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Marmolada: il ghiacciaio non è un corpo immobile, vive e può crollare tragicamente a valle

 

 

Domenica 3 luglio. In vetta alla Marmolada, la regina delle Dolomiti – la cima più alta, Punta Penia, raggiunge i 3.343 metri – quel giorno c’erano 10,3 gradi, una temperatura molto alta che segnava indiscutibilmente un record mai raggiunto. Il contesto, quindi, era di un caldo eccezionale! Ma temperature molto più alte della media erano state registrate già a maggio e giugno (5 gradi in più della media, tra i più caldi di 220 anni!, secondo le analisi del Cnr-Isac di Bologna), e non solo per il ghiacciaio della Marmolada, ma per tutti i ghiacciai alpini d’Italia. Temperature molto aldisopra del solito, scarse nevicate, ghiacciai che si ritirano, si fratturano, si sciolgono. Lo zero termico è stato riscontrato a 4.700 metri! Il quadro non era e non è certo rassicurante.

Domenica 3 luglio, ore 13,30 (ora solare: 12.30): dalla Punta Rocca, attorno a 3.300 metri, 300mila metri cubi di ghiaccio, neve, roccia e detriti precipitano a valle, investono una ventina di escursionisti che stavano salendo sui sentieri più che conosciuti, e tra i quali c’erano non solo appassionati della montagna e delle escursioni «estreme», ma anche guide alpine che conoscevano la Marmolada e il suo ghiacciaio – il più esteso del gruppo montuoso – come le proprie tasche.

Dopo una settimana di intense ricerche delle vittime, dei feriti e dei dispersi, il triste resoconto finale è stato di 11 morti sui 19 escursionisti investiti da quella montagna di ghiaccio e rocce.

Che i ghiacciai si stiano ritirando e, pian piano, molti di loro addirittura sciogliendo, non è certo un fenomeno sconosciuto. Come non è sconosciuto il fatto che dai ghiacciai si possono staccare i seracchi (dal termine francese «sérac», formaggio fresco, come una ricotta), si possono aprire dei crepacci, possono crollare delle porzioni o si possono formare dei veri e propri fiumi d’acqua, invisibili in superficie, tra il ghiaccio e la roccia. Sono tutti fenomeni che si possono verificare sia d’inverno che d’estate, e perfettamente conosciuti.  

Quasi tutti gli scienziati e gli esperti di montagna, e naturalmente le autorità della Protezione Civile, dei Carabinieri e della Procura di Trento, di fronte alla tragica morte degli escursionisti della Marmolada hanno sostenuto fin dall’inizio: «Quello che è successo alla Marmolada era imprevedibile». In effetti la Marmolada, che finora non aveva dato, secondo loro, «segnali preoccupanti», era un ghiacciaio monitorato, sì, ma non inserito nella lista di quelli «pericolosi». Questione sostanzialmente di costi! La fatalità, dunque, come in tutti i casi dei cosiddetti «disastri naturali», è la tesi delle autorità.   

 

A proposito dei seracchi. Secondo Guglielmina Diolaiuti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, nel caso della Marmolada c’erano dei crepacci, non dei seracchi. Qual è la differenza? «Il seracco è la parte turrita del ghiacciaio e si forma quando questo muovendosi, supera un dislivello roccioso. Il ghiaccio ha un comportamento plastico ma per superare un cambio di pendenza può spaccarsi in gradonate, i seracchi appunto. Sono sezioni che possono crollare e instabili»; dunque il loro distacco, causato dal cambio di temperatura, dal peso della stessa massa ghiacciata o da altre cause naturali, può essere, in effetti, imprevedibile, tanto più che l’esatta morfologia della montagna, le sue pendenze e i suoi dislivelli sono, da centinaia di anni, coperti dal ghiaccio. D’altra parte, grazie alle esperienze ormai già consolidate, i seracchi sono visibili, perciò più facilmente monitorati.

E i crepacci? «Un crepaccio è una frattura nel ghiacciaio causata dal fatto che un ghiacciaio si muove, è un corpo dinamico, e gli sforzi deformano il ghiaccio e lo fratturano. I crepacci hanno una loro naturale evoluzione, lenta. Nel caso della Marmolada il crepaccio si è allargato rapidamente per azione dell’acqua di fusione rimasta intrappolata all’interno. Si è allargato al punto da vedere il distacco della porzione di ghiaccio a valle che è crollata colpendo le due cordate di alpinisti. Se ci fosse stato un seracco instabile non avrebbero fatto accedere le persone, invece l’azione dell’acqua è drammaticamente meno visibile, lavora da dentro, e senza chiari segnali premonitori si è avuto il crollo» (1).

