindi di appellarsi alla calma e alla prudenza, al compromesso o all’accordo con le autorità, per evitare questo grave disastro nazionale che sarebbe l’intervento diretto dell'esercito sovietico. Nel 1944-1946, nel 1956-1957, nel 1971 e nel 1980-1981, l’episcopato ha risposto favorevolmente a queste aperture e ha cercato di svolgere un ruolo moderatore, senza abbandonare le sue esigenze di principio» (6).

Questo ruolo è particolarmente vero negli anni 1980, quando la Chiesa ha partecipato attivamente alla contestazione del potere dopo i grandi scioperi operai.

Il governo reprime l’opposizione, ma «vengono concessi i permessi per costruire, ricostruire o ampliare edifici di culto; la tiratura della stampa cattolica è raddoppiata, i seminari vivono tranquilli, i pellegrinaggi prosperano e raramente non sono autorizzati» (6). Ancora una volta, la Chiesa viene ricompensata per il suo buon servizio. E, «a differenza di altre forze di opposizione, i cattolici godevano di uno status speciale con mezzi di comunicazione “relativamente indipendenti” come la testata Tygodnik Powszechny (sulla quale scriveva Karol Wojtyla [che divenne Papa nel 1979 con il nome di Giovanni Paolo II]). Prima del 1989, va notata una percentuale significativa di deputati non comunisti e cattolici nella Dieta polacca» (7).

Questa collaborazione antiproletaria è stata pubblicamente riconosciuta, nel 1984, dal ministro Adam Topatka, capo dell’Ufficio di culto: «Si è giudicato positivamente l’impegno della Chiesa cattolica a moderare le varie tendenze e azioni estremiste di questi ultimi anni» (6 ).

Il leader dell'opposizione Walesa ha anche confessato: «La Chiesa ci consiglia di essere sempre moderati, di essere consapevoli, di trovare compromessi... Siamo noi che moderiamo le persone. È grazie a noi se non si colpisce il potere, se il potere non è stato ancora rifiutato... Senza di noi, ci sarebbe già la rivolta popolare. Ed è inoltre un potere consapevole delle dimensioni della crisi economica che ha permesso, forse, la creazione di Solidarność, sapendo che avremmo svolto un ruolo di ragionevole ammortizzatore che proteggerà anche il potere e il Partito dalla rabbia popolare» (8).

Non sorprende, quindi, che la borghesia polacca farà della Chiesa un ospite d’elezione alla sua tavola rotonda che consentirà la transizione democratica nel 1989.

 

…AL «GRANDE COMPROMESSO» DELLA TRANSIZIONE DEMOCRATICA

 

Il ruolo svolto durante la transizione permetterà alla Chiesa di elaborare un “compromesso” con il nuovo governo guidato da Solidarność. Secondo la studiosa di sinistra Agnieszka Graff, «Questo grande compromesso aveva due principi fondamentali e diverse norme complementari.

Primo principio: la Terza Repubblica riconosce alla Chiesa un incontestabile monopolio dei valori. Questo campo di valori è in gran parte limitato all’etica sessuale: da qui la legge anti-aborto, la presenza di simboli religiosi negli spazi pubblici e l’ostilità verso le comunità LGBT confermata dallo Stato. La Chiesa ha anche de facto deciso di limitare progressivamente l’accesso alla contraccezione [...]

Il secondo principio definisce cosa deve fare la Chiesa in cambio della sua posizione privilegiata. Il suo ruolo era quello di placare le turbolenze e i conflitti che hanno accompagnato le trasformazioni del sistema. Da un lato si trattava di alleviare i sentimenti nazionalisti, dall’altro di calmare il malcontento sociale derivante dalla trasformazione neoliberista. La Chiesa doveva essere una sorta di cuscinetto per integrare la Polonia nell’Unione europea e rimanervi in ​​seguito. [...]

Le norme complementari garantivano, da un lato, la pace sociale (e quindi la relativa stabilità dei governi successivi) e, dall’altro, la sicurezza del clero. Il provvedimento cruciale riguardava il silenzio delle donne. Si sapeva in anticipo che qualsiasi manifestazione di ribellione sarebbe stata ridicolizzata o soppressa. [...]

