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Gli americani si ritirano dall'Afghanistan per avere mano libera altrove

 

 

CROLLO DI UN REGIME FANTOCCIO

 

Niente ha funzionato: né gli accordi “storici” firmati nel febbraio 2020 a Doha sotto Donald Trump tra Talebani e Americani per l'apertura dei negoziati di pace, né le armi lasciate in quantità all'esercito afghano, né le ripetute dichiarazioni di sostegno americano al Governo e alle istituzioni afghane: in pochi giorni il regime di Kabul è crollato, non appena le truppe americane hanno iniziato il loro ritiro, le truppe lealiste si sono rifiutate di combattere, le autorità provinciali hanno opposto solo a una minima resistenza o addirittura hanno giurato fedeltà ai Talebani.

Simbolo di questo crollo: la fuga precipitosa del presidente Ashraf Ghani, senza nemmeno prendersi il tempo di avvertire i suoi ministri e appena poche ore dopo un colloquio con Joe Biden in cui il presidente americano gli assicurò il suo immancabile sostegno, in seguito all'ingresso senza combattere dei Talebani nella capitale... E se gli americani e i loro alleati sono stati in grado di rimpatriare migliaia di cittadini e protetti, è grazie alla buona volontà di questi Talebani che avevano cacciato dal potere vent'anni fa!

Questo crollo è la dimostrazione che il regime di Kabul è stato tenuto solo dalla forza delle truppe americane e dai trasferimenti finanziari internazionali decisi sotto l'egida degli Stati Uniti, senza godere di alcun solido appoggio tra la popolazione. Se grazie a questa manna un'economia come quella occidentale aveva potuto svilupparsi a Kabul e nelle grandi città, creando uno strato piccolo-borghese occidentalizzato, non era che un'isola mentre la grande massa della popolazione, nelle campagne dove 3 /4 degli abitanti vivono, ma anche nelle città, ne sono rimasti lontani, vivendo in condizioni di estrema povertà: secondo le stime delle ONG, 9 milioni di persone, ovvero più di un terzo della popolazione, non possono permettersi di soddisfare i bisogni primari di base e soffrono di fame.

 

IL REGIME DI KABUL: MISERIA DELLE MASSE E ARRICCHIMENTO DELLE ÉLITES CORROTTE

 

I media occidentali pubblicizzano il progresso della condizione delle donne, ma questo progresso riguarda principalmente un sottile strato privilegiato della popolazione urbana. Ben diversa la situazione per gli altri: l'Afghanistan è uno dei Paesi con la più alta mortalità materna (oltre che infantile), un paese dove solo il 36% delle ragazze va a scuola (ma la percentuale dei ragazzi arriva a malapena al 50%) (1). Si finge ora di scoprire la corruzione generalizzata nel paese, dove ad esempio i generali hanno creato corpi d'armata fantasma per ricevere parte dei sussidi americani e dove il primo presidente, Hamid Karzai era agli occhi dell'opinione pubblica, legato al traffico di oppio, del quale il paese è uno dei maggiori produttori.

Ma questa corruzione era solo l'inevitabile corollario dell'occupazione americana: in qualche modo i sostenitori della presenza occidentale dovevano essere comprati! È facile capire perché le masse afghane non si mobilitino per difendere un regime costruito per l'arricchimento di una vera e propria mafia di corrotti...

Storicamente l'Afghanistan è sempre stato il giocattolo delle influenze di vari paesi più potenti che l'hanno invaso a più riprese, non per la propria - molto limitata - ricchezza, ma per il rischio di disgregazione che rappresentava nell’area. Fu in nome del mantenimento della stabilità regionale (leggi: la stabilità della presenza sovietica) che i Russi lo invasero nel 1979, come gli inglesi nel secolo precedente per proteggere il loro impero indiano; ed è stato in nome della stabilità internazionale che gli Americani hanno fatto lo stesso nel secolo successivo. A causa di questi vari invasori, usando il pretesto o facendo affidamento su rivalità interne tra gruppi etnici e centri di potere regionali, e del debole sviluppo economico e sociale del paese, non si era mai realizzata la sua unificazione.

 

IL RITIRO DALL’AFGHANISTAN SEGNA IL MUTAMENTO DEI RAPPORTI INTERIMPERIALISTI IN ASIA E NEL MONDO

 

Non è da ieri che l'imperialismo americano cerca di disimpegnarsi dall'Afghanistan, temendo di conoscere la sorte dei russi dissanguati da una guerriglia infinita (sostenuta e armata dagli americani!). L'amministrazione Obama, che includeva Joe Biden, voleva già lasciare il paese; ma convinta dai militari che la vittoria fosse a portata di mano, ha intensificato le operazioni militari, aumentando il numero dei soldati americani da 30.000 a oltre centomila, prima di ridurli di fronte alla mancanza di risultati di questa "impennata". Toccava all'amministrazione Trump trarre questa conclusione aprendo negoziati con i talebani per un ritiro definitivo. Il governo Biden ha deciso di onorare questo accordo e di lasciare rapidamente il paese indipendentemente dalle conseguenze immediate.

I media internazionali presentano il ritiro americano come una vittoria di russi e cinesi, ma nulla è meno sicuro: se questi due imperialismi cercheranno di colmare il vuoto lasciato dagli americani, temono soprattutto la "destabilizzazione" causata da questo ritiro che il governo di Pechino lo ha giudicato "irresponsabile". I cinesi temono l'influenza nel loro paese dei ribelli Uiguri che combattono a fianco dei Talebani. Quanto ai Russi, nelle ultime settimane hanno organizzato manovre militari con Uzbekistan e Tagikistan vicino al confine afghano: per questi Stati di confine e per il Turkmenistan, vassalli della Russia, deboli e instabili, la vittoria dei talebani costituisce una minaccia alla loro sicurezza interna.

Tuttavia, questo ritiro fa parte di un cambiamento in corso nelle relazioni interimperialiste che sta preparando gli schieramenti per un futuro conflitto mondiale.

I proletari non devono sbagliarsi: il ritiro dall'Afghanistan non significa che l'imperialismo americano cesserà i suoi interventi, militari e non, in tutto il mondo; al contrario, significa che sapendo di non poter intervenire ovunque contemporaneamente, ha voluto liberarsi di una palla al piede per essere più liberi altrove, dove gli scontri sono più importanti.

Mentre gli Stati Uniti si ritirano senza gloria dall'Afghanistan, il vicepresidente degli Stati Uniti stava completando un tour in Asia in cui ha esteso il sostegno di Washington contro la Cina a paesi come il Vietnam, dal quale erano stati espulsi 46 anni fa. Questa coincidenza ha un valore simbolico; l'imperialismo americano, anche indebolito dall'ascesa dei suoi rivali, rimane un imperialismo dominante, capace di tornare dopo le sue sconfitte. Le scene di caos all'aeroporto di Kabul non sono una debacle; l'imperialismo americano è e sarà sempre così aggressivo, che non esiterà ad avviare un nuovo conflitto mondiale per difendere i suoi interessi e il suo dominio. Sebbene questa prospettiva non sia immediata, si sta avvicinando, al ritmo delle crisi economiche.

L'imperialismo americano si sta ritirando da Kabul, ma è ancora il nemico numero uno delle masse e del proletariato mondiale, il pilastro del capitalismo internazionale.

Dovrà essere abbattuto dalla rivoluzione comunista dei proletari americani e del mondo intero affinché l'umanità ponga fine alle guerre per sempre.

 


 

(1) https://www.oxfam.org/fr/decouvert/pays/afghanistan

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

29 agosto 2021

www.pcint.org

 

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