Il fenomeno dell’acqua di fusione interna al ghiacciaio è un fenomeno naturale e conosciuto; quel che non era previsto è che a 3.200 metri di quota ci fosse una enorme quantità di acqua di fusione, tale da far crollare una gigantesca porzione del ghiacciaio. Ma, per quanto non fosse prevista quella quantità eccezionale di acqua di fusione all’interno del ghiacciaio (se non c’è un monitoraggio adeguato, non è facile prevederlo), e non fossero previsti con esattezza i 10,3 gradi di temperatura a 3.343 metri d’altezza, non c’è dubbio però che le temperature molto più alte del normale erano già state registrate da maggio in poi; era perciò del tutto prevedibile che i crepacci della Marmolada, intrisi d’acqua di fusione, potessero prima o poi far crollare porzioni importanti di ghiaccio.

Forse nessuno sapeva dell’esistenza dell’acqua di fusione che scorre all’interno del ghiacciaio? Lo sapevano, lo sapevano; ovvio che scienziati, esperti e autorità preposte sia regionalmente che a livello nazionale conoscono perfettamente questi fenomeni. Convinti di ciò, i parenti delle vittime hanno sollevato il problema: «Perché nessuno ha fatto un avviso sabato, che c’era l’acqua che scorreva sotto il ghiacciaio? Perché non hanno fermato le persone? Perché le hanno lasciate andare?» (2).

Già nel giugno del 2019 il Comitato glaciologico italiano e il Cnr avevano alzato l’allarme proprio sulla Marmolada, con un appello: «E’ in scioglimento continuo notte e giorno, si estinguerà entro il 2050»; e il coordinatore dei glaciologi del Triveneto, Biondesan, avvertiva: «In 70 anni il ghiacciaio ha perso oltre l’80% del volume, dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali, L’estinzione potrebbe arrivare entro 15 anni» (3). Ma il ghiacciaio della Marmolada non è stato classificato come pericoloso... Niente prevenzione, quindi, ed è successo l’evento tragico...

L’allarme sugli effetti catastrofici del riscaldamento globale (tra i quali lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione, l’aumento della siccità, l’aumento del livello del mare, l’aumentata frequenza di fenomeni atmosferici estremi ecc.) è stato lanciato in modo stabile dalla metà del XX secolo, ossia da quando la scienza del clima ha iniziato a sviluppare sistematiche e affidabili misurazioni. E’ risaputo che  l’industrializzazione, da 200 anni, si è sviluppata incessantemente e all’Inghilterra, primo Stato borghese a sviluppare la grande industria moderna, si aggiungevano via via Francia, Germania, Stati Uniti, Belgio, Olanda, Giappone per arrivare oggi alla Cina e a molti altri paesi. Ma sviluppo dell’industrializzazione non significa soltanto sviluppo economico capitalistico (che, dal nostro punto di vista, significa sviluppo delle basi economiche del socialismo) e sviluppo delle scienze naturali, ma significa sviluppo sempre più spietato della ricerca del profitto, della concorrenza, dei constrasti tra le grandi aziende e tra gli Stati imperialisti. Si sa da sempre che il profitto capitalistico, anche se proviene soprattutto dallo sfruttamento del lavoro salariato, lo si deve anche allo sfruttamento del suolo e del sottosuolo con lo stesso menefreghismo, rivolto al lavoro umano, rispetto alla salute dell’ambiente visto l’aumento costante dell’inquinamento del terreno, dell’acqua, dell’aria, dato che l’obiettivo di ogni capitalista è di ottenere il massimo di profitto col minimo di costi! Il caso del gas serra, ossia l’aumento del biossido di carbonio (la CO2) e del metano nell’aria, aumento provocato soprattutto dalla combustione di materie fossili (carbone, petrolio, gas naturale, metano ecc.), dall’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame (soprattutto bovini) e da una deforestazione incessante (non solo in Amazzonia, ma anche nelle foreste primarie europee, russe, indonesiane, birmane, mozambicane, congolesi) la dice lunga sull’attenzione che la società borghese dedica all’ambiente.  

