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Prises de position - Prese di posizione - Toma de posición - Statements                


 

Bangladesh

Contro lo sfruttamento bestiale del capitalismo!

Viva la lotta degli operai tessili!

 

 

DA RANA PLAZA…

 

In una presa di posizione del 20 maggio 2013 (1) sul crollo dell’edificio-fabbrica “Rana Plaza” – un edificio di 9 piani, indebolito dall'aggiunta di 3 piani – causato dal sovraccarico di macchinari e dal mancato rispetto delle più elementari norme statiche di costruzione, crollo che portò, in pochi secondi, alla morte di almeno 1.140 lavoratori e al ferimento di migliaia di altri, tutti dipendenti delle major mondiali occidentali della moda e del prêt-à-porter, avevamo sottolineato che nemmeno i pentimenti borghesi di questi baroni dell’abbigliamento, né le finte azioni legali e le promesse delle autorità bengalesi di “cambiare le cose”, avrebbero modificato in alcun modo, in futuro, le bestiali condizioni di lavoro e di esistenza dei proletari del Bangladesh.

Dopo quella tragedia, lo Stato e i datori di lavoro hanno continuato a esercitare costantemente il peggiore sfruttamento dei proletari, letteralmente incatenati alla loro condizione di schiavi del capitale, in tutti i settori di attività, compreso quello tessile. Tra le misure che il governo ha utilizzato – vero fumo negli occhi – per calmare gli animi e ostentare una certa “dignità”, c’è stata la nomina di una nuova “commissione salariale” che riunisce politici e padroni, incaricata di fissare i salari ritenuti minimi, per un periodo di 5 anni, allegando al contratto retributivo una clausola di riaggiustamento riguardo l’inflazione (2). Questa strategia avrebbe dovuto consentire allo Stato e ai padroni di “regolamentare” il livello salariale, di spazzare via contrattualmente le proteste dei proletari sull’impoverimento permanente di cui soffrono e di ostacolare così le lotte operaie, gli scioperi, il sabotaggio delle fabbriche, le manifestazioni violente.

A questo proposito, nel 2010, il cinismo della Commissione governativa e padronale per la fissazione dei salari ha rivelato brutalmente in cosa consiste la forza lavoro del proletariato: una merce il cui valore è quello della sua riproduzione cioè, per quanto riguarda i bisogni vitali fondamentali, ciò che permette ai proletari almeno di nutrirsi. Questo viene misurato in calorie, prima di tradurlo in moneta (takas)! Il presidente di questa commissione, il giudice Ikteder Ahmed, ha dichiarato che per calcolare il salario dei lavoratori bisogna basarsi sul numero di calorie che li manterrebbero in vita: «3.200 calorie al giorno, ovvero circa 27 euro al mese», per 10 ore di lavoro al giorno, 6 giorni alla settimana (3). La generosa e scientifica commissione ha quindi proposto di aumentare il salario da 1800 takas (19 euro) a 3000 takas (32,6 euro)! Il problema dei salari bassi, secondo Mustafizur Rahman, economista, «… è che se i salari aumentano, le fabbriche compreranno macchinari e assumeranno meno» (4)! Un altro ricatto!

È difficile trovare notizie sulle lotte e le rivolte che hanno avuto luogo dopo la tragedia del Rana Plaza, ma segnaliamo alcuni esempi, tutti legati al livello dei salari che non consente di garantire il minimo di sussistenza minima alle famiglie, costrette spesso a mandare i propri figli a lavorare in condizioni ancora più miserabili e a lavorare oltre l’orario legale anche a costo di saltare il pasto di mezzogiorno.  

Nel gennaio 2019, vista l’impossibilità di garantire ai dipendenti la propria sussistenza e il pagamento dell'affitto, uno sciopero che chiedeva aumenti salariali ha bloccato ben 52 fabbriche tessili. Per soddisfare i propri bisogni, i proletari non hanno altra risorsa che prendere in prestito denaro da usurai senza scrupoli che, approfittando della loro miseria, chiedono tassi molto alti. Il debito medio del proletario del Bangladesh oggi è di 70.000 takas. La repressione di questo sciopero è stata particolarmente feroce e i padroni con i loro scagnozzi sono intervenuti a fianco della polizia. La repressione è stata accompagnata da un’azione di pompieraggio sindacale. Babul Akhter, segretario sindacale, ha dichiarato: «Loro [i lavoratori] non dovrebbero rifiutarlo [l’accordo sui salari] e dovrebbero tornare con calma al lavoro» (5).

In Bangladesh, non è solo il settore tessile a muoversi: nell’agosto 2022, 150.000 lavoratori del tè, soggetti a salari ancora più bassi rispetto a quelli del settore tessile, hanno scioperato chiedendo un aumento salariale del 150%, con un tetto salariale plafonato a 1 dollaro al giorno. I lavoratori del tè appartengono alle caste inferiori di origine indù, il che dà ai padroni ancora più diritto di sfruttarli come animali. Infine, nel novembre 2021, a Dacca è iniziato uno sciopero dei trasporti contro l’aumento vertiginoso del prezzo del carburante e il rifiuto del governo di compensare l’aumento con dei sussidi.