E infine, una terza disposizione aggiuntiva [...]: l’impunità dei sacerdoti responsabili di abusi sessuali e dei vescovi che li hanno coperti per molti anni. Insomma: la legge del silenzio sulla pedofilia nella Chiesa» (9).

La Chiesa ha quindi mantenuto il suo ruolo di custode dell’ordine borghese e ne ha approfittato per aumentare la sua presa sulla società così come i suoi privilegi. La transizione democratica polacca è stata quindi accompagnata da un attacco frontale all’accesso all’aborto legale, soprannominato il "compromesso sull’aborto" (compromesso tra forze borghesi nemiche delle donne proletarie). È questo compromesso che ha portato a eseguire legalmente solo l’1-2% degli aborti.

 

PIAGNUCOLII DEMOCRATICI E FEMMINISTI DI FRONTE ALL’OFFENSIVA CLERICALE

 

Fortunatamente, gli attacchi contro l’aborto hanno provocato una forte reazione con massicce proteste nelle principali città. Purtroppo, e non sorprende, queste mobilitazioni sono state condotte in nome della difesa della democrazia e/o della difesa interclassista dei diritti delle donne (borghesi e proletarie!)

Un’associazione, «Sciopero generale delle donne», è stata in prima linea nella protesta. Le sue rivendicazioni sono state espresse nelle manifestazioni attraverso una vasta gamma di slogan: «Vogliamo pieni diritti per le donne, aborto legale, educazione sessuale, contraccezione» ma anche «Vogliamo un vero Tribunale costituzionale, una Corte suprema pienamente giusta, un vero Difensore di diritti civili», «Vogliamo tutti i diritti umani», «Vogliamo uno Stato laico», «Defascistizzazione della vita pubblica», «Dei media pubblici che siano una vera fonte di conoscenza e informazione» (10).

Dietro questa difesa dell’aborto, quindi, stanno emergendo tutte le illusioni democratiche: una riforma e una democratizzazione dello Stato, il mito della libertà di stampa (borghese!)...

I comunisti non pongono la difesa della donna proletaria sotto la bandiera della democrazia, ma sotto la bandiera rossa della rivoluzione sociale.

 

I COMUNISTI E IL DIRITTO ALL'ABORTO

 

I veri comunisti, a differenza dei falsi comunisti stalinisti, sono sempre stati, senza esitazione e senza riserve, per l’abolizione di ogni legislazione restrittiva nel campo della vita sessuale e familiare, e quindi per un reale accesso all’aborto per tutti. Ma ci rifiutiamo di farlo in nome della difesa dei “diritti democratici” o, peggio, di un diritto individuale, perché la riproduzione della specie non è un problema personale, di coppia o femminile. Non è “affare delle donne”, né affare di “ogni donna”. Nella società verso la quale tendiamo la riproduzione della specie sarà un affare tanto collettivo e sociale quanto la produzione di beni materiali.

Ci rifiutiamo anche di cercare una buona legislazione per “liberare” le donne (o gli uomini) nel quadro della società capitalista. È illusorio credere che sotto il regno della borghesia una legge, qualunque essa sia, possa veramente liberare chiunque.

Il divieto di aborto, come gli ostacoli al divorzio o la discriminazione legale basata sul sesso o sull’orientamento sessuale, sono sopravvivenze preborghesi che la borghesia perpetua per dividere i proletari. Sono allo stesso tempo strumenti che aggravano l’oppressione del proletariato e schermi che nascondono le vere cause di questa oppressione. Questo ruolo di schermo è mantenuto da tutte le varianti del femminismo - dal più istituzionale al più “rivoluzionario” - che rifiutano di riconoscere che la causa dell’oppressione non è l’assenza di “diritti”, ma il capitalismo.