Non c’è, quindi, da stupirci quando Messner, il famoso alpinista che ha scalato tutti gli ottomila metri del mondo, afferma che: «Con il riscaldamento globale i ghiacciai sono sempre più sottili e, quando cadono, vengono giù a pezzi come grattacieli (...) Anche la montagna risente dell’inquinamento. Non c’è quasi più ghiaccio. Fa troppo caldo, 10 gradi è una cosa incredibile, il permafrost se ne va e sotto il ghiaccio si formano fiumi d’acqua che portano via tutto» (4); già, portano via tutto, anche vite umane.

Domenica 17 luglio. Si apre un altro grande crepaccio, poco sotto Punta Rocca, alla destra orografica rispetto alla calotta crollata lo scorso 3 luglio; stimano che sia largo circa 200 metri e con uno spessore tra i 25 e i 35 metri. La massa in movimento è stata dichiarata ancora più grande di quella che è crollata il 3 luglio. Alle 13.30 di quella domenica, avendo sentito quattro forti boati provocati dal movimento del ghiacciaio, il gestore del Rifugio Ghiacciaio Marmolada (2700 metri di quota) ha dato l’allarme; in quel momento la temperatura segnava 16 gradi! (5). Nella frattura creatasi non poteva che infilarsi una grande quantità d’acqua che, a sua volta, farà il suo lavoro provocando prima o poi all’interno della massa ghiacciata il distacco del ghiaccio dalla roccia con conseguente crollo. Il problema, infatti, non è soltanto lo scioglimento del ghiacciaio, è il fatto che cade a pezzi come grattacieli...

Naturalmente, dopo i morti del 3 luglio, la Marmolada ha costretto tutte le autorità ad avere molta più attenzione per il suo ghiacciaio di quanto le dedicavano prima. Come sempre, una volta che il disastro e la tragedia sono avvenuti, i poteri costituiti hanno lanciato gli ormai irranciditi moniti. Le parole del capo del governo italiano, Mario Draghi, recatosi lunedì 4 luglio nel pomeriggio a Canazei, da dove si sono coordinate le operazioni di soccorso sulla Marmolada, ribadivano che il dramma era imprevedibile e che «indubbiamente dipende dal degrado ambientale e dalla situazione climatica» (certo, se non lo diceva lui, a nessuno sarebbe venuto in mente...) e, a nome del governo, pronunciava queste parole: «Il governo deve riflettere su quello che è successo e prendere provvedimenti affinché quello che è successo abbia una bassa probabilità di ripetersi e, addirittura, venga scongiurato. Dobbiamo intervenire» (6). Dopo ogni tragedia le autorità riflettono e promettono di prendere provvedimenti perché simili eventi non succedano più, perlomeno non con la stessa frequenza e la stessa probabilità. Come se allarmi specifici non fossero mai stati lanciati negli anni, come se tragedie simili non fossero mai avvenute prima!

Senza fare l’elenco di tutti gli eventi catastrofici nelle Alpi dall’Ottocento in poi e che riguardano soprattutto le Alpi occidentali che confinano con la Francia e la Svizzera, basti ricordare che, secondo istituzioni scientifiche ufficiali, da metà del Novecento in poi iniziò il ritiro dei ghiacciai con conseguente cambio di morfologia e distacchi improvvisi di masse ghiacciate, come «la catastrofe del ghiacciaio di Allalin in Svizzera che il 30 agosto 1965 franò abbattendosi sul cantiere della diga di Mattmark, uccidendo 88 operai», o «il crollo del ghiacciaio Superiore di Coolidge al Monviso fortunatamente senza vittime», o «il ghiacciaio sospeso dell’Eiger in Svizera, che minacciava il crollo sulla frequentatissima ferrovia della Jungfrau», oppure il «distacco molto importante avvenuto su Punta San Matteo [Gruppo Ortles-Cevedale] nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 2020: un crollo di roccia e ghiaccio a quota 3.600 metri poco sotto la vetta che tocca i 3.678 metri di altitudine», o ancora «il collasso della parete nord del Pizzo Cengalo del 23 agosto 2017, in territorio svizzero al confine con la Valtellina. Il tremendo impatto disintegrò il piccolo ghiacciaio Vadrec dal Cengal e una potente colata di detriti si propagò fino a Bondo in Val Bregaglia, travolgendo 12 edifici, ponti e strade, e seppellendo 8 escursionisti mai ritrovati. Tutto ciò nonostante il previdente sistema di allarme messo in atto dalle autorità elvetiche fin dal 2011» (7). Un sistema d’allarme che tanto previdente non era, e il perché è noto: il turismo porta denaro e finché il pericolo esattamente in quel posto, in quel giorno, in quelle ore non è più che evidente, nessuno si mette a bloccare le escursioni. Finché non avviene la tragedia, tutti sono in buona salute... e il denaro gira allegramente.