 

...AGLI SCIOPERI DEL 2023  

 

Tornando ai proletari del tessile, nel 2018 il salario corrente era fissato a 8.000 takas (circa 65 euro) per la durata contrattuale di 5 anni, quindi fino al 2023. Cinque anni durante i quali l’inflazione, raramente compensata – ma anche la sistematica inosservanza degli accordi salariali, soprattutto nei subappalti delle aziende che lavorano con le major occidentali dell’abbigliamento – ha ridotto notevolmente il già scarso “potere d’acquisto” dei proletari, che sarebbe più giusto chiamare “potere di sopravvivenza”. Ad esempio, con affitti compresi tra 5.000 e 6.000 takas, cosa resta ai proletari per nutrirsi, vestirsi e prendere cura di se stessi? La crisi causata dal Covid e poi aggravata dalla guerra ucraino-russa ha generato in Bangladesh una forte inflazione. Nel 2022 lo Stato, non potendo più garantire l’approvvigionamento energetico è stato obbligato a limitare la fornitura di elettricità. Ha dovuto anche aumentare gli aiuti alimentari alla popolazione per evitare il peggio. La misura monetaria che ha adottato è stata quella di svalutare il taka del 25%, cosa che certamente ha aiutato le esportazioni industriali a diventare ancora più economiche, quindi una misura a favore dei padroni esportatori, ma non dei proletari. Durante questo periodo di congelamento dei salari, l’inflazione è aumentata del 31,86% e questo aumento spiega la gravità della condizione economica del proletariato bengalese.

A fine ottobre 2023, nel ridiscutere i contratti salariali, la BGMEA (l’associazione dei produttori ed esportatori di abbigliamento del Bangladesh) ha proposto un aumento solo del 25%, ovvero circa 2.000 takas, portando il salario a circa 10.000 takas, una vera miseria. Il 7 novembre, sotto la pressione delle proteste e della crescente rabbia dei lavoratori, la commissione salari propose, come offerta finale, un salario di 12.500 takas, ancora ben al di sotto di quello necessario per coprire i bisogni primari dei lavoratori. Da parte loro, i lavoratori tessili chiedevano, dall’inizio dell’anno, un salario di 23.000 takas per poter vivere in modo appena dignitoso.

In risposta alle ricole proposte, i lavoratori tessili, all’inizio di novembre, sono scesi in piazza, poi sono entrati in sciopero, hanno bloccato le fabbriche ed eretto barricate, uniti in blocco sulla richiesta di 23.000 takas. Lo sciopero è terminato il 15 dicembre dopo 3 settimane di intensa lotta. Come al solito, i lavoratori hanno dovuto affrontare una repressione durissima: 4 operai morti, un sindacalista linciato a morte dagli scagnozzi dei padroni, senza contare i numerosi arresti, 140 in totale, e 10.000 scioperanti oggetto di procedimenti giudiziari per violenza, gran parte dei quali saranno condannati al carcere, come è già accaduto in altre lotte, in particolare nel 2019. Ci sono state anche ritorsioni da parte dei datori di lavoro, compresi numerosi licenziamenti e la caccia sistematica ai lavoratori più combattivi. Lo sciopero si era diffuso rapidamente a 150 aziende, ma per evitare che si estendesse ulteriormente e per dividere i lavoratori spingendo i non scioperanti ad opporsi con forza ai sostenitori dello sciopero, i padroni hanno imposto la serrata a 600 aziende.

 

LA QUESTIONE DEI SINDACATI   

 

Gli ingranaggi di integrazione sindacale con i meccanismi democratici della collaborazione di classe non sono così sviluppati come in Occidente, restando la forza bruta il mezzo principale per piegare i proletari in lotta, che d’altro canto diffidano dei compromessi burocratici che, per loro, sono sempre molto sfavorevoli. Ma i sindacati (6), quando non sono “sindacati interni”, cioè organizzati direttamente dai padroni nelle proprie aziende, aspirano a partecipare al mantenimento e all’equilibrio dell’ordine sociale e all’impegno dei proletari nel dialogo e nella pace sociale. Gli ostacoli politici e burocratici posti dallo Stato e dai padroni rendono ancora molto difficile la creazione di sindacati. Per il riformismo e l’opportunismo questa difficoltà crea però un terreno favorevole per utilizzare la lotta proletaria al fine di ottenere il riconoscimento politico dallo Stato nel loro ruolo di garanti dell’ordine sociale, contrapponendo gli svantaggi di scioperi incontrollabili per il capitale ai vantaggi della contrattazione collettiva statutaria come passaggio obbligato della protesta operaia.