 

Ecco perché i comunisti avanzano la rivendicazione immediata di un aborto libero e gratuito, quindi accessibile a tutte, perché è di estremo interesse per proletari, donne e uomini. L’indispensabile lotta contro l’oppressione sessuale e procreativa esercitata dallo Stato borghese, così come la lotta contro tutte le oppressioni, deve essere collegata alla lotta rivoluzionaria per il rovesciamento di questo Stato, per la dittatura del proletariato. Come ha dimostrato la legislazione familiare e sessuale dello Stato proletario in Russia, solo questa dittatura è in grado di liberare immediatamente donne e uomini, produttori e riproduttori allo stesso tempo, dalle costrizioni che non derivano direttamente dai rapporti materiali di produzione e riproduzione. E solo la dittatura proletaria è in grado di attaccare e distruggere questi rapporti di produzione capitalistici per andare verso il comunismo, dove ogni opposizione e ogni antagonismo tra l’individuo e la società (e tanto più tra i sessi e i generi) saranno scomparsi. La riproduzione della specie riguarda tutta l’umanità, ma solo una società senza classi, senza antagonismi o contraddizioni interne, potrà regolarla consapevolmente e adattarla al livello delle sue crescenti possibilità.

Ciò implica, inoltre, la dissoluzione dell’economia familiare e la sua fusione, compresa la cura dei bambini e la loro istruzione, nell’insieme dell’attività sociale. È solo in una tale società che, evitando il miraggio della libertà individuale di ogni donna, come le misure autoritarie e repressive attuate nei paesi del capitalismo di Stato, la riproduzione, parte integrante ed essenziale dell’attività produttiva della vita umana, può essere realizzata nell'ambito di un progetto di vita per la specie umana.

 


 

(1) Constant Miklasz, “La population polonaise: doctrine, politique et conflit religieux”, Population (rivista dell’INED), vol. 15, n. 2 (1960), pp. 317-332.

(2) Ewa Tartakowsky, “Le catéchisme dans l’enseignement scolaire en Pologne”, www.sciencespo.fr/ceri/fr/node/33304, febbraio 2019.

(3) Annie Lacroix-Riz, “Le Vatican et la Pologne de 1945 à 1958: Eglise persécutée ou vieille instrument contre les frontières”, comunicazione alla conferenza La Polonia e l’Europa occidentale dal Medioevo ad oggi, 28-29 ottobre 1999, dir. Marie-Louise Pelus-Kaplan e Daniel Tollet, Instytut Historii UAM, Poznan-Paris, 2004, pp. 141-171.

(4) Albert-Paul Lentin “La situation du catholicisme polonais”, Esprit, n. 186, gennaio 1952, pp. 98-117.

(5) Griot Witold, “Entre bouleversements idéologiques et recomposition des conflictualités: la sortie  de guerre de la Pologne, 1944-1952”, Les Cahiers Sirice, 2016/3 (n. 17), pp. 65-79.

(6) Pomian Krzysztof, “Religion et politique en Pologne (1945-1984)”, Vingtième Siècle, rivista di storia, n. 10, aprile-giugno 1986, pp. 83-101.

(7) Anthony Favier, “De nouveaux éclairages sur la fin du communisme et l’Église en Pologne”, 7 luglio 2020, anthony.favier.over-blog.com/2020/07/de-nouveaux-eclairages-sur-la-fin-du-communisme-et-l-eglise-en-pologne.htm

(8) Discorso di Lech Wałęsa a una riunione del sindacato, citato in Méryl Pique, “Bronislaw Geremek: portrait d’un visionnaire en politique”, Synergies Pologne, numero speciale, 2010.

(9) https://oko.press/jak-mlodzi-zerwali-wielki-kompromis-z-kosciolem-graff/, 5 novembre 2020, traduzione francese pubblicata su Inprecor, “Les jeunes ont rompu le Grand Compromis avec l’Église”, novembre-dicembre 2020.

(10) “Les femmes et les jeunes ont commencé une révolution culturelle en Pologne, Déclaration du Bureau exécutif de la IVe Internationale, Inprecor, novembre-dicembre 2020.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

15 febbraio 2021

www.pcint.org

 

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