Le autorità che cosa dicono, infatti, ad esempio, di fronte alla strage sistematica sui posti di lavoro: “queste tragedie non devono più succedere”, “bisogna prendere dei provvedimenti perché non succedano più”, “bisogna applicare le misure di sicurezza previste e aumentare il tasso di prevenzione degli infortuni” ecc.... E il giorno dopo, il mese dopo, l’anno successivo, all’ennesima tragedia, all’ennesima strage, non fanno che intonare lo stesso ritornello, come se non fossero proprio loro a prendere le decisioni politiche ed economiche che hanno conseguenze dirette e indirette sulle catastrofi che caratterizzano la società del capitale, la società degli affari, dei profitti, della ricerca spasmodica di una crescita economica che garantisca i profitti e i privilegi della classe dominante borghese e di tutta le catena di piccoli e grandi capitalisti.

 

Dopo due anni di restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19, con un turismo che ha ridotto notevolmente le entrate di tutti gli imprenditori del settore, in questa prima metà dell’anno la loro quasi completa abolizione ha rimesso in moto, in generale, l’economia nazionale e, in particolare, il turismo, che è stato uno dei settori più colpiti. Per i capitalisti la ripresa economica, la tanto agognata crescita, deve recuperare percentuali di Pil significative, e qualsiasi attività produttiva, commerciale, finanziaria, culturale e di servizio deve dare il suo «contributo». La crisi del 2008-2009 ha dato una pesante batosta al settore turistico (e non solo in Italia), e la pandemia da Covid-19 nel 2020-2021 ne ha data un’altra, altrettanto pesante. Ciò non toglie che, come dicono gli esperti di statistica, l’Italia conferma la sua particolare «vocazione» turistica, per le località balneari, per le città d’arte e le aree lacuali/montane. Perciò, appena le restrizioni sono state diminuite o tolte quasi del tutto, si è scatenata la corsa alle vacanze, anche brevi, vista la poca disponibilità di denaro per moltissime famiglie. Vacanza vuol dire giro di denaro non solo per il settore ricettivo, ma anche per la ristorazione, i trasporti, i servizi culturali e museali, e per autostrade, esercizi commerciali di ogni tipo, stazioni balneari, località marittime e montane, impianti di risalita e stazioni sciistiche.

Il turismo è uno dei principali motori dell’economia mondiale: vale quasi il 10% del PIL globale e occupa 300 milioni di persone (il 10,6% del totale). In Italia nel 2019 rappresentava il 7% del PIL e il 7,1% degli occupati, cioè 1,7 milioni di persone (8). Al di là delle grandi catene alberghiere, delle grandi compagnie aeree e navali e delle grandi agenzie di viaggio, tutte le attività inerenti al turismo, internazionale o nazionale, sono in gran parte gestite da piccole e medie aziende, normalmente radicate nel proprio territorio e che occupano poco personale, soprattutto nella cosiddetta «stagione». Ovvio che i due anni di pandemia, ai quali si è aggiunta la crisi delle fonti di energia dovuta alla guerra russo-ucraina, siano stati deprimenti per l’economia in generale e turistica in particolare; le piccole e medie aziende hanno subito un tracollo di fatturato molto più pesante delle grandi aziende. Nel 2020 il fatturato del comparto turistico è diminuito del 60%, con un calo di presenze turistiche del 50 % rispetto al 2019; situazione che si è ripetuta nel 2021 dopo una minima ripresa estiva. Logico, dunque, che, tolte le restrizioni dovute al Covid-19, ogni anche minima attività esistente si sia mobilitata per recuperare fatturato di giorno e di notte, dando per scontato che da quel momento in poi la massima attenzione doveva essere concentrata a vendere e a incassare denaro.