Talisma Akhter del BGWS ha espresso tra le righe questa richiesta di riconoscimento dei sindacati, da parte dello Stato e dei datori di lavoro, come parti sociali responsabili e preoccupate dell’”interesse generale”, cioè dell’interesse capitalista, nel modo seguente: «La rabbia dei lavoratori è stata alimentata dall’aumento del costo della vita, con i generi alimentari di base diventati inaccessibili, ma la violenza si esprime tanto più facilmente in quanto i sindacati sono autorizzati solo sulla carta e sono controllati dai proprietari delle fabbriche» (7). Il ruolo dei sindacati è quindi, in questa prospettiva, quello di contribuire ad eliminare la violenza nelle lotte proletarie, violenza di cui lo sciopero, che attacca direttamente i profitti dei datori di lavoro, è già il primo livello.

 

SOLO IL PROFITTO È LA LEGGE!

 

Il Bangladesh sopravvive solo grazie all’industria tessile, ma è un settore dove la concorrenza internazionale è molto dura, in particolare in Asia dove i principali produttori (Cina, Bangladesh, Vietnam, India, Hong Kong e Indonesia) sono impegnati in una infinita e spietata. guerra dei prezzi. In questo settore, organizzato come quello manifatturiero, i costi di produzione dipendono principalmente dal livello dei salari, per cui i proletari sono sotto pressione fino all’ultima goccia di sudore. Tutti i compratori occidentali tacciono di fronte alle condizioni di vita da schiavi riservate ai lavoratori tessili del Bangladesh – e a quelli degli altri paesi dell’Asia – e quando le loro labbra sembrano aprirsi, è solo per rilasciare qualche parola rassicurante sulla loro grande umanità preoccupati del benessere dei lavoratori.

Per nascondere meglio la loro avidità di profitto dietro attestati di buona condotta, si servono di clausole scritte in piccolo in fondo ai contratti commerciali, che gli industriali bengalesi non rispetteranno mai, in quanto i loro subappaltatori non sono sottoposti al rispetto del salario minimo e i controlli sono effettuati tenendo conto degli interessi ben chiari di entrambe le parti contrattuali.

D’altra parte, anche i padroni del Bangladesh si rifanno una verginità lamentandosi di questi burattini occidentali che danno loro lezioni di morale per aumentare i salari dei loro lavoratori, ma che invece non sono disposti a pagare la merce un centesimo in più, sotto il ricatto di cercare altrove prezzi migliori (come in Mongolia e persino in Afghanistan)!

Questo è il capitalismo, questa è la “moralità” del capitalismo!

 

*

 

Lo sciopero dell’anno scorso non è riuscito a piegare i padroni e lo Stato, ma non è una sconfitta. Tutti i proletari hanno vinto rafforzando la loro organizzazione, la loro capacità di lotta, di sacrificio, di unità e di solidarietà, cioè rafforzandosi sulle basi fondamentali della lotta classista e senza deviare dai suoi obiettivi materiali.

Ma oggi la lotta deve continuare difendendo i lavoratori licenziati, incarcerati o ancora in attesa di processo. I proletari del Bangladesh devono anche agire affinché la loro unità non venga mai spezzata dall’influenza ideologica delle borghesie generate dai clan delle comunità nazionali o religiose. Dovranno quindi difendere in futuro la loro unità di classe al di là delle caste e delle confessioni religiose per non cadere nelle braccia di queste ultime che, in quest’area continentale, continuano a progredire e a spargere il loro veleno.

 


 

(1) Vedi questa presa di posizione sul nostro sito: https://www.pcint.org/01_Positions/01_02_it/130520_ecatombe-bagladesh.htm 

(2) Nel 2013 il governo aveva già introdotto una clausola di aumento salariale del 5% annuo per compensare l’inflazione. Ma in realtà questa regola viene quasi sempre aggirata in vari modi, legali e illegali. Oggi, oltre ai 23.000 takas, i sindacati hanno chiesto di aumentare questa compensazione per l’inflazione del 10%. Negli ultimi decenni l’evoluzione salariale è stata la seguente: 1983: Tk 627; 1994: Tk 940; 2006: 1662 Tk; 2010: Tk 3000; 2013: Tk 5300; 2018: Tk 8000.

(3) Cfr. “Le Monde”, 18/08/2010

(4) Ibidem.

(5) Cfr. “Le Monde”, 14/01/2019

(6) Tra le principali organizzazioni sindacali: BGIWF (Bangladesh Garment Industrial Workers Federation); la NGWF (Federazione Nazionale Lavoratori dell’Abbigliamento); il BGWUC (Consiglio di unità dei lavoratori dell’abbigliamento del Bangladesh); la BGWS (Solidarietà dei lavoratori dell’abbigliamento del Bangladesh)

(7) Cfr. “Le Monde”, 17/11/2023

(8) Ibidem

 

17 gennaio 2024

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

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