Non importa, dunque, se i ghiacciai si stanno sciogliendo tutti i giorni e tutte le notti, se sono monitorati sistematicamente o solo periodicamente, se si sono formati dei seracchi, se si aprono crepacci continuamente o se il permafrost, scomparendo, oltre a rilasciare milioni di tonnellate di CO2 che imprigionava dalla preistoria, lascia il posto a fiumi d’acqua di fusione sotto il ghiaccio. L’importante è che l’economia, qualsiasi comparto economico, qualsiasi attività anche personale, riprenda il suo ritmo e con maggiore velocità visti i mancati guadagni del periodo precedente. Le istituzioni hanno lo stesso atteggiamento; anzi, in un certo senso, sono proprio le istituzioni che, mentre continuano a risparmiare il più possibile su tutte le misure di protezione e di prevenzione del territorio, si lavano la coscienza diffondendo incessantemente messaggi di cautela, «responsabilizzando i cittadini» che è il modo usuale per gettare la colpa degli infortuni e dei disastri sulle singole persone, ma senza mai mancare di sollecitare la ripresa economica a tutta birra, in qualsiasi comparto economico.

A disastro avvenuto due sono le vie imboccate dalle autorità: quella della «fatalità» dell’evento, e quella delle indagini per trovare i «colpevoli» perché... «giustizia sia fatta». Nel caso del crollo della montagna di ghiaccio e rocce della Marmolada, le parole uscite da tutte le bocche sono state: l’evento era imprevedibile, è stata una fatalità!

Ma quanti sono i disastri e le conseguenti tragedie che punteggiano lo sviluppo del capitalismo, di un’economia disumanizzata che tratta la vita degli esseri umani e la vita dell’ambiente naturale come valori di scambio da cui trarre il maggior profitto nel tempo più rapido possibile? La lista sarebbe lunghissima, anche perché non si limiterebbe ai disastri cosiddetti «naturali», ma dovrebbe contenere tutti gli infortuni e le morti sul lavoro, le morti per fame o per mancanza di cure, per atti di pura follia ingenerata dalle paranoie più varie o da esasperato senso di rivalsa o di proprietà, fino alle stragi pianificate chiamate guerre. Una società che ha fatto della sopraffazione e dello sfruttamento intensivo sia del lavoro umano che delle risorse naturali, non ha alcuna propensione ad evitare le catastrofi: ci vive sulle catastrofi, ci guadagna sui vivi e sui morti, sulle costruzioni e sulle distruzioni, come fosse spinta da una forza materiale che la classe dominante borghese non riesce a controllare in generale e che, in moltissimi casi, non vuole controllare. Questa forza materiale si chiama modo di produzione capitalistico che ha trasformato ogni cosa in merce, perfino l’aria che si respira; un modo di produzione che non si lascia pianificare globalmente e razionalmente, che genera picchi di espansione produttiva e abissi di recessione economica e le cui leggi oggettive superano qualsiasi azione mitigatrice che il capitalista singolo, le aziende, i trust, gli Stati, perennemente in spietata concorrenza tra loro, mettono in atto per affrontare le inevitabili e sempre più acute crisi.

Il crollo dei 300mila metri cubi di ghiaccio, roccia e detriti che sono precipitati dalla sommità del ghiacciaio della Marmolada non l’ha voluto nessuno, non è stato certo provocato appositamente dai concorrenti che guadagnano su altre montagne o in altri paesi, ma non è stata nemmeno una fatalità. Gli scienziati, gli esperti di montagna e di ghiacciai, le autorità preposte alla cura dell’ambiente, i politici locali e nazionali che decidono di investire o meno sulla protezione dell’ambiente e sulla prevenzione di eventi disastrosi, sono tutti sottomessi alle leggi del capitale, le rispettano e le fanno rispettare: prima di tutto la ricerca del profitto immediato, poi dei privilegi personali per il solo fatto di far parte della rete di interessi capitalistici direttamente o indirettamente coinvolti nella tale o tal altra attività economica o finanziaria, e per assicurare a se stessi e ai propri soci – familiari o meno – eredità, rendite e riserve per continuare a mantenere posizioni di potere. E solo «dopo», e se ci sono i capitali, ci si dedica alla «prevenzione».

E’ ben vero che il cosiddetto «riscaldamento climatico» non riguarda qualla particolare montagna o quel particolare mare, ma tutto il pianeta; d’altra parte il capitalismo e le sue leggi dominano su tutto il pianeta. Come è vero che, per quanto le ricerche scientifiche nei diversi campi siano avanzate molto rispetto a 100 o 200 anni fa, la scienza in generale, come qualsiasi altra attività umana, è in mano ai poteri capitalistici più forti: avanza e fa progressi là dove si intravvede un grosso guadagno, si interrompe e si ferma quando in vista ci sono solo costi e non profitti. Ma anche quando la cosiddetta «comunità scientifica», poggiando su dimostrazioni materiali affidabili e inequivocabili, lancia più di un allarme nel tentativo di far muovere i poteri economici e politici al fine di mettere in moto gli interventi necessari almeno per mitigare gli effetti disastrosi sia dello sfrenato sfruttamento del lavoro salariato che delle risorse naturali, la risposta della classe dominante non è mai in linea con gli allarmi lanciati, né coi tempi di intervento, né con le misure di intervento adeguate ai pericoli.

Ad un sistema economico e sociale mondiale del capitalismo, alla sua guerra contro l’umanità e la natura, non si può opporre che un altro sistema economico e sociale mondiale basato non più sul modo di produzione capitalistico, quindi non più imprigionato nei rapporti di produzione e di proprietà borghesi e sulla divisione della società in classi antagoniste, ma su un modo di produzione che risponda esclusivamente alle esigenze di vita della specie umana e ai rapporti armonici con la natura, cioè sul modo di produzione socialista che può instaurarsi soltanto distruggendo i rapporti di produzione e di proprietà borghesi, rivoluzionando da cima a fondo la società. Per giungere a questo primo e storicamente necessario traguardo della storia umana a livello internazionale non c’è altra via che la rivoluzione politica e sociale, la rivoluzione che soltanto la classe dei lavoratori salariati, cioè dei veri produttori della ricchezza sociale, può mettere in atto anche partendo soltanto da uno dei paesi capitalistici avanzati entrato più in crisi degli altri.

Si dirà: ma, in attesa di una rivoluzione che avverrà chissà quando, per evitare un altro disastro come quello della Marmolada, le autorità attuali non dovrebbero provvedere ad un intervento locale immediato e guidato dalla scienza in modo da salvare le vite future dei prossimi alpinisti, se non degli abitanti dei paesi a valle, e costituire così un esempio per interventi simili in altre situazioni pericolose?

All’immediato le autorità fanno, ovviamente, la cosa più semplice: vietano le escursioni e ogni arrampicata, fino a quando la situazione non appaia stabilizzata, ossia fino a quando – in questi casi – il ghiacciaio non appaia immediatamente pericoloso. Alcuni ghiacciai sono sistematicamente monitorati, molti altri no, a seconda dell’interesse capitalistico del loro uso. Per monitorarli tutti, e con le attrezzature tecnologiche più avanzate, si dovrebbero affrontare costi enormi, per anni se non per decenni. Il sistema capitalistico non ha né la pazienza, né l’interesse a investire capitali in attività che non portano sicuri profitti; per il capitale “costano” molto meno le decine di morti, ora su questa montagna, ora su un’altra distante magari centinaia di chilometri; ogni comune, ogni provincia, ogni regione, ogni Stato si comporta come un’azienda, più o meno grande, più o meno piccola, cui il bilancio annuo deve risultare il più attivo possibile. Perciò, fino a quando non avviene la tragedia, il disastro, tutto procede come se non ci fossero pericoli; a tragedia avvenuta scatta l’emergenza, si mobilitano le forze e i denari che servono per tamponare l’emergenza..., un’emergenza che porta essa stessa affari; e poi si riprendono le consuetudini come se il disastro avvenuto facesse parte di un passato che non tornerà più... fino a un nuovo disastro.

Succede così sui ghiacciai come nelle foreste; se i ghiacciai si sciolgono e cadono a pezzi, le foreste si incendiano e in pochissimi giorni bruciano migliaia di ettari; pezzi di montagna franano, torrenti e fiumi esondano provocando alluvioni devastanti, ma la “colpa” viene data alla fatalità, all’imprevedibilità!

La società borghese, anche quando ha gli strumenti e l’esperienza per prevedere i disastri che il suo stesso modo di produzione provoca e per prevenirne le conseguenze, è paralizzata, non è capace di utilizzare le conoscenze e la scienza se non indirizzandole esclusivamente a fini di profitto capitalistico nella più generale anarchia di produzione e di mercato. Come l’apprendista stregone che evoca le potenze degli inferi, ma non riesce a dominarle, così la borghesia non riesce a dominare la potenza dei suoi stessi mezzi di produzione e di scambio. I disastri cosiddetti naturali sono per lo più il risultato delle condizioni di esistenza della società borghese, dei suoi rapporti di produzione e di proprietà; rapporti che sboccano inevitabilmente in crisi economiche, in crisi sociali e in crisi ambientali. Lo sfruttamento intensivo del lavoro umano e delle risorse naturali al solo fine di ingigantire il capitale, rendendolo ancor più dominante sulle condizioni di esistenza della società umana, è la fonte di ogni tragedia, di ogni disastro, di ogni devastazione. Questo stato di cose non può essere fermato, né riformato. Non è mettendoci delle pezze emergenziali che si risolvono i problemi che provoca. Questo stato di cose va cancellato, abolito, superato, e c’è soltanto una via da seguire per raggiungere questo fine: rivoluzionare la società da cima a fondo, strappare il potere politico dalle mani della classe dominante borghese e instaurare, al posto della dittatura del capitale e delle sue leggi di mercato, la dittatura delle forze produttive positive, del lavoro umano, finalizzato a soddisfare le esigenze di vita della specie umana e non del mercato capitalistico.

I borghesi democratici e gli opportunisti loro compari hanno avuto, hanno e avranno sempre l’attitudine ad affrontare le crisi e le tragedie umane con la lente bifocale del “ritorno economico” e del “soggetto” a cui addossare la colpa della crisi o della tragedia; ma mai ammetteranno che i colpevoli sono la loro stessa società e i rapporti di produzione e di proprietà che la caratterizzano. La lotta per la sopravvivenza della società umana e dell’ambiente naturale in cui viviamo non può che cominciare dal negare alla classe dominante borghese la possibilità di mantenere nel tempo, con tutti i mezzi sempre più distruttivi, il proprio dominio politico e sociale. E’ ben vero che lo scioglimento dei ghiacciai, la siccità, i terremoti, i cicloni e gli uragani sono fenomeni naturali, ma – e non possono non ammetterlo gli stessi borghesi – questi fenomeni sono divenuti più frequenti e più distruttivi negli ultimi duecento anni rispetto alle migliaia di anni precedenti. Guarda caso, si tratta dell’epoca dell’industrializzazione capitalistica, cioè dell’epoca in cui la sfrenata ricerca di profitto capitalistico ha fatto saltare tutti i limiti che permettevano alla società di avere con la natura un rapporto non predatorio.

      


 

(1) Vedi l’intervista rilasciata alla rivista Altreconomia, pubblicata il 6 luglio 2022 in https://altreconomia.it/marmolada-il-nostro-approccio-alla-montagna-deve-cambiare-come-il-monitoraggio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=137NANS. La professoressa Diolaiuti studia da anni i 903 corpi glaciali presenti in Italia, oltre ad altri ghiacciai sia in Italia che nel mondo.

(2) Cfr. il fatto quotidiano, 6 luglio 2022.

(3) Ibidem.

(4) Cfr. il fatto quotidiano, 4 luglio 2022.

(5) Cfr. https.//corrieredelveneto.corriere.it/veneto/cronaca/22_luglio_81/marmolada-ecco-perche-crolla-ancora-glaciologo-un-altra-frattura-adba6cd2-069a-11ed-a85f-51c3357483ba.shtml    

(6) Cfr. https://it.euronews.com/2022/07/04/tragedia-della-marmolada-draghi-a-canazei-dobbiamo-intervenire

(7) Cfr. il fatto quotidiano, 5 luglio 2022.

(8) Cfr. https://www.borsaitaliana.it/notizie/italian-factory/distretti/ripresadelturismo.html, 20 maggio 2021

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

21 luglio 2022

www.pcint.org

